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Siderurgìa.

(dal greco siderourghía: lavorazione del ferro). Il complesso delle tecniche volte alla produzione e alla prima lavorazione del ferro, della ghisa, dell'acciaio e delle ferroleghe, fino alla confezione di semilavorati. Si suddivide in s. estrattiva, che si occupa della produzione della ghisa di prima fusione a partire dai minerali di ferro, e s. tecnologica, che ha per scopo la fabbricazione dei vari tipi di acciaio e di ghisa. • Encicl. - Data l'enorme difficoltà di ricavare il ferro, quest'ultimo comparve più tardi rispetto al bronzo o al rame e fu ottenuto allo stato pastoso, in forma di blocchetti, con un'elevata percentuale di scorie. I primi forni a essere utilizzati furono quelli cosiddetti bassifuochi, composti da una fossa scavata nel terreno, con le pareti rivestite di pietre e di argilla, all'interno della quale si introducevano carbone di legna e minerale ferroso; la combustione era innescata mediante mantici a mano e il ferro che ne risultava si presentava allo stato di massello. Questi forni possono essere considerati i capostipiti dei moderni sistemi di affinazione, poiché l'aria che penetrava in essi sottoponeva il prodotto in via di elaborazione a una consistente azione ossidante. I bassifuochi vennero via via sostituiti dai forni a tino, i progenitori dei moderni altiforni, i quali, anziché essere scavati nel terreno, venivano sviluppati verso l'alto. In essi si poteva realizzare una carburazione del prodotto di riduzione, che si intensificò ulteriormente nel corso del XIII sec. in seguito all'introduzione della ruota idraulica per azionare i mantici dei forni fusori. Questa innovazione comportò conseguenze rilevanti, prime fra tutte una combustione più attiva, il raggiungimento di temperature più alte, nonché un prodotto finale non più allo stato pastoso ma fluido che condusse alla nascita di un nuovo prodotto siderurgico: la ghisa, ovvero una lega del ferro con il carbonio. La scoperta che, per ottenere il ferro, occorre passare attraverso un prodotto più carburato disponibile allo stato liquido e convertire quest'ultimo pose le basi della moderna industria siderurgica. Sempre a questo periodo risale un altro principio basilare dell'industria moderna, quello della continuità dell'operazione, per cui, parallelamente alla produzione continua di ghisa, nuovo materiale veniva immesso nella bocca del forno. Una brusca battuta d'arresto nell'affermazione dell'industria siderurgica si ebbe nel XV sec., con l'approvazione da parte del Governo inglese di leggi restrittive per la salvaguardia del patrimonio forestale. Soltanto dopo alcuni secoli il problema dell'esaurimento delle riserve di legname approdò a una soluzione; ciò a opera di A. Darby (1730) il quale, sottoponendo a distillazione il carbon fossile, ottenne un valido sostitutivo del carbone di legna: il coke. Bruciando con maggiore difficoltà rispetto al carbone di legna, il coke impose la necessità di aumentare la pressione dell'aria immessa nei forni, problema questo che fu risolto utilizzando la macchina a vapore di Watt per mettere in moto le soffianti per l'aria. Fu così che verso la fine del XVIII sec. la Gran Bretagna si trovò a occupare una posizione di primo piano in campo siderurgico rispetto agli altri Paesi europei. A questo primato contribuì anche la fondamentale opera di J.B. Neilson, cui si deve l'idea di preriscaldare l'aria utilizzata in alcuni forni, sulla base del presupposto che alcune delle irregolarità di marcia frequentemente riscontrate dovessero essere imputate all'umidità dell'aria stessa. Ne derivarono un minor consumo di carbone e un considerevole aumento nella produzione di ciascun altoforno. Nel 1833 il tedesco A.Ch. Faber du Faur perfezionò i riscaldatori progettati da Neilson, introducendo l'uso delle serpentine tubolari di ghisa al fine di incrementare la superficie di scambio. Frattanto, il profilo dell'altoforno si andava modificando: si preferirono forni a sezione circolare, si adottò come sagoma interna quella che gli altiforni assumevano naturalmente dopo un certo periodo di funzionamento, si attribuì la funzione di resistenza meccanica non più soltanto alla muratura, ma anche a solide cerchiature in ferro, si sostituirono le strutture murarie con opere di carpenteria in metallo, ecc. Tutto ciò contribuì a un considerevole risparmio di combustibile e al raggiungimento di temperature più elevate nei forni. Parallelamente a quello della ghisa, si ebbe un analogo sviluppo nella tecnica di fabbricazione dell'acciaio. Ancora nel XIII sec. la ghisa veniva trasformata in acciaio mediante il bassofuoco; questo metodo, tuttavia, comportava un elevato consumo di carbone di legna e, per questo, venne di lì a poco sostituito con la carburazione del ferro dolce e conseguente fusione al crogiolo. Per la produzione di acciaio su vasta scala, nonché di acciai di alta qualità, occorre attendere la metà del XIX sec., quando vennero elaborate tecniche per la produzione diretta di questo allo stato liquido e si affermarono processi, denominati Duplex, Triplex, ecc., che consistevano nell'accoppiamento di forni diversi (tra cui anche quelli elettrici). Tra la fine della seconda guerra mondiale e la metà degli anni Settanta fu inaugurata una nuova fase di espansione, che condusse all'automazione e meccanizzazione di tutte le operazioni produttive e all'affermazione di due tipi di stabilimento siderurgico: lo stabilimento a ciclo integrale e l'acciaieria elettrica. Il primo utilizzava quale fonte energetica i carboni fossili e quale materia prima il minerale di ferro, mentre la seconda ricorreva all'elettricità quale fonte energetica e al rottame di ferro quale materia prima. Lo stabilimento a ciclo integrale venne di gran lunga preferito all'acciaieria elettrica per prodotti piani e volumi consistenti di produzione di acciaio al carbonio o a basso contenuto di elementi di lega; per contro, l'acciaieria ebbe il proprio campo di utilizzazione per volumi di produzione medi e piccoli e la fabbricazione di acciai speciali e di qualità. Ciò nondimeno, entrambi gli stabilimenti trovarono limiti notevoli di sviluppo: il primo nei costi di investimento, nella complessità e rigidità degli impianti e della gestione e nelle dimensioni sempre crescenti delle unità produttive; la seconda nel costo e nella disponibilità di energia elettrica e di rottami. Ebbe così inizio una fase di crisi difficilmente superabile a causa del ruolo determinante che assunsero, e rivestono tuttora, materiali strutturali diversi dall'acciaio. ║ La s. in Italia: la nascita della s. in Italia venne pesantemente condizionata dalla scarsa disponibilità di materie prime nel sottosuolo. Nel primo ventennio unitario, grazie a consistenti importazioni di ghisa dall'estero, si moltiplicarono piccoli e primitivi forni a legna sparpagliati tra Lombardia, Piemonte, Toscana e Calabria; nel 1881, tuttavia, gran parte di questi vennero chiusi e ne restarono in attività soltanto 16. Parallelamente, pur nella continua dipendenza dalle importazioni dall'estero, si assistette alla diffusione delle applicazioni del ferro e al rinnovamento delle vecchie ferriere; il contributo maggiore all'espansione produttiva in questo settore venne dalla Liguria (Sestri Ponente, Voltri, Savona), dalla Lombardia (Vobarno, Rogoredo, Carcina, Dongo), dal Piemonte (Torino) e dalla Toscana (Piombino). L'importanza crescente delle importazioni determinò anche lo spostamento degli stabilimenti dai giacimenti di minerali e dai boschi ai grandi centri, soprattutto marittimi, più facilmente raggiungibili dalle correnti del traffico internazionale. All'inizio del XX sec. si impose la necessità di porre un freno alla dipendenza dall'estero, incrementando e migliorando l'utilizzazione del minerale di ferro nazionale. Fu così che vennero edificati alcuni altiforni a coke per la produzione della ghisa e si costituì l'Ilva, alla quale venne dato in concessione l'esercizio degli stabilimenti; non si poté evitare, tuttavia, la diffusione disordinata di impianti convertitori di rottami. Pur senza eguagliare i volumi produttivi della Gran Bretagna, degli Stati Uniti e della Germania, alla vigilia della prima guerra mondiale l'Italia aveva guadagnato una posizione di tutto rispetto in campo siderurgico, posizione che riuscì a mantenere nonostante gli ampi danni provocati dal secondo conflitto mondiale. Negli anni Quaranta fu realizzato il programma di riconversione della s. italiana, che prevedeva la ricostruzione di vari impianti distrutti dai bombardamenti, l'utilizzazione dei derivati del carbone importato, l'incremento della specializzazione di ciascun impianto e la localizzazione delle nuove industrie nel Mezzogiorno, al fine di favorirne lo sviluppo. Frattanto anche la componente privata della s. conobbe un rapido sviluppo che si concretizzò soprattutto nella creazione di mini acciaierie nell'Italia settentrionale, in prossimità dei principali mercati di sbocco europei. Gli anni Settanta condussero l'Italia a occupare il secondo posto nella produzione europea di acciaio, dopo la Repubblica Federale di Germania; contrariamente alle aspettative, tuttavia, all'incremento dell'offerta non corrispose un parallelo incremento della domanda, bensì una sua diminuzione, non sanata neppure dall'aumento delle quote di mercato all'estero. Gli anni Ottanta, così, si aprirono e si conclusero all'insegna di una nuova crisi della s. italiana, che determinò drastiche riduzioni di capacità.