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Sepolcrale.

Relativo a un sepolcro. • Lett. - Poesia s.: maniera poetica ispirata ai temi della meditazione sulla morte, sulla sepoltura e sull'esito ultimo dell'esistenza umana, e caratterizzata da un'intonazione sentimentale e malinconica, con un gusto particolare per il lugubre e per l'orrido. Sorta in Inghilterra intorno alla metà del XVIII sec., la poesia s. si diffuse rapidamente in Europa, ricollegandosi e talora confondendosi con quella della notte e delle rovine e con la poesia ossianica, con le quali condivideva la predilezione per gli scenari notturni e misteriosi, nonché la propensione per sentimenti di tristezza e di desolazione: nel complesso, tali tratti anticipano e attestano il trapasso dal gusto classico settecentesco alla nuova e più intima sensibilità poetica romantica. Di autori inglesi di fede protestante sono le composizioni che diedero avvio alla poesia s.: oltre a Un frammento notturno sopra la morte (1712-13) di Th. Parnell (che inaugurò il genere), al poema La tomba (1743) di R. Blair e alle Meditazioni fra le tombe (1748) di J. Hervey, scritte in prosa, sono da ricordare soprattutto le opere di E. Young e di Th. Gray. Del primo, celebre e tradotto in molte lingue fu il vasto poema Il lamento, o pensieri notturni (1742-45), dolente e patetica rievocazione, pervasa del sentimento della vanità delle cose umane, della morte di persone care al poeta, fra cui la figliastra, alla quale è consacrata la terza parte del poema. Ispirata a sentimenti di tristezza più pacata e raccolta è l'Elegia composta in un cimitero di campagna (1751) di Gray, nella quale prevale una struggente malinconia e in cui è accennato il tema del sepolcro come tramite fra i defunti e i viventi, che fu poi sviluppato, con più intensa e complessa sensibilità, da U. Foscolo. L'influsso della poesia s. inglese appare evidente nella produzione coeva tedesca, alla quale appartengono La notte (1755), parte di un più vasto poema di J.F.W. Zachariae, e I sepolcri (1760), poema in sei canti di F.K.K. von Creuz. Ancor più significativo fu il successo della poesia s. in Francia e in Italia, dove peraltro - accanto a opere di traduzione e di imitazione, modellate su quelle inglesi, come i poemi Le notti clementine (1775) di A. Bertola, Le notti (1777) di G. Fantoni, e Le tombe (1779) del francese Ph.-C. Bridel - la nuova maniera poetica si alimentò presto di un assunto civile. Infatti, la diffusione dei motivi s. fu favorita sia dalle conseguenze della Rivoluzione francese, perché la sua critica delle credenze tradizionali determinò per un verso reazioni a favore del culto dei defunti e per un altro il sorgere del culto laico dei grandi benefattori della patria, sia dalle discussioni sulla sistemazione dei cimiteri e delle tombe, culminate con l'editto napoleonico di Saint-Cloud (1804). In Francia, in tale temperie culturale furono composti i poemi La sepoltura (1797) di G. Legouvé, in polemica contro le distruzioni delle tombe da parte dei rivoluzionari, e Immaginazione (1806) di J. Delille, che celebrava il valore civile e politico del sepolcro. In Italia, oltre alle opere di I. Pindemonte (il poema incompiuto I cimiteri, interrotto volontariamente dall'autore, e l'epistola in versi I sepolcri) e alle Notti romane (1792; 1804) di A. Verri, in cui il paesaggio notturno e fantastico costituiva la cornice di meditazioni e discussioni storiche, le tematiche della poesia s. furono riprese occasionalmente da G. Parini, in modo più sentito da V. Alfieri e influirono in modo determinante sulla concezione poetica del giovane U. Foscolo. In particolare, Le ultime lettere di Jacopo Ortis (1798-1802) costituiscono un vero e proprio romanzo s., oltre che politico, in cui prevalgono temi quali la centralità del sepolcro, dove si uniscono morte e vita, la commistione di dolore e di conforto, il contrasto fra la fragilità umana e l'eternità dei valori. Per contro, nel carme Dei sepolcri (1807), che pure prende spunto occasionale dalle discussioni dell'epoca, i motivi tipici della poesia s. sono superati in una sintesi nuova, fondata sull'apparente dissidio fra morte e vita, superato dall'immortalità del ricordo, in virtù della potenza eternatrice della poesia. Solo esteriori, infine, sono i legami fra la poesia s. e opere più tarde quali i canti di G. Leopardi Sopra un basso rilievo antico sepolcrale e Sopra il ritratto di una bella donna (1836), che sviluppano tematiche ormai assai lontane dai motivi originari della maniera poetica s. • Arte - Arte s.: tuttora poco chiara è la funzione che nella preistoria avevano i dolmen e i menhir, quantunque si tenda in genere a ritenere che si trattasse di monumenti funebri. Informazioni relativamente sicure si hanno, per contro, in relazione all'architettura tombale degli Egizi, degli antichi Greci e degli Etruschi. Tutte queste civiltà concepivano l'oltretomba come un luogo dove i defunti conducevano una vita non dissimile dalla loro esistenza terrena: perciò i monumenti s. erano dotati di uno o più vani contenenti tutti gli oggetti e i viveri destinati ad assicurare al morto il benessere fisico e spirituale. Questi organismi tombali erano prevalentemente del tipo a ipogeo (costruzione sotterranea generalmente decorata con affreschi, mosaici e rilievi), oppure del tipo a tholos (organizzate e decorate come le precedenti, ma non sotterranee o seminterrate, ricoperte esternamente da un tumulo): tali schemi si trovano ampiamente attestati in Grecia, in Etruria e in numerose tombe egizie, fra cui quelle della necropoli della Valle dei Re presso Tebe; in Egitto, inoltre, un altro tipo di monumento s., di norma riservato ai faraoni, era la piramide. Nelle tombe etrusche, sotterranee e no, era diffusa l'usanza di affrescare le pareti della camera del defunto con scene della sua vita, e di scolpirne l'immagine (pratica, questa, diffusa anche nella civiltà egizia) a grandezza naturale sopra il coperchio del sarcofago. Spesso le figure scolpite sono due, rappresentanti talvolta i coniugi (come nel cosiddetto sarcofago degli sposi, conservato al Museo di Villa Giulia) o il defunto con un genio funebre. Diversamente dai sarcofagi egizi, quelli etruschi ritraggono in genere le figure sul coperchio in atteggiamenti propri dei vivi, per esempio nell'atto di banchettare. Le tombe micenee a tholos si contraddistinguono per la camera del defunto a pianta circolare e per la copertura, che forma una pseudocupola; a questo tipo appartiene fra gli altri il cosiddetto Tesoro di Atreo a Micene. Non di rado, inoltre, il trapassato veniva sepolto con una maschera d'oro sul viso. Il termine “mausoleo” definisce un tipo monumentale di cella funeraria e deriva dal sepolcro di Mausolo, satrapo di Caria, costruito nel 352 a.C. ad Alicarnasso. Lo schema architettonico di questo edificio godette di vasta fortuna presso i Romani di età imperiale, i quali edificarono numerose celle a pianta circolare al colmo delle quali era un tumulo ricoperto di cipressi (mausoleo di Augusto, mausoleo di Adriano a Roma). Più articolati sono i mausolei del tardo impero, come quello di Diocleziano a Spalato, anch'esso a pianta centrale, ma dallo schema più complesso. Tale nuovo genere di monumento s. rimase in uso fino all'epoca bizantina (notevole il mausoleo ravennate di Galla Placidia) e barbarica (mausoleo di Teodorico a Ravenna). All'interno della costruzione era posto il sarcofago, generalmente in pietra, con coperchio a spioventi e decorazioni plastiche. Durante il Medioevo si affermò l'uso di seppellire i morti nelle chiese: ciò determinò una vasta produzione di lapidi e di lastre tombali scolpite a basso e bassissimo rilievo da incastonare nella pavimentazione. Verso la fine del Duecento tornò in uso il sarcofago, generalmente con la figura del defunto scolpita sul coperchio supina (con frequenti esempi di figure appaiate) o in atteggiamento orante (ad esempio la tomba del vescovo Orso in Santa Maria del Fiore a Firenze, opera di Tino da Camaino). Modellate su tali schemi sono anche le tombe dei duchi di Borgogna (Digione, museo), e quella di Enrico il Leone (Brunwick, cattedrale). Fra i numerosi sepolcri rinascimentali che conservano questa composizione si ricordano la tomba di Ilaria del Carretto, di J. della Quercia (Lucca, duomo), la tomba di Ludovico il Moro e Beatrice d'Este, di C. Solari (Pavia, certosa) e la tomba di Sisto IV, di A. Pollaiolo (Roma, basilica di San Pietro). Tuttavia, il tipo di sepolcro quattrocentesco per eccellenza è quello inserito in una nicchia a parete: fra gli esempi più celebri sono da annoverare la tomba del cardinale di Portogallo, di A. Rossellino (San Miniato al Monte) e la tomba di Medea Colleoni, di G.A. Amadeo (Bergamo, cappella Colleoni). Di grande rilievo per la storia dell'arte sono poi le tombe cinquecentesche, sia per la loro articolazione (non di rado costituiscono un complesso architettonico con gruppi scultorei inseriti, come le tombe medicee in San Lorenzo a Firenze, opera di Michelangelo e la cappella Chigi di Raffaello in Santa Maria del Popolo in Roma), sia per il puro valore artistico delle opere plastiche (il progetto michelangiolesco per la tomba di Giulio II, le tombe di Fabiano e Antonio del Monte, opera di B. Ammannati, in San Pietro in Montorio a Roma). Assai decorati e scenografici sono i monumenti funebri secenteschi, quali quelli barocchi di G.L. Bernini (tombe di Urbano VIII e Alessandro VII in San Pietro a Roma), mentre fra i sepolcri monumentali di stile neoclassico è da ricordare il mausoleo di Pio VII in San Pietro a Roma, opera di Thorvaldsen. Nel XIX sec., in seguito all'introduzione del divieto di sepoltura nelle chiese e all'estendersi dell'uso di erigere monumenti s., la produzione di questi venne sempre più affidata ad artigiani specialisti: si pervenne così alla realizzazione di tombe in forme stereotipate, prive in genere di ogni valore artistico. Un'eccezione è costituita dalle opere funerarie di A. Wildt, fra le quali spicca il monumento Corner (Milano, Cimitero Monumentale). Nel corso del XX sec. si affermò l'usanza della cappella funebre di famiglia, ma di tale tipologia non esistono opere di vero rilievo artistico.