Corrente dell'Induismo che pone al centro della vita
religiosa S'iva, considerato come divinità suprema: insieme a quella
visnuita, questa corrente ha dato forma alla più importante evoluzione
del Brahmanesimo e le sette che la compongono contano a tutt'oggi un numero di
seguaci tra i più alti. Scopo dello
S'. religioso è quello
di risvegliare nel devoto, attraverso l'ascesi, una forma superiore di
conoscenza che gli consenta di comprendere e controllare le naturali forze che
determinano il corso dell'esistenza e che, in mancanza di tale conoscenza, sono
responsabili della sofferenza connessa inevitabilmente alla vita terrena. Un
culto personale dedicato a
S'. come dio supremo cominciò a
diffondersi nel Nord dell'India in epoca Kushana (secc. I-II) per meglio
affermarsi con l'avvento della dinastia Gupta (secc. III-V); l'espansione verso
il Sud del Deccan si ebbe invece in età Pallava (secc. V-VII). Durante
questo lungo periodo si costituirono i testi che lo
S'. riconosce come
fonte della propria dottrina: gli
Āgama. Il loro nome significa
ciò che è stato tramandato, a indicare che il loro contenuto si
pone come interno alla tradizione religiosa brahmanica ma come esterno al
corpus dei
Veda, in un certo senso per sostituirli. L'elemento
più interessante degli
Āgama, infatti, sta nella pretesa di
innovazione di questi testi, che si propongono dichiaratamente come
nuova
rivelazione, più adatta al mutamento dei tempi rispetto ai già
allora antichissimi
Veda. Il
corpus s'ivaita conta 28
Āgama tradizionali (ripartiti in due gruppi riferiti l'uno
all'aspetto benefico del dio, e detti perciò
s'aiva, e l'altro al
suo aspetto terrifico, e detti perciò
raudra) e un vasto numero di
commentari ad essi, gli
Upāgama: secondo alcuni studiosi sono 108,
secondo altri 198. Di questi ultimi, alcuni sono stati composti in sanscrito (i
più antichi, redatti nel Nord del Paese), mentre nell'India meridionale
essi furono scritti in lingua tamil o in altre lingue dravidiche del Sud. Gli
Āgama (e i loro commentari) sono trattati enciclopedici che
espongono dottrine relative al rito e al culto delle immagini, descrizioni di
pratiche religiose, mediche o magiche, norme di condotta etica e sociale, ma
anche, ad esempio, regole per una corretta costruzione dei templi. L'interesse
principale risiede però nei sistemi mistico-filosofici in essi elaborati,
a buon diritto collocati tra le più profonde e complesse speculazioni del
pensiero realizzate dall'uomo nell'ambito delle civiltà orientali. Al
loro interno, inoltre, trova spazio la traduzione in termini filosofici delle
funzioni che, in ambito religioso, avevano assunto le diverse divinità e,
in particolare, le diverse ipostasi di S'iva. Una vera e propria distinzione di
orientamento all'interno delle sette s'ivaite si manifestò a partire dal
IX sec.: si affermò da un lato la scuola settentrionale del Kashmir,
dall'altro quella meridionale delle regioni tamiliche. La prima venne definita,
più propriamente,
pratyabhijñā (riconoscimento):
secondo i suoi dettami, che privilegiano la potenza speculativa, il momento
essenziale per la liberazione (
moksha) delle anime individuali dal ciclo
delle esistenze (
samsara) è appunto il riconoscimento
dell'identità tra gli esseri individuali e l'Essere assoluto
(
brahman), che lo
S'. identifica in S'iva. Per mezzo di questo
atto conoscitivo, con il quale si reintegra nella immota e onnicomprensiva
essenza divina, il fedele, in pratica, ripercorre all'inverso il processo di
manifestazione attraverso cui la Realtà universale appare rappresentata
nelle essenze particolari. All'interno di questo schema generale e generico,
tuttavia, le numerose scuole che convergono nello
S'. settentrionale
hanno elaborato declinazioni diverse in riferimento alle modalità di
creazione e di liberazione: le accomuna tutte però la matrice idealista,
secondo la quale
essere e
conoscere si identificano (“Non
esiste mondo, né alcuna altra cosa diversa dalla conoscenza”). In
ogni attimo della conoscenza umana, cioè, è presente S'iva, in
quanto figura della coincidenza di essere e conoscere. Tra i più insigni
rappresentanti della corrente settentrionale, citiamo il filosofo e mistico
Abhinavagupta, che ha composto trattati enciclopedici, mistici e filosofici. La
scuola s'ivaita meridionale è propriamente detta
S'aivasuddhānta (dottrina di S'iva) ed ebbe larga diffusione tra le
popolazioni non ariane del Sud, soprattutto quelle di lingua tamil. Suo
carattere precipuo è la forte componente devozionale (
bhakti), in
base alla quale la liberazione dell'anima individuale è innanzitutto
conseguente alla partecipazione d'amore, al sentimento del fedele nei confronti
del dio: la fede, e non la conoscenza in sé e per sé, è
perciò la strada maestra indicata da questa scuola, cui non mancano
tendenze anticastali e, di conseguenza, antibrahmaniche. L'atteggiamento
fideistico imprime alla speculazione delle sette meridionali l'orientamento del
monismo differenziato: diversamente dalla scuola del Kashmir, infatti, quella
tamilica ammette l'esistenza di tre enti distinti, che sono S'iva, le anime
individuali e il legame non spirituale che costringe queste ultime al ciclo
delle esistenze. La liberazione, per il sistema
S'aivasuddhānta, non
consiste dunque nella totale identificazione di tutto l'Essere e di ogni essere
con S'iva, nella coincidenza ontologica del singolo con il dio, ma
nell'aspirazione a vivere uniti a lui, nell'esserne assorbiti in quanto
altri-da-lui.