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Sensismo.

Termine con il quale si designano quelle dottrine filosofiche che riconducono ogni atto e contenuto del conoscere al solo sentire, escludendo in questo modo il ricorso ad altri principi o facoltà non sensibili. Così inteso, il S. si distingue dall'Empirismo: quest'ultimo, infatti, si configura come una teoria gnoseologica che pone l'orizzonte dell'esperibile come limite intrascendibile della realtà intelligibile, laddove il S. è piuttosto una metafisica dei modi di attuazione della conoscenza. Nella storia della filosofia, posizioni sensiste furono inizialmente difese dai sofisti, i quali fecero dell'immediatezza sensibile l'unico criterio di verità. Motivi sensisti comparvero, poi, presso gli stoici e gli epicurei; per entrambi questi movimenti filosofici la sensazione è l'unica fonte della conoscenza umana, anche se, nei fatti, i primi, identificando la conoscenza con la sintesi delle rappresentazioni, finirono per abbracciare una posizione gnoseologica che trascende l'immediatezza sensibile. Filosofie sensiste furono riproposte in età rinascimentale: così, secondo B. Telesio, l'intera conoscenza si fonda sulla sensazione, in quanto è dalla sensazione che si sviluppano memoria e immagine e da queste il paragonare e l'inferire dell'intelletto; alla base del sentire vi è il contatto con la cosa, per cui tra i cinque sensi il tatto è quello fondamentale. Anche secondo T. Campanella sentire è conoscere; il S. di Campanella, peraltro, si fonda su una visione del mondo panpsichistica e non meccanicistica come in Telesio. In età moderna, posizioni sensiste furono sostenute da T. Hobbes, da P. Gassendi e, soprattutto, da E.-B. de Condillac, le cui opere tanta influenza ebbero sull'Illuminismo francese e italiano. Secondo Condillac, l'essere umano è originariamente senziente e le facoltà che normalmente vengono considerate superiori (memoria, giudizio, volontà) non sono altro che sensazioni trasformate. Nel XIX sec., però, bersagliato dal criticismo kantiano prima e dalle dottrine idealistiche poi, il S. perse vigore teoretico e, sebbene in parte ripreso da L. Feuerbach e, in parte, dal Positivismo (ad esempio, R. Ardigò), si avviò alla scomparsa dalla scena filosofica. Suo ultimo grande assertore fu, tra la fine del XIX sec. e l'inizio del XX sec., E. Mach: nella gnoseologia machiana, i fatti sono ridotti a sensazioni del soggetto, i corpi a fasci di sensazioni e, in ultima analisi, l'Io stesso a una sensazione priva di qualsiasi consistenza ontologica. Questi temi furono in certa misura ripresi e rielaborati dal Neopositivismo viennese e da R. Carnap in particolare, ma ciò non evitò che il S. subisse il tracollo teorico delle sue tesi principali: da un lato, infatti, la psicologia della Gestalt dimostrò empiricamente l'impossibilità di giungere a sensazioni non più decomponibili, mentre, dall'altro, nuovi indirizzi del pensiero contemporaneo (studi antropologici e sociologici soprattutto) misero in luce come non si possa dare una sensazione pura e assoluta, subendo tutte le sensazioni una qualche forma di condizionamento socio-culturale.