(dal greco
sképtesthai:
osservare, ricercare, su calco della forma francese
scepticisme). In
senso generico, l'atteggiamento dello scettico, la concezione per cui si nega
che sia possibile raggiungere la verità o una conoscenza assoluta del
reale. ║ Con accezione particolare, ogni dottrina filosofica secondo la
quale non esiste modo di superare il dubbio sulla verità di qualsiasi
conoscenza; più specificamente, l'insegnamento delle scuole greche ed
ellenistiche che seguirono la tradizione avviata da Pirrone di Elide. ║
Per estens. - Atteggiamento di chi, per principio o per indole naturale,
dubitando di tutto e di tutti non crede in nulla e non si fida di nessuno.
Sfiducia, incredulità. • Filos. - In origine lo
s. fu un
atteggiamento tutt'altro che negativo o rinunciatario, in quanto indicava la
necessità di una ricerca empirica che fondasse gli enunciati filosofici.
Proposizioni in realtà definibili come scettiche possono essere
già riconosciute tra i pensatori presocratici: gli eleatici, assumendo
come principio originario un'unità statica, dubitavano della
molteplicità; Senofane riteneva difficile per l'uomo riconoscere il vero
e il falso, mentre Empedocle, insieme ai successivi retori greci,
inaugurò una sorta di nichilismo gnoseologico. Tanto Socrate quanto la
coeva Sofistica pervennero ad affermazioni di tipo scettico, sostenendo: il
primo, che la conoscenza consiste nel riconoscere la propria non-conoscenza; i
sofisti, con Protagora, che l'uomo è misura di ogni pensiero e che quindi
tutto è relativo; con Gorgia, che una realtà non esiste, se
esistesse non sarebbe conoscibile e se fosse conoscibile non sarebbe
comunicabile. ║
Prima fase dello S. antico (
secc. IV-III
a.C.): storicamente, la nascita dello
S. come corrente filosofica
coincide con il Pirronismo (V.), la prima delle
tre fasi dello
S. antico, che nel complesso copre il periodo dal IV sec.
a.C. al III sec. d.C. Da un punto di vista gnoseologico, il Pirronismo si
connotò come
s. assoluto, affermando che due proposizioni
contraddittorie possono essere entrambe sostenute come vere o attaccate come
false con ragionamenti favorevoli o contrari di pari forza. L'isostenia delle
ragioni indica come sia impossibile conoscere la reale costituzione e il valore
delle cose in sé: ciò che noi percepiamo e constatiamo è
solo la parvenza delle cose, il fenomeno e non l'essenza. I giudizi degli
uomini, dunque, che non possono attingere la verità, sono relativi e
soggettivi, esito di convenzioni e abitudini: ne consegue che l'unico
atteggiamento coerente consiste nell'astensione o sospensione del giudizio
(
epoché) e nella rinuncia ad esprimersi (
aphasía).
Comportandosi così l'uomo, secondo il Pirronismo, avrebbe potuto
raggiungere la felicità (problema centrale per tutti i sistemi
postaristotelici), cioè l'
atarassia, l'imperturbabilità che
discende dal non coinvolgimento. Infatti chi crede che esistano mali o beni si
impegnerà per evitare i primi e ottenere i secondi, procurando a
sé sofferenza e fatica; chi invece riconosce la non oggettività di
queste categorie rimarrà pacato e distaccato osservatore dei fenomeni,
accettandoli senza giudicarli. La dottrina di Pirrone non solo esercitò
la sua influenza su esponenti contemporanei di correnti socratiche, ma ebbe
anche diretti continuatori in pensatori come Filone di Atene, Nausifane di Ceo e
Timone di Fliunte, che la fissò in forma scritta e che fu personalmente
in contatto con i filosofi della Media Accademia (V. ACCADEMIA PLATONICA). ║
Seconda fase dello S.
antico (
secc. III-II a.C.): fra la prima metà del III sec.
a.C. e i primi decenni del II, l'Accademia platonica praticò un moderato
indirizzo scettico, sotto la guida di Arcesilao e poi di Carneade. La scuola di
tradizione platonica, infatti, condusse una sorta di reazione alla gnoseologia
stoica, criticandone il concetto base di fantasia catalettica (V. STOICISMO).
Sviluppando elementi aporetici già presenti in Platone (secondo il quale
il mondo sensibile è un insieme di essere e di non essere e come tale non
è conoscibile, mentre la sola conoscenza possibile riguarda il mondo
delle Idee), gli accademici scivolarono verso posizioni scettiche, dal momento
che proprio il concetto di mondo intelligibile non risultava chiaramente
definibile. Arcesilao sviluppò una dottrina radicale
dell'
epoché, consequenziale all'impossibilità del soggetto
conoscente di distinguere tra fantasie o rappresentazioni vere e false: tanto i
sensi quanto la ragione sono infatti ingannevoli. Carneade, invece, ritenendo
che nella pratica un'assoluta sospensione del giudizio, soprattutto in campo
etico, fosse difficilmente sostenibile, mitigò lo
S. del suo
predecessore, in senso probabilistico: nessuna proposizione può essere
indicata con certezza come vera o come falsa, tuttavia ci sarà sempre una
rappresentazione maggiormente persuasiva o avente carattere di maggiore
probabilità o garante di una maggiore coerenza interna in un sistema di
proposizioni. Il criterio di probabilità o verosimiglianza o armonia
è dunque quello che il saggio, avendo abbandonato la pretesa di conoscere
il reale per quello che esso è, deve adottare nella vita pratica.
L'accademismo scettico continuò per tutto il I sec. a.C. ║
Terza
fase dello S.
antico (
I sec. a.C. - II sec. d.C.): l'ultima
evoluzione della scuola scettica ebbe come suoi principali interpreti Enesidemo
di Cnosso, Agrippa e Sesto Empirico. Carattere peculiare della nuova fase
speculativa fu la preponderanza dell'aspetto logico e metodologico rispetto alle
necessità dell'applicazione pratica del comportamento scettico. Enesidemo
rifiutò il dogmatismo stoico in materia di conoscenza (elaborando anche
alcuni metodi di confutazione delle spiegazioni causali adottate dagli stoici) e
classificò in dieci
tropi (argomenti tipici) le ragioni del
relativismo gnoseologico scettico. Essi sono: 1) la differenza tra gli animali e
quindi tra le loro rappresentazioni; 2) la differenza tra gli uomini; 3) la
validità particolare delle sensazioni, in riferimento al solo soggetto
senziente; 4) la variabilità delle sensazioni al variare delle
circostanze in cui si trova il soggetto; 5) la variabilità dei rapporti
tra posizioni, distanze e luoghi, che contribuisce all'instabilità dei
fenomeni; 6) la differenza tra gli oggetti quanto a struttura; 7) la differenza
delle mescolanze (la diversa quantità di una sostanza determina mutamenti
nella sostanza stessa); 8) la differenza nelle relazioni tra gli oggetti; 9) la
differenza nei rapporti di frequenza e rarità tra oggetto e soggetto
senziente; 10) la differenza di costumi e credenze tra gli uomini. Agrippa
condensò in soli cinque
tropi quelli del suo predecessore: 1) il
disaccordo che esiste tra gli uomini quanto a costumi, credenze e scelte di
vita; 2) l'impossibilità di attingere la prova assoluta di una conoscenza
o di un giudizio, dal momento che ogni prova ne richiede un'altra che la
avvalori, e così via in una catena di estensione infinita; 3)
l'impossibilità di dimostrare le ipotesi universali (esistenza della
divinità, di una provvidenza, di una razionalità universale) che,
secondo il dogmatismo conoscitivo, interromperebbero il processo probatorio
infinito di cui al punto precedente; 4) la relatività delle condizioni in
cui la percezione si realizza e degli oggetti connessi, per cui l'oggetto
percepito varia al variare del soggetto percepiente 5) il diallellismo - o
circolo vizioso - per il quale si dà per dimostrato ciò che,
invece, si deve dimostrare. Sesto Empirico fu il grande storico dello
S.,
e ai suoi scritti e alle sue compilazioni si deve gran parte delle nostre
conoscenze in merito. Sistematico confutatore di ogni dogmatismo gnoseologico,
grande critico del sillogismo aristotelico, continuatore della grande tradizione
scettica, egli segnò tuttavia la fine di questa scuola filosofica,
essendo il suo richiamo alla scepsi e all'Empirismo - soprattutto in campo
medico e scientifico - in netta controtendenza rispetto al nichilismo
gnoseologico di ascendenza pirroniana. ║
Lo S. nel Medioevo e nel
pensiero moderno: esaurita l'esperienza antica, non è più
riconoscibile nella storia della filosofia una scuola scettica, in quanto
sistema coerente e organizzato, ma solo il riproporsi di alcune tematiche
caratteristiche, anche se, talvolta, con finalità affatto diverse da
quelle originarie: piuttosto che a sostenere una rigida negazione di qualsiasi
verità, le argomentazioni scettiche furono volte ad affermare la
soggettività della coscienza e la positività di un Empirismo sia
cognitivo sia scientifico. Attraverso la tradizione dossografica latina,
costituita dalle fonti ciceroniane, da Diogene Laerzio, da Seneca, ecc.,
elementi del pensiero furono tramandati fino al Medioevo e utilizzati come
premesse giustificative del Fideismo, per una rinuncia alla ricerca razionale a
favore della fede. Durante il Rinascimento, massimo interprete del pensiero
scettico fu M. de Montaigne, che tuttavia, pur sostenendo il carattere incerto
della conoscenza del mondo esterno, rivendicò il carattere stabile e
positivo dell'autocoscienza. Durante il Settecento, D. Hume operò il
passaggio definitivo da proposizioni scettiche ad un compiuto soggettivismo,
tale perché acconsentiva a criteri soggettivi di verità, in quanto
adeguati alle necessità dell'uomo. In questo ambito si evidenzia la
differenza tra il radicalismo scettico antico (che negava attributo di
verità anche alla coscienza individuale) e quello moderno (che utilizza
come criterio di conoscenza la sensazione).