Organizzazione di lavoratori volta a
promuovere e tutelare gli interessi economici e professionali dei lavoratori
stessi. La Costituzione italiana sancisce il principio della libertà di
associazione e organizzazione sindacale (art. 39, 1° comma). La forma
più diffusa di organizzazione sindacale è quella per
categorie di lavoratori (cioè per settori produttivi nei quali i
lavoratori prestano la loro opera). I
s. di categoria sono di solito
organizzati in confederazioni, il cui compito è tutelare i diritti
sociali dei lavoratori in generale, indipendentemente dalla categoria di
appartenenza. In Italia sono presenti confederazioni nazionali di questo tipo,
in primo luogo le tre confederate CGIL, CISL, UIL. A queste si aggiungono
numerosi altri
s., autonomi o di base, non collegati ad alcuna
confederazione, spesso relativi a limitati e specifici settori dell'industria e
dei servizi. Anche gli imprenditori o i lavoratori autonomi hanno costituito
organizzazioni di categoria a tutela dei propri interessi, tra cui ricordiamo la
Confindustria (per il settore industriale privato) e l'INTERSIND (per il settore
industriale pubblico), la Confagricoltura, la Confcommercio e la Confesercenti.
La presenza sia di organizzazioni sindacali che di organizzazioni padronali ha
fatto sì che si sviluppasse un confronto, denominato
contrattazione
collettiva, con lo scopo di arrivare a un accordo - il contratto di lavoro
- in grado di definire regole e procedure da osservare in un rapporto di lavoro.
Una volta firmato, l'accordo diventa impegnativo per le organizzazioni che
l'hanno sottoscritto e per tutti i loro aderenti, spesso assume anche
valore
erga omnes, cioè valido per tutti. ║
S. rosso
o
bianco: rispettivamente i
s. d'ispirazione socialista e
cattolica. ║
S. commerciali: coalizione di imprese che si
costituisce allo scopo di fare incetta di una materia prima o di un determinato
prodotto al fine di specularne sul prezzo. • Econ. -
S.
industriali: più noti con la definizione di
consorzi o
cartelli, si tratta di accordi tra imprese operanti nello stesso settore
al fine di sospendere la concorrenza reciproca e di creare poli di
concentrazione industriale leader di mercato; tali intese consentono infatti una
maggiore efficienza produttiva a fronte di una diminuzione dei costi. ║
S. azionari: le intese che intercorrono tra gruppi di azionisti di una
società, siano essi di maggioranza o di minoranza, in base ai quali essi
si impegnano ad assumere un atteggiamento comune nelle assemblee sociali, ad
esempio non cedendo le proprie azioni a persone estranee all'accordo (
s. di
blocco). • Encicl. -
Il movimento sindacale in Italia: con il
dissolversi delle antiche associazioni delle arti e mestieri, durante il XIX
sec. in Italia si costituirono associazioni di lavoratori di natura
solidaristica, incentrate sulle
Società di mutuo soccorso. Le
quote versate dai soci, insieme alle erogazioni dei benefattori, andavano a
costituire un fondo che permetteva la concessione di sussidi agli aderenti in
caso di malattia o di disoccupazione. A differenza delle moderne organizzazioni
sindacali, però, le Società non si occupavano di problemi inerenti
alla difesa del salario o al miglioramento delle condizioni di lavoro. Sul
finire del secolo, tuttavia, con il diffondersi degli ideali socialisti, esse
furono sostituite dalle “leghe”, che agivano in base a due principi
fondamentali: esclusivismo di classe (in quanto si occupavano della tutela dei
soli lavoratori manuali che le costituivano) e resistenza economica (cioè
difesa dalle iniziative unilaterali del padronato in relazione a salario, orario
e condizioni di lavoro). A queste leghe risale anche il ricorso ordinario allo
sciopero come strumento di pressione sulla controparte. Fondate su propri
statuti e in base ai mestieri, le leghe (come nel caso del movimento
bracciantile in Puglia o nella pianura padana) arrivarono anche a controllare di
fatto il mercato settoriale del lavoro. Per quanto riguardava, però,
categorie a più spiccato contenuto professionale, si imposero rapidamente
forme federative su base nazionale delle leghe locali, le
unioni di
mestiere: sorsero la Federazione edilizia, quella dei litografi, dei
tipografi, ecc. Loro scopo precipuo era il raggiungimento di una
omogeneità delle condizioni di lavoro della categoria, mediante la
stipula di convenzioni o contratti collettivi che sostituissero gli accordi
individuali, spesso informali, o al più aziendali. Negli anni Novanta del
XIX sec. si costituirono le prime organizzazioni propriamente sindacali, le
Camere del lavoro: organismi a base territoriale, svolgevano inizialmente
una funzione intermediaria tra domanda e offerta di lavoro, ma presto divennero
soggetti di rappresentanza di tutti i lavoratori del territorio, coordinando le
leghe delle diverse categorie lavorative. Alle mansioni di difesa contrattuale,
le Camere del lavoro affiancarono presto anche attività di ricreazione e
di educazione popolare. Dopo l'esperienza del Segretariato Centrale di
Resistenza, integrazione tra Camere del lavoro e federazioni di mestiere, si
arrivò nel 1906 alla fondazione della Confederazione Generale del Lavoro
(CGdL). Questo istituto, cresciuto intorno all'opzione socialista riformista, fu
il principale soggetto del
s. italiano, affermando la propria distinzione
dai partiti politici, fossero pure della medesima ispirazione, secondo il
principio della separazione dei compiti. Nel giro di pochi anni tuttavia,
l'unità del
s. fu rotta da una doppia scissione: da un lato, nel
1912, la componente socialista rivoluzionaria (soreliani) fondò l'Unione
Sindacale Italiana (USI); dall'altro le forze di ispirazione cattolica diedero
vita nel 1919 alla Confederazione Italiana del Lavoro (CIL). Nel 1922 nacquero i
primi
s. fascisti che, sulla scia del regime, si imposero come
s.
di Stato, occupando gli spazi lasciati dalla soppressione violenta, operata
dallo squadrismo, delle altre organizzazioni. Con lo scioglimento coatto della
CGdL (1927), le
corporazioni fasciste, su base professionale e
interclassista, divennero
s. unico e obbligatorio, senza diritto di
sciopero né di rappresentanza operaia all'interno della fabbrica, i cui
dirigenti venivano cooptati dall'alto. Alla caduta del Fascismo, il sindacalismo
democratico si ricostituì con il
Patto di Roma
(3 giugno 1944), il quale stabilì che vi sarebbe
stato un solo organismo su tutto il territorio nazionale, la Confederazione
Generale Italiana del Lavoro (CGIL). Anche la Confederazione
generale italiana dell'industria si ricostituì a Roma nel settembre 1944.
La rifondata CGIL applicò rigidamente il principio della centralizzazione
contrattuale e, soprattutto, salariale. L'attentato a P. Togliatti, segretario
del PCI, nel 1948, fu la causa indiretta della fine della prima e unica
esperienza sindacale unitaria della storia italiana. Appena appresa la notizia
dell'attentato, infatti, l'esecutivo nazionale della CGIL si pronunciò
per uno sciopero generale prolungato per chiedere le dimissioni del Governo
complice, a suo dire, dell'attentato al dirigente comunista. Questo episodio,
vissuto come un'ulteriore ingerenza politica contro l'autonomia del sindacato,
portò alla rottura dell'unità sindacale. Tale rottura aveva
tuttavia profonde ragioni nella concezione stessa dell'azione sindacale e dei
suoi strumenti, e fu ulteriormente favorita ed esasperata dal clima di "guerra
fredda" che allora cominciava a segnare la vita sociale e politica
dell'Italia. Il 16 ottobre dello stesso anno nasceva così la Libera
Confederazione Generale Italiana del lavoro (LCGIL), sorta dai
s. di
categoria fondati dai lavoratori già aderenti alla Corrente Sindacale
Cristiana e usciti dalla CGIL unitaria. Nel 1950 le organizzazioni sindacali di
categoria aderenti alla Libera CGIL, alla FIL (Federazione Italiana dei
Lavoratori) e all'UFAIL (Unione Federazioni Autonome Italiane Lavoratori)
costituirono la CISL (Confederazione Italiana dei Sindacati dei Lavoratori).
Nello stesso anno, essendosi verificata un'ulteriore scissione con
l'uscita dei repubblicani dalla CGIL, fu fondata la UIL (Unione Italiana
del Lavoro), organizzazione sindacale che mirava a dare rappresentanza ai
lavoratori di idee laiche e socialiste-riformiste. Sempre nel 1950 nacque anche
la Confederazione Italiana Sindacati NAzionaLi (CISNAL), legata al Movimento
Sociale Italiano e a carattere corporativo, mentre dal 1957 l'area del
sindacalismo autonomo, sganciato da orientamenti di tipo ideologico, si
costituì nella Confederazione Italiana Sindacati Autonomi Lavoratori
(CISAL). Al principio degli anni Sessanta la CGIL abbandonò la linea del
centralismo in favore di una maggiore articolazione dei contratti, secondo
un'idea meno conflittuale dei rapporti con le controparti; tuttavia il
rinfocolarsi delle proteste operaie sul finire del decennio avviò un
nuovo processo sindacale unitario e la riqualificazione del movimento sindacale
stesso in senso democratico. Momento centrale di questa fase fu la conquista
legislativa del nuovo Statuto dei Lavoratori nel 1970 (V. STATUTO): grazie a
esso, tra l'altro, le rappresentanze tradizionali come le commissioni interne
furono sostituite dai consigli di fabbrica, composti da delegati eletti
dall'assemblea dei lavoratori, con poteri anche contrattuali. Dal 1969 ebbe inizio
una nuova fase di rilancio dell'unità sindacale, che culminò
il 25 luglio 1972 con la nascita della Federazione Unitaria CGIL-CISL-UIL, quale
struttura transitoria per l'assunzione di una funzione negoziale comune e
concordata nei confronti delle controparti, pur mantenendo facoltà di
autonomia a ciascuna confederazione. Il nuovo processo unitario, che
elevò il livello di sindacalizzazione della forza lavoro fino all'80%,
ebbe ripercussioni anche sul piano internazionale, aprendo trattative per
l'attuazione dell'unità sindacale a livello comunitario europeo,
attraverso l'ammissione della CGIL nella CSE, la Confederazione Sindacale
Europea (1974). Il momento di massima espansione delle conquiste economiche dei
lavoratori è forse rappresentato dall'accordo sul punto unico di
contingenza del 1975. Seguirono anni di moderazione sindacale nel campo sia
della rivendicazione salariale che contrattuale in senso lato, in coincidenza
dei Governi di solidarietà nazionale e dell'emergenza politica degli anni
di piombo. La coesione dei
s. in questi anni venne favorita dalla nomina
a segretario della UIL di Giorgio Benvenuto, di Pierre Carniti come segretario della CISL,
a fianco di Luciano Lama per la CGIL. La difficile congiuntura internazionale al
principio degli anni Ottanta contribuì a determinare il rischio di una
elevata inflazione e si fece sempre più evidente la necessità di
adottare una politica dei redditi che consentisse di affrontare organicamente i
problemi dell'economia. Con l'accordo del 1983 il
s. accettò
quindi di vedere diminuito il costo del lavoro attraverso un intervento di
alleggerimento della scala mobile in cambio di provvedimenti di politica
economica e fiscale come il decremento del carico fiscale sulla busta
paga dei lavoratori, l'adeguamento degli assegni familiari, provvedimenti
per l'occupazione e la fiscalizzazione degli oneri sociali. Nonostante la
linea unitaria, perseguita dal segretario generale della CGIL, Lama, il
crescente malcontento della base contribuì ad aprire una profonda crisi,
contrassegnata da tensioni e contrasti, soprattutto all'interno della CGIL, tra
la componente socialista, capeggiata da Agostino Marianetti e da Ottaviano Del Turco, e
quella comunista, nonché tra quest'ultima e le frange più
intransigenti della sinistra sindacale. L'unità della federazione
sindacale fu più volte duramente minacciata dalla contrapposizione tra le
componenti facenti capo ai partiti di Governo e i rappresentanti del PCI e delle
forze politiche e sociali di opposizione: queste ultime si mobilitarono, nel
1984, contro la riduzione dei punti di contingenza voluta dal Governo Craxi. A
causa del taglio della scala mobile e delle polemiche innescate da un referendum
richiesto dal PCI per l'abolizione del provvedimento, la Federazione Unitaria
CGIL-CISL-UIL venne sciolta. I
s., divisi anche da differenti posizioni
sulla politica dei redditi, si presentarono su fronti opposti al referendum
abrogativo che, svoltosi il 9 giugno 1985, registrò la prevalenza delle
forze favorevoli al provvedimento. Nel 1986 - quando Carniti aveva lasciato
la guida della CISL a Franco Marini e Lama quella della CGIL a Antonio Pizzinato e,
questi successivamente a Bruno Trentin (coadiuvato da Del Turco) e a Sergio
Cofferati, mentre Benvenuto restava saldamente ai
vertici della UIL - si giunse a un accordo per l'abrogazione del punto unico di
contingenza e il varo di un nuovo meccanismo di scala mobile, differenziato tra
le diverse categorie (meccanismo definitivamente cancellato nel 1992). Tra la
fine degli anni Ottanta e il principio degli anni Novanta, il movimento
sindacale si caratterizzò per la crescita di adesioni ai
s.
autonomi e ai rispettivi COmitati di BASe (COBAS), particolarmente attivi e
sostenuti nei settori strategici della scuola, del pubblico impiego, dei servizi
e dei trasporti, il cui successo fu probabilmente dovuto al maggiore impegno nelle
rivendicazioni contrattuali per le singole categorie, a fronte di posizioni
più generaliste e attente agli equilibri economici e politici assunte dai
s. confederali. Problemi centrali del
s. degli anni Novanta furono
quelli inerenti alla tutela dei posti di lavoro (soprattutto per quanto
riguardava gli occupati nelle grandi industrie coinvolte nei processi di
ristrutturazione), all'emergere di nuove figure professionali e forme di lavoro
(lavoro interinale, part time, telelavoro) e al crescente fenomeno del
decentramento produttivo in unità di dimensioni ridotte, difficilmente
soggette a sindacalizzazione. Negli anni Novanta i
s. confederali mostrarono
nondimeno segni di ripresa, riguadagnando terreno in virtù di
una ritrovata forza di elaborazione di proposte generali per la riforma dello
Stato sociale, come dimostrò l'accordo firmato nel luglio del 1993 fra il
Governo e le parti sociali, accordo che andò a riformare le regole della contrattazione
sindacale, stabilendo un livello nazionale di trattativa con il Governo e le
organizzazioni padronali, detta
concertazione, e due livelli di
contrattazione di categoria, quello nazionale (primo livello) e, a scelta,
aziendale o territoriale (secondo livello). Le materie oggetto di contrattazione
a livello aziendale o territoriale vengono definite a livello nazionale dai
contratti collettivi nazionali di lavoro (ccnl). Nate nel 1994, in occasione
della vertenza sulla riforma del sistema previdenziale, le Rappresentanze
Sindacali Unitarie (RSU) sostituirono gli storici comitati di fabbrica come
organismo elettivo a livello aziendale. Nel 1997 fu
raggiunta una storica intesa sulle pensioni tra il Governo di centrosinistra
guidato da Romano Prodi e i
s. L'accordo stabiliva una sostanziale
parità di regole per tutti coloro che dovevano andare in quiescenza e
accelerava il percorso di riforma del 1995 per mandare in pensione di
anzianità gli italiani con meno di 35 anni di servizio e 57 anni di
età. L'accordo cancellò inoltre le "pensioni baby",
cioè la possibilità per gli statali di lasciare il lavoro con meno
di 35 anni di contributi. Nel 1998 si avviò una complessa
stagione di rinnovi contrattuali (che tra dipendenti pubblici e privati ha
interessato più di 5 milioni di lavoratori) giocata principalmente
attorno a due temi che surriscaldarono il dibattito, nel corso dell'anno,
tra Confindustria e
s.: salario (con la difesa dei due livelli di
contrattazione) e riduzione d'orario. Il 1998 fu anche l'anno delle
elezioni delle RSU nel pubblico impiego, che segnarono un'affermazione del
s. confederale in un settore del mondo del lavoro da sempre considerato
particolarmente sensibile al richiamo del sindacalismo autonomo. Ancora nel 1998
i
s., il Governo di centrosinistra (guidato da Massimo D'Alema) e le imprese
raggiunsero l'intesa su un nuovo Patto sociale, cioè una piattaforma di
accordi su cui innestare tutte le vertenze contrattuali di fine millennio. Il
s., tra l'altro, ottenne la riduzione graduale del costo del lavoro
(sgravi di oltre il 3% per le imprese e sconti IRPEF dall'1 al 2% per i
lavoratori), la detassazione degli investimenti e l'accordo tra Governo e
s. per la regolamentazione degli scioperi. Con l'avvento al Governo
di Silvio Berlusconi (2001), i rapporti tra i
s. e l'Esecutivo si fecero
tesi. In particolare, le associazioni di categoria denunciarono il persistente
tentativo del Governo di dividere il fronte sindacale, ridimensionandone il
ruolo politico, e di sostituire la concertazione con il dialogo sociale,
che presuppone la consultazione delle parti sociali, ma non necessariamente una
intesa con esse. Tra la fine del 2001 e l'inizio del 2002 a tenere banco fu
la vertenza sull'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, che riconosce il
diritto di reintegro in caso di licenziamento senza giusta causa in aziende
al di sopra dei 15 dipendenti. In difesa di tale diritto, di cui il Governo
aveva proposto l'abolizione, il 23 marzo 2002 scese in piazza la CGIL che
diede vita a un'imponente manifestazione (vi parteciparono 3 milioni di
lavoratori). Il 16 aprile CGIL, CISL e UIL si mobilitarono per lo sciopero
generale contro le deleghe sull'articolo 18, contro la proposta della
decontribuzione previdenziale, a favore dell'occupazione e dello sviluppo
del Mezzogiorno. Nonostante l'ampia e unitaria partecipazione, all'inizio
di luglio si consumò la rottura all'interno del
s.: la CISL di Savino
Pezzotta (eletto nel 2000) e la UIL di Luigi Angeletti (eletto anch'egli nel
2000) firmarono infatti con il Governo il cosiddetto Patto per l'Italia (che,
tra l'altro, prevedeva la sospensione triennale dell'articolo 18 in cambio
di sgravi fiscali e di una parziale riforma degli ammortizzatori sociali),
che fu recisamente respinto dalla CGIL di Cofferati, la cui linea sarebbe
stata portata avanti anche dal suo successore, Guglielmo Epifani (eletto
nel settembre 2002). Lo svuotamento del Patto per l'Italia, eluso dai
contenuti delle leggi finanziarie per il 2003, ebbe l'effetto di ricompattare
i
s., che, divisi sulla battaglia referendaria appoggiata dalla sola
CGIL per l'ampliamento dell'articolo 18 ad aziende con meno di 15 dipendenti
(la consultazione, tenutasi nel 2003, non raggiunse il quorum), nel 2004
bocciarono in modo unitario la legge delega sulla riforma delle pensioni
avanzata dal Governo, indicendo un nuovo sciopero generale. I
s.
contestarono le linee principali della riforma che prevede, dopo il 2008,
un graduale innalzamento dell'età pensionabile e lo sviluppo di una previdenza
complementare, da affiancare a quella pubblica, e nel periodo 2004-07 la
possibilità per i lavoratori dipendenti del settore privato che abbiano
maturato i requisiti per la pensione di anzianità di rinviare il pensionamento
usufruendo di un bonus esentasse pari al 32,7% della retribuzione lorda.
Negli anni successivi le tensioni tra Esecutivo e associazioni di categoria
si acuirono ulteriormente e si andarono moltiplicando le mobilitazioni
antigovernative, in particolare, contro la crescente precarizzazione del
mercato del lavoro e contro la riforma della scuola e del TFR.
║
Il movimento
sindacale e l'Europa: il processo di integrazione europea determinò variamente
l'atteggiamento delle varie correnti sindacali e il loro grado di
partecipazione. La CISL internazionale, promotrice nel 1969 della CESL
(Confederazione europea dei
s. liberi) e la CISC (Confederazione dei
S. Cristiani), ribattezzata CMT (Confederazione Mondiale del Lavoro),
aderirono sin dall'inizio al programma di integrazione europea, cui invece
per molto tempo si opposero i
s. di ispirazione marxista aderenti alla
FSM (Federazione Sindacale Mondiale). Nel 1973, infine, le organizzazioni
sindacali europee aderenti alla CISL e alla CMT costituirono la CES
(Confederazione Europea dei Sindacati), aperta anche all'adesione di
organizzazioni marxiste. Al 2006 la CES raggruppa 79 organizzazioni di 35 Paesi
europei, oltre che 11 federazioni sindacali europee, per un totale di 60 milioni
di lavoratori. La CES persegue l'obiettivo di influenzare le legislazioni
e le politiche dell'Unione europea per mezzo della
rappresentatività diretta a fianco delle diverse istituzioni
(Commissione, Parlamento, Consiglio), al fine di garantire la partecipazione dei
s. a un vasto processo di consultazione nei settori del lavoro, degli
affari sociali e della politica macro-economica. Tre atti importanti a livello
comunitario a cui la CES diede il suo contributo furono l'istituzione dei
Comitati d'Impresa Europei, l'accordo sui diritti
all'informazione e alla consultazione dei lavoratori nelle imprese e nei
gruppi di imprese di dimensioni comunitarie, e la Carta sociale del Consiglio
Europeo di Strasburgo. La CES concluse inoltre accordi-quadro europei con i
suoi omologhi europei del padronato in materia di congedi parentali (Direttiva
96/34/CE), di lavoro a tempo parziale (Direttiva 97/81/CE) e di contratti a
tempo determinato (1999). Questi accordi furono ratificati dalle istituzioni
comunitarie e fanno ormai parte della legislazione europea. Per sostenere le sue
rivendicazioni, la CES fa ricorso alla mobilitazione dei suoi affiliati: nel
1997 organizzò la Manifestazione europea per la lotta alla disoccupazione
in occasione del Vertice europeo straordinario sull'occupazione di Lussemburgo
(20-21 novembre); nel dicembre del 2000 a Nizza, 80.000 lavoratori parteciparono
all'"Euro-Manif" per un'Europa sociale e per
una modifica della Carta dei Diritti Fondamentali da includere nel Trattato
dell'Unione. Tuttavia, nonostante gli sforzi per elaborare una politica
sindacale a livello comunitario europeo e una strategia unitaria di fronte alla
crescente concentrazione economica e industriale dell'Europa comunitaria,
permangono divisioni di natura ideologica, politica e nazionale, tanto da
indurre a parlare di "vuoto di potere sindacale" e della
necessità di elaborare una nuova strategia in grado di bilanciare
l'attività del capitalismo europeo. Una delle cause di questa carenza di
azione del movimento sindacale europeo va individuata, oltre che nella
priorità che i
s. europei accordano tuttora alle questioni
nazionali, allo scarso grado di sindacalizzazione che si registra in alcuni
Paesi della UE, come la Francia, dove i lavoratori iscritti ai
s. non
supera il 25%. La media comunitaria resta bassa, intorno al 40%, avendo la sua
punta massima nel Belgio, con il 65% di iscritti. La Confederazione Europea dei
Sindacati Indipendenti (CESI), con sede a Bruxelles, è invece
l'organo rappresentativo a livello comunitario dei
s. autonomi
europei. ║
S. autonomi: associazioni di lavoratori costituitesi in
Italia a partire dagli anni Cinquanta del XX sec. in contrapposizione al
sindacalismo confederale delle organizzazioni storiche (CGIL, CISL, UIL). Alcune
di queste organizzazioni costituirono, soprattutto nel pubblico impiego e in
alcuni settori specializzati, vere e proprie piccole corporazioni, poco
consapevoli di una realtà produttiva e sociale in continuo movimento,
alla luce soprattutto del processo d'unificazione europea. Di conseguenza, gran
parte di queste sigle non si rivelò un elemento propulsivo per il
Paese e, nel corso degli anni, perse terreno riducendosi, in buona parte, a
dimensioni locali. Altri movimenti sindacali autonomi sorsero come risposta alla
crisi di rappresentatività degli anni Ottanta del XX sec. e in seguito al
diffuso e crescente malcontento creato dalla crisi economica e dalla pressione
fiscale. I
s. autonomi si caratterizzano per un'azione particolarmente
attenta alle istanze di categoria, non disdegnando metodi di rivendicazione
conflittuali. I primi
s. autonomi a imporsi su scala nazionale furono
lo SNALS (Sindacato Autonomo dei Lavoratori della Scuola), i COBAS (COmitati di
BAse) e la Gilda (Associazione degli insegnanti medi), che, in occasione del
rinnovo contrattuale della Scuola, nel 1988, furono ammessi alle trattative. Il
rilancio del sindacalismo autonomo in Italia interessò anche altre
categorie, come i COBAS delle Ferrovie e, più in generale, del pubblico
impiego. Caso a sé costituiscono i cosiddetti COBAS del latte, costituiti
da operatori del settore agricolo che non si ritenevano tutelati dalle proprie
organizzazioni di rappresentanza (Coldiretti, Confagricoltura, ecc.).