Istituto attestato in numerose religioni,
antiche e moderne, politeiste e monoteiste, per il quale le funzioni sacre
connesse al servizio divino sono delegate ad operatori esclusivi e
specializzati, che le svolgono in qualità di intermediari tra la
comunità umana che essi rappresentano e la divinità cui il
servizio stesso è indirizzato. ║ L'ufficio, la dignità di
sacerdote e l'attività in cui consiste l'esercizio di tale ministero.
║ Nella confessione cattolica, ufficio sacro cui si accede mediante il
sacramento dell'Ordine (V.), che conferisce la
potestà spirituale di amministrare i sacramenti (in primo luogo quello
dell'Eucarestia) e di predicare la parola di Dio. ║ Per estens. -
Attività, professione di carattere laico il cui esercizio, per l'alto
valore umano e sociale cui risponde, richiede una dedizione tanto particolare da
poter essere paragonata ad una missione religiosa. • St. delle rel. -
Storicamente i primi depositari dell'azione sacerdotale all'interno di
comunità umane omogenee (stirpe, tribù, ecc.), furono i capi, in
quanto rappresentanti e tutori del benessere delle comunità stesse: essi
dedicavano alla divinità quelle azioni sacre che dovevano assicurare
sicurezza e prosperità alla collettività. Nelle religioni
primitive, dunque, la dignità del
s. era intimamente connessa a
quella del comando (re-sacerdote) e talvolta si associavano anche doti di
guaritore e di veggente (re-stregone). I dati in nostro possesso relativi alle
prime civiltà proto-storiche e storiche, attestano un rapporto inverso:
nelle città-tempio delle civiltà urbane mesopotamiche, infatti, il
capo era tale in quanto “servo” del dio nel suo tempio e solo
perciò detentore dell'autorità civile e militare sulla
comunità legata al tempio medesimo (sacerdote-re). La distinzione tra la
funzione del re e quella del sacerdote subentrò successivamente, quando
la progressiva evoluzione culturale condusse ad una complessità di
compiti tale da non poter essere gestita da una sola figura. Le funzioni sacrali
furono perciò delegate, in tutto o in parte, ad altre persone e da tale
scissione di competenze originarono sia l'istituto del
s., sia la
monarchia laica, non tanto perché estranea alla dimensione del sacro e
del divino quanto perché pienamente distinta e autonoma dalla gerarchia
sacerdotale. Nell'Antico Egitto questo processo è pienamente
riconoscibile: tutti gli atti rituali e cultuali erano teoricamente compiuti dal
Faraone, ma nella pratica essi erano delegati ai sacerdoti che dichiaravano
esplicitamente di agire per conto del Faraone. Nell'antica Roma, con la caduta
della monarchia, i compiti civili del re passarono ai magistrati (dotati di
imperium) mentre le attività sacrali furono affidate e ripartite
nell'ambito dei collegi sacerdotali (in particolare il
rex sacrorum
ereditò le competenze specifiche del re), che agivano, esattamente
come i magistrati civili,
pro populo romano: in favore del popolo romano.
Le esigenze connesse in primo luogo alla varietà e frequenza cultuale
delle religioni politeiste, determinarono un altro fondamentale carattere
dell'istituto sacerdotale e cioè la specializzazione: si costituirono
s. particolari, dedicati ad un singolo aspetto del servizio divino o ad
una singola divinità. Così se, nell'antica Grecia, il sacerdote
affiancava, nei riti e nei sacrifici, il singolo cittadino o il capofamiglia in
virtù della sua competenza specifica, in altre culture si costituì
un ceto sacerdotale. Al
s. si poteva accedere per diritto di censo e per
cooptazione entro un sistema formativo (ad esempio in Egitto funzionavano delle
scuole annesse ai templi che istruivano i futuri scribi e sacerdoti); oppure la
funzione sacerdotale poteva essere acquisita per il diritto di casta di accedere
ad un rigoroso tirocinio (come nell'India vedica e poi brahmanica, in cui la
nascita nella casta dei
brahmana stabiliva il diritto di conoscere i
complessi e irrinunciabili rituali senza i quali ogni sacrificio era privo di
valore ed efficacia); o, infine, potevano esservi famiglie in cui la carica
sacerdotale era ereditaria ed esclusiva (come nel caso della tribù dei
Leviti nell'antico Israele). Secondo l'antica tradizione ebraica, la vocazione
sacerdotale apparteneva a tutto il popolo e all'epoca dei patriarchi non
è attestata una delega esclusiva per l'adempimento del servizio divino
(Abramo stesso provvide alla preparazione del celeberrimo sacrificio di Isacco);
la prerogativa levitica ebbe le sue origini ai tempi di Mosè e di Aronne
(membri appunto della tribù di Levi) e si affermò stabilmente in
età premonarchica. Con la conquista di Gerusalemme da parte di David, il
Sommo sacerdote ebraico costituì una sorta di diarchia con il
sovrano (V. anche SACERDOTE). I sacerdoti erano chiamati a
rispettare particolari regole matrimoniali e di purità rituali per poter
svolgere il proprio servizio al Tempio che, dalla sua costruzione alla sua
distruzione, rappresentò il fulcro delle azioni sacerdotali in Israele.
Nel periodo del primo Tempio (anteriormente all distruzione del 586 a.C.) i
sacerdoti furono gli unici depositari della tradizione religiosa,
successivamente furono affiancati dalle figure dei rabbini
(V. RABBINO e RABBINISMO). Nella religione cristiana, le
confessioni cattolica e ortodossa ritengono che il
s. sia stato
direttamente istituito da Gesù, quando Egli esortò i suoi
discepoli a rimettere i peccati in Suo nome (
Giovanni 20, 22-23) e a
ripetere come Suo memoriale il rito della Cena eucaristica (
Luca 22, 19).
Durante il primo evolversi del Cristianesimo, le comunità che non
potevano contare sulla presenza di uno degli apostoli o di loro diretti inviati,
individuavano tra i propri membri coloro che avrebbero dovuto svolgere le
funzioni sacerdotali: si trattava in genere di membri più anziani (greco
presbýteros, donde il nostro presbitero, (V.) cui si affidava la guida della comunità
(greco
epískopos, donde il nostro vescovo,
(V.). Queste due figure, originariamente non
differenziate, costituirono poi i due gradi maggiori dell'Ordine, preceduti dal
diaconato (V. DIACONIA), secondo una pratica
ecclesiale invalsa e regolata dai tempi di sant'Ignazio di Antiochia. Per quanto
riguarda invece le Chiese riformate, quella del
s. è una
dimensione
universale e condivisa da tutti i fedeli, in quanto universale
sarebbe l'assistenza dello Spirito ai credenti. ║
S. del Cristo:
concetto qualificante della teologia cristiana e cattolica, che ha la propria
fonte in diversi passi del Nuovo Testamento. Il tema è tuttavia svolto e
indagato con grande profondità nella Lettera agli Ebrei, in cui Paolo
sviluppò il motivo, già presente nella tradizione giudaica,
dell'identità sacerdotale del Messia. Cristo, in virtù della sua
natura pienamente umana e insieme pienamente divina, rappresenta il
mediatore unico e perfetto fra Dio e gli uomini: offrendo se stesso come
mezzo di redenzione, Cristo portò a compimento il “sacrificio
perfetto”, essendo contemporaneamente sacerdote e offerta sacrificale che
ristabilì il legame tra Dio e l'uomo. Il
s. di Cristo è
modello del
s. nella Chiesa. ║
S. dei fedeli: partecipazione
dei fedeli al
s. di Cristo, che si realizza mediante il sacramento del
Battesimo. Secondo la teologia cattolica, tale
s. è distinto da
quello g
erarchico o
ministeriale (affidato a pochi cui è
amministrato il sacramento speciale dell'Ordine presbiteriale nei suoi tre
gradi: diaconato, presbiteriato ed episcopato) ed è detto
comune,
in quanto appartiene a tutto il popolo di Dio, esso si attua nella vita
quotidiana con la testimonianza di fede, nella partecipazione cosciente alla
Cena eucaristica e alla vita comunitaria. Secondo la teologia protestante,
invece, il
s. universale non conosce distinzioni, l'amministrazione dei
sacramenti (Battesimo e Cena) non presuppone un'ordinazione specifica, ma
è semplicemente affidata a persone che si ritengono adatte a questo
compito in forza della loro semplice appartenenza al popolo dei fedeli.