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S'vetāmbara.

Voce sanscrita: vestito di bianco. Denominazione di una delle due principali scuole del Giainismo, che si costituì in opposizione alle pratiche ascetiche estreme della setta dei Digambara (V.). A differenza di questi ultimi, infatti, gli adepti S'. attribuirono valore normativo solo a quegli atti del fondatore Mahāvīra che egli stesso avesse indicato esplicitamente come norma cogente: perciò la nudità rituale praticata da quello, ma non imposta come regola, non venne considerata vincolante (mentre lo fu per i Digambara, il cui nome significa, appunto: vestiti d'aria, cioè nudi). La scissione tra le due scuole interpretative si consumò formalmente nel I sec., ma era latente nel Giainismo già dalle sue origini. Tra le due sette sussiste comunque una sostanziale concordanza dottrinale, che si evince in particolare dal canone degli S'., il Siddhānta, mentre le divergenze sono ingenti sul piano della disciplina monastica. Infatti dei cinque voti che possono essere espressi dal fedele jaina (assoluta non violenza nei confronti di ogni creatura vivente; assoluta sincerità; rispetto della proprietà altrui; castità; non attaccamento ai beni materiali), solo gli ultimi due sono facoltativi e riservati ai monaci, mentre i semplici adepti possono sposarsi, procreare e possedere dei beni materiali. Mentre però i monaci digambara sono vincolati alla nudità, perché anche il semplice usufrutto di un abito sarebbe di impedimento sulla via della liberazione, a quelli s'. è concesso di indossare una veste monacale, appunto, bianca. Il canone delle opere religiose venne fissato dagli S'. entro la metà del I millennio d.C. e comprende 45 scritti. Fu composto in un dialetto pracrito medio-indiano e venne inteso come una sorta di enciclopedia universale del sapere religioso.