Termine utilizzato per indicare qualsiasi
versione della dottrina del sillogismo. La
s. nacque con Aristotele quale
controparte logico-linguistica della sua teoria della sostanza
(V. ARISTOTELE) e si affermò rapidamente,
rimanendo praticamente immutata fino all'epoca medioevale, allorché la
Scolastica la elaborò ulteriormente, portandola a un livello di
perfezione teorica tale per cui I. Kant, alla fine del XVIII sec., non
esitò a dichiarare la
s. non suscettibile di nuovi progressi. In
realtà, però, già gli stoici avevano sviluppato un tipo di
sillogismo alternativo a quello aristotelico, il
sillogismo anapodittico,
che utilizza argomentazioni immediate e non necessarie e la cui verità
dipende dalla sussistenza della situazione di fatto descritta nelle premesse
(
se è giorno c'è luce; ma
è giorno,
dunque
c'è luce); questo senza dimenticare che anche J. Locke aveva
argomentato contro il valore euristico del sillogismo e, in ultima analisi,
contro la sua utilità gnoseologica, e che più avanti nel XIX sec.
J.S. Mill avrebbe rilevato come le proposizioni universali e il termine medio
non sono per nulla necessari alla concludenza delle prove. Furono, comunque, gli
studi di logica matematica ad assestare un duro colpo alla
s. quale
dottrina logica fondamentale; infatti, dopo che già G.W. Leibniz nel XVII
sec. aveva messo in luce i limiti del sillogismo come strumento per la
trascrizione dei ragionamenti matematici, G. Boole nel XIX sec. mostrò
definitivamente come il sillogismo si fondi su processi più semplici, che
costituiscono i veri e propri elementi del metodo logico.