Chim. - Elemento chimico di numero atomico 34 e
peso atomico 78,96; simbolo:
Se. Nella tavola periodica degli elementi si
colloca nel VI gruppo, sottogruppo A, avendo come omologhi inferiori l'ossigeno
e lo zolfo e superiori il tellurio ed il polonio. La sua scoperta risale al
1817, anno in cui il chimico J.J. Berzelius, studiando il processo di produzione
dell'acido solforico, lo isolò dai fanghi che si formano sul fondo delle
camere di piombo. Egli stesso gli diede nome
s. (derivato dal nome greco
della Luna) per analogia col tellurio, scoperto poco prima, che aveva preso nome
dalla Terra (
Tellus in latino). Nel 1873 W. Smith scoprì,
accidentalmente, che la resistività elettrica del
s. varia
fortemente con l'intensità di illuminazione. Da tale scoperta presero
l'avvio gli studi che portarono all'impiego diffuso del
s. come elemento
base per la fabbricazione di cellule fotoelettriche. Il
s. trova oggi
applicazione in moltissimi campi e il suo consumo annuale è superiore
alle 500.000 t/anno. ║
Stato naturale: il
s. è un
elemento raro nella crosta terrestre, della quale costituisce circa
l'8·10
-5%; ha un'abbondanza circa doppia del mercurio, circa 150
volte superiore dell'oro e del platino e circa 8 volte quella dell'argento. I
suoi isotopi stabili sono il 74, il 76, il 77, il 78 e l'80; fra questi il 78 e
l'80 sono i più abbondanti. Il
s. è alquanto diffuso sia
nello zolfo come impurezza sia nella maggior parte dei minerali solforati grazie
alla somiglianza delle loro formule chimiche simili. Tra i minerali del
s. vi sono la
clausthalite, un seleniuro di piombo PbSe, alquanto
raro; la
naumannite, un seleniuro di argento e piombo
(Ag
2Pb)Se presente in quantità limitatissime nei Monti Harz e
nello Stato dell'Idaho (Stati Uniti d'America); la
berzelianite, un
seleniuro di rame Cu
2Se, presente in piccole quantità nei
Monti Harz ed in Svezia, la
tiemannite, un seleniuro di mercurio HgSe
presente in quantità assai ridotte nei Monti Harz e nello Stato dello
Utah (Stati Uniti d'America). Il
s. viene estratto in prevalenza come
sottoprodotto delle lavorazioni di altri elementi: almeno i 3/4 della produzione
mondiale derivano infatti dalla lavorazione dei minerali solforati nordamericani
per produrre rame e, in misura minore, nichel o piombo. Quantità minori
sono prodotte in Messico, Canada, Australia, Belgio, Svezia e Giappone; in
quest'ultimo Paese e in California il
s. si trova anche in piccole
quantità nello stato nativo. ║
Estrazione: negli impianti
che producono acido solforico utilizzando SO
2 proveniente dalla
combustione di piriti selenifere, il
s. volatilizza con lo zolfo e si
accumula nei fanghi sul fondo delle camere a piombo. Da questi può venire
recuperato con diversi metodi; i più diffusi consistono in una
ossidazione ad acido selenico H
2SeO
4 che successivamente
viene ridotto ad acido selenioso H
2SeO
3, dal quale si
recupera il
s. per ulteriore riduzione, oppure nel trattamento dei fanghi
con cianuri alcalini per formazione di selenocianati del tipo KSeCN dai quali si
precipita l'elemento libero con acido cloridico. Nella produzione di rame da
minerali solfurati seleniferi, il
s. passa nella metallina e giunge
quindi nel metallo da raffinare. Se l'operazione di raffinazione avviene per via
elettrolitica, lo si ritrova quasi tutto nei fanghi anodici, che ne contengono
fino al 10%. Questi vengono quindi sottoposti a una prima depurazione chimica, e
in seguito fusi con soda e silice; in un secondo tempo viene aggiunto anche un
ossidante. In queste condizioni il
s. diventa un ossido che viene
recuperato e unito a quello abbattuto dai fumi (che, essendo il
s. molto
tossico, vanno depurati); il tutto viene poi trattato con acido solforico a
caldo. Si ottiene così acido selenioso dal quale, per trattamento
riducente con anidride solforosa SO
2, si recupera l'elemento libero,
secondo la reazione:
H
2SeO
3 + 2 SO
2
+ H
2O → 2 H
2SO
4 + Se
Il
s. così ottenuto è puro al 99,5 ÷ 99,8% e per essere
utilizzato in alcune applicazioni deve subire ulteriori purificazioni per via
chimica. ║
Proprietà fisiche: allo stato puro il
s.
si può presentare in diverse forme cristalline, dato che è
soggetto al fenomeno della allotropia in misura ancor più spiccata del
suo omologo superiore, lo zolfo. Sono state descritte almeno 7 diverse forme
allotropiche; le tre principali sono il
s. rosso, il
s. grigio o
metallico e il
s. amorfo o
vetroso. Il
s. rosso
è cristillinato nel sistema monochino, in due diverse forme cristalline,
che vengono dette alfa e beta. Si ottiene in questa forma per precipitazione
dall'acido selenioso in ambiente riducente; col tempo si colora in nero. Ha peso
specifico 4,50 a 25 °C e fonde a 144 °C; è metastabile e per
riscaldamento prolungato anche a temperature più basse del punto di
fusione passa a
s. grigio, di aspetto più simile ai metalli,
mentre la forma rossa ha un aspetto tipico dei metalloidi. Il
s.
grigio, detto anche
metallico per il suo aspetto simile ai
metalli, esiste in due forme, dette
A e
B; la più stabile
è la seconda, che ha peso specifico 4,8 e fonde a 220,2 °C. In
questa forma esso è un discreto conduttore dell'elettricità, ma la
sua conducibilità è molto influenzata dall'illuminazione e aumenta
di circa 1.000 volte passando dal buio completo a uno stato di forte
illuminazione. Anche la forma cristallina del
s. grigio, l'esagonale,
è tipica di molti metalli. Essa è la più stabile e si forma
dalle altre mantenute a temperatura abbastanza elevata: dalla monoclina a circa
120 °C e da quella amorfa a circa 90 ÷ 200 °C. È questa la
forma più comune di impiego del
s. Il
s.
amorfo
può esistere in diverse forme: allo stato
vetroso,
rosso
amorfo o
colloidale. Il
s. vetroso, come dice il suo nome, ha
un aspetto simile al vetro, colore nerastro e si ottiene versando acqua sul
s. fuso. Ha peso specifico attorno al 4,3 e per riscaldamento inizia a
rammollire attorno ai 50 °C; verso i 70 °C diventa anche elastico e
fonde a 217 °C; se il processo di riscaldamento è lento, sopra i 90
°C si trasforma in
s. metallico. La forma
rosso amorfo si
ottiene per precipitazione da soluzioni in condizioni opportune; analogamente si
può ottenere la forma
colloidale, sempre di colore rosso, che
forma un sol in soluzione. Qualsiasi forma allotropica, portata a fusione,
dà origine a un liquido cattivo conduttore di elettricità, che
bolle a 688 °C, generando un gas nel quale sono presenti molecole
poliatomiche, analogamente allo zolfo. Nel
s. gassoso sotto i 550 °C
(e quindi a pressione ridotta) sono state trovate molecole Se
8,
mentre a pressione normale si hanno molecole Se
2 e Se
6
fino a 900 °C, poi sole molecole Se
2 fino a 1.800 °C; sopra
questa temperatura inizia la formazione di molecole monoatomiche che predominano
sopra i 2.000 °C. Alcune caratteristiche fisiche del
s. grigio sono
fondamentali per diverse sue applicazioni. Innanzitutto si registra un forte
aumento della conducibilità nel passare dal buio alla luce (e il ritorno
alle condizioni di partenza al ritornare del buio), fenomeno dovuto alla
conducibilità di tipo elettronico del
s., come avviene per i
metalli; il numero di elettroni liberi che concorrono al trasporto di corrente
è però relativamente piccolo al buio, trattandosi di un
metalloide. In presenza di radiazioni luminose, soprattutto alle basse lunghezze
d'onda, si manifesta l'
effetto fotoelettrico: i quanti di energia
luminosa che incidono sulla superficie del
s. liberano un certo numero di
elettroni dagli atomi e questi diventano quindi disponibili per la conduzione di
corrente. Si tratta però di un equilibrio dinamico: un numero molto alto
di elettroni per ogni minima frazione di tempo viene liberato dalla luce ma
altrettanti (in condizioni stazionarie) vengono catturati dai residui atomici e
quindi di nuovo fissati. Si spiega dunque come alla scomparsa della radiazione
luminosa la conducibilità scenda immediatamente: i residui atomici
catturano elettroni mentre non ne vengono più generati: si ha una
rarefazione di conduttori fino al livello intrinseco, cioè quello
presente nel materiale riparato da ogni influenza esterna. Questo fenomeno viene
ampiamente sfruttato nelle cosiddette
cellule fotoelettriche o
fotocellule, dispositivi che forniscono in uscita una tensione che
è pressoché proporzionale all'intensità della
luminosità incidente su di esse oppure presentano una resistenza
variabile in funzione dello stesso parametro. La facilità con cui si
generano elettroni liberi entro il
s. permette l'impiego di questo
elemento come semiconduttore per la costruzione di dispositivi a flusso
unipolare di corrente, tipicamente diodi raddrizzatori. ║
Proprietà chimiche: chimicamente il
s. presenta notevoli
analogie col tellurio e col suo omologo inferiore, lo zolfo. Come questo
presenta infatti valenza -2 nell'idruro H
2Se (simile
all'H
2S) e valenza +4 o +6 negli altri composti; altre valenze
possono anche presentarsi ma sono poco stabili. Per la sua
elettronegatività (2,4 nella scala di Pauling) la sua posizione nella
tavola periodica si colloca tipicamente fra i non-metalli o
metalloidi.
Il
s. presenta una buona resistenza agli agenti atmosferici e alla
maggior parte dei reagenti chimici. Resiste bene agli acidi non ossidanti o poco
ossidanti (come il cloridrico), a eccezione del solforico; viene attaccato con
facilità dal nitrico nel quale si scioglie con formazione di biossido (o
anidride seleniosa) SeO
2. Nelle soluzioni di alcali caustici
concentrati si scioglie abbastanza facilmente, con reazioni alquanto complesse.
All'aria brucia se riscaldato fortemente, con una fiamma blu caratteristica,
formando SO
2; con idrogeno, cloro e altri elementi, inclusi diversi
metalli, reagisce direttamente. Con lo zolfo è miscibile in tutti i
rapporti anche allo stato solido, formando dei cristalli misti. Il
s.
mostra una forte affinità con gli alogeni e con molte sostanze organiche,
che assorbe se viene a contatto con esse, per cui va conservato in recipienti
perfettamente puliti, possibilmente all'asciutto, al freddo e al buio. Per la
fusione si devono impiegare crogioli di quarzo, porcellana o vetro tipo Pirex.
║
Tossicità: il MAC (massima concentrazione ammessa in un
ambiente in cui si deve restare per otto ore giornaliere, senza che si
verifichino danni) è di 0,10 parti per milione, dato riferito alla
quantità totale di
s. contenuto. In effetti il
s. metallico
(grigio) anche allo stato di vapore sembra relativamente poco tossico mentre
alcuni suoi composti (come l'anidride seleniosa e gli alogenuri) sono
moderatamente tossici e altri (come l'H
2Se) sono molto velenosi.
Occorre quindi evitare che negli ambienti in cui è presente
s. si
creino possibilità di formazione di questo composto (gassoso già a
temperatura ambiente) indipendentemente dal MAC presente. Quasi tutti i composti
volatili del
s. hanno un odore assai sgradevole, che segnala subito la
loro presenza, anche se ciò non deve indurre a trascurare le necessarie
precauzioni perché si deve tener presente che l'apparato olfattivo si
adatta facilmente agli odori di un ambiente e perde in sensibilità
(fenomeno detto
fatica olfattoria). L'intossicazione da
s. ha la
tendenza a formare composti organici, con un comportamento molto simile a quello
dello zolfo o dell'ossigeno. È stato però dimostrato che i
composti del
s. alterano il metabolismo della maggior parte delle piante,
degli animali superiori e quindi anche dell'uomo. Tracce di
s. in
quantità superiori alle concentrazioni minime accettabili presenti in
alcuni terreni possono essere la causa della loro sterilità. Si ignora
l'esatto meccanismo di azione del
s. sull'organismo umano e quindi non si
conoscono nemmeno antidoti veramente efficaci contro le intossicazioni, se non
l'allontanamento dalla sorgente di intossicazione. ║
Principali
composti: i composti del
s. hanno un'importanza industriale
pressoché nulla, al di fuori della preparazione o della purificazione
dell'elemento. È invece interessante il fatto che tutti i composti del
s., come l'elemento puro, conferiscono una colorazione blu alla fiamma
del becco Bunsen, cosa che permette un facile riconoscimento a secco. Fra gli
ossidi il più stabile è il
biossido SeO
2 o
anidride seleniosa, che si può preparare in vari modi, inclusa la
combustione del
s. in aria. Si presenta come un solido bianco che fonde a
340 °C sotto pressione perché in condizioni normali sublima a 317
°C. È solubile in acqua sia fredda che calda, con formazione di
acido selenioso H
2SeO
3, cristallizzabile in prismi
esagonali incolori e deliquescenti. Questo acido si decompone per riscaldamento
moderato; in soluzione è più debole del solforoso. I suoi sali,
detti
seleniti, hanno formule del tipo KHSeO
3 oppure
K
2SeO
3. La SeO
2 trova qualche impiego in
chimica organica come ossidante selettivo. In condizioni opportune si può
ossidare a SeO
3 (analoga alla SO
3 ma più difficile
da preparare). È un solido bianco che si scioglie bene in acqua con
formazione di
acido selenico H
2SeO
4, per cui
è detta anche
anidride selenica. L'acido ora citato è
cristallizzabile in prismi esagonali molto solubili in acqua; dà
facilmente dei sali detti
seleniati del tipo
K
2SeO
4, ottenibili anche dai corrispondenti seleniti per
azione di ossidanti energici. In condizioni del tutto particolari si può
preparare anche il
pentossido Se
2O
5, poco stabile.
Con gli alogeni il
s. forma una vasta serie di alogenuri e ossialogenuri;
si tratta di composti di solito bassofondenti e alquanto volatili, per lo
più decomposti dal contatto con l'acqua. Esempi sono SeF
4,
SeCl
4, SeBr
4, SeI
4, SeBrCl
3,
SeClBr
3, Se
2Cl
4, Se
2Cl
2,
Se
2I
2, SeOBr
2, SeOCl
2, ecc. Con
l'azoto forma un nitruro Se
4N
4 esplosivo, con lo zolfo un
solfuro SeS poco stabile. Un importante composto è
l'idruro di
s. o
acido selenidrico H
2Se, così detto per
analogia con l'acido solfidrico H
2S col quale presenta notevoli
analogie, pur essendo meno stabile. È un gas incolore, dotato di
caratteristico odore sgradevole, molto tossico, che fonde a -66 °C e bolle
a -41,5 °C. È ben solubile in acqua e si comporta come un acido di
discreta forza. A temperatura ambiente è metastabile, anche se può
essere conservato per lunghi periodi in condizioni opportune; ad alta
temperatura invece diventa stabile in quanto è un composto endotermico.
Forma con molti metalli dei composti detti
seleniuri, analoghi ai
solfuri, e persino dei
poliseleniuri, analoghi ai polisolfuri. Esempi di
seleniuri sono i minerali di
s. già citati. Per quanto riguarda i
composti organici ricordiamo solo che il
s. allo stato bivalente
può dare composti simili ai derivati dell'ossigeno e dello zolfo
bivalente come, per esempio, il seguente
dialchilseleniuroR―Se―Se―R
dove R― è un radicale alchilico; si osservi che
anch'esso dà i ponti ―Se―Se―simili allo ―S―S―e ai perossidi. Dal
s. tetravalente si hanno
invece mono-, di- e
trialchicloruri o alogenuri, oltre ad
acidi
alchilselenici del tipo:

Dal
s. esavalente si hanno invece
acidi
alchilselenonici del tipo:

Analoghi composti arilici sono facilmente preparabili e, come i
derivati alchilici, sono dotati di ottima stabilità. ║
Usi:
tra gli usi principali del
s. ricordiamo la fabbricazione di fotocellule
e fotoresistori; la fabbricazione di diodi raddrizzatori di corrente;
l'addizione ad alcuni acciai inossidabili per migliorare la lavorabilità
dell'utensile; l'addizione a leghe di rame per motivi simili; l'addizione a
vetri per togliere loro il colore verde impartito dalle impurezze di ferro; come
agente vulcanizzante di certe gomme sintetiche in sostituzione dello zolfo; come
catalizzatore in petrolchimica; in forma di biossido come agente ossidante in
chimica organica; in forma di acido selenico per attaccare l'acciaio; in forma
di seleniuro di cadmio o anche come elemento colorante per vetri rossi; sotto
forma di sali vari, per bagni fotografici di viraggio; come ossicloruro,
è uno dei più energici solventi ionici conosciuti.