Disciplina che ha per oggetto lo
studio delle lingue semitiche. La
s. cominciò a essere coltivata
in epoca medioevale, assumendo via via importanza sempre maggiore durante il
Rinascimento, quando furono considerate come lingue semitiche anche il caldeo e
il siriaco, e soprattutto con il diffondersi della Riforma protestante che, a
causa della centralità attribuita alla Parola di Dio, diede grande
impulso allo studio delle lingue semitiche e dell'ebraico in particolare.
Nonostante l'ampio numero di saggi ad esse dedicati e la crescente attenzione,
un'analisi rigorosa e propriamente scientifica delle lingue semitiche data solo
agli inizi dell'Ottocento (V. SEMITICO). La prima
grammatica comparata delle lingue semitiche risale al 1890 ed è opera di
W. Wright (
Lectures on the comparative grammar of the Semitic languages).
Fra i semitisti italiani sono da ricordare A. Giustiniani, che curò la
pubblicazione di un
Salterio poliglotta nel 1516; S. Pagnini e T.
Ambrogio, attivi entrambi durante la prima metà del XVI sec. e autori,
rispettivamente, di una grammatica ebraica e siriaca; L. Marracci, di cui
è nota la confutazione del
Corano (1691). In tempi più
recenti si sono distinti gli arabisti M. Amari, L. Caetani, M. Guidi, U.
Rizzitano; i semitisti I. Guidi, G. Furlani, S. Moscati e gli ebraisti U.
Cassuto e A. Vaccari.