Atto con il quale la Chiesa cattolica esclude
dalla comunione dei fedeli una persona che ad essa aderiva, privandola
perciò dei benefici e dei diritti spirituali che da tale adesione le
erano attribuiti. ║ Per estens. - Esclusione ed espulsione, da parte di
qualsiasi comunità religiosa, di uno dei propri membri. ║ Per
analogia, nel linguaggio politico, espulsione, sconfessione di chi manifesti
opinioni contrarie alla linea politica del proprio partito. • Dir. can. -
La legislazione canonica definisce la
s. come la massima censura che
possa colpire il battezzato, che lo esclude dalla comunione ecclesiale,
producendo particolari effetti, di ordine temporale e spirituale, che conseguono
all'interdizione a partecipare in qualsiasi forma alla vita della Chiesa. La
s. comporta quindi il divieto di partecipare alla celebrazione
eucaristica e di ricevere o amministrare qualsiasi sacramento; essa impedisce
inoltre l'esercizio di specifiche autorità e poteri di natura ecclesiale.
La
s., che è un atto comminabile alle sole persone fisiche, sia
laiche sia ecclesiastiche, ma non a enti morali o comunque collettivi, si
configura però come atto disciplinare più che punitivo, dal
momento che anche la sua forma più eclatante (
anáthema)
può essere revocata, qualora colui che ne sia stato colpito dimostri
pentimento e receda dagli atti e dalle dichiarazioni che ne sono stati causa.
• St. delle rel. - La
s., in quanto separazione di un membro dalla
sua Chiesa, era praticata già in epoca apostolica, benché non
fosse regolata in modo uniforme e assumesse carattere sanzionatorio assai grave,
prefigurando quasi la dannazione
post mortem. I Concili di Nicea (325) e
di Calcedonia (451) ne svilupparono una definizione più articolata, che
prevedeva
s. minori - quelle cioè che precludevano l'accesso a
funzioni o pratiche ecclesiali ma consentivano, ad esempio, una forma limitata
di partecipazione liturgica - e
s. maggiori - quelle che sancivano
un'interdizione integrale e a vita dai sacramenti e dalla comunità
ecclesiale, vietando ogni tipo di rapporto tra lo scomunicato e gli altri
fedeli. Coloro che fossero colpiti dal primo tipo di
s. erano così
detti
tolerati,
mentre
quelli soggetti al secondo erano
detti
vitandi. Per questa ragione la
s. fu storicamente assai
temuta dagli imperatori e utilizzata dai pontefici come importante strumento di
pressione politica, poiché il popolo cristiano era esentato dall'obbligo
di obbedienza nei confronti di un imperatore o di un re scomunicato. Tuttavia,
in età medioevale, a causa della stretta interconnessione esistente tra
vita civile ed ecclesiale, il provvedimento di
s. aveva pesanti ricadute
nell'esistenza anche di semplici fedeli, dal momento che l'esclusione dalla
comunità comportava di fatto un'esclusione dall'intero corpo sociale. La
bolla
Apostolicae Sedis (1869) mantenne la distinzione tra scomunicati
tolerati e
vitandi, ma la declinò più minuziosamente
in 37 classi, relative agli effetti particolari delle
s. stesse e
all'autorità (del pontefice o dei vescovi) che ha potere sia comminatorio
sia assolutorio. Un recente e clamoroso caso di
s. si è avuto
durante il pontificato di Pio XII, che comminò tale sanzione a carico di
tutti i cattolici che aderissero agli assunti dottrinali del Marxismo e del
Comunismo in genere, che fossero iscritti a partiti di tale ispirazione o che
solo votassero per essi. Negli anni Novanta, infine, la Conferenza episcopale
italiana ha annunciato la propria
s. a carico di tutti coloro che
aderiscono a vario titolo alla mafia.