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Sindacato.

Organizzazione di lavoratori volta a promuovere e tutelare gli interessi economici e professionali dei lavoratori stessi. La Costituzione italiana sancisce il principio della libertà di associazione e organizzazione sindacale (art. 39, 1° comma). La forma più diffusa di organizzazione sindacale è quella per categorie di lavoratori (cioè per settori produttivi nei quali i lavoratori prestano la loro opera). I s. di categoria sono di solito organizzati in confederazioni, il cui compito è tutelare i diritti sociali dei lavoratori in generale, indipendentemente dalla categoria di appartenenza. In Italia sono presenti confederazioni nazionali di questo tipo, in primo luogo le tre confederate CGIL, CISL, UIL. A queste si aggiungono numerosi altri s., autonomi o di base, non collegati ad alcuna confederazione, spesso relativi a limitati e specifici settori dell'industria e dei servizi. Anche gli imprenditori o i lavoratori autonomi hanno costituito organizzazioni di categoria a tutela dei propri interessi, tra cui ricordiamo la Confindustria (per il settore industriale privato) e l'INTERSIND (per il settore industriale pubblico), la Confagricoltura, la Confcommercio e la Confesercenti. La presenza sia di organizzazioni sindacali che di organizzazioni padronali ha fatto sì che si sviluppasse un confronto, denominato contrattazione collettiva, con lo scopo di arrivare a un accordo - il contratto di lavoro - in grado di definire regole e procedure da osservare in un rapporto di lavoro. Una volta firmato, l'accordo diventa impegnativo per le organizzazioni che l'hanno sottoscritto e per tutti i loro aderenti, spesso assume anche valore erga omnes, cioè valido per tutti. ║ S. rosso o bianco: rispettivamente i s. d'ispirazione socialista e cattolica. ║ S. commerciali: coalizione di imprese che si costituisce allo scopo di fare incetta di una materia prima o di un determinato prodotto al fine di specularne sul prezzo. • Econ. - S. industriali: più noti con la definizione di consorzi o cartelli, si tratta di accordi tra imprese operanti nello stesso settore al fine di sospendere la concorrenza reciproca e di creare poli di concentrazione industriale leader di mercato; tali intese consentono infatti una maggiore efficienza produttiva a fronte di una diminuzione dei costi. ║ S. azionari: le intese che intercorrono tra gruppi di azionisti di una società, siano essi di maggioranza o di minoranza, in base ai quali essi si impegnano ad assumere un atteggiamento comune nelle assemblee sociali, ad esempio non cedendo le proprie azioni a persone estranee all'accordo (s. di blocco). • Encicl. - Il movimento sindacale in Italia: con il dissolversi delle antiche associazioni delle arti e mestieri, durante il XIX sec. in Italia si costituirono associazioni di lavoratori di natura solidaristica, incentrate sulle Società di mutuo soccorso. Le quote versate dai soci, insieme alle erogazioni dei benefattori, andavano a costituire un fondo che permetteva la concessione di sussidi agli aderenti in caso di malattia o di disoccupazione. A differenza delle moderne organizzazioni sindacali, però, le Società non si occupavano di problemi inerenti alla difesa del salario o al miglioramento delle condizioni di lavoro. Sul finire del secolo, tuttavia, con il diffondersi degli ideali socialisti, esse furono sostituite dalle “leghe”, che agivano in base a due principi fondamentali: esclusivismo di classe (in quanto si occupavano della tutela dei soli lavoratori manuali che le costituivano) e resistenza economica (cioè difesa dalle iniziative unilaterali del padronato in relazione a salario, orario e condizioni di lavoro). A queste leghe risale anche il ricorso ordinario allo sciopero come strumento di pressione sulla controparte. Fondate su propri statuti e in base ai mestieri, le leghe (come nel caso del movimento bracciantile in Puglia o nella pianura padana) arrivarono anche a controllare di fatto il mercato settoriale del lavoro. Per quanto riguardava, però, categorie a più spiccato contenuto professionale, si imposero rapidamente forme federative su base nazionale delle leghe locali, le unioni di mestiere: sorsero la Federazione edilizia, quella dei litografi, dei tipografi, ecc. Loro scopo precipuo era il raggiungimento di una omogeneità delle condizioni di lavoro della categoria, mediante la stipula di convenzioni o contratti collettivi che sostituissero gli accordi individuali, spesso informali, o al più aziendali. Negli anni Novanta del XIX sec. si costituirono le prime organizzazioni propriamente sindacali, le Camere del lavoro: organismi a base territoriale, svolgevano inizialmente una funzione intermediaria tra domanda e offerta di lavoro, ma presto divennero soggetti di rappresentanza di tutti i lavoratori del territorio, coordinando le leghe delle diverse categorie lavorative. Alle mansioni di difesa contrattuale, le Camere del lavoro affiancarono presto anche attività di ricreazione e di educazione popolare. Dopo l'esperienza del Segretariato Centrale di Resistenza, integrazione tra Camere del lavoro e federazioni di mestiere, si arrivò nel 1906 alla fondazione della Confederazione Generale del Lavoro (CGdL). Questo istituto, cresciuto intorno all'opzione socialista riformista, fu il principale soggetto del s. italiano, affermando la propria distinzione dai partiti politici, fossero pure della medesima ispirazione, secondo il principio della separazione dei compiti. Nel giro di pochi anni tuttavia, l'unità del s. fu rotta da una doppia scissione: da un lato, nel 1912, la componente socialista rivoluzionaria (soreliani) fondò l'Unione Sindacale Italiana (USI); dall'altro le forze di ispirazione cattolica diedero vita nel 1919 alla Confederazione Italiana del Lavoro (CIL). Nel 1922 nacquero i primi s. fascisti che, sulla scia del regime, si imposero come s. di Stato, occupando gli spazi lasciati dalla soppressione violenta, operata dallo squadrismo, delle altre organizzazioni. Con lo scioglimento coatto della CGdL (1927), le corporazioni fasciste, su base professionale e interclassista, divennero s. unico e obbligatorio, senza diritto di sciopero né di rappresentanza operaia all'interno della fabbrica, i cui dirigenti venivano cooptati dall'alto. Alla caduta del Fascismo, il sindacalismo democratico si ricostituì con il Patto di Roma (3 giugno 1944), il quale stabilì che vi sarebbe stato un solo organismo su tutto il territorio nazionale, la Confederazione Generale Italiana del Lavoro (CGIL). Anche la Confederazione generale italiana dell'industria si ricostituì a Roma nel settembre 1944. La rifondata CGIL applicò rigidamente il principio della centralizzazione contrattuale e, soprattutto, salariale. L'attentato a P. Togliatti, segretario del PCI, nel 1948, fu la causa indiretta della fine della prima e unica esperienza sindacale unitaria della storia italiana. Appena appresa la notizia dell'attentato, infatti, l'esecutivo nazionale della CGIL si pronunciò per uno sciopero generale prolungato per chiedere le dimissioni del Governo complice, a suo dire, dell'attentato al dirigente comunista. Questo episodio, vissuto come un'ulteriore ingerenza politica contro l'autonomia del sindacato, portò alla rottura dell'unità sindacale. Tale rottura aveva tuttavia profonde ragioni nella concezione stessa dell'azione sindacale e dei suoi strumenti, e fu ulteriormente favorita ed esasperata dal clima di "guerra fredda" che allora cominciava a segnare la vita sociale e politica dell'Italia. Il 16 ottobre dello stesso anno nasceva così la Libera Confederazione Generale Italiana del lavoro (LCGIL), sorta dai s. di categoria fondati dai lavoratori già aderenti alla Corrente Sindacale Cristiana e usciti dalla CGIL unitaria. Nel 1950 le organizzazioni sindacali di categoria aderenti alla Libera CGIL, alla FIL (Federazione Italiana dei Lavoratori) e all'UFAIL (Unione Federazioni Autonome Italiane Lavoratori) costituirono la CISL (Confederazione Italiana dei Sindacati dei Lavoratori). Nello stesso anno, essendosi verificata un'ulteriore scissione con l'uscita dei repubblicani dalla CGIL, fu fondata la UIL (Unione Italiana del Lavoro), organizzazione sindacale che mirava a dare rappresentanza ai lavoratori di idee laiche e socialiste-riformiste. Sempre nel 1950 nacque anche la Confederazione Italiana Sindacati NAzionaLi (CISNAL), legata al Movimento Sociale Italiano e a carattere corporativo, mentre dal 1957 l'area del sindacalismo autonomo, sganciato da orientamenti di tipo ideologico, si costituì nella Confederazione Italiana Sindacati Autonomi Lavoratori (CISAL). Al principio degli anni Sessanta la CGIL abbandonò la linea del centralismo in favore di una maggiore articolazione dei contratti, secondo un'idea meno conflittuale dei rapporti con le controparti; tuttavia il rinfocolarsi delle proteste operaie sul finire del decennio avviò un nuovo processo sindacale unitario e la riqualificazione del movimento sindacale stesso in senso democratico. Momento centrale di questa fase fu la conquista legislativa del nuovo Statuto dei Lavoratori nel 1970 (V. STATUTO): grazie a esso, tra l'altro, le rappresentanze tradizionali come le commissioni interne furono sostituite dai consigli di fabbrica, composti da delegati eletti dall'assemblea dei lavoratori, con poteri anche contrattuali. Dal 1969 ebbe inizio una nuova fase di rilancio dell'unità sindacale, che culminò il 25 luglio 1972 con la nascita della Federazione Unitaria CGIL-CISL-UIL, quale struttura transitoria per l'assunzione di una funzione negoziale comune e concordata nei confronti delle controparti, pur mantenendo facoltà di autonomia a ciascuna confederazione. Il nuovo processo unitario, che elevò il livello di sindacalizzazione della forza lavoro fino all'80%, ebbe ripercussioni anche sul piano internazionale, aprendo trattative per l'attuazione dell'unità sindacale a livello comunitario europeo, attraverso l'ammissione della CGIL nella CSE, la Confederazione Sindacale Europea (1974). Il momento di massima espansione delle conquiste economiche dei lavoratori è forse rappresentato dall'accordo sul punto unico di contingenza del 1975. Seguirono anni di moderazione sindacale nel campo sia della rivendicazione salariale che contrattuale in senso lato, in coincidenza dei Governi di solidarietà nazionale e dell'emergenza politica degli anni di piombo. La coesione dei s. in questi anni venne favorita dalla nomina a segretario della UIL di Giorgio Benvenuto, di Pierre Carniti come segretario della CISL, a fianco di Luciano Lama per la CGIL. La difficile congiuntura internazionale al principio degli anni Ottanta contribuì a determinare il rischio di una elevata inflazione e si fece sempre più evidente la necessità di adottare una politica dei redditi che consentisse di affrontare organicamente i problemi dell'economia. Con l'accordo del 1983 il s. accettò quindi di vedere diminuito il costo del lavoro attraverso un intervento di alleggerimento della scala mobile in cambio di provvedimenti di politica economica e fiscale come il decremento del carico fiscale sulla busta paga dei lavoratori, l'adeguamento degli assegni familiari, provvedimenti per l'occupazione e la fiscalizzazione degli oneri sociali. Nonostante la linea unitaria, perseguita dal segretario generale della CGIL, Lama, il crescente malcontento della base contribuì ad aprire una profonda crisi, contrassegnata da tensioni e contrasti, soprattutto all'interno della CGIL, tra la componente socialista, capeggiata da Agostino Marianetti e da Ottaviano Del Turco, e quella comunista, nonché tra quest'ultima e le frange più intransigenti della sinistra sindacale. L'unità della federazione sindacale fu più volte duramente minacciata dalla contrapposizione tra le componenti facenti capo ai partiti di Governo e i rappresentanti del PCI e delle forze politiche e sociali di opposizione: queste ultime si mobilitarono, nel 1984, contro la riduzione dei punti di contingenza voluta dal Governo Craxi. A causa del taglio della scala mobile e delle polemiche innescate da un referendum richiesto dal PCI per l'abolizione del provvedimento, la Federazione Unitaria CGIL-CISL-UIL venne sciolta. I s., divisi anche da differenti posizioni sulla politica dei redditi, si presentarono su fronti opposti al referendum abrogativo che, svoltosi il 9 giugno 1985, registrò la prevalenza delle forze favorevoli al provvedimento. Nel 1986 - quando Carniti aveva lasciato la guida della CISL a Franco Marini e Lama quella della CGIL a Antonio Pizzinato e, questi successivamente a Bruno Trentin (coadiuvato da Del Turco) e a Sergio Cofferati, mentre Benvenuto restava saldamente ai vertici della UIL - si giunse a un accordo per l'abrogazione del punto unico di contingenza e il varo di un nuovo meccanismo di scala mobile, differenziato tra le diverse categorie (meccanismo definitivamente cancellato nel 1992). Tra la fine degli anni Ottanta e il principio degli anni Novanta, il movimento sindacale si caratterizzò per la crescita di adesioni ai s. autonomi e ai rispettivi COmitati di BASe (COBAS), particolarmente attivi e sostenuti nei settori strategici della scuola, del pubblico impiego, dei servizi e dei trasporti, il cui successo fu probabilmente dovuto al maggiore impegno nelle rivendicazioni contrattuali per le singole categorie, a fronte di posizioni più generaliste e attente agli equilibri economici e politici assunte dai s. confederali. Problemi centrali del s. degli anni Novanta furono quelli inerenti alla tutela dei posti di lavoro (soprattutto per quanto riguardava gli occupati nelle grandi industrie coinvolte nei processi di ristrutturazione), all'emergere di nuove figure professionali e forme di lavoro (lavoro interinale, part time, telelavoro) e al crescente fenomeno del decentramento produttivo in unità di dimensioni ridotte, difficilmente soggette a sindacalizzazione. Negli anni Novanta i s. confederali mostrarono nondimeno segni di ripresa, riguadagnando terreno in virtù di una ritrovata forza di elaborazione di proposte generali per la riforma dello Stato sociale, come dimostrò l'accordo firmato nel luglio del 1993 fra il Governo e le parti sociali, accordo che andò a riformare le regole della contrattazione sindacale, stabilendo un livello nazionale di trattativa con il Governo e le organizzazioni padronali, detta concertazione, e due livelli di contrattazione di categoria, quello nazionale (primo livello) e, a scelta, aziendale o territoriale (secondo livello). Le materie oggetto di contrattazione a livello aziendale o territoriale vengono definite a livello nazionale dai contratti collettivi nazionali di lavoro (ccnl). Nate nel 1994, in occasione della vertenza sulla riforma del sistema previdenziale, le Rappresentanze Sindacali Unitarie (RSU) sostituirono gli storici comitati di fabbrica come organismo elettivo a livello aziendale. Nel 1997 fu raggiunta una storica intesa sulle pensioni tra il Governo di centrosinistra guidato da Romano Prodi e i s. L'accordo stabiliva una sostanziale parità di regole per tutti coloro che dovevano andare in quiescenza e accelerava il percorso di riforma del 1995 per mandare in pensione di anzianità gli italiani con meno di 35 anni di servizio e 57 anni di età. L'accordo cancellò inoltre le "pensioni baby", cioè la possibilità per gli statali di lasciare il lavoro con meno di 35 anni di contributi. Nel 1998 si avviò una complessa stagione di rinnovi contrattuali (che tra dipendenti pubblici e privati ha interessato più di 5 milioni di lavoratori) giocata principalmente attorno a due temi che surriscaldarono il dibattito, nel corso dell'anno, tra Confindustria e s.: salario (con la difesa dei due livelli di contrattazione) e riduzione d'orario. Il 1998 fu anche l'anno delle elezioni delle RSU nel pubblico impiego, che segnarono un'affermazione del s. confederale in un settore del mondo del lavoro da sempre considerato particolarmente sensibile al richiamo del sindacalismo autonomo. Ancora nel 1998 i s., il Governo di centrosinistra (guidato da Massimo D'Alema) e le imprese raggiunsero l'intesa su un nuovo Patto sociale, cioè una piattaforma di accordi su cui innestare tutte le vertenze contrattuali di fine millennio. Il s., tra l'altro, ottenne la riduzione graduale del costo del lavoro (sgravi di oltre il 3% per le imprese e sconti IRPEF dall'1 al 2% per i lavoratori), la detassazione degli investimenti e l'accordo tra Governo e s. per la regolamentazione degli scioperi. Con l'avvento al Governo di Silvio Berlusconi (2001), i rapporti tra i s. e l'Esecutivo si fecero tesi. In particolare, le associazioni di categoria denunciarono il persistente tentativo del Governo di dividere il fronte sindacale, ridimensionandone il ruolo politico, e di sostituire la concertazione con il dialogo sociale, che presuppone la consultazione delle parti sociali, ma non necessariamente una intesa con esse. Tra la fine del 2001 e l'inizio del 2002 a tenere banco fu la vertenza sull'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, che riconosce il diritto di reintegro in caso di licenziamento senza giusta causa in aziende al di sopra dei 15 dipendenti. In difesa di tale diritto, di cui il Governo aveva proposto l'abolizione, il 23 marzo 2002 scese in piazza la CGIL che diede vita a un'imponente manifestazione (vi parteciparono 3 milioni di lavoratori). Il 16 aprile CGIL, CISL e UIL si mobilitarono per lo sciopero generale contro le deleghe sull'articolo 18, contro la proposta della decontribuzione previdenziale, a favore dell'occupazione e dello sviluppo del Mezzogiorno. Nonostante l'ampia e unitaria partecipazione, all'inizio di luglio si consumò la rottura all'interno del s.: la CISL di Savino Pezzotta (eletto nel 2000) e la UIL di Luigi Angeletti (eletto anch'egli nel 2000) firmarono infatti con il Governo il cosiddetto Patto per l'Italia (che, tra l'altro, prevedeva la sospensione triennale dell'articolo 18 in cambio di sgravi fiscali e di una parziale riforma degli ammortizzatori sociali), che fu recisamente respinto dalla CGIL di Cofferati, la cui linea sarebbe stata portata avanti anche dal suo successore, Guglielmo Epifani (eletto nel settembre 2002). Lo svuotamento del Patto per l'Italia, eluso dai contenuti delle leggi finanziarie per il 2003, ebbe l'effetto di ricompattare i s., che, divisi sulla battaglia referendaria appoggiata dalla sola CGIL per l'ampliamento dell'articolo 18 ad aziende con meno di 15 dipendenti (la consultazione, tenutasi nel 2003, non raggiunse il quorum), nel 2004 bocciarono in modo unitario la legge delega sulla riforma delle pensioni avanzata dal Governo, indicendo un nuovo sciopero generale. I s. contestarono le linee principali della riforma che prevede, dopo il 2008, un graduale innalzamento dell'età pensionabile e lo sviluppo di una previdenza complementare, da affiancare a quella pubblica, e nel periodo 2004-07 la possibilità per i lavoratori dipendenti del settore privato che abbiano maturato i requisiti per la pensione di anzianità di rinviare il pensionamento usufruendo di un bonus esentasse pari al 32,7% della retribuzione lorda. Negli anni successivi le tensioni tra Esecutivo e associazioni di categoria si acuirono ulteriormente e si andarono moltiplicando le mobilitazioni antigovernative, in particolare, contro la crescente precarizzazione del mercato del lavoro e contro la riforma della scuola e del TFR. ║ Il movimento sindacale e l'Europa: il processo di integrazione europea determinò variamente l'atteggiamento delle varie correnti sindacali e il loro grado di partecipazione. La CISL internazionale, promotrice nel 1969 della CESL (Confederazione europea dei s. liberi) e la CISC (Confederazione dei S. Cristiani), ribattezzata CMT (Confederazione Mondiale del Lavoro), aderirono sin dall'inizio al programma di integrazione europea, cui invece per molto tempo si opposero i s. di ispirazione marxista aderenti alla FSM (Federazione Sindacale Mondiale). Nel 1973, infine, le organizzazioni sindacali europee aderenti alla CISL e alla CMT costituirono la CES (Confederazione Europea dei Sindacati), aperta anche all'adesione di organizzazioni marxiste. Al 2006 la CES raggruppa 79 organizzazioni di 35 Paesi europei, oltre che 11 federazioni sindacali europee, per un totale di 60 milioni di lavoratori. La CES persegue l'obiettivo di influenzare le legislazioni e le politiche dell'Unione europea per mezzo della rappresentatività diretta a fianco delle diverse istituzioni (Commissione, Parlamento, Consiglio), al fine di garantire la partecipazione dei s. a un vasto processo di consultazione nei settori del lavoro, degli affari sociali e della politica macro-economica. Tre atti importanti a livello comunitario a cui la CES diede il suo contributo furono l'istituzione dei Comitati d'Impresa Europei, l'accordo sui diritti all'informazione e alla consultazione dei lavoratori nelle imprese e nei gruppi di imprese di dimensioni comunitarie, e la Carta sociale del Consiglio Europeo di Strasburgo. La CES concluse inoltre accordi-quadro europei con i suoi omologhi europei del padronato in materia di congedi parentali (Direttiva 96/34/CE), di lavoro a tempo parziale (Direttiva 97/81/CE) e di contratti a tempo determinato (1999). Questi accordi furono ratificati dalle istituzioni comunitarie e fanno ormai parte della legislazione europea. Per sostenere le sue rivendicazioni, la CES fa ricorso alla mobilitazione dei suoi affiliati: nel 1997 organizzò la Manifestazione europea per la lotta alla disoccupazione in occasione del Vertice europeo straordinario sull'occupazione di Lussemburgo (20-21 novembre); nel dicembre del 2000 a Nizza, 80.000 lavoratori parteciparono all'"Euro-Manif" per un'Europa sociale e per una modifica della Carta dei Diritti Fondamentali da includere nel Trattato dell'Unione. Tuttavia, nonostante gli sforzi per elaborare una politica sindacale a livello comunitario europeo e una strategia unitaria di fronte alla crescente concentrazione economica e industriale dell'Europa comunitaria, permangono divisioni di natura ideologica, politica e nazionale, tanto da indurre a parlare di "vuoto di potere sindacale" e della necessità di elaborare una nuova strategia in grado di bilanciare l'attività del capitalismo europeo. Una delle cause di questa carenza di azione del movimento sindacale europeo va individuata, oltre che nella priorità che i s. europei accordano tuttora alle questioni nazionali, allo scarso grado di sindacalizzazione che si registra in alcuni Paesi della UE, come la Francia, dove i lavoratori iscritti ai s. non supera il 25%. La media comunitaria resta bassa, intorno al 40%, avendo la sua punta massima nel Belgio, con il 65% di iscritti. La Confederazione Europea dei Sindacati Indipendenti (CESI), con sede a Bruxelles, è invece l'organo rappresentativo a livello comunitario dei s. autonomi europei. ║ S. autonomi: associazioni di lavoratori costituitesi in Italia a partire dagli anni Cinquanta del XX sec. in contrapposizione al sindacalismo confederale delle organizzazioni storiche (CGIL, CISL, UIL). Alcune di queste organizzazioni costituirono, soprattutto nel pubblico impiego e in alcuni settori specializzati, vere e proprie piccole corporazioni, poco consapevoli di una realtà produttiva e sociale in continuo movimento, alla luce soprattutto del processo d'unificazione europea. Di conseguenza, gran parte di queste sigle non si rivelò un elemento propulsivo per il Paese e, nel corso degli anni, perse terreno riducendosi, in buona parte, a dimensioni locali. Altri movimenti sindacali autonomi sorsero come risposta alla crisi di rappresentatività degli anni Ottanta del XX sec. e in seguito al diffuso e crescente malcontento creato dalla crisi economica e dalla pressione fiscale. I s. autonomi si caratterizzano per un'azione particolarmente attenta alle istanze di categoria, non disdegnando metodi di rivendicazione conflittuali. I primi s. autonomi a imporsi su scala nazionale furono lo SNALS (Sindacato Autonomo dei Lavoratori della Scuola), i COBAS (COmitati di BAse) e la Gilda (Associazione degli insegnanti medi), che, in occasione del rinnovo contrattuale della Scuola, nel 1988, furono ammessi alle trattative. Il rilancio del sindacalismo autonomo in Italia interessò anche altre categorie, come i COBAS delle Ferrovie e, più in generale, del pubblico impiego. Caso a sé costituiscono i cosiddetti COBAS del latte, costituiti da operatori del settore agricolo che non si ritenevano tutelati dalle proprie organizzazioni di rappresentanza (Coldiretti, Confagricoltura, ecc.).