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Roma.

Capitale dell'Italia, capoluogo del Lazio e della provincia omonima. Sorge a 20 m s/m., a circa 20 km dalle coste tirreniche. 2.546.804 ab. CAP 00100. ║ Provincia di R. (5.352 kmq; 3.700.424 ab.): presenta un'articolata eterogeneità di paesaggi fisici e antropici, abbracciando i Monti della Tolfa, i Monti Sabatini e i Colli Albani, tutti vulcanici, il pianeggiante agro romano, la valle del Tevere, il bacino dell'Aniene (a eccezione del tronco sorgentifero), i Colli laziali e la parte superiore del bacino del Sacco; si estende inoltre per il tratto di costa dalla foce del Mignone fino a Torre Astura. Per quanto riguarda le attività economiche, nelle zone più fertili (i Colli laziali e i Sabatini) predominano le colture della vite e dell'olivo; la campagna romana, un tempo paludosa, è ormai coltivabile grazie a secolari opere di bonifica e fornisce vino, frutta e ortaggi; i Castelli romani, Bracciano e Zagarolo sono i centri vinicoli principali; Tivoli e dintorni hanno importanza per le olive, l'uva da tavola e gli ortaggi, mentre Civitavecchia e Anzio per la pesca. L'allevamento del bestiame, per lo più ovino, è praticato soprattutto nella campagna romana, sostenendo una produzione casearia di qualità (il pecorino della zona è apprezzato in tutta la penisola); in progresso è l'allevamento bovino, specie per la produzione di latte. I maggiori centri industriali, dopo R., sono Colleferro, Civitavecchia e Tivoli. L'energia idroelettrica è attinta in massima parte dagli impianti sull'Aniene. I centri urbani principali sono: Velletri, Civitavecchia, Tivoli, Marino, Guidonia, Montecelio, Nettuno, Albano Laziale, Frascati, Genzano di Roma, Monterotondo, Colleferro, Anzio, Pomezia, Palestrina, Cerveteri. ║ Fig. - R. caput mundi (R. capo del mondo): locuzione con la quale i cittadini romani proclamavano la supremazia della loro città sul mondo. Fu utilizzata in tal senso, tra gli altri, da Lucano e da Tito Livio. ║ Fig. - O R. o morte: motto prescelto da Garibaldi in occasione dell'impresa d'Aspromonte del 1861 e rinnovato nel 1867 per quella di Mentana. ║ Fig. - Capire R. per toma: capire una cosa per l'altra. ║ Fig. - Tutte le strade portano a R.: un obiettivo può essere raggiunto in diversi modi, ugualmente validi. • Etim. - La derivazione etimologica del nome di R. fu ricercata già dagli antichi, benché le soluzioni da essi offerte non reggano oggi all'esame filologico: è inverosimile, infatti, che Rōma derivi da Rōmûlus (sembra vero piuttosto il contrario). Le ipotesi formulate in età moderna sono numerose: una si richiama all'antico nome del Tevere Rūmō, per cui rōmānus avrebbe come significato originario: fluviale. A sostegno di questa tesi starebbe la corrispondenza, nella cinta muraria serviana, della Porta Flumentana con la primitiva Porta Romula. Un'altra teoria si rifà all'originario nome del Palatino: Rūma (mammella); un'altra al nome gentilizio etrusco Ruma, cui si richiamerebbe anche l'antico nome del Tevere. Quest'ultima ipotesi, elaborata all'inizio del XX sec. da W. Schulze è a tutt'oggi la più accreditata.

GEOGRAFIA

Morfologia: la città si trova al centro di un'area pianeggiante, dalla caratteristica forma triangolare, attraversata da Nord-Est a Sud-Ovest dal fiume Tevere che vi riceve da sinistra le acque dell'Aniene. Dal centro della pianura si innalzano le pendici dei coni vulcanici dei Monti Sabatini (a Nord) e dei Colli Albani (a Sud-Est), sovrapposti e alternati a depositi alluvionali. Le colline a sinistra del Tevere, i celebri Sette Colli, geologicamente sono il prodotto eruttivo del distretto dei Colli Albani, mentre quelle sulla destra del fiume sono in prevalenza costituite da depositi ghiaiosi di origine marina, fluviale e lacustre e solo superficialmente. La vicinanza di rilievi vulcanici e, così pure, degli Appennini sismicamente attivi spiegano la frequenza di scosse telluriche che, soprattutto in passato, hanno interessato la città: pur se non particolarmente intensi (magnitudo massima pari a 4) questi sismi sono nettamente percepiti a causa della modesta profondità dell'epicentro (inferiore a 7 km). La morfologia originaria del luogo, dunque, aveva carattere di deposito vulcanico, seppur poco elevato e dalla sommità spianata, in cui il Tevere e i corsi d'acqua minori avevano inciso il proprio letto. È questa la ragione dei vari e talvolta bruschi dislivelli che caratterizzavano il sito urbano, come pure la campagna circostante: valga per tutti l'esempio del Gianicolo (88 m s/m.) che sovrasta, senza soluzione di continuità, il rione di Trastevere (18 m s/m.). A tale conformazione del territorio conseguiva anche il problema di frequenti ristagni d'acqua, cui si cercò di porre rimedio già nell'antichità con la tecnica dei riporti di terreno, con spessori pari, per l'area della città antica, a un minimo di 5 m, fino anche ai 15 m dell'odierna Passeggiata archeologica. Anche in età moderna si è ricorsi a questo sistema, elevando l'entità dei riporti, benché con un fine diverso: regolarizzare, cioè, la pendenza dei corsi stradali e del fondovalle (come via del Tritone, via Nazionale, viale Manzoni, via dell'Amba Aradam, via Pannonia, via Satrico-via Lanciani, via Gregorio VII, via Cipro) o di aree a edificazione pianificata (stazione Termini, via Nizza-piazza Alessandria, EUR). Nonostante l'indubbia importanza degli interventi antropici per il successivo sviluppo della città, furono proprio le caratteristiche naturali del luogo a favorire la nascita dei primi insediamenti umani antecedenti la R. storica: il sito romano, infatti, si differenziava dalle altre località della campagna romana (simili per le alture a sommità spianata, abitabili e facilmente difendibili) per la vicinanza del Tevere. Il fiume, navigabile fin dall'Umbria, costituiva la migliore e la più agevole via di comunicazione tra le regioni appenniniche e il mare. Punto nodale del transito fluviale era l'Isola Tiberina: a valle dell'isola, infatti, un piccolo dislivello obbligava al trasbordo del carico su mezzi terrestri o su altri natanti, mentre a monte era sito l'unico guado praticabile. Essa era dunque snodo ineludibile tanto delle direttrici commerciali in direzione Ovest-Est quanto in direzione Nord-Sud. L'occupazione delle alture che dominavano da sinistra l'Isola Tiberina e il tratto più stretto della valle comportò, dunque, anche un potere di controllo sui traffici che favorì le popolazioni lì insediate e lo sviluppo di una florida comunità urbana coordinata economicamente e politicamente. Il più antico nucleo cittadino sorse e si sviluppò dapprima sul Palatino, che si ergeva sulle modeste paludi del fondovalle, poi sul Campidoglio e sulle vette degli altri colli (Quirinale, Viminale, Esquilino, Celio, Aventino). ║ Idrografia: in epoca antica erano già state realizzate opere di drenaggio, canalizzazione e bonifica, riprese e perfezionate nei secc. XIX-XX. Con esse si cercò di ridurre, se non di eliminare del tutto, i danni provocati alla città dall'assetto idrologico del suo sito e dalle esondazioni del Tevere, cui contribuivano il restringimento delle sponde causato dagli insediamenti antropici e il colmamento del letto raramente dragato. Solo con l'inizio del XX sec. la costruzione di argini in muratura, almeno nell'area centrale della città, ha permesso di contenere le rovinose piene del fiume che hanno però più volte colpito le campagne e le zone periferiche di espansione edilizia. L'edificazione della centrale idroelettrica di Castel Giubileo (1951), invece, ha consentito di regolarizzare la portata del corso d'acqua: il bacino della centrale, infatti, funziona anche come cassa di colmata delle acque del Tevere. Quest'ultimo, soprattutto nel ventennio 1960-80, è andato incontro a un processo di progressiva degradazione, sia nell'equilibrio del corpo idrico sia nella qualità stessa delle acque, che ancora nei primi decenni del XX sec. erano utilizzabili per scopi alimentari o balneari. Ciò nondimeno, l'approvvigionamento urbano di acqua potabile non costituisce un problema: varie condotte, già in funzione nell'antichità, sono state ripristinate, potenziate e affiancate da numerosi altri acquedotti, il più importante dei quali è quello Peschiera-Capore. ║ Clima: il clima di R. deve la sua mitezza alla latitudine, all'altitudine propria e del territorio immediatamente circostante (pianeggiante e contornato da moderati rilievi) e alla vicinanza del mare: le temperature, molto miti, registrano infatti medie annue di 15,9 °C e le precipitazioni ammontano a circa 800 mm annui. Negli ultimi decenni il clima della città ha subito un innalzamento della temperatura media, conseguente allo sviluppo urbano.

ECONOMIA

Tra le attività economiche della capitale, l'agricoltura ha incidenza minima, nonostante la presenza di terreni agricoli entro i confini del comune. L'industria, invece, occupa circa il 16% della popolazione attiva, facendo della città il terzo polo industriale italiano dopo Milano e Torino. Il settore è costituito in prevalenza da un tessuto di piccole imprese, addette alla produzione artigianale o alla manutenzione più che alla manifattura. Come tali, esse sono legate al regime produttivo delle poche imprese maggiori (poligrafiche, farmaceutiche, elettrotecniche ed elettroniche), di cui spesso rappresentano l'indotto delle commissioni esterne. Al termine dell'esplosione urbanistica, che ha depresso il settore edile e dei materiali da costruzione, nel corso degli ultimi anni il settore in crescita è stato il terziario, che occupa circa l'80% della popolazione attiva. Il grande sviluppo dell'attività terziaria (che comprende offerta di servizi a singoli, famiglie, turisti, imprese, attività di pubblica amministrazione, direzionali, di ricerca) risulta comprensibile in relazione al carattere specifico di R. capitale e sede direttiva di importanti imprese a carattere nazionale, sia pubbliche sia private, come pure di diverse imprese attive nell'informazione (RAI, emittenti televisive private, agenzie di stampa, testate giornalistiche a diffusione nazionale, ecc.). ║ Comunicazioni interne: il traffico interno alla città costituisce uno dei maggiori problemi della capitale, direttamente proporzionale al crescere del traffico automobilistico privato, che congestiona gli spostamenti tra i quartieri cittadini, in particolare quelli centrali. Obiettivo delle amministrazioni cittadine è quello di garantire sia il trasporto pubblico urbano a residenti, lavoratori pendolari, turisti e pellegrini, sia una buona organizzazione e scorrevolezza della circolazione privata, spesso perseguita con l'introduzione di zone a traffico limitato o di isole pedonali. Elementi significativi del trasporto pubblico, alcuni dei quali potenziati o realizzati in occasione dei Mondiali di calcio del 1990, sono: la linea metropolitana A (14,5 km) e la linea B; linee in sede propria (tramvie); corsie riservate per i mezzi su gomma; realizzazione di una cintura ferroviaria metropolitana; aree di sosta e parcheggio. ║ Comunicazioni esterne: R. costituisce un punto nodale delle comunicazioni sia su scala regionale sia nazionale. Dalla città transitano le linee ferroviarie da e per il Nord, sia lungo la costa tirrenica, sia verso l'interno in direzione Firenze-Bologna; ugualmente a R. fanno capo i convogli da e per il Sud, in direzione Napoli-Reggio Calabria, due importanti linee transappenniniche (per l'Umbria e le Marche e per l'Abruzzo) e diverse tratte locali. Il traffico su ruota, invece, non interessa quasi più direttamente la città ma si vale della rete autostradale, assai sviluppata, o delle grandi arterie esterne, alcune delle quali ricalcano le antiche vie romane: l'Aurelia, la Cassia, la Flaminia, la Salaria, la Casilina. Le tratte per Milano e Napoli sono state raccordate da una bretella a 25-30 km dalla città, e il raccordo anulare, su cui in precedenza si inseriva il traffico Nord-Sud, è impiegato oggi solo per quello cittadino. R., infine, è cresciuta come scalo aereo internazionale, con gli aeroporti di Fiumicino e Ciampino. Dal 1989, inoltre, è entrato in funzione un collegamento veloce su rotaia tra l'aeroporto di Fiumicino e la nuova stazione R.-Ostiense.

PREISTORIA E TOPOGRAFIA

Le prime tracce di insediamento umano nell'area di R. risalgono all'epoca neandertaliana, come testimoniano gli oggetti litici ritrovati in numerose località, fra cui Tor di Quinto e Frascati; qualche reperto attesta la presenza di popolazioni nella zona anche durante il Paleolitico superiore. Per contro, i ritrovamenti risalenti al Neolitico sono limitati ad aree periferiche, come i Colli Albani, mentre sono assenti nell'area della città: ciò ha indotto a ritenere che, durante questo periodo e nell'Età del Bronzo in cui si sviluppò altrove la cultura appenninica, il territorio di R. fosse inadatto alla vita umana, forse per le avverse condizioni climatiche. I primi abitanti della città furono comunità di pastori provenienti dai Colli Albani (da Alba Longa, secondo la tradizione) e insediatisi presso le colline sulla sponda sinistra del Tevere a partire dall'Età del Ferro, nel periodo cioè in cui si diffuse in Italia la cultura detta villanoviana. R. prevalse presto sui villaggi vicini grazie alla sua collocazione geografica presso il mare, lungo le direttrici che collegavano le coste con le regioni appenniniche, e alla posizione strategica per il controllo sia dei guadi del Tevere, sia di una importante via del sale che dalla foce del fiume portava ai monti dell'interno. Dai nomi dati ai colli dai primi abitanti (Fagutal, dal faggio, Viminalis, dal vimine, Querquetulanus, dalla quercia) e conservati dalla tradizione letteraria, si evince che le loro cime erano ricoperte da boscaglie; tra l'uno e l'altro colle si estendevano invece zone paludose, alcune delle quali (la palude del Velabro, fra Palatino e Campidoglio) erano ricordate ancora in epoca storica. Il colle prescelto per l'insediamento principale fu quasi certamente il Palatino che, grazie alla conformazione scoscesa era facilmente difendibile: di fatto, le testimonianze archeologiche provano che su quest'altura (che la tradizione ricordava come il colle di Romolo) già tra il IX e il VII sec. a.C. si susseguirono centri abitati, con capanne a pianta ellittica e rettangolare, noti col nome di R. quadrata. Altri vasti stanziamenti primitivi sono stati scoperti sull'Esquilino e sul Quirinale, spesso associati a corredi funerari risalenti anche al IX sec. a.C., e importanti necropoli sono state rinvenute ai margini dell'avvallamento paludoso che si estendeva fra il Palatino e il Campidoglio. Le sepolture in questo luogo cessarono intorno al VI sec. a.C., e ciò costituisce una conferma del fatto che, secondo le fonti, proprio intorno a quell'epoca avvennero l'unificazione delle varie comunità dei colli, la bonifica della zona paludosa attraverso la creazione della cloaca massima, e la creazione del Foro come area di mercato. Il centro abitato si espanse allora sui colli vicini, e la nuova città fu divisa in quattro regioni (Suburana, Esquilina, Collina e Palatina), comprendenti anche il Campidoglio e la Velia, zona di congiunzione fra le regioni. I tratti più esposti a eventuali attacchi nemici furono cinti da mura, i cui blocchi di tufo a forma di parallelepipedo sono stati rinvenuti negli scavi sul Palatino, sul Campidoglio e sul Viminale, e l'originario guado del Tevere fu sostituito da un ponte (pons sublicius). Tra la fine del VI e i primi del V sec. a.C., durante l'età regia, a R. furono realizzate importanti opere architettoniche a carattere religioso e civile: ci sono noti i resti del tempio di Giove Capitolino, della Regia più arcaica, di alcune cisterne, delle fondazioni dei templi dei Castori e di Saturno; al medesimo periodo risalgono forse anche le fondazioni dei due templi del Foro Boario, identificati con quelli della Fortuna Virile e della Mater Matuta, e certamente il cippo del Foro, un blocco di tufo che contiene la più antica iscrizione in lingua latina. Durante la Monarchia, il Campidoglio divenne l'acropoli sacra, il Campo Marzio un centro di addestramento militare, il Foro il centro delle attività cittadine e il Palatino un quartiere residenziale. Intorno al 390 a.C., l'incendio provocato dai Galli distrusse quasi interamente la R. primitiva, i cui monumenti furono quindi restaurati o ricostruiti; a questa fase risalgono il tempio della Concordia (367 a.C.), voluto da M. Furio Camillo, e le cosiddette mura serviane, che proteggevano tutto il perimetro della città e che sono ancora parzialmente visibili in alcuni punti di R. Durante il IV e il III sec. a.C. si procedette alla costruzione di nuovi templi, di importanti strade (la Via Appia, tracciata nel 312 a.C. per iniziativa del censore Appio Claudio) e di acquedotti extraurbani (per volontà dello stesso Appio Claudio e di M. Furio Dentato). L'attività edilizia aumentò nel periodo successivo, anche se i lavori furono sovente rallentati dallo sforzo bellico intrapreso dai Romani contro Cartagine: tra le costruzioni più notevoli del III e del II sec. a.C. si ricordano il Circo Flaminio (221 a.C.), il tempio della Magna Mater sul Palatino (192 a.C.), le varie basiliche - luoghi d'incontro per attività commerciali, legali, politiche e finanziarie - nel Foro (Porcia, 184 a.C.; Fulvia et Aemilia, 179 a.C.), nonché i portici per il commercio al minuto (Porticus Aemilia, Porticus Octavia). Inoltre, già dal III sec. a.C. R. iniziò ad avere problemi di sovraffollamento, a causa del suo ruolo di città sempre più importante: lo testimoniano i resti dei numerosi caseggiati a più piani (insulae), destinati a divenire un tratto tipico della capitale, costruiti lungo le vie strette e anguste, come la celebre e famigerata Suburra. Di contro, l'orgoglio delle famiglie più ricche si manifestava nella costruzione di nuovi templi e di opere pubbliche: al II sec. a.C. risalgono sia la pavimentazione delle vie urbane, sia la costruzione dei templi di Giove Statore e di Giunone Regina, mentre al 144 a.C. si data la cosiddetta Aqua Marcia, acquedotto imponente per dimensioni e portata, in grado di rifornire di acqua anche la zona al di là del Tevere (Trastevere). L'attraversamento del fiume, a sua volta, venne migliorato con l'edificazione di nuovi ponti in muratura (Emilio, 142 a.C.; Milvio 109 a.C.), così come furono agevolate le comunicazioni esterne tramite la creazione di un sistema di vie lastricate (Appia, Latina, Emilia, Flaminia). Nel I sec. a.C., L. Cornelio Silla fu il primo dei grandi dittatori a riorganizzare vaste zone, quali il Comizio e i Rostri; nel 78 a.C. Q. Lutazio Catulo, con l'edificazione del Tabularium, collegò il Campidoglio e il Foro in unità architettonica. Durante questa fase, R. si arricchì di opere d'arte bottino di guerra e di materiali preziosi importati dall'Oriente; si sviluppò il gusto per le costruzioni fastose e monumentali, testimoniato dalle numerose ville signorili (domus) in città, sui colli e presso il mare. Pompeo, da parte sua, inaugurò un sistema di teatri e di portici, mentre Giulio Cesare, con la legge de urbe augenda, progettò una risistemazione urbanistica della città comprendente anche la deviazione del Tevere sotto i Monti Vaticani e la completa bonifica del Campo Marzio. La sua morte interruppe tale rinnovamento, benché Agrippa e poi Augusto portassero a compimento alcuni suoi progetti quali il Forum Iulium e la basilica Giulia. Lo stesso Cesare donò al popolo i giardini di Trastevere con il tempio di Fors Fortuna; altri giardini (horti) furono abbelliti per volere di potenti cittadini come Lucullo (Horti Luculliani, sul Pincio) e Sallustio (Horti Sallustiani, fra Pincio e Quirinale). Le aree monumentali della città, che erano state scelte dai re, avevano raggiunto il loro assetto definitivo durante la Repubblica. Tuttavia, l'aspetto esteriore (quale appare oggi) è frutto essenzialmente della politica edilizia degli imperatori, ognuno dei quali volle dare il proprio contributo al fasto cittadino, manifestando parimenti la propria personale potenza. Il primo, profondo rinnovamento di R. fu opera di Augusto, il quale intorno al 7 a.C. divise il territorio della città in 14 regioni e vi riorganizzò in modo più razionale i sistemi di polizia e dell'annona; costruì anche, oltre a completare gli edifici iniziati da Cesare, un nuovo foro, detto di Augusto, e il tempio di Apollo sul Palatino, con il portico delle Danaidi; risanò definitivamente il Campo Marzio, riservando un'area per il proprio mausoleo e per l'Ara Pacis. Condusse nuovi acquedotti a R. e affidò ai suoi più stretti collaboratori altre grandiose opere monumentali: ad Agrippa si devono il Pantheon, poi rifatto da Adriano, le prime terme pubbliche e il tempio di Nettuno; Mecenate invece bonificò l'Esquilino, creandovi un vasto sistema di giardini. Durante il Regno di Tiberio furono costruiti i Castra Praetoria, per la sistemazione della milizia imperiale, e la Domus tiberiana, sul Palatino. Dei folli progetti di Caligola rimane solo il circo di Trastevere, poi divenuto sacro al Cristianesimo per i suoi martiri. Claudio creò il porto di Ostia e si preoccupò di far giungere l'acqua (tramite due nuovi acquedotti) alle ville e ai parchi del Quirinale, del Pincio e dell'Aventino, dove si erano trasferiti i Romani più ricchi, allontanatisi dal caotico centro urbano. Nel 64 d.C., durante il Regno di Nerone, si verificò l'incendio, tristemente famoso, che devastò buona parte delle zone centrali: il piano regolatore da lui promulgato prevedeva la ricostruzione razionale del territorio, ma di fatto tutte le principali energie furono convogliate nella realizzazione della sua sontuosa residenza, detta Domus aurea, la quale non fu terminata, però, prima della sua morte. Per converso, le realizzazioni degli imperatori Flavi risentono del tentativo da loro operato di restaurare la "romanità" che le passioni ellenistiche di Nerone avevano trascurato: furono perciò costruiti l'anfiteatro Flavio, più noto come Colosseo, il Foro di Vespasiano, lo stadio in Campo Marzio (attuale Piazza Navona) e le terme di Tito. Durante il Regno di Nerva fu realizzato un nuovo Foro, detto Transitorio, che congiungeva il Foro romano alla Suburra; al principato di Traiano risale invece la grandiosa concezione di un foro comprendente la basilica Ulpia, le biblioteche e la famosa colonna istoriata che narrava le vittorie dell'imperatore sui Daci. L'avvento al principato di Adriano segnò anche l'inizio dei restauri delle opere più antiche, come il Pantheon e le terme di Agrippa; inoltre, furono edificati il grandioso mausoleo (odierno Castel Sant'Angelo), con il ponte Elio per accedervi, e il tempio di Venere e R. sul sito della Domus aurea neroniana. Durante l'Impero degli Antonini si ebbe una pausa nelle grandi creazioni monumentali, benché non mancassero nuovi edifici e nuove opere pubbliche; per contro, notevole fu l'attività edilizia dei Severi, che si esplicò nelle grandiose terme antoniniane, nell'arco di trionfo del foro, ma anche in caserme, templi, magazzini, acquedotti. Nel periodo successivo, di fronte alla minaccia delle invasioni barbariche, si moltiplicarono le opere di fortificazione: nel III sec. l'intera città fu circondata da una poderosa cinta di mura (le cosiddette "mura aureliane"), iniziata da Aureliano nel 272 e terminata in cinque anni. Restauri furono poi compiuti da Massenzio, Arcadio e Onorio; Aureliano eresse anche un colossale tempio dedicato al Sole, mentre a Massenzio si deve la celebre basilica, costruita sui resti dell'incendio che devastò R. nel 284. Nonostante l'incombente decadenza, la città raggiunse proprio in questo periodo il massimo fulgore architettonico, come documenta lo storico Ammiano Marcellino; archi di trionfo furono innalzati ancora da numerosi imperatori (Costantino, Graziano, Valentiniano e Teodosio, Arcadio, Onorio), ma nel 410 il sacco dei Vandali di Alarico iniziò la serie delle distruzioni delle opere d'arte e dei monumenti. I successivi cambiamenti urbanistici appartengono per contro alla topografia medioevale.

STORIA

Età arcaica e monarchica (753-509 a.C.): le testimonianze archeologiche attestano successivi insediamenti sui colli romani tra il X e il VII sec. a.C. (V. SOPRA) che, costituitisi in unità politica, parteciparono alla lega religiosa latina che si raccoglieva intorno al santuario di Giove Laziare, sul Monte Cavo. In origine la città egemone fu Alba, presto soppiantata da R., secondo la tradizione, durante il Regno di Tullo Ostilio. Le nostre scarse conoscenze dell'età arcaica dipendono in gran parte dalla tradizione annalistica, ma questa, nata nel III sec. a.C., si trovò a dover colmare i 500 anni di storia che la separavano dalla tradizionale data di fondazione di R., fissata al 753 a.C. (e messa in relazione con il mito troiano della fuga di Enea, con i suoi discendenti diretti - i re di Alba Longa - e indiretti - i fratelli Romolo e Remo, artefici della fondazione vera e propria): di fatto non possediamo dati sequenziali sicuramente attendibili anteriori al 390 a.C., anno dell'incendio gallico. Gli annalisti attinsero per le loro narrazioni sia dalle fonti ufficiali della città (gli Annales Pontificum), sia dai documenti privati delle famiglie più potenti, mescolando spesso fatti reali a elementi leggendari e mitologici. La serie dei sette re di R. (Romolo, Numa Pompilio, Tullo Ostilio, Anco Marzio, Tarquinio Prisco, Servio Tullio, Tarquinio il Superbo) sortisce appunto da una simile miscela e contiene, accanto a figure leggendarie come Romolo o Numa Pompilio, elementi sicuramente storici: è indubbio che la R. arcaica fosse una Monarchia (in una prima fase controllata dall'elemento latino e sabino, in una seconda - gli ultimi tre re - da quello etrusco), tuttavia, l'ordine, il numero e l'identità dei re furono oggetto di rielaborazioni successive. Il populus della città comprendeva da un lato i cittadini ordinari (plebs), senza alcuna qualifica religiosa, politica o sociale, divisi in tre tribù a loro volta ripartite in dieci curiae, dall'altro le famiglie di più antica tradizione e maggiore potenza economica e agraria (gentes), che si riconoscevano in un comune culto degli antenati e i cui membri anziani (patres, da cui patritii) costituivano un'assemblea (senatus) che coadiuvava il rex. Questa originaria frattura tra la moltitudine dei plebei e l'oligarchia patrizia generò un antagonismo secolare mirante, rispettivamente, all'abolizione o al mantenimento della segregazione socio-politica. È plausibile che il predominio del patriziato sia stato combattuto dai re etruschi, i primi estranei alla discendenza gentilizia; la tradizione ascrive infatti a Servio Tullio (forse coincidente con il Mastarna etrusco) la riforma che riconobbe gentes di origine plebea e il nuovo ordinamento politico-militare, basato sul censo, che ripartiva la popolazione in cinque classi (classes), ognuna delle quali a sua volta divisa in centuriae. Gli antichi comitia curiata furono dunque sostituiti dalla nuova assemblea dei comitia centuriata, dove veniva ridimensionato lo strapotere patrizio. Durante il periodo d'influenza etrusca (datato fra il 610 e il 509 a.C. e confermato da qualche rinvenimento archeologico), R. si affermò come vera e propria grande città murata, tra le più notevoli dell'Occidente mediterraneo; inoltre, fu resa salubre con la creazione di un primo impianto fognario e fu abbellita con la costruzione di templi; infine, fu ingrandita con l'ampliamento del territorio della città (ager romanus) e resa prospera con l'aumento dei commerci. Ciò nonostante, l'influsso etrusco non fu decisivo: al di là delle apparenze, R. continuò a rimanere la sede di una popolazione latina dedita principalmente all'agricoltura e dominata da una oligarchia che reagì all'egemonia etrusca non solo cacciando i re, ma istituendo un ordinamento repubblicano: alla Monarchia vitalizia succedeva una diarchia annuale (V. CONSOLATO), investita del comando (imperium), mentre l'elettorato sia attivo sia passivo era riservato ai soli patrizi con una piena restaurazione del privilegio politico di classe. ║ La Repubblica patrizio-plebea (509-287 a.C.) e l'espansione nella penisola (509-264 a.C.): con il declino della potenza etrusca in R. e l'istituzione della Repubblica, l'Urbe subì un ridimensionamento nei rapporti egemonici regionali (battaglie di Cuma e di Ariccia) e un aggravio delle divisioni interne. La spedizione etrusca di Porsenna, inoltre, sebbene fallita provocò comunque gravi danni alla città e costrinse R. a sottoscrivere un patto che di fatto ne limitava l'autonomia politica nella regione, inducendo le città della lega latina a emanciparsi dalla dominazione romana. Solo nel 493 a.C., sotto il console Spurio Cassio, gli scontri tra Romani e Latini cessarono e fu ratificato il Foedus cassianum, in base al quale i due popoli (cui in seguito si sarebbero aggiunti anche gli Ernici) stabilivano un'alleanza militare in funzione difensivo-offensiva contro Equi e Volsci, stabilivano legami commerciali e il diritto di connubium. Nel mentre R. si dovette difendere anche dalla pressioni dell'etrusca Veio. Sul piano interno, lo scontro fra plebe e patriziato (che in circa 250 anni condusse la legislazione repubblicana alla sua forma definitiva) si inasprì; molteplici erano gli obiettivi perseguiti: una riforma agraria, una legislazione sui debiti meno rigida, la compilazione di leggi scritte che garantisse uguaglianza civile e proteggesse dagli abusi dei magistrati patrizi, la partecipazione diretta alla gestione dello Stato insieme al patriziato. Il primo risultato ottenuto dalla plebe, che si era ritirata dalla città sull'Aventino nel 494 a.C. (V. AVENTINO e MENENIO AGRIPPA), fu l'istituzione di una sorta di Stato parallelo. Esso comprendeva magistrature proprie e riservate: gli aediles plebis, preposti alla cura del tempio di Cerere sull'Aventino, culto principale della plebe romana, e i tribuni plebis, con varie attribuzioni (inviolabilità, diritto di veto, di intercessione, ecc.): essi erano eletti e presiedevano un'assemblea separata, concilia plebis tributa, mentre le antiche tribù gentilizie furono dissolte in favore di una divisione più razionale a base territoriale in quattro tribù urbane e 16 del contado (che nei secoli sarebbero giunte a 35). La lotta tra i due fronti pervenne a un compromesso con la decisione di codificare in forma scritta il diritto consuetudinario, fino ad allora tramandato oralmente e fulcro del potere patrizio. Nel 451 a.C. fu nominato un collegio (decemviri legibus scribundis) con l'incarico di redigere il codice delle Dodici tavole, incise su bronzo, fondamento di tutto il successivo diritto romano. Nel frattempo, tra il 445 e il 376 a.C., in diverse occasioni i due consoli annuali furono sostituiti da tribuni militum con autorità consolare, magistratura aperta anche ai plebei: chi l'avesse ricoperta poteva adire alla questura e, in seguito, diventare membro di diritto del Senato. La reazione patrizia determinò l'istituzione della censura (443 a.C.), che ereditava parte dei poteri detenuti dai consoli e che per un secolo rimase esclusivo appannaggio dei senatori patrizi. Nel corso del IV sec. a.C. la plebe ottenne altre importanti vittorie nella lotta per l'eguaglianza civile: le leggi Liciniae-Sestiae (366 a.C.), reintroducendo il consolato, imponevano che uno dei due fosse plebeo; veniva sancita l'eleggibilità di plebei appartenenti a censi elevati alla dittatura (356 a.C.), alla censura (351 a.C.), alla pretura (337 a.C.); la lex Publilia (339 a.C.) estendeva il valore vincolante delle decisioni dei concili della plebe (plebiscita) a tutta la città, dopo ratifica del Senato, istituendo su un piano pressoché paritario i comitii tributi e i comitii centuriati; la lex Ogulnia (300 a.C.) superò l'estremo conservatorismo cultuale, aprendo alla plebe i collegi di auguri e pontefici e, infine, la lex Hortensia (287 a.C.), eliminando la ratifica del Senato per i plebisciti, sancì la pacificazione sociale. In realtà a R., all'inizio del III sec. a.C., si era ormai consolidata una classe timocratica, trasversale alle origini gentilizie, che univa il vecchio patriziato alla più recente e ricca nobiltà plebea. ║ A più riprese, durante il V sec. a.C., R. dovette affrontare la città di Veio, da cui fu più volte battuta ma che infine sconfisse, dopo un assedio decennale, nel 396 a.C., ad opera del dittatore Furio Camillo. Se la sconfitta degli Etruschi estese il territorio romano a tutto il Lazio, comprendendo i Monti Cimini, tuttavia espose la città alla diretta pressione dei Celti (stanziati nella piana del Po e in Emilia), principali responsabili del declino militare etrusco. In breve, tribù celtiche guidate da Brenno mossero contro R.: sconfitti i Romani presso il fiume Allia (387 a.C.), i Celti (o Galli) saccheggiarono e incendiarono la città, di cui si salvò solo la rocca Capitolina, da cui si ritirarono solo dopo aver ottenuto il pagamento di un riscatto. L'episodio causò lo sfaldarsi della lega latina: tuttavia, grazie alle capacità militari e alla tenacia politica di Furio Camillo, i Romani riuscirono in breve a restaurare la propria egemonia nel centro Italia. Nel 358 a.C. fu rinnovato il trattato di alleanza con Latini, Volsci ed Ernici, in funzione antigallica, mentre R. controllava, direttamente o indirettamente, un territorio compreso tra i Monti Cimini e Terracina; nel 348 a.C. un trattato con Cartagine (forse successivo a un accordo non ben attestato del VI sec.) stabiliva i confini meridionali dell'area di influenza romana. Negli stessi decenni, però, si era affermata nel centro-Sud della penisola la potenza dei Sanniti i quali, uniti ai Frentani, costituirono una forte unità politica (sul modello della Lega guidata da R.) che danneggiava soprattutto le città italiote e le colonie greche, ingaggiando uno scontro lungo decenni con i Romani, storicamente classificato in tre conflitti (V. SANNITICO) compresi tra il 343 e il 290 a.C., durante il quale R. subì anche sconfitte umilianti, come quella celeberrima delle Forche Caudine (321 a.C.). La resistenza del sistema di alleanze romano fu messa a dura prova, dal momento che i Sanniti non solo riuscirono a collaborare con le popolazioni già nemiche di R. (come Etruschi e Galli), ma seppero anche coagulare intorno alle proprie azioni belliche i suoi stessi alleati. Essi promossero infatti la rivolta dei Latini (340-338 a.C.), che tuttavia R. seppe volgere a proprio vantaggio, battendo le popolazioni in rivolta, dissolvendo la lega e sostituendola con una serie di accordi bilaterali unitamente al divieto per le singole città di stringere alleanze tra loro. Dopo aver reso propri tributari i Sanniti (in tasse e truppe), dedotto numerose colonie (tra cui la più grande fu Venosa in Apulia) e sedato le insurrezioni dei Galli Senoni e dei Galli Boi (285-283 a.C.), la federazione romano-italica si affermò come una delle maggiori potenze del Mediterraneo, seconda solo all'Impero cartaginese, all'Egitto e alla Siria. La sua sfera d'influenza comprendeva l'Italia centrale e si estendeva verso il Meridione, dove le città greche erano minacciate dalle tribù lucane. Quando nel 282 a.C. R. inviò aiuti militari alla città di Turi, con chiari intenti espansionistici, suscitò la preoccupazione della greca Taranto che, sentendosi minacciata, chiese e ottenne l'aiuto di Pirro, re dell'Epiro (V. PIRRO II) contro R. Questi, sbarcato a Taranto nel 280 a.C., conquistò di stretta misura due vittorie a Eraclea e ad Ascoli ma, fortemente indebolito dall'alto numero di morti che erano costate, non poté costringere R. alla pace. Dopo una breve campagna condotta in Sicilia (278 a.C.), Pirro rientrò in patria lasciando R. libera di completare l'unificazione della penisola: Taranto si arrese nel 272 a.C., entrando nella federazione italica; ad essa fecero seguito, fra il 270 e il 265 a.C., la greca Reggio, le popolazione dei Bruzi, dei Lucani, degli Umbri e degli Iapigi. Inoltre R. aveva creato una rete strategica di colonie, latine e romane, e costruito un'imponente rete viaria che permetteva un efficace controllo politico-militare sul territorio. La confederazione romana, inoltre, non aveva carattere unico, ma si articolava in differenti tipologie di rapporti, anche allo scopo di inibire possibili alleanze tra soggetti di diversa condizione: piena cittadinanza (propria dei cittadini dell'Urbs, dell'ager romanus, dei cittadini delle colonie dedotte direttamente da R. e dei membri delle tribù italiche di più antica sottomissione), municipi (città che godono dei diritti di cittadinanza escluso quello di voto, sine suffragio) e alleati (socii e civitates foederatae). Elemento comune a tutti i rapporti bilaterali era il dovere militare di fornire truppe ausiliarie o, per le città di mare, navi ed equipaggi; per contro, solo chi godeva della cittadinanza era soggetto a tassazione diretta. Intorno alla metà del III sec. a.C. il processo di romanizzazione (non solo militare ma politico e culturale) della penisola era ormai irreversibile. Guerre puniche e macedoniche (264-146 a.C.). L'ascesa di R. a potenza del Mediterraneo: fra il III e il II sec. a.C. R. combatté e vinse i popoli tradizionalmente egemoni nel Mediterraneo, Cartaginesi e Greci. L'Impero di Cartagine, attestato fin dai secc. VII-VI a.C., aveva origini commerciali, estendendo i traffici marittimi sull'intero Mediterraneo orientale. In Italia, la presenza delle colonie e degli empori cartaginesi era particolarmente intensa lungo la costa tirrenica, tutelata da alleanze militari con le città etrusche limitrofe. Quando ad esse era subentrata R., le relazioni si erano mantenute pacifiche fino alla metà del III sec. a.C. A quell'epoca, però, l'unificazione della penisola aveva condotto i Romani a nutrire forti interessi per la Sicilia, il cui dominio era equamente spartito tra Cartagine e Siracusa. La supremazia nel Mediterraneo centro-occidentale fu la posta del lungo conflitto, articolato in tre guerre (V. PUNICO), tra R. e Cartagine: la conquista della Sicilia, infatti, rappresentò il superamento da parte romana dei precedenti limiti territoriali di potenza locale, del carattere terrestre del suo esercito e degli interessi circoscritti alla sola penisola italiana. La necessità militare di dotarsi di una flotta, per contrastare la supremazia navale punica, avviò un enorme impulso espansivo di R. e mise la Repubblica in contatto, sul piano politico, con il mondo ellenistico-orientale. La prima guerra punica (264-241 a.C.), si concluse con la vittoria romana e una pace che imponeva a Cartagine di abbandonare la Sicilia e di pagare una pesante indennità di guerra; la Sicilia divenne possesso romano e fu il primo territorio istituito in amministrazione provinciale (241 a.C.), presto seguito da Sardegna e Corsica (238 a.C.). Cartagine, tuttavia, cercò di imporre un nuovo controllo sul Mediterraneo appoggiandosi ai possedimenti in Spagna (237-219 a. C.) e di lì mosse contro R. Nel 218 a.C. Annibale assediò Sagunto, alleata di R., e diede il via al secondo conflitto, caratterizzato dal suo genio militare, che portò la guerra sul territorio italico, infliggendo ai Romani numerose e gravi sconfitte terrestri, culminate nel disastro di Canne (216 a.C.). Nonostante i successi militari, che sterminarono gli eserciti consolari, Annibale non riuscì a cogliere l'obiettivo della sua brillante strategia: sollevare contro R. i suoi stessi alleati e sfaldare l'unità della confederazione italica, base del potere romano. La federazione mantenne sostanzialmente la sua coesione, R. non cedette e continuò la guerra, prima in Spagna, quindi direttamente in Africa, dove P. Cornelio Scipione Africano sconfisse Annibale nella battaglia di Zama (202 a.C.). Nel medesimo periodo, i Romani avevano fronteggiato con successo, ai confini settentrionali, anche i Galli Boi e Insubri (224-220 a.C. e 200-191 a.C.) e nei decenni successivi completarono l'opera di pacificazione della Gallia Cisalpina con la sottomissione dei Liguri (197-154 a.C.), degli Istri (178-177 a.C.) e della costa dalmata (156-155 a.C. e 129 a.C.). Durante la seconda guerra punica, Cartagine si era procurata l'alleanza del re Filippo V di Macedonia, contro la quale R. intervenne militarmente (V. MACEDONICHE, GUERRE) nel quarantennio tra il 200 e il 168 a.C., conducendo contemporaneamente un conflitto contro la Siria (V. ANTIOCO III IL GRANDE). In quel frangente R. si trovò ad affrontare problemi politici del tutto nuovi, in quanto fino ad allora il mondo greco-orientale era rimasto al di fuori dalla sua sfera di interessi e quasi sconosciuto, se si esclude la lotta alla pirateria nell'Adriatico (229-228 a.C.) e la creazione di un protettorato sull'Illirico (219 a.C.). Il tentativo di espansione di Filippo V fu definitivamente bloccato (200-196 a.C.) dalla vittoria romana a Cinocefale, ma la Macedonia conservò la sua indipendenza; i Romani affrontarono Antioco III, presso il quale si era rifugiato Annibale, sconfiggendolo dapprima in Grecia, alle Termopili, quindi - sbarcati per la prima volta in territorio asiatico - a Magnesia (189 a.C.). Anche in questa circostanza R. non fece annessioni dirette, ma si limitò a spartire fra Rodi e Pergamo parte dei territori siriaci. Tale strategia, che escludeva possedimenti territoriali nei Regni ellenistici, sottendeva forse una volontà, da parte di R., di limitare il proprio ruolo a quello di potenza pacificatrice dell'Oriente ellenizzato senza esercitare un dominio diretto: ruolo tuttavia che non poté esercitare a lungo. Il Regno di Macedonia rispettò la pax romana solo fino all'ascesa del re Perseo, che sfidò nuovamente R. (terza guerra macedonica, 172-168 a.C.), ma subì la disfatta di Pidna (168 a.C.). Un dominio diretto romano fu instaurato in Grecia e nell'Egeo e, nel 146 a.C., dopo l'ultima ribellione della Grecia, Corinto fu distrutta, tutte le leghe di città greche furono disciolte e fu costituita la provincia di Macedonia. Nello stesso 146 a.C., la distruzione totale dell'abitato di Cartagine segnò l'epilogo dello scontro con la potenza punica, sulle cui terre fu creata la provincia d'Africa. Nel 133 a.C. il re Attalo di Pergamo lasciò in eredità il suo Regno a R., che lo istituì (126 a.C.) come provincia d'Asia; a quella data i territori romani comprendevano dunque, oltre all'Italia, alla Gallia Cisalpina, all'Istria e alla Dalmazia, altre sette province: Sicilia, Sardegna-Corsica, Spagna Citeriore e Spagna Ulteriore (create tra il 206 e il 197 a.C.), Macedonia, Africa e Asia. L'influenza romana si esercitava inoltre, specie in Africa e in Asia, su numerosi Regni alleati e libere città; in Occidente, poi, dopo una serie di conflitti con le tribù indigene della Spagna e della Gallia meridionale (Lusitani e Celtiberi), e dopo le campagne contro i Liguri, gli Allobrogi e gli Alverni (125-121 a.C.) anche la Gallia Transalpina fu ridotta a provincia (Gallia Narbonensis, 121 a.C.). Una tanto vasta espansione militare ebbe profonde ripercussioni all'interno dello Stato: sul piano economico, le conquiste provocarono un forte incremento dei commerci, ormai diffusi in tutto il mondo conosciuto, cui corrispose però un generale impoverimento della classe contadina sia a causa del suo massiccio reclutamento nell'esercito sia (specie durante la seconda guerra punica) per il saccheggio e la distruzione delle terre coltivabili. Sul piano culturale, l'incontro con la civiltà ellenistica e orientale avviò un processo di ellenizzazione, testimoniato dalla nascita di circoli di intellettuali filoelleni (come quello degli Scipioni), dagli influssi greci nella letteratura, nell'arte, nella religione e nell'architettura (cui invano si opposero i conservatori, in primis Catone il Censore); infine, sul piano sociale e politico la gestione delle conquiste provocò una crisi e la trasformazione dei ceti dirigenti che sfociarono in lotte civili e condussero alla fine dell'istituto repubblicano. Le grandi guerre dell'unificazione e del dominio esterno erano state condotte dalla nuova compagine timocratica patrizio-plebea, di cui il Senato era l'organo direttivo, omogeneo e unitario, assai più efficace, nei momenti di crisi, dell'autorità popolare espressa nei comizi. Pur non mancando, all'interno dell'ordine senatorio, elementi favorevoli al mantenimento di una reale autorità popolare, in generale si determinò un progressivo irrigidimento dell'oligarchia nobiliare, sempre più ricca rispetto alle masse contadine, di cui requisiva per insolvenza o acquistava a prezzo irrisorio le terre. A quell'epoca cominciarono a formarsi i latifondi, che rimasero patrimonio dell'aristocrazia romana fino alla fine dell'Impero, lavorati dagli schiavi (il cui numero era cresciuto a dismisura con le guerre di conquista), a danno di salariati e dei clientes, mentre lo sfruttamento dell'ager publicus, teoricamente concesso a tutti, era di fatto limitato ai grandi proprietari; tutti questi fattori contribuirono a determinare il grave problema della questione agraria. Ad essa era anche connessa, in conseguenza delle guerre di espansione, la questione degli alleati italici che, pur artefici dell'esito vittorioso, restavano ancora esclusi dalla piena cittadinanza e, dunque, dalla distribuzione di terre e bottino. L'oligarchia senatoria non prestò il dovuto interesse a queste tensioni, impegnata al suo interno nella lotta per il potere; infine, l'ala più tradizionalista, capeggiata da M. Porcio Catone, riuscì a scalzare l'egemonia della famiglia degli Scipioni, mentre l'aristocrazia fondiaria venne raggiunta, nel censo, dalla nuova e potente classe dei cavalieri (equites), non senatoria, e costituita da grandi mercanti, appaltatori, esattori. ║ I Gracchi e la fine della Repubblica (133-31 a.C.): molti problemi, sorti in seguito all'espansione militare, erano ancora in attesa di una soluzione. Fra i più gravi era quello della cattiva amministrazione nelle province, che provocava vere e proprie spoliazioni di città da parte di governatori avidi e corrotti; l'irrequietezza delle truppe, che non di rado tendevano a identificare l'autorità nel proprio comandante e non più nello Stato; la politica segregazionista nei confronti degli alleati italici, privi di cittadinanza; il problema sociale delle classi rurali e della plebe urbana in costante aumento, e delle pretese politiche accampate dalla classe equestre. In tale contesto si inserirono le proposte riformatrici dei due tribuni della plebe Tiberio e Caio Gracco; i motivi che animarono l'azione dei due fratelli, al di là della loro personale sconfitta, trovarono nella riforma del sistema repubblicano ideata e intrapresa da Giulio Cesare la loro risoluzione definitiva. D'altra parte, l'operato di Cesare fu decisivo nel percorso di trasformazione dello Stato romano da Repubblica in principato, il quale comunque (nella Costituzione concepita e attuata da Augusto) assunse caratteri peculiari: infatti, le forme giuridiche repubblicane non furono abbattute, ma in qualche modo restaurate, cosicché il trapasso dalla Repubblica all'Impero apparve non come una cesura giuridica, bensì come un necessario adattamento del diritto, dopo le guerre civili del I sec. a.C. e la definitiva pacificazione delle parti sotto l'egemonia personale del principe. Nel 133 a.C. il tribuno della plebe Tiberio Sempronio Gracco (V. GRACCO, TIBERIO SEMPRONIO), vista irrisolta la questione agraria nonostante alcuni interventi da parte dei settori più illuminati dell'aristocrazia senatoria, propose una legge di riforma agraria, diretta alla redistribuzione alla plebe delle terre dell'ager publicus. Dal momento, però, che l'altro tribuno aveva opposto il suo veto, Gracco ricorse a un atto extralegale e rivoluzionario, facendolo deporre e ottenendo così l'approvazione del progetto. Durante tumulti cittadini scoppiati in occasione delle nuove elezioni al Tribunato (132 a.C.) Tiberio Gracco fu ucciso: ciò non impedì l'insediarsi della commissione, costituita da tre senatori, incaricata di applicare la lex Sempronia. I lavori della commissione triumvirale continuarono, nonostante numerose interferenze da parte senatoriali e consolari, fino al 111 a.C., quando fu soppressa: in quegli anni tuttavia aveva effettuato una distribuzione di terre pubbliche di cui avevano beneficiato decine di migliaia di cittadini romani nullatenenti (capitecenses), che poterono così rientrare nelle classi censitarie inferiori, con notevoli ricadute di tipo politico-sociale. Tuttavia, all'epoca del tribunato di Caio Gracco (V. GRACCO, CAIO SEMPRONIO) nel 123 a.C., la lentezza dei lavori della commissione non poteva impedire che il problema agrario fosse ancora di bruciante attualità. Questi, a differenza del fratello Tiberio, si preoccupò di dotarsi di una base sociale e politica di appoggio, cercando il sostegno dei cavalieri e delle popolazioni italiche, legando così strettamente la causa popolare (lex frumentaria) allo scontro tra gli ordini senatorio ed equestre (lex iudiciaria) ed entrambe alla questione della cittadinanza per i socii (lex de sociis et nomine latino). Rieletto tribuno nel 122 a.C., Gracco si impegnò nella deduzione di colonie nei territori pubblici oltremare, in particolare sul luogo della distrutta Cartagine; tutte le sue conquiste furono lasciate cadere subito dopo la sua uccisione nel 121 a.C., tuttavia, la reazione aristocratica non poté soffocare le istanze sociali e politiche da lui sollevate. La lotta politica interna (storicamente classificata come scontro tra partito popolare e partito degli ottimati) ebbe un momento di stasi quando la Repubblica fu costretta a fronteggiare due importanti guerre esterne: quella contro Giugurta (111-105 a.C.) e quella contro le tribù germaniche di Cimbri e Teutoni. In entrambi i casi le operazioni militari risolutive furono condotte dal console Gaio Mario (V. MARIO, GAIO), un homo novus, originario del ceto equestre, che fece prigioniero il re Giugurta e sconfisse in campo aperto i Teutoni (battaglia di Aquae Sestia, 102 a.C.) e i Cimbri (battaglia dei Campi Raudii, 101 a.C.). Di particolare importanza fu inoltre la cosiddetta riforma mariana dell'esercito, in base alla quale la leva volontaria, fino ad allora affiancata solo in caso di necessità a quella obbligatoria in base al censo per i piccoli proprietari terrieri (fanteria) e per gli equites (cavalleria) fu trasformata in istituto stabile che prevedeva, alla fine di una ferma di 16 anni, poi portati a 20, la concessione di appezzamenti di terreno e il diritto alla spartizione del bottino conquistato nelle campagne militari. La riforma, inoltre, favorì lo strutturarsi di un cursus militare e la creazione di un rapporto assai stretto tra la truppa e il generale, riconosciuto dai soldati come garante della loro sorte economica. Eletto console per cinque volte consecutive, Mario appoggiò la parte democratica in cui confluivano ormai indissolubilmente le istanze dei ceti popolari e dei socii italici. L'assassinio del tribuno Druso (91 a.C.), relatore di un'ennesima legge per la concessione della cittadinanza agli alleati, innescò una rivolta armata di questi ultimi, organizzati in una confederazione. L'insurrezione, scoppiata nel 91 a.C., si concluse nell'89 a.C., dopo due anni di combattimenti condotti dallo stesso Mario e da Silla (V. SILLA, LUCIO CORNELIO), generale e uomo politico aristocratico già segnalatosi nella guerra giugurtina; risolutive tuttavia non furono le armi ma la promulgazione della lex Plautia Papiria per il diritto di cittadinanza a tutti gli Italici. La reazione dei senatori, guidata dall'aristocratico Silla, non perse forza: nell'88 a.C. il conflitto politico tra Mario e Silla per ottenere il comando nella guerra contro Mitridate re del Ponto (88-84 a.C.), sfociò in episodi di vera e propria guerra civile, culminati nell'entrata in R. di Silla alla testa delle sue legioni. Seguirono l'esilio di Mario (88 a.C.) e un periodo di disordini intestini: la parte popolare elesse al consolato Cinna (87 a.C.), nemico di Silla, e richiamò in patria Mario, che condussero una repressione contro gli ottimati, mentre Silla combatteva con buoni esiti in Grecia e in Oriente. Morti nel frattempo sia Cinna sia Mario, Silla - di ritorno dalla campagna militare - nell'83 a.C. penetrò in Italia con le sue legioni e sconfisse i seguaci di Mario e il partito popolare. Eletto dittatore (82-79 a.C.), intraprese a sua volta una spietata persecuzione degli avversari, restaurando norme giuridiche favorevoli agli ottimati, tra cui l'abolizione della lex iudiciaria, la necessità della ratifica del Senato ai plebisciti dei comizi, ecc. Nel 79 a.C., tuttavia, Silla lasciò volontariamente il potere al Senato, dando così fiato all'opposizione dei popolari. Un'insurrezione democratica fu capeggiata in Italia da Lepido e in Spagna dal mariano Sertorio: ne seguì una guerra (80-72 a.C.) condotta e vinta da Pompeo (V. POMPEO MAGNO, GNEO), che assurse così a grande fama come uomo politico con grandi doti militari, indipendente pur se di estrazione senatoria. Pompeo si alleò con il plutocrate Crasso (V. CRASSO, MARCO LICINIO DIVITE), assai influente per aver domato la rivolta di schiavi capeggiati da Spartaco (73-71 a.C.). Insieme ottennero il consolato nel 70 a.C., operando una effettiva mediazione tra la parte degli ottimati (tutela dell'autorità e delle prerogative senatorie) e quella dei popolari (ripristino delle legge favorevoli all'ordine equestre e delle prerogative tribunizie per la plebe, ecc.). Nel 67 a.C., contro la volontà del Senato, Pompeo ottenne il comando supremo, con poteri militari straordinari, della guerra contro i pirati; conseguita la vittoria, nel 66 a.C. Pompeo ebbe il comando anche della seconda guerra contro Mitridate, iniziata già nel 74 a.C. e fino ad allora condotta da Lucullo, che egli concluse vittoriosamente nel 64 a.C., aggiungendo ai domini romani la nuova provincia di Siria. Al ritorno in Italia, benché all'apice della gloria militare, Pompeo si adeguò all'autorità senatoria e sciolse il suo esercito; in tal modo, tuttavia, privo del sostegno dei suoi soldati vide respinte da quell'assemblea le sue richieste di distribuzione di terre ai veterani e di ratifica dell'ordinamento imposto all'Asia. Negli stessi anni si andava imponendo in R., come capo delle forze popolari, G. Giulio Cesare, con una proposta di legge agraria che, concedendo amplissimi poteri alla commissione incaricata di distribuire le terre pubbliche, fu respinta come rivoluzionaria dal Senato: nel 63 a.C., il console M. Tullio Cicerone si oppose formalmente ad essa, presentandosi, anche per il fatto di aver smascherato la congiura eversiva di Catilina, come salvatore del regime senatoriale. Pompeo e Cesare, unitisi con Crasso nell'alleanza personale del primo triumvirato (60 a.C.) - privo di qualsiasi legittimità giuridica ma efficacissimo sul piano politico - ottennero l'approvazione di una serie di provvedimenti di natura popolare (distribuzione delle terre ai veterani, ratifica dell'ordinamento dell'Asia, ecc.) conseguendo così una vittoria sul Senato. Secondo il patto privato, nel 59 a.C. Cesare ottenne il consolato e il comando militare straordinario per la durata di cinque anni nell'Italia settentrionale e nella Gallia Transalpina, cariche in forza delle quali egli operò una amplissima distribuzione di terre in Italia, che contribuì a una vera soluzione del problema agrario, e stabilì un nuovo ordinamento dell'amministrazione delle province favorevole ai cavalieri, i cui interessi erano sostenuti da Crasso. In risposta ai movimenti dei Germani verso la Gallia, che minacciavano indirettamente la provincia della Transalpina e l'Italia settentrionale, tra il 58 e il 51 a.C., Cesare condusse una serie di brillanti campagne, da lui stesso descritte nel De bello Gallico, spingendosi oltre il Reno e in Britannia; l'intera Gallia fu conquistata e ridotta in provincia. L'inclusione della Gallia nel mondo romano fu densa di conseguenze: la romanizzazione della regione portò infatti a uno spostamento verso Nord del baricentro dello Stato e pose le premesse di quei fenomeni politici e culturali da cui ebbe origine, caduto l'Impero, l'Europa medioevale. In seguito alle guerre galliche, il prestigio politico e la popolarità militare di Cesare crebbero tanto da oscurare la fama di Pompeo. La situazione politica a R. era mutata, mentre Crasso e Pompeo si erano allontanati: Cesare rinsaldò il triumvirato organizzando un incontro a Lucca (56 a.C.), nel quale fu decisa una vera e propria spartizione delle sfere di influenza dei tre politici: a Crasso fu affidato l'Oriente e la campagna contro i Parti, a Pompeo l'Italia con la Spagna e l'Africa, mentre Cesare stesso si riservò la proroga del comando militare. Nel 53 a.C., tuttavia, la morte di Crasso a Carre durante la disastrosa spedizione contro i Parti (V.) accentuò la rivalità fra Cesare e Pompeo: dopo l'assassinio, per mano dell'aristocratico Milone, del tribuno P. Clodio, che stava conducendo in R. una campagna di violenze anti-senatoriali, Pompeo fu formalmente invitato dal Senato a ristabilire l'ordine ed eletto console unico per il 52 a.C. Il ravvicinamento fra Pompeo e il Senato comportò la definitiva rottura con Cesare e, nei due anni successivi, il conflitto esplose apertamente: il Senato ordinò a Cesare di sciogliere il suo esercito, ma questi pose la condizione che Pompeo lo imitasse; il Senato rifiutò e dichiarò Cesare nemico della patria. Nel 49 a.C. Cesare, guadando il Rubicone, marciò su R. con una sola legione, costringendo in una fulminea campagna Pompeo e gran parte dei senatori ad abbandonare l'Italia. Sconfitti i pompeiani a Ilerda, in Spagna (49 a.C.), Cesare passò in Illiria e nel 48 a.C. a Farsalo, in Tessaglia, affrontò e vinse le truppe guidate dallo stesso Pompeo. Costui cercò rifugio in Egitto, ma vi fu ucciso dal re Tolomeo. Dopo aver domato le rimanenti forze pompeiane con campagne in Asia (47 a.C.), in Africa (46 a.C.) - dove l'avversario Catone Uticense si tolse la vita - e in Spagna (45 a.C.), Cesare tornò a R., dedicandosi esclusivamente a disegnare un nuovo assetto dello Stato, che potesse sanare i danni di 90 anni di guerre civili. Egli si considerò dittatore a vita e imperator, introducendo così il principio - fino ad allora assente - dell'autocrazia personale. Infatti, pur senza invalidare i poteri tradizionali del Senato e dei comizi, e talvolta anzi consolidandoli e ampliandoli, egli si arrogò alcuni privilegi - soprattutto nella nomina delle cariche e nella proposta di leggi - che gli garantivano di fatto un potere assoluto. Di tale autorità si avvalse soprattutto per riordinare l'amministrazione delle province e per fondare numerose colonie militari, nelle province e in Italia, mentre a R. il Senato perdeva di fatto il potere esecutivo, esercitando forse solo una funzione consultiva. Cesare, inoltre, introdusse nell'assemblea molti senatori di origine equestre, italica e provinciale, privandola così del suo tradizionale carattere patrizio e romano. Altro fine politico di Cesare era quello di unificare al massimo le classi e le regioni dell'Impero ormai imminente, in una prospettiva simile alle grandi Monarchie ellenistiche, restringendo gradualmente i privilegi dell'Italia e di R. Non è certo che egli intendesse assumere il titolo di re; certamente, l'accusa di tirannide fu lanciata contro di lui dai settori più rigidamente repubblicani e conservatori e il 15 marzo 44 a.C. Cesare cadde vittima di una congiura per mano di cospiratori guidati da Bruto e Cassio. ║ La nascita dell'Impero e il Regno di Ottaviano Augusto: la morte di Cesare non condusse alla restaurazione dello Stato repubblicano ma a nuovi e gravissimi scontri civili. In una prima fase, il Senato si divise tra cesariani e repubblicani, in un secondo momento l'assemblea seguì in parte Ottaviano (V. AUGUSTO, GAIO GIULIO CESARE OTTAVIANO) e in parte Antonio (V. ANTONIO, MARCO). Inizialmente l'eredità politica di Cesare fu raccolta dal suo luogotenente Antonio, ma tale posizione gli fu contestata da Ottaviano, figlio adottivo ed erede universale del defunto dittatore: i due si accordarono con un compromesso, destinato a espellere dall'Italia i sostenitori di Bruto e Cassio, che ripiegarono infatti in Oriente. Nonostante l'opposizione politica condotta contro Antonio da un personaggio del rango di Cicerone, nel 43 a.C. si giunse alla costituzione di un secondo triumvirato (Antonio, Ottaviano e Lepido) che fu ratificato come magistratura (triumviratus rei publicae constituendae) dal Senato. Ciò segnò l'inizio della guerra civile fra cesariani e repubblicani: i primi avviarono una dura persecuzione contro i repubblicani, nella quale Cicerone trovò la morte, ricorrendo (come già Silla) alle liste di proscrizione per eliminare gli avversari; dal canto loro, i repubblicani - Cassio in Siria e nell'Asia minore, Bruto in Macedonia, in Tracia e nella provincia di Asia - si prepararono alla guerra, riuscendo a riunire 13 legioni e una numerosa flotta. Nel 42 a.C., a Filippi, l'esercito di Antonio e Ottaviano sbaragliò le truppe di Bruto e Cassio, lasciando il controllo dello Stato nelle mani dei triumviri. Tornato in Italia, Ottaviano dovette affrontare un'insurrezione dei popoli italici, ribellatisi alle vessazioni dell'esercito guidato dal fratello di Antonio (guerra di Perugia, 41-40 a.C.) e il problema della flotta repubblicana guidata dal figlio di Pompeo, Sesto Pompeo. Incontratisi a Brindisi nel 40 a.C., Antonio e Ottaviano si accordarono per mettere fine alla guerra sulla base di una spartizione dell'Impero: Ottaviano assunse il compito di ripristinare l'ordine in Occidente, ad Antonio spettò l'Oriente, a Lepido l'Africa. Nel 36 a.C., dopo tre anni di dura guerra, la flotta di Sesto Pompeo fu distrutta (battaglia di Nauloco): contemporaneamente, Ottaviano esautorò Lepido dal potere, estendendo il suo controllo a tutte le province occidentali. Frattanto Antonio, in Oriente, si era legato a Cleopatra regina d'Egitto, dedicandosi con scarsa energia alla riorganizzazione dei domini romani e senza opporsi adeguatamente alla nuova offensiva dei Parti, che già dal 40 a.C. premevano ai confini dell'Impero. Solo nel 36 a.C. egli intraprese una campagna militare, ottenendo però un successo limitato alla sola Armenia. La celebrazione del trionfo di Antonio contro i Parti ebbe luogo non a R., bensì ad Alessandria d'Egitto: tale scelta mostrava quale direzione avesse preso la politica di Antonio, dominato dal fascino di Cleopatra e dal ricordo dei tratti orientalizzanti della politica di Cesare. Quando Antonio proclamò Cleopatra sovrana indipendente dell'Egitto, Ottaviano si presentò allora come il vendicatore delle conquiste repubblicane e il garante dell'unità tradizionale dell'Impero, saldamente collocata in Italia e a R., ancorando la propria politica interna all'idea tradizionale del predominio italico e romano su tutti i popoli dell'Impero. Nel 32 a.C., al momento della scadenza del potere triumvirale, già una volta rinnovato, Antonio cercò di esautorare Ottaviano: questi rispose con la guerra, dichiarandola alla sola Cleopatra perché la difesa della Repubblica non fosse nuovamente associata all'idea di guerra civile. La battaglia di Azio (31 a.C.) fu combattuta fra due grandi eserciti, due grandi flotte e due opposte mentalità e modi d'intendere il potere: la vittoria fu di Ottaviano, il quale nel 30 a.C., passato in Egitto, sgominò la cavalleria nemica ad Alessandria; Antonio e Cleopatra, sconfitti, si diedero la morte e l'Egitto fu ridotto a provincia, con uno status particolare. Nel 29 a.C. Ottaviano tornò a R., celebrò il trionfo e ordinò la chiusura delle porte del tempio di Giano, a significare che l'età delle guerre era terminata. Ottaviano, che assunse poi il nome di Augusto, attese nei primi anni del suo lungo principato a dare fondamento legale al suo potere, senza alterare vistosamente la tradizione repubblicana: egli voleva apparirne come il restauratore proprio quando innovava radicalmente la struttura dello Stato. Egli non volle creare alcuna nuova magistratura, ma rafforzò funzioni e caratteri, in riferimento esclusivo alla sua persona, di quelle già esistenti. L'imperium proconsularis perpetuo gli diede il comando di tutte le armate; la potestà tribunizia vitalizia gli conferì amplissimi poteri sul Senato e nell'assemblea popolare, garantendogli inoltre l'inviolabilità; il titolo di pontifex maximus gli consentì di regolare e controllare gli aspetti più strettamente pubblici e con ricadute sulla vita civile della religione. La somma di tali cariche, attribuitegli di volta in volta dal Senato, gli conferirono di fatto un immenso potere decisionale e governativo, esaltato dall'assunzione dei due epiteti di imperator e di augustus. La configurazione del principato augusteo fu mantenuta formalmente inalterata dai suoi successori per almeno due secoli fino a che, in seguito alla profonda crisi del III sec., Diocleziano sostituì apertamente alla figura del princeps (il primo) quella del dominus, monarca assoluto. Tratto distintivo del principato augusteo fu l'imprescindibilità del primato politico, militare, amministrativo ed economico dell'elemento romano, latino e italico (in quest'ordine) nei criteri di organizzazione dell'Impero: ciò in evidente rifiuto degli intenti cosmopoliti di Cesare. La cittadinanza romana rimase dunque un privilegio, fondante la struttura dell'Impero di cui i provinciali rimanevano sudditi: le ricchezze dell'Impero erano convogliate a R. e solo l'Italia non era sottoposta al pagamento dei tributi principali. Augusto ebbe comunque piena consapevolezza della necessità di reggere con saggezza e moderazione i territori sottoposti, attraverso un'amministrazione provinciale moderata e libera dalla corruzione della tarda Repubblica. Egli affiancò ai magistrati locali delle province senatorie un procuratore addetto alla riscossione delle imposte e, tramite la remunerazione delle cariche, creò un sistema di funzionari con competenze fisse e ordinati per gradi. Inoltre, accanto alla cassa dello Stato (erarium) istituì una cassa imperiale (fiscum), abolendo il meccanismo degli appalti per la riscossione dei tributi; per garantire una riserva di funzionari, riorganizzò l'ordine senatorio e quello equestre, creando commissioni di curatores e di praefecti per sveltire la gestione degli affari pubblici; con le iniziative urbanistiche, con la cura degli approvvigionamenti idrici e alimentari, con le coorti di vigiles contro gli incendi e le coorti urbane con compiti di polizia, rese R. una degna capitale. Attraverso tale lunga serie di riforme e dedicando tutta la sua opera alla sorveglianza e alla direzione degli affari, Augusto assicurò un ordinamento stabile ed efficiente, offrendo ai provinciali e a tutto l'Impero l'autorità e la garanzia di un governo giusto e pacifico. Infine, Augusto ebbe cura particolare del problema dei confini e della politica estera imperiale, rinforzando la linea di frontiera (limes) dell'Impero, che le conquiste attuate nel I sec. a.C. da Pompeo, Cesare e Antonio, avevano notevolmente sviluppato: ciò anche a costo di rettificare le linee difensive abbandonando enclaves di difficile difesa o facendo ulteriori conquiste. La Spagna fu pacificata e riorganizzata, come pure la regione alpina; nel settentrione, Augusto avanzò il confine fino al Danubio; inoltre, creò una catena di province (Rezia, Norico, Pannonia e Mesia) e congiunse le linee del Reno e del Danubio, assicurando un confine continuo, efficiente e munito contro le invasioni dei barbari dell'Europa centrale. In Oriente, furono riordinati i Regni vassalli d'Armenia e del Bosforo e riconosciuti altri Stati autonomi, benché sottoposti al controllo di R. Nell'ordinamento dell'Impero voluto da Augusto, fatto salvo l'Egitto che dipendeva direttamente dall'imperatore, furono distinte province di rango senatorio, mediante la tradizionale proroga imperii delle magistrature ordinarie, e province di rango imperiali, di norma quelle di più recente acquisizione, governate da legati imperiali. ║ Da Tiberio a Settimio Severo (14-211 d.C.): successore di Augusto fu Tiberio (14-37). Benché la tradizione storiografica, legata all'ambiente senatorio, ne abbia trasmesso l'immagine di individuo cupo e tiranno violento, Tiberio fu eccellente statista, politico e amministratore accorto: si sforzò di rispettare l'autorità senatoria ma, privo del carisma del predecessore, per dominare l'ostilità del Senato ricorse anche alla più dura repressione. In politica estera si attenne alle direttive di Augusto, secondo cui, terminata la fase di espansione, il ricorso alle guerre esterne doveva essere limitato alla tenuta dei confini. Del resto, fino a Traiano e con la sola eccezione della conquista della Britannia (43), le campagne condotte dagli imperatori o dai loro generali rimasero sempre circoscritte. Nonostante la potente organizzazione militare, l'Impero romano dei primi secoli fu essenzialmente pacifico: le legioni erano prevalentemente stanziate ai confini e i cittadini di R. e delle province non ne avvertivano il peso, pur godendo della loro protezione. Il ruolo degli eserciti provinciali si rivelò comunque determinante nei momenti di crisi, quando la successione degli imperatori, che non fu mai regolata da norme giuridiche, determinò lotte anche assai cruente: i generali, in virtù del prestigio acquisito con le vittorie militari, divennero i principali aspiranti alla Corona imperiale. Sul piano economico, la pace romana e la riorganizzazione dell'amministrazione provinciale favorirono la ripresa demografica e un miglioramento delle condizioni economiche, gravemente compromesse dalle guerre intestine della tarda Repubblica. Sul piano interno, il più grave problema dell'Impero rimase il rapporto tra Senato e imperatore, una diarchia giuridica in teoria, ma in pratica sbilanciata in favore dell'imperatore. La legittimità di quest'ultimo, tuttavia, dipendeva dal riconoscimento del Senato. Alla morte di Tiberio, dopo il breve Regno di Caligola (37-41), le cui stravaganze accentuarono le tendenze autocratiche del principato, il potere passò a Claudio (41-54), il quale riprese la politica di espansione, annettendo la Britannia, e di rafforzamento dei poteri amministrativi della corte imperiale. Il suo tentativo di governare l'Impero attraverso una burocrazia efficiente, affidata a funzionari di rango non senatorio, gli attirò l'ostilità degli ambienti aristocratici: tuttavia, raramente si manifestò in modo altrettanto chiaro l'intenzione cosciente di amministrare lo Stato in base a principi lontani dall'arbitrio e dalla prepotenza. Infatti, Claudio si preoccupò del corretto funzionamento della giustizia e concepì l'Impero come una grande unità da curare e sorvegliare in tutte le sue parti. Il suo successore Nerone (54-68), ultimo della dinastia Giulio-Claudia, trascurò presto i consigli del suo mentore, il filosofo Seneca, in favore di una politica conciliante nei confronti del Senato: la sua condotta politica, priva di moralità e caratterizzata da una crescente autocrazia, causò una serie di complotti senatoriali, repressi con ferocia, e in ultimo la ribellione delle legioni. Durante il suo Regno, inoltre, si sviluppò una significativa tendenza ellenizzante nella concezione imperiale, caratterizzata da assolutismo monarchico e maggior considerazione della parte orientale dell'Impero. La morte di Nerone scatenò una vera e propria guerra per il potere, che nel corso di un solo anno (69) vide l'elezione e l'uccisione di tre imperatori: Galba, Otone e Vitellio. Con la salita al trono di Vespasiano (69-79) ebbe inizio la dinastia Flavia. Egli ristabilì l'ordine e si impegnò con successo nel risanamento delle finanze e dell'amministrazione, duramente provate dalla dissennata politica di Nerone e dalla guerra per la successione. Ribadì il concetto augusteo della centralità dell'elemento romano e italico che, tuttavia, non gli impedì di allargare l'arruolamento nell'esercito a tutti i provinciali e non più ai soli Italici. Tale provvedimento contribuì ad accelerare il processo di romanizzazione dei territori dell'Impero. A Vespasiano successe il figlio Tito (79-81), ricordato dalle fonti come un ottimo imperatore, e quindi il secondogenito Domiziano (81-96), ritratto invece come despota e tiranno sanguinario. Di temperamento autocratico, costui abbandonò la politica augustea seguita dal padre, scatenando la reazione dell'opposizione senatoria, per far fronte alla quale non esitò a istituire una vera e propria polizia segreta. Dopo una serie di congiure aristocratiche, soffocate nel sangue, fu ucciso in una cospirazione cui parteciparono insieme senatori e milizia pretoriana. A Domiziano seguirono gli imperatori della dinastia degli Antonini, dinastia "illuminata", sotto il cui governo l'Impero romano raggiunse il suo apogeo: essi affermarono definitivamente il primato imperiale, ritrovando però le basi di un compromesso con il Senato. Alla morte di Domiziano, la minaccia di una guerra civile fu sventata dall'elezione al principato del vecchio autorevole senatore Nerva (96-98), il quale riuscì a garantire la successione al figlio adottivo Traiano (98-117): costui ebbe il merito di riuscire a realizzare un miracolo politico, restaurando cioè l'autorità del Senato senza diminuire quella del principe. Traiano, che si definì primus inter pares (primo tra i pari), riprese con vigore una politica di conquista catalizzando intorno ai suoi progetti le forze vitali del Senato e delle classi dirigenti. A lui e ai suoi successori (Adriano, Antonino Pio, Marco Aurelio) spetta il merito di aver realizzato nei fatti la collaborazione tra i poteri, condizione necessaria a garantire la ripresa e a raggiungere la pienezza della vita civile ed economica. D'altra parte, Traiano e Adriano proseguirono nel rafforzamento del potere amministrativo della corte imperiale e della burocrazia, rendendolo sempre più indipendente dal Senato. In politica estera, sotto Traiano l'Impero raggiunse la sua massima espansione: l'imperatore, con due campagne vittoriose, sconfisse i Daci (101-102; 103-105), portando il confine romano oltre il Danubio; in Asia rinverdì le ambizioni di Antonio, infliggendo dure sconfitte ai Parti (113-117) e creando nuove province. Tuttavia, l'amministrazione governativa e militare delle nuove acquisizioni risultò troppo onerosa per le forze di R., pur floride: Adriano (117-138) fu costretto ad abbandonare quasi interamente le nuove province d'Asia, preferendo garantire la sicurezza dei confini (si pensi alla costruzione del vallo di Adriano tra il 122 e il 127, che definì le frontiere britanniche dell'Impero) e dedicandosi al miglioramento del benessere dell'Impero. Adriano, amante della civiltà ellenica e uomo di raffinata cultura, trascorse gran parte del suo principato viaggiando in tutte le regioni del dominio romano; fondò numerose città, e dovunque innalzò templi, costruì strade, acquedotti, mercati: la sua opera fu fondamentale per Atene, città da lui prediletta, che tornò a essere centro di cultura. Il lungo periodo di pace e di prosperità, celebrato già dai contemporanei come il più splendido della storia di R., produsse un ulteriore incremento dei commerci e delle industrie. Ad Adriano succedette Antonino Pio (138-161), il cui lungo Regno fu sostanzialmente occupato dalla saggia ordinaria amministrazione e dal riassestamento e consolidamento delle frontiere e costituì il culmine del felice periodo degli Antonini. Tuttavia, durante il Regno di Marco Aurelio (161-180), imperatore filosofo che governò con rigore e dedizione secondo i dettami della dottrina stoica, si affacciò nuovamente, dopo secoli di pace, il pericolo barbarico. Tribù germaniche di Quadi e Marcomanni assalirono i confini del Danubio; l'esercito dei Parti tornò a minacciare gravemente la Mesopotamia. Inoltre, si verificarono carestie e una tremenda pestilenza costrinse R., per la prima volta, ad arruolare nell'esercito regolare numerosi contingenti di mercenari di origine barbarica. Sotto la guida di Marco Aurelio e del fratello Lucio Vero a lui associato nel Regno, l'Impero reagì con successo, concludendo un trattato di pace con i Parti (165) e sconfiggendo i Marcomanni (175). Ma quando a Marco Aurelio successe il figlio Commodo (180-192), personalità tirannica, privo del rigore paterno e incapace di reggere il potere senza ricorrere alla violenza e all'annientamento degli avversari politici, iniziò la lenta fase di declino di R. Come ai tempi di Domiziano, sotto Commodo l'intero sistema entrò in crisi e l'imperatore, assassinato in una congiura di palazzo, cadde vittima del suo stesso potere. Ne seguì una nuova guerra civile (192-193) per la successione: dapprima fu eletto Pertinace, favorito dai senatori, ma fu subito scalzato dal candidato dei pretoriani, Didio Giuliano: a costui gli eserciti provinciali contrapposero ognuno il proprio imperatore, Clodio Albino (Britannia), Pescennio Nigro (Siria) e Settimio Severo (Pannonia). Quest'ultimo si impadronì di R., abbatté i concorrenti rivali e fondò una nuova dinastia. Di origine africana e di estrazione militare, Settimio Severo (193-211) era del tutto estraneo al clima di incontro tra romanità ed ellenismo che aveva caratterizzato l'età degli Antonini; il suo Regno si distinse infatti soprattutto per la prevalenza dell'aspetto militare, ed egli stesso, trascurando ogni parvenza di accordo con il Senato, dimostrò apertamente che il suo potere si fondava sul sostegno dell'esercito. La costituzione dell'Impero concepita da Augusto fu accantonata e cessò di essere alla base della gestione del potere: la fase di crisi che ne seguì e che durò per l'intero III sec. (descritto dalla tradizione come il secolo dell'anarchia) fu determinante per la storia di R. e fu risolta da Diocleziano, che riformò interamente la struttura dell'Impero e la concezione del principato, trasformandolo in una Monarchia assoluta, centralizzata e teocratica. ║ Il Cristianesimo: la crisi dell'Impero romano iniziata alla fine del II sec. coincise con la progressiva affermazione del Cristianesimo in tutto il mondo allora conosciuto. Il messaggio della nuova religione giunse presto a R., trovando il suo primo centro di diffusione fra gli Ebrei della città, come provano sia l'esistenza di una reazione della comunità ebraica alla propaganda cristiana intorno all'anno 50, sia la predicazione di Paolo (57-58), che contribuì non poco alla diffusione del nuovo credo. Nel 64 i cristiani furono a torto accusati di aver appiccato l'incendio che distrusse il centro di R., e ciò determinò, secondo la tradizione, la prima loro persecuzione per ordine di Nerone. Alla fine del I sec. risale la Prima Clementis, documento della comunità cristiana di R. che sembra contenere il primo cenno al martirio di Pietro e Paolo. Nel II sec. i cristiani di R. costituivano ormai un gruppo con un carattere ben delineato, che riconosceva le proprie origini nella predicazione degli apostoli; inoltre, grazie all'operato dei vescovi di R., fra il II e il III sec. l'importanza di questa comunità di lingua latina crebbe fino a raggiungere una posizione preminente all'interno dei gruppi cristiani dell'Impero. In una prima fase di diffusione del Cristianesimo, lo Stato romano si mostrò in genere tollerante nei confronti di quella che era considerata una delle numerose sette religiose presenti a R.; tuttavia, non tardarono a verificarsi singoli episodi di insofferenza, aggravatisi poi in atti di vera e propria persecuzione contro i cristiani. Tale inasprimento si spiega con diversi motivi: in primo luogo, la nuova religione, fondata sull'adorazione di un Dio unico, non solo negava l'esistenza degli dei del Pantheon greco-romano, ma vietava ai suoi seguaci il culto dell'imperatore, la cui divinità costituiva uno dei cardini del sistema imperiale. Inoltre, l'esigenza di meditazione e di interiorità connessa alla fede induceva i cittadini cristiani ad allontanarsi dalla vita sociale e pubblica, mentre le comunità che progressivamente si raccoglievano a costituire la Chiesa rappresentavano un elemento di aggregazione sociale del tutto estraneo allo Stato e di fatto insensibile alle sue esigenze. Infine, la nuova religione si distingueva dalle altre religioni orientali, tollerate dalle autorità, per il suo carattere assolutamente universalistico, per la semplicità dei riti, per la mancanza di rigidi gradi di iniziazione: ciò conferiva ad essa una forza espansiva dirompente, in quanto il suo messaggio e il nucleo vitale del suo credo, fondato sulla moralità dell'amore universale, sull'importanza della carità, sulla parità delle creature e sulla speranza del regno celeste, potevano essere intesi e recepiti facilmente da individui di ogni classe, razza e cultura. Di per sé, il Cristianesimo non costituiva una forza eversiva dello Stato, finché al credente era richiesto di dare il suo contributo come cittadino; tuttavia, era una potenziale minaccia per l'Impero, in quanto i valori etico-religiosi prefiguravano e, entro certi limiti, rendevano attuabile la possibilità di un'esistenza al di fuori dell'Impero stesso. A ciò si aggiunga che l'ampia diffusione dei culti di origine orientale, in particolar modo del Mitraismo, dei culti misterici, delle sette orfico-pitagoriche e della filosofia platonizzante produceva un atteggiamento antagonistico nei confronti dei cristiani; inoltre, molti cittadini romani, pur disposti a condividerne alcuni insegnamenti morali, mostravano un'incomprensione profonda per il Cristianesimo: infatti, risultava assolutamente incomprensibile, per la cultura greco-romana, basare l'intera vita spirituale su un fatto tanto irrazionale come la fede in un Uomo-Dio e riconoscere nella breve esistenza di Gesù di Nazareth un evento rivoluzionario per l'intera storia umana. Del resto, il disprezzo mostrato dai cristiani per i valori morali che avevano sorretto la civiltà pagana (l'onore, la gloria, l'impegno civile, la saggezza, l'amore per la conoscenza, per l'arte e per la bellezza) li rendevano ostili alla maggioranza dei cittadini, inasprendo ancora di più le difficoltà del contatto. Né il fenomeno, in continua espansione, poteva essere circoscritto e combattuto dalle autorità, sia perché si insinuava in tutti gli strati della società, sia perché i cristiani si sottraevano con la morte all'obbedienza imposta alla legge e alla tradizione di R. Questo complesso insieme di motivi determinò lentamente i presupposti per le persecuzioni dei cristiani: volute da molti imperatori, soprattutto per motivi di ordine pubblico, esse furono attuate certamente con una crudeltà e uno zelo fino ad allora estraneo alla mentalità romana, ma la cui reale entità venne anche talora amplificata, a scopo edificante, dall'apologetica cristiana. Ciò nonostante, R. non riuscì ad annientare la nuova Chiesa, per la sua capacità di penetrazione e per la sua strenua resistenza, che si manifestò in tutte le forme, dal sacrificio dei martiri (testimoni della fede) all'operato di quanti, pur piegandosi all'autorità, mantenevano una forte riserva interiore: la Chiesa continuò quindi ad ampliarsi e a organizzarsi in forme concrete. Inoltre, l'esperienza nata dalle dispute interne fra i sostenitori del martirio e i fautori della resistenza passiva la rese sempre più consapevole delle proprie inesauribili risorse e dei limiti del paganesimo e dell'Impero, avviandola a diventare una forza anche politica, con la quale fu necessario per le autorità confrontarsi. Da parte sua, lo Stato poté comprendere quale forza poteva rappresentare, nei momenti di crisi, l'appoggio della Chiesa cristiana; perciò, con il passare del tempo, le classi dirigenti dell'Impero e le gerarchie della Chiesa cristiana compresero che l'atteggiamento migliore e più conveniente per entrambe fosse quello di minimizzare i contrasti per raggiungere un più utile compromesso. Non è certo casuale il fatto che Costantino, il primo imperatore a legittimare definitivamente il Cristianesimo come religione di R., abbia tentato di utilizzare la forza dell'elemento cristiano per i suoi obiettivi politici, rivendicando in un secondo momento alla figura dell'imperatore l'autorità di mediatore e arbitro dei contrasti sorti all'interno della Chiesa. Da Settimio Severo all'ascesa di Diocleziano (193-284): la storia di R. nel III sec. fu caratterizzata da momenti di profonda crisi militare, sociale e politica: infatti, l'esplosione delle forze barbariche (tribù germaniche a Occidente e Parti a Oriente) mise a dura prova le difese dell'Impero, che del resto versava, al suo interno, in una grave situazione di disagio e di instabilità, travagliato dall'impossibilità di trovare un'adeguata soluzione ai crescenti problemi di governo e alla crisi economica e sociale, generata dalla decadenza delle classi dirigenti tradizionali. L'aumento delle spese di governo causò il deprezzamento della moneta e portò a un sistema di requisizioni e di lavoro obbligatorio, nonché alla parziale introduzione dei pagamenti in natura. Di fronte alla continua minaccia delle invasioni e al sempre più oneroso gravame fiscale, le classi inferiori decaddero a condizioni di fatto servili, fatto questo che produsse spesso disordini e rivolte. La complessa struttura sociale preesistente si andò lentamente cristallizzando in caste ereditarie, mentre le attività economiche, soprattutto in Occidente, conoscevano una quasi completa paralisi: le aree coltivate e le dimensioni delle città si ridussero, mentre sul piano sociale si creò una profonda frattura della popolazione fra gli honestiores, detentori del potere, e gli humiliores, asserviti e senza difesa alcuna. Nello stesso periodo, sul piano politico si verificò la definitiva estromissione dal potere della classe senatoria: con Settimio Severo la Monarchia assunse un carattere nettamente militare; poco tempo dopo, durante il Regno di Caro (282-83), fu data forma giuridica all'autocrazia, in quanto l'imperatore, acclamato dall'esercito, abolì la condizione formale della ratifica senatoria dell'elezione. Sotto Settimio Severo (193-211) R. conobbe ancora un periodo di relativa pace; le frontiere furono consolidate e le province furono ben amministrate, anche se si dovette rinunciare alla Scozia, che fu evacuata. Ma già durante il Regno del figlio Caracalla (211-17), che con l'editto del 212 (Constitutio Antoniniana) conferì la cittadinanza romana a tutti gli abitanti dell'Impero, abolendo ogni distinzione fra Italici e provinciali, si verificarono incursioni di Goti e Alamanni presso la frontiera danubiana. Dopo il breve Regno di Macrino (217-18), il potere passò a Eliogabalo (218-22), famigerato per gli eccessi, la corruzione morale e la tirannide, e quindi ad Alessandro Severo (222-35), che cercò invano di ripristinare l'ordine nell'Impero, finendo anch'egli, come i suoi predecessori, ucciso in una congiura. Seguirono 50 anni di anarchia militare, durante i quali R. giunse quasi al tracollo, mentre sul versante orientale si rafforzava la potenza militare e politica dei Parti per opera della dinastia persiana dei Sasanidi. A R. gli imperatori iniziarono a susseguirsi in rapida successione, eletti e affossati dagli eserciti: Massimino il Trace (235-38), Gordiano I e Gordiano II (238), Pupieno e Balbino (238), Gordiano III (238-44), Filippo l'Arabo (244-49), Decio (249-51), Emiliano (253) e Valeriano (253-60). Durante il Regno di quest'ultimo i Parti sferrarono l'attacco contro R., occupando la Siria, invadendo l'Asia Minore e prendendo prigioniero l'imperatore stesso (259), prima di essere finalmente bloccati dall'esercito romano. In Occidente, nel 260-68, il pretendente Postumo fondò un Impero nell'Impero, governando autonomamente per più di 10 anni le Gallie, la Spagna e la Britannia. La crisi fu acuita da altre invasioni di Franchi sul basso Reno, di Goti nei Balcani e nell'Egeo, di Alamanni in Italia settentrionale. Il figlio e successore di Valeriano, Gallieno (253-68), pur dovendo lottare contro una schiera di pretendenti rivali, riuscì a evitare il crollo definitivo dell'Impero, che fu poi rafforzato dai suoi successori, gli imperatori illirici Claudio II il Gotico (268-70) e Aureliano (270-75), che aumentò le difese di R. circondandola di una nuova possente cerchia di mura fortificate. Alla sua morte, tuttavia, l'Impero cadde nuovamente in uno stato di totale anarchia, nel quale il potere veniva confusamente controllato ed esercitato dai militari, che si arrogarono l'elezione degli imperatori: Tacito (275-76), Floriano (276), Probo (276-82), Caro (282-83), Carino e Numeriano (283-84). Infine, emerse la forte personalità di Diocleziano, che mantenne il potere per 20 anni (284-305) e sotto il quale l'Impero giunse alla metamorfosi definitiva. ║ Da Diocleziano a Costantino (284-337): i secc. IV e V furono segnati da importanti eventi e da mutamenti epocali per la storia di R. e dell'Occidente latino: il Cristianesimo, a lungo combattuto dagli imperatori, divenne infine la religione dell'Impero, e R. stessa fu elevata a centro della cristianità. Le invasioni delle popolazioni barbariche a Nord e a Oriente costrinsero R. a uno sforzo difensivo immane e destinato, almeno in Occidente, al fallimento; l'intero apparato burocratico, politico e militare dell'Impero subì una radicale trasformazione con la divisione fra Impero d'Occidente e Impero d'Oriente, con l'affermazione della Monarchia assoluta, con l'irrigidimento del sistema amministrativo secondo una struttura gerarchica piramidale. Sul piano militare, alle lotte interne per il potere si aggiunse in misura sempre più elevata l'aumento delle guerre esterne, rese necessarie dalla pressione dei popoli barbarici alle frontiere, con conseguenti ingenti spese per il mantenimento degli eserciti; ciò determinò da un lato il fenomeno dell'imbarbarimento delle legioni, a causa dell'arruolamento di truppe mercenarie reclutate fra i barbari stessi, e dall'altro lo stanziamento all'interno dei confini dell'Impero di tribù barbariche, cui le autorità romane cedevano la terra per garantire ai territori di frontiera una maggiore stabilità. Sul piano politico-religioso, il crollo del principato, che fondava la legittimità sull'approvazione senatoria, indusse gli imperatori a trovare un'altra base legale del loro potere, raggiunto per volontà dell'esercito: si rafforzò allora l'idea del monarca come rappresentante dell'autorità divina. Già Aureliano si era presentato come dominus et deus per volontà del Sole Invitto, culto di origine persiana; Diocleziano si ricollegò a Giove, mentre Costantino, con l'assunzione del Cristianesimo a religione dell'Impero, rafforzò il suo potere come rappresentante sacro di Dio in terra: non soltanto le questioni teologiche divennero materia su cui gli imperatori dovevano pronunciarsi, ma fu anche introdotto un cerimoniale di corte in cui la persona dell'imperatore, adorna di attributi simbolico-religiosi (diadema, porpora e oro), imponeva la prostrazione a chi era ammesso alla sua presenza. In tal modo, cessate dopo Diocleziano le persecuzioni, il rapporto con la Chiesa si trasformò in problema politico e ad essa fu riconosciuto un posto essenziale nella società romana. Il primato di R. come centro del Cristianesimo divenne presto indiscusso in Occidente e il processo di cristianizzazione si inserì nei grandi movimenti barbarici; più problematico fu invece in Oriente, benché si ammettesse la supremazia del pontefice di R. Sul piano sociale, inoltre, l'insicurezza dei confini e l'esposizione sempre più grave al rischio delle incursioni barbariche favorirono l'acuirsi di manifestazioni di rivolta, come i frequenti episodi di fuga e ribellione dei servi che si schierarono con i barbari. Non di rado anche le classi agiate provinciali, sulle quali gravavano oneri fiscali molto pesanti, preferivano il compromesso coi barbari all'obbedienza agli amministratori imperiali; si può quindi rilevare un rapporto profondo tra l'aspetto violento della decadenza dell'Impero e l'aspetto più silenzioso e nascosto della trasformazione sociale e culturale. Dalla morte di Aureliano (275) all'avvento di Diocleziano (284) la crisi interna dell'Impero maturò attraverso guerre civili ed esterne, fino a trovare in Diocleziano un risolutore che, con la metamorfosi profonda delle strutture, rinnovò e conferì una nuova forza all'Impero. Pochi imperatori incarnarono, come Diocleziano, una tanto rigida volontà di ordine e di stabilità. Per garantire la protezione dei territori controllati da R. e una successione senza lotte civili, egli divise l'Impero in due parti, d'Occidente e d'Oriente, e con esso anche il potere imperiale. Instaurò infatti il sistema della tetrarchia, con il quale il supremo titolo imperiale si trovò ripartito tra due Augusti, Diocleziano stesso e Massimiano (286-305), e due Cesari (Galerio e Costanzo), a loro subordinati e destinati a esserne i successori. Per quanto il sistema tetrarchico non risolvesse del tutto il problema delle lotte per il potere, certamente disciplinò il sistema di elezione dell'imperatore e introdusse il principio della collegialità della carica più alta, che fu poi formalizzato da Teodosio. D'altra parte, Diocleziano iniziò una vasta riforma dell'amministrazione e dell'esercito che fu poi continuata da Costantino. In primo luogo, egli intuì la necessità, determinata dalle guerre continue e dai pericoli causati dalla contemporanea pressione dei barbari su confini anche molto lontani fra loro, di trasferire dal centro alla periferia la sede dell'autorità imperiale: nonostante il suo vivo senso della romanità e della latinità, abbandonò R., e spostò la propria sede stabile a Nicomedia di Bitinia. Del resto, città come Treviri o Milano andavano svolgendo un ruolo sempre più importante, divenendo quasi vere e proprie capitali di fatto. In secondo luogo, Diocleziano separò le cariche militari da quelle civili e riformò profondamente l'amministrazione provinciale in base al principio della capillarità: il numero delle province fu portato a 70 e quindi a 116; esse furono quindi raggruppate in diocesi e queste in prefetture, dando così luogo a una struttura rigidamente piramidale, al cui vertice stava la suprema autorità imperiale articolata in Augusti e Cesari. I motivi di tale divisione capillare dell'amministrazione erano di natura sia finanziaria sia difensiva. Infatti, l'economia ormai da un secolo era in piena crisi, con la svalutazione quasi totale della moneta e il ritorno sempre più frequente allo scambio in natura, e Diocleziano tentò di risollevarla attraverso vari provvedimenti, come l'editto calmiere dei prezzi (301), che non ebbero però risultati duraturi. Decisiva per la storia della società antica e medioevale fu infine il tentativo di impedire la disgregazione della struttura sociale esistente attraverso l'irrigidimento del sistema, attuato con l'obbligo dell'ereditarietà delle professioni e legando i contadini alla terra mediante l'istituzione della servitù della gleba. ║ Costantino e la fine dell'Impero romano d'Occidente (306-476): nel 305 Diocleziano depose volontariamente il potere, ritirandosi a vita privata. Nonostante il sistema della tetrarchia, seguirono nuove guerre civili: in Oriente fra Licinio (308-23) e Massimino (308-13), conclusasi con la temporanea vittoria di Licinio nel 313; in Occidente fra Costantino e Massenzio, il quale fu sconfitto nel 312 a Ponte Milvio. Nel 314 e nel 324 Costantino sconfisse Licinio, riunendo nuovamente nella sua persona l'autorità imperiale d'Occidente e d'Oriente. Lo stesso Costantino (306-37), oltre a ripristinare l'unità politica nell'Impero, vi favorì l'affermarsi di una nuova unità spirituale, nel nome del riconoscimento ufficiale della religione cristiana, che aveva da tempo ottenuto di fatto un'ampia affermazione. Infatti, con l'Editto di Milano (313) e con la convocazione del Concilio di Arles (314) e del grande Concilio di Nicea (325), l'imperatore, che pure aderì al Cristianesimo solo in punto di morte, fu il fondatore di un nuovo Impero cristiano. Tale situazione diede origine al fondamentale problema della reciproca determinazione dei rapporti tra Chiesa e Impero, che Costantino affrontò con abili soluzioni, le quali però nella sostanza adombravano già il futuro cesaropapismo, concezione del supremo potere religioso dell'imperatore che dominò per secoli nella storia dell'Impero d'Oriente. Oltre a perfezionare l'ordinamento dioclezianeo, Costantino approntò una nuova sistemazione dell'amministrazione centrale, aumentando gli uffici di corte e limitando le prerogative dei funzionari più elevati, che costituivano i comitatenses dell'imperatore. La finanza dell'Impero fu risollevata con il solidus aureo, moneta forte che resistette bene alla svalutazione, mentre gli ecclesiastici, esponenti della Chiesa cristiana, per la prima volta ebbero funzioni giudiziarie: con quest'ultima misura era ormai compiuta la definitiva trasformazione dell'edificio politico-giuridico dell'antica R. Il Regno di Costantino ebbe inoltre un'importanza decisiva per la storia di R. come città e come centro politico e spirituale: nel 330, infatti, egli trasferì ufficialmente la sede imperiale da R. a Bisanzio, cui mutò il nome in Costantinopoli. La R. d'Oriente fu scelta per la sua posizione geografica e strategica al crocevia di Asia ed Europa e acquisì immediatamente un'importanza primaria, sostituendo in tutto, in primo luogo con la creazione di un Senato alternativo a quello romano, l'antica capitale: a R. tuttavia fu comunque riconosciuto il primato su tutte le città dell'Impero, compresa la stessa Costantinopoli. La progressiva accentuazione della contrapposizione, prima di fatto, poi anche di diritto, tra Oriente e Occidente contribuì non poco al rapido declino di quel carattere ecumenico di R., che l'aveva resa una città senza rivali nel mondo. Infatti, R. conobbe una progressiva decadenza come centro politico: solo nel Medioevo, grazie all'operato dei pontefici, riuscì a riacquistare un ruolo fondamentale, non più come capitale di un Impero ma come città santa per eccellenza del mondo cristiano. Ma intanto, fra IV e V sec., a quello politico fece seguito il declino economico, urbanistico e demografico di R.; in particolare nel V sec. la città dovette subire il saccheggio dei Goti di Alarico (410) e dei Vandali di Genserico (455). Alla morte di Costantino, nel 337, seguirono nuove lotte per la successione; l'Impero fu poi conquistato da Costanzo II (337-61), che riunì tutto il potere nelle sue mani e chiamò a parteciparvi il cugino Giuliano. Morto Costanzo II, Giuliano (360-63) divenne unico imperatore e si adoperò per la difesa del confine del Reno. Passato alla storia come "apostata" e restauratore del paganesimo, Giuliano era uno spirito illuminato e si era dedicato in gioventù a studi filosofici: nelle sue intenzioni, il ritorno alla religione pagana tradizionale avrebbe ridato coesione e forza all'Impero e avrebbe sottratto il potere imperiale, che Costantino aveva caricato di responsabilità religiose, alle violente lotte dottrinali che già travagliavano la Chiesa cristiana. Giuliano, tuttavia, non ordinò mai persecuzioni contro i cristiani, limitandosi a restaurare la parità del culto pagano con quello cristiano; il suo tentativo di restaurazione si rivelò però fallimentare, poiché l'antica religione era stata ormai soppiantata dalla nuova in quasi tutto l'Impero. I suoi successori Valentiniano I (364-75) e Valente (364-78), rispettivamente in Occidente e in Oriente, ritornarono a una politica favorevole ai cristiani e si sforzarono di migliorare lo stato di estrema depressione in cui erano precipitate le classi inferiori. Ma il tracollo era prossimo: Valente fu il primo degli imperatori il cui esercito venne distrutto dai barbari, ed egli stesso rimase ucciso nella battaglia di Adrianopoli (378), in cui l'irruenza militare delle orde dei Visigoti, sospinte dalla pressione degli Unni, ebbe la meglio sulla disciplina dell'esercito di R. Graziano (367-83), figlio e successore di Valentiniano I, associò al trono un valente generale, Teodosio (379-95), il quale, dopo un complicato intrico politico di imperatori eletti e deposti, riuscì a mantenere nelle proprie mani il potere. Al suo Regno risale lo stanziamento ufficiale, come federati, dei Goti entro i confini dell'Impero e il loro arruolamento nell'esercito. In tal modo l'imbarbarimento progressivo dell'Impero assunse un nuovo carattere, diventando una penetrazione legittima dei popoli germanici all'interno dei confini e favorendo la loro ascesa fino ai più alti comandi militari. Teodosio, dotato di grandi capacità personali, riuscì a controllare gli eventi e a imporre all'Impero un indirizzo politico e religioso unitario; ma già alla sua morte l'unità risultò compromessa dai figli Arcadio, cui toccò la parte orientale, e Onorio (395-423), cui toccò quella occidentale: essi, in teoria colleghi al governo di un unico Stato, erano in realtà monarchi con pari diritti di due Regni distinti, d'Oriente e d'Occidente, e dal 395 le sorti delle due parti dell'Impero romano si divisero definitivamente. In Oriente l'Impero bizantino sopravvisse fino alla conquista di Costantinopoli da parte dei Turchi nel 1453; grazie all'inespugnabile capitale, alle riserve militari offerte dai popoli dell'Asia Minore e a una struttura amministrativa complessa ed efficiente, esso riuscì infatti a resistere alle pressioni di Persiani, Unni, e più tardi di Avari, Bulgari e Arabi. Nei suoi territori prevalsero la lingua e la cultura greche, ma vi furono anche prodotti due dei massimi monumenti del diritto romano, i codici di Teodosio II e di Giustiniano. In Occidente, per contro, prevalsero i capi e gli eserciti barbarici: Onorio fu sotto la tutela di Stilicone, grande e ambizioso generale, che protesse l'Italia dai Goti ed esercitò di fatto il potere imperiale. I Goti intanto, dopo la morte del loro capo Alarico e dopo un lungo periodo di scorrerie e di saccheggi, si stanziarono come federati in Aquitania. Dopo Onorio, il trono imperiale fu infine assicurato a Valentiniano III (425-55), mentre l'Impero era sempre più preda delle orde barbariche. Ezio, generale a capo delle forze occidentali, riuscì a fermare e sconfiggere gli Unni di Attila, la cui minaccia continuò comunque a gravare a lungo sull'Italia. I Vandali di Genserico invasero la Spagna e passarono quindi in Africa, dove fondarono un Regno autonomo, dotandosi di una flotta in grado di contestare a quella romana il dominio del Mediterraneo. La fine di Ezio e Valentiniano III coincise con il precipitare rapido della situazione dell'Impero d'Occidente: fra il 455 e il 474 si succedettero rapidamente sul trono numerosi imperatori (Petronio Massimo, Avito, Maggioriano, Libio Severo, Antemio, Olibrio, Glicerio), che tuttavia avevano un potere solo nominale, in quanto quello effettivo era esercitato dai generali barbarici. Nel 475 il generale Oreste depose l'imperatore Giulio Nepote, sostituendogli il proprio figlio Romolo, detto Augustolo. Nel 476 un altro generale, il barbaro Odoacre, fu acclamato re dalle truppe barbariche stanziate in Italia; deposto Romolo, rinviate a Costantinopoli le insegne imperiali, Odoacre ricevette il titolo di patrizio romano: come tale, e come re degli Eruli, governò l'Italia. L'Impero romano sopravviveva ancora, perché formalmente l'autorità imperiale tornava all'Augusto d'Oriente: tuttavia, si trattava di un dominio puramente nominale, poiché gli imperatori d'Oriente non avevano né le forze militari, né la volontà effettiva di intervenire direttamente negli affari occidentali. Per questo, benché Odoacre e dopo di lui Teodorico (493-526), fondatore del Regno ostrogoto in Italia, riconoscessero l'autorità dell'imperatore d'Oriente, il 476 è tradizionalmente considerato la data conclusiva della storia romana. Quanto a R., già da tempo essa aveva perso il ruolo di capitale ed era tornata a essere una qualunque città d'Italia: tuttavia, la gloria dei suoi monumenti e il ricordo della grandezza del suo passato, così come le testimonianze del suo primato religioso, sopravvissero nei secoli, tanto che nell'800 il fondatore del Sacro Romano Impero, Carlo Magno, sentì l'esigenza di legittimare il suo potere, erede dell'Impero d'Occidente, facendosi incoronare proprio a R. Medioevo: già prima della deposizione di Romolo Augustolo (476), l'antico splendore di R. sembrava definitivamente perduto: le invasioni e i saccheggi dei barbari avevano devastato gran parte dei suoi edifici monumentali; gli abitanti, in costante diminuzione, lasciavano la periferia e si ammassavano al centro dell'Urbe; le massime magistrature avevano abbandonato la capitale, rivelatasi tutt'altro che sicura, per trasferirsi altrove, per lo più a Milano e a Ravenna; il Senato, divenuto un mero organo amministrativo, rivelava tutta la sua impotenza a garantire una vita civile ed economica dignitosa. Ciò nondimeno, alla progressiva e inesorabile decadenza della R. imperiale si contrapponeva la crescita della R. cristiana e, con essa, del Papato la cui potenza, non più solo religiosa ma anche e soprattutto politica, era rivelata dall'importanza che assumeva l'elezione del nuovo pontefice, spesso causa di violenti conflitti tra forze e interessi contrapposti. La cruenta guerra gotico-bizantina si abbatté in modo rovinoso su molte città italiane, ma fu particolarmente disastrosa per R., che venne ripetutamente conquistata e perduta dai due avversari. Nel corso della dominazione bizantina, che pure voleva imprimere alla città un'impronta orientaleggiante (le chiese e le località assunsero nomi bizantini e, così pure, sia la classe dirigente sia i papi furono di origine bizantina o, comunque, orientale e siriaca), R. riuscì a mantenere il carattere di città sacra e il pontefice la qualifica di suprema autorità cittadina. Tra la fine del VI e l'inizio del VII sec. si impose all'attenzione di tutti la figura di papa Gregorio Magno che, pur senza scontrarsi direttamente con i Bizantini, si sostituì ad essi e riuscì a sopperire alle più elementari necessità civili e militari della cittadinanza. Nella seconda metà del VII sec., in seguito allo scisma monotelita, i legami tra R. e Bisanzio vennero irrimediabilmente spezzati: se con Gregorio II si concludeva la lunga sequela dei papi orientali, la rottura definitiva avvenne con l'imperatore Leone II l'Isaurico che, oltre all'editto fiscale, impose severe misure iconoclastiche. Tutta l'Italia bizantina, così, si ribellò al potere imperiale e promosse la costituzione a R. di un governo autonomo, guidato dal patrizio e duca Stefano, con il compito di amministrare sia la città sia il ducato (la linea politica adottata fu dichiaratamente filopapale). Di questa situazione di crisi cercarono di approfittare i Longobardi di Liutprando, ma il papa, appellandosi ora ai Bizantini, ora ai duchi longobardi di Spoleto e di Benevento (che non riconoscevano l'autorità di Liutprando), ora ai Franchi, riuscì a impedire che il ducato romano cadesse nelle mani dei barbari. Parallelamente al pericolo esterno, R. doveva affrontare anche l'altrettanto pericolosa minaccia interna rappresentata dall'aristocrazia locale, che aspirava a fare del Pontificato un proprio dominio e che, quindi, insorse con tumulti e violenze quando Pipino, re dei Franchi, venne nominato patrizio (il titolo comportava, infatti, il diritto a partecipare attivamente alle decisioni religiose e amministrative della città). Fu proprio grazie all'appoggio del re franco Carlo che Adriano I riuscì a neutralizzare la permanente minaccia longobarda: non solo le mura e il sistema difensivo di R. vennero rafforzati con risorse materiali e umane, ma venne apprestata anche una più efficiente milizia, la familia sancti Petri. Oltre a ciò, Carlo fece ampie concessioni al Papato, accordandogli sia i territori sottratti all'Esarcato di Ravenna sia un ampliamento della sua giurisdizione territoriale, e in più di un'occasione intervenne a sostenere il pontefice contro l'aristocrazia in rivolta. In cambio, tuttavia, la Constitutio romana dell'824, voluta da Lotario, prevedeva la ratifica imperiale dell'elezione papale, nonché l'invio dei cosiddetti missi carolingi con il compito di gestire, direttamente o indirettamente, l'amministrazione della città. In seguito alla rapida decadenza dei Franchi, R. si vide esposta al pericolo saraceno prima (celebri lo sbarco alle foci del Tevere, la facile vittoria sulle milizie cittadine e il saccheggio di San Pietro e San Paolo) e a quello longobardo dopo (specie quando il duca di Spoleto fu, per un certo periodo, padrone del Pontificato). A partire dall'inizio del X sec., tuttavia, tutto il potere si concentrò nelle mani di Teofilatto, che riuscì a liberare definitivamente la città dai Saraceni (915). Alla sua morte, gli successe la figlia Marozia, che sposò il re Ugo di Provenza e, forte dell'appoggio della nobiltà romana, investì il figlio Alberico del titolo di princeps Romanorum, ponendolo a capo di un principato personale. Un figlio di quest'ultimo, Ottaviano, divenne papa con il nome di Giovanni XIII. Successivamente, con Ottone I e la sua politica ecclesiastica, che prevedeva la sistematica ingerenza dell'imperatore nell'organismo religioso, il Papato tornò sotto il potere imperiale. L'aristocrazia romana, tuttavia, non si arrese e per 50 anni, guidata dalla potente famiglia dei Crescenzi, cercò di riconquistare il dominio della città. La lotta fu sempre più accanita finché, alla morte di Ottone III, crollò definitivamente il sogno romano-cristiano della restauratio Imperii e il potere passò dalla famiglia dei Crescenzi a quella dei Tuscolo (1012) che, nonostante contrasti con le famiglie rivali, lo mantenne per un trentennio. Di lì a poco, comparvero sulla scena politica nuovi ceti e nuovi casati che, schierandosi apertamente dalla parte del movimento riformatore, ne sostennero l'idea di base che poggiava sulla convinzione dell'indipendenza della Chiesa dall'Impero; le vecchie casate nobiliari, invece, rinnovarono la loro fedeltà all'Impero. Fu in questo scenario che si collocarono le vicende della lotta delle investiture, che videro Enrico IV assediare a più riprese la città (1081-82), impadronirsene, costringere il papa a cercare rifugio in Castel Sant'Angelo e divenire, infine, signore di R. con il titolo di patrizio. Solamente un esercito normanno, capeggiato da Roberto il Guiscardo, riuscì a liberare la città che, tuttavia, fu sottoposta a un feroce saccheggio, mentre gli abitanti che tentarono di ribellarsi ai nuovi invasori vennero deportati o uccisi senza pietà. R., così, rimase in balia delle varie fazioni nobiliari, in eterna lotta fra loro. Solo nel 1144 il popolo, incitato dalla parola di Arnaldo da Brescia, ebbe la meglio e poté dar vita a un governo da cui venne del tutto estromesso il dominio papale. L'esperienza comunale non durò a lungo; ciò a causa soprattutto dell'assenza in R. di fiorenti attività commerciali e artigianali che, altrove, costituirono la base imprescindibile di ogni reggimento simile a quello romano. Fu così che nel 1188 il Comune accettò ufficialmente di sottomettersi al Papato, stipulando con Clemente III un accordo che stabiliva una certa distinzione tra potere civile e religioso e il riconoscimento legale del Senato, pur vincolato a investitura da parte del pontefice e ben presto oggetto di feroci dispute tra le varie casate nobiliari. Andò incontro alla medesima sorte anche il successivo tentativo di governo signorile su base popolare, ugualmente ostacolato dagli interessi conflittuali delle grandi famiglie: troppo stretti e complessi, infatti, erano gli interessi che legavano l'aristocrazia romana alla Santa Sede, perché si potesse proseguire in questa direzione. Ciò nondimeno, tra la seconda metà del XIII e l'inizio del XIV sec., a R. si affermò nuovamente il Comune che, in questa nuova fase, si impegnò nell'espansione territoriale contro i Comuni minori e i signori feudali e cercò, altresì, di porre un freno alle ingerenze della Chiesa nel governo della città; il titolo di senatore venne disputato non più soltanto fra i signori locali, ma anche tra i sovrani e i principi stranieri. Infine, a cominciare da Niccolò III (1277-80), un Orsini, tutte le principali cariche pubbliche vennero assegnate al papa e, quindi, alle grandi famiglie della città (Orsini, Colonna, Savelli, Annibaldi, Caetani), i cui membri venivano alternativamente investiti della suprema autorità religiosa. Dopo il pontificato di Bonifacio VIII (1294-1303), che risollevò per qualche anno il prestigio artistico e culturale di R., il trasferimento della corte papale ad Avignone precipitò R. nell'anarchia e nella miseria e vani furono i numerosi tentativi di convincere il papa a far ritorno nella capitale della cristianità, nonostante l'offerta di rimettere nelle sue mani tutte le cariche pubbliche. Su questo sfondo ebbe luogo e fallì il tentativo di Cola di Rienzo di restaurare nella città un Impero rinnovato: costretto a fuggire nel 1347 e tornato poi come senatore nel 1354, trovò la morte in un tumulto a opera di quello stesso popolo che egli intendeva liberare dal disagio economico e dalla stanchezza. Seguirono anni di miseria in cui si susseguirono senza tregua la peste del 1348, il terremoto del 1349, le inesorabili guerre tra fazioni contrapposte e il rovinoso banditismo nelle campagne. L'ordine fu ricostituito solamente quando il papa Innocenzo VI affidò il compito di riconquistare e riappacificare R. ad Egidio di Albornoz, il quale riuscì nel suo intento facendo qualche concessione, più formale che sostanziale, alle aspirazioni popolari: l'istituzione di un consiglio di popolani a coadiuvare l'attività del senatore, l'emanazione di uno statuto dichiaratamente avverso ai magnati, nonché l'approvazione delle Costituzioni egidiane che, disciplinando i rapporti tra governo pontificio e poteri locali e determinando i criteri istituzionali dell'organismo governato dal papa, parvero garantire un periodo di relativa tranquillità. Nonostante ciò, la crisi provocata dalla fuga del pontefice ad Avignone non poté considerarsi conclusa. Fu Gregorio XI, alfine, che nel 1377 si decise a far ritorno a R.; dopo la morte di lui, tuttavia, temendo che il suo successore si rifugiasse nuovamente ad Avignone, il popolo insorse con tumulti e violenze e costrinse il conclave riunito a eleggere un papa romano. Cominciò così il grande scisma d'Occidente, poiché ad Urbano VI, nominato a R., i cardinali francesi, convenuti a Fondi, opposero Clemente VII. Quando successe a Urbano VI (1389), Bonifacio IX ereditò una situazione quanto mai difficile da gestire, ma riuscì in breve tempo a ristabilire il controllo. Dopo aver concesso al Comune un vitalizio in cambio del reciproco sostegno, fece ricorso alla minaccia di non far ritorno a R. per riacquistare una qualche influenza nell'amministrazione della città. In seguito, furono le continue lotte tra le due fazioni contrapposte degli Orsini e dei Colonna che condussero alla definitiva capitolazione del Comune: nel 1398, infatti, minacciati dal condottiero Paolo Orsini di Firenze, i medesimi partiti affidarono la città nelle mani di Bonifacio IX. Alla morte del pontefice, il Comune recuperò parte della libertà perduta finché, quando gli Orsini e i Colonna ricominciarono le ostilità e il nuovo papa Innocenzo VII si appellò al re di Napoli, Ladislao di Durazzo, quest'ultimo si impadronì della città e la mantenne in suo potere fino alla morte (1414). Di nuovo teatro di violenze, R. venne infine ricondotta all'obbedienza a opera di Martino V, eletto papa nel Concilio di Costanza (1417). ║ Rinascimento: il pontificato di Martino, ponendo termine al grande scisma, inaugurò un lungo periodo di pace nel corso del quale il pontefice promosse un consistente processo di ripresa economica, amministrativa e culturale, avviandosi a fare di R. la capitale dello Stato della Chiesa, il simbolo visibile del potere del Papato. Parallelamente, Martino V abbracciò la politica delle limitazioni delle libertà municipali, trasformandosi in sovrano assoluto e distribuendo ai membri della sua famiglia, a titolo di feudo, vasti territori. Ebbe origine in questo modo il grande nepotismo del Papato rinascimentale che, divenuto ben presto costume e istituzione, alimentò le ambizioni dei grandi casati gentilizi (Colonna, Orsini, Sforza, Della Rovere, Borgia), da sempre in lotta per l'influenza nella Curia. Fu proprio in seguito alle rivalità fra le famiglie dei potenti, in parte alimentate anche dai Colonna, che nel 1434 risorse il Comune, mentre Eugenio IV, successore di Martino, fu costretto alla fuga. Di lì a poco, tuttavia, l'intervento del vescovo di Recanati Giovanni Vitelleschi consentì al papa di tornare a R. dove, nonostante il nepotismo e la crescente mondanizzazione della Chiesa, cominciò un periodo in cui la vita politica si svolse tranquilla e ordinata sotto il dominio assoluto del Papato, a eccezione di sporadiche turbolenze connesse per lo più a crisi politiche esterne. Papi come Niccolò V, Pio II, Sisto IV e Paolo II si preoccuparono anche dell'opera di ricostruzione edilizia, urbanistica e civile di R. che, tra la fine del XV e il principio del XVI sec., era già divenuta una delle più belle città del mondo, con una popolazione in continuo aumento e personalità del calibro di P. Bracciolini, F. Filelfo, il cardinale Bessarione, L.B. Alberti, Michelangelo e Raffaello. A partire dalla seconda metà del XVI sec., gli ideali della Controriforma cominciarono ad affermarsi anche a R.: lo splendore rinascimentale e, con esso, la costosa attività edilizia e artistica si attenuarono e agli stessi pontefici venne imposto di condurre una vita meno sfarzosa e una politica meno avventurosa e più attenta, per converso, alle esigenze della popolazione. Tuttavia, se l'ordine pubblico e la sicurezza civile vennero meglio garantiti, anche attraverso un'energica repressione del brigantaggio che imperversava nelle campagne, l'atmosfera della Controriforma impose un pesante conformismo e un irrigidimento del principio di autorità, soprattutto in campo religioso. ║ Seicento e Settecento: il contrasto fra l'estrema agiatezza della nobiltà e la miseria in cui versava gran parte della popolazione determinò a R. una serie di provvedimenti, con cui si intendevano fronteggiare i quotidiani disordini, per lo più connessi all'aumento dei prezzi (compreso quello del pane) e al brigantaggio che dilagava nelle campagne. Verso la fine del XVI sec., così, si accentuò la tendenza a rafforzare il potere centrale (celebre fu la bolla Pro commissa nobis di Clemente VII, del 1592), anche a costo di danneggiare gli interessi dei signorotti locali. Con Alessandro VII Chigi, la grave situazione finanziaria, cui si era cercato di porre un rimedio agli inizi del XVII sec. tramite l'indebitamento pubblico, si fece ancor più preoccupante, poiché ad essa si aggiunsero la decadenza dell'agricoltura e l'inarrestabile aumento del debito pubblico, non controbilanciato quest'ultimo da un parallelo aumento del reddito. Neppure la riforma finanziaria, varata di lì a poco, ebbe successo: le entrate venivano destinate quasi interamente alla monumentale attività edilizia promossa da Alessandro VII e alle esorbitanti spese di amministrazione. Fu così che, nell'ambito del governo civile di R., si profilò nuovamente l'intervento della Curia che, ridotto il Senato a istituzione poco più che formale, restaurò la propria autorità e, con essa, l'antico nepotismo. Parallelamente alle preoccupazioni mondane del pontefice, così, tornarono alla ribalta anche le ambizioni delle grandi casate aristocratiche (Ludovisi, Borghese, Barberini, Pamphili) che, come per tacita convenzione, si alternarono al potere. Dilagarono, allora, il disordine, la venalità, l'oppressione fiscale e la malversazione laddove, tuttavia, la concentrazione della ricchezza in poche mani, e principalmente nella famiglia pontificia di turno, consentì il grandioso mecenatismo e la magnificenza edilizia di R. che, nonostante la crescente miseria politica ed economica dello Stato pontificio, continuava a costituire la meta privilegiata di molti stranieri, dotti, artisti o avventurieri, diretti in Italia. Risalgono proprio a quest'epoca, del resto, il soggiorno romano di Cristina, ex regina di Svezia, e il suo salotto, che diedero origine alla fondazione di un'accademia dalla quale sboccerà, verso la fine del secolo, la celebre Arcadia. Nel corso del XVIII sec., lo Stato della Chiesa, per scelta di neutralità, rimase escluso dai grandi eventi politici, sia italiani sia europei, coinvolgendo nel proprio isolamento la stessa R. Anche il rinnovato mecenatismo di Pio VI, che sembrò voler restaurare lo splendore del Rinascimento e del Barocco, non fu che un guizzo immediatamente spento dall'imminente minaccia rivoluzionaria. Preannunciate dai numerosi emigrati che diffusero a R. le notizie sugli eventi di Francia, le idee rivoluzionarie conquistarono ben presto anche i giovani e i ceti più irrequieti della borghesia romana, a opera soprattutto di propagandisti ed emissari giacobini che operavano con il beneplacito delle logge massoniche e la protezione dell'ambasciata francese. Già nel 1793, in seguito a un attentato in cui trovò la morte il diplomatico francese N.-J.-H. de Bassville, colpevole di aver ostentato emblemi rivoluzionari, la Francia decise di interrompere ogni relazione diplomatica con lo Stato pontificio. Nel 1797, dopo che la gendarmeria pontificia ebbe ucciso il generale Duphot in un tumulto, un esercito francese avanzò dalla Cisalpina su R.: protetta dalle baionette francesi, la sparuta pattuglia dei giacobini locali proclamò dal Campidoglio la Repubblica romana, costringendo Pio VI a riparare a Firenze. La Costituzione della Repubblica, ispirata a quella francese del 1795, prevedeva l'istituzione di un Tribunato, di un Senato e di un Governo, quest'ultimo retto da un Consolato di cinque membri e da alcuni ministri; nella realtà dei fatti, tuttavia, le sorti della nascente Repubblica rimasero nelle mani dei Francesi. Ben presto, le ruberie e le prepotenze commesse dai patrioti e dall'esercito liberatore provocarono vari tentativi di rivolta, sia in città sia nelle campagne. Inizialmente represse con ferocia, le insurrezioni dei popolani, unitamente allo scarso seguito dei giacobini locali, accelerarono la fine dell'esperienza repubblicana. ║ Dalla fine del Settecento al 1849: la Rivoluzione francese e le vicende napoleoniche investirono anche lo Stato pontificio. Nonostante l'energico tentativo effettuato dal nuovo papa Pio VII di ristabilire l'ordine, le idee giacobine non scomparvero del tutto e tornarono, anzi, alla ribalta nel 1809, anno in cui R. era nuovamente in balia dei Francesi. L'impegno riformatore di questi ultimi non valse a conquistare la simpatia dei Romani e, specialmente nelle campagne, non mancarono insurrezioni e rivolte. In seguito alla caduta di Napoleone, Pio VII fece ritorno in città (1815) e avviò l'opera di restaurazione che, inizialmente blanda, si fece poi più rigida, specie con papa Leone XIII (1823). Tra i cittadini, tuttavia, presero a circolare le prime concrete idee di libertà, non solo fra la borghesia, ma anche fra le famiglie patrizie e il popolo; ciò a opera soprattutto della Carboneria i cui uomini, nel 1825, cominciarono a essere puniti con la morte in nome dei loro ideali rivoluzionari. Fu così che, nei primi anni del suo pontificato (1831-46), Gregorio XVI si trovò a dover affrontare una rivoluzione che, scoppiata nelle province settentrionali (specialmente in Romagna), minacciava di estendersi anche altrove. A Gregorio XVI successe Pio IX; erano gli anni in cui il pensiero di V. Gioberti, illustrato nel Primato morale e civile degli Italiani, sembrava capace di contemperare le aspirazioni liberali e patriottiche con i sentimenti cattolici e Pio IX apparve agli occhi di tutti il possibile artefice di tale conciliazione. Spinto dall'entusiasmo popolare, il pontefice si avviò ben presto sulla strada delle riforme: rinnegando secoli di esclusiva partecipazione ecclesiastica al governo dello Stato pontificio, istituì un ministero al quale anche i laici potevano aver parte; creò una Consulta di Stato, la cui nomina spettava alle amministrazioni provinciali; costituì la Guardia civica; concesse una modesta libertà di stampa. La concessione della Costituzione (marzo 1848), alla quale infine il pontefice fu costretto, rivelò le insuperabili contraddizioni tra il principio teocratico e il regime costituzionale: alle due Camere rappresentative era sottratta la competenza sulle questioni ecclesiastiche, sulle materie cosiddette miste, sulla politica estera e su gran parte delle finanze, tutti ambiti di esclusiva competenza del Concistoro dei cardinali. Infine, l'allocuzione del 29 aprile 1848, con cui Pio IX dichiarò che non era in suo potere, come capo della cristianità, dichiarare guerra all'Austria cattolica, rivelò inequivocabilmente l'impossibilità che la Chiesa si ponesse a capo delle forze liberali. Gli stessi ministri laici che si alternarono alla guida del Governo (M. Minghetti, T. Mamiani, E. Fabbri, P. Rossi) non furono liberi di operare, sottoposti com'erano alle contrarie pressioni dei reazionari da una parte e delle forze democratiche dall'altra. Dopo l'uccisione di P. Rossi, seguì un periodo confuso che si concluse soltanto con la proclamazione della Repubblica romana. ║ La Repubblica romana del 1849: in seguito alla fuga di Pio IX a Gaeta, la Giunta provvisoria di Governo convocò un'Assemblea Costituente che dichiarò ufficialmente decaduto il Governo temporale e proclamò la Repubblica (9 febbraio 1849). Il Comitato esecutivo nominato di lì a poco avviò subito un'imponente opera di riforme: vennero aboliti i tribunali ecclesiastici, quello del Sant'Offizio, la censura sulla stampa e la giurisdizione dei vescovi sulle scuole e le università, mentre con un decreto si statuì che i beni ecclesiastici divenissero proprietà nazionale (una successiva legge agraria ne stabilì poi la ripartizione fra i contadini). Di fronte all'imponente minaccia delle forze dell'Europa cattolica (Francia, Spagna, Austria e truppe napoletane) fu nominato un triumvirato costituito da G. Mazzini, C. Armellini e A. Saffi, cui vennero conferiti pieni poteri, e si fece ricorso alla Guardia Nazionale. Questi provvedimenti, tuttavia, non valsero a salvare la debole Repubblica che, nonostante la strenua difesa della popolazione e di numerosi volontari accorsi da ogni parte della penisola, fu costretta a cedere: il 3 luglio l'Assemblea Costituente decise la resa e il 31 luglio tornò al governo della città un triumvirato nominato da Pio IX. ║ La fine dello Stato pontificio: questa vittoria non valse, tuttavia, a mutare la sorte cui lo Stato pontificio era destinato. Il successo dei Piemontesi nella seconda guerra d'Indipendenza (1859) riaccese le speranze dei patrioti monarchici e repubblicani che, privilegiando ormai la soluzione unitaria sotto l'egida dei Savoia, si impegnarono a indebolire ulteriormente il Governo pontificio provocando incidenti e attentati (uno di questi, nel 1867, fornì il pretesto per la celebre azione garibaldina di Mentana). In questi anni turbinosi, gli ultimi dello Stato della Chiesa, le grandi famiglie patrizie (Doria, Borgese, Torlonia, Caetani) non rinunciarono, tuttavia, a condurre una vivace vita intellettuale e mondana. Persino il fervore edilizio ebbe una ripresa con Pio IX, benché la situazione generale non consentisse più di realizzare opere realmente grandiose e dispendiose. ║ R. capitale d'Italia: con la presa di R. (1870) cominciò un nuovo periodo per la vita della città, ormai capitale di uno Stato moderno. Unitamente a varie iniziative volte a garantire la pianificazione dell'assetto territoriale, fu avviato un crescente sviluppo urbano, che portò alla costruzione di nuovi edifici, anche pubblici; numerosi palazzi già esistenti, inoltre, furono sapientemente adattati perché accogliessero la complessa macchina politica e burocratica del nuovo Regno d'Italia. Durante il periodo fascista, venne approvato un nuovo piano regolatore (1931) che impostò il problema edilizio e lo sviluppo urbanistico romano con il duplice proposito di sopperire adeguatamente alle necessità proprie di una metropoli moderna e di continuare la grande tradizione della R. dei Cesari e dei papi rinascimentali. Ancora centro di vita politica durante il breve Governo Badoglio, subito dopo la firma dell'armistizio con gli Anglo-Americani (8 settembre 1943), la città venne abbandonata dalla corte e dal Governo. In seguito alla sottoscrizione delle clausole della tregua a Frascati (10 settembre 1943), R. fu costituita città aperta e posta sotto il comando del generale Calvi di Bergolo. Quando i Tedeschi si impadronirono di R., i patrioti seppero organizzare un'intensa attività clandestina antifascista che non si lasciò mai intimidire, neppure di fronte a episodi quanto mai drammatici (si pensi all'uccisione alle Fosse Ardeatine di 335 cittadini, in massima parte Ebrei, come punizione per l'eccidio di 32 militari germanici in via Rasella). Liberata dagli Anglo-Americani il 4 giugno 1944, R. fu governata per un breve periodo da un'amministrazione militare alleata finché, il 15 agosto, tornò a essere la sede del legittimo Governo italiano. Nel 1946 la città, capitale della nuova Repubblica, ospitò la Costituente italiana. Per quanto concerne l'anima politica dei cittadini romani, negli anni compresi fra il 1870 e la prima guerra mondiale, forti si mantennero a R. le tradizioni politiche del 1849, di origine mazziniana e repubblicana, che ressero più volte il comune. Accanto a questa R., che trovava ormai nelle sue funzioni di sede della Monarchia e di capitale un nuovo equilibrio politico-sociale, sopravviveva la R. pontificia, che veniva a mano a mano adeguandosi ai tempi, con la sempre maggiore partecipazione dei cattolici alla vita del nuovo Stato. Questo processo di progressiva apertura alle forze cattoliche si arrestò durante la dittatura fascista, che volle dare a R. una fisionomia imperiale. Tuttavia, con il ritorno della libertà, dopo la seconda guerra mondiale, la vera natura di R. e della sua cittadinanza poté manifestarsi, concretandosi in una forte maggioranza relativa dell'elettorato cattolico e moderato; forti si mantennero comunque le minoranze comuniste e socialiste.
Le mura di Roma in età repubblicana

Roma e il Lazio nei primi secoli della fondazione dell'Urbe

L'Impero Romano

Espansione dell'Impero Romano

La diffusione del Cristianesimo nell'Impero Romano


ASSEDI E BATTAGLIE

Sacco di R. del 455: Genserico, re dei Vandali, aveva stabilito il cuore del proprio Regno nei territori dell'antica Africa proconsolare, che avevano vitale importanza per i rifornimenti dell'annona dell'Impero d'Occidente. Allo scopo di prevenire velleità di riconquista da parte degli imperatori romani, egli decise di portare la propria offensiva militare in Italia e contro la stessa R., cogliendo l'occasione della morte, quasi contemporanea, del generale Ezio (454) e dell'imperatore Valentiniano III (455) per sbarcare all'improvviso sulle coste del Lazio. La carenza di truppe in difesa dell'antica capitale imperiale, cinta per 19 km dal perimetro delle mura aureliane, consentì una resistenza di soli tre giorni, dopo i quali R. cedette all'assedio. La città fu saccheggiata per 14 giorni: papa Leone I aveva tuttavia ottenuto da Genserico che R. non fosse data alle fiamme, che la popolazione non venisse massacrata e che, infine, fossero rispettate le basiliche degli Apostoli. Il bottino dei vincitori fu comunque ingente: il Foro romano, il Palatino e il Campidoglio, ogni tempio e ogni palazzo furono metodicamente depredati di ogni ricchezza, mentre un gran numero di personaggi illustri fu fatto prigioniero al fine di ottenere il pagamento di ingenti riscatti da parte delle famiglie. ║ Assedi della guerra gotico-bizantina: durante la guerra (535-553) combattuta tra Goti e Bizantini per il controllo della penisola italiana, il re goto Vitige decise nel 536 di lasciare R. alle forze preponderanti di Belisario per riunire tutte le sue truppe a Ravenna. Radunato il suo esercito, Vitige puntò alla riconquista della capitale: tagliò le condotte degli acquedotti e la cinse d'assedio, attaccando le mura aureliane con macchine da guerra. Tuttavia la disparità di armamento tra le truppe barbare e quelle greche e la possibilità per Belisario di ricevere rinforzi via mare resero vana la campagna di Vitige, che si risolse in una serie di piccoli scontri. Nel marzo del 538, dopo un anno e pochi giorni di assedio, Vitige fu costretto a ritirarsi da R., dal momento che i Bizantini minacciavano Ravenna via mare. Nel 545, assente Belisario dall'Italia, Totila, nuovo re dei Goti, approntò un nuovo blocco della città, sia per terra sia per mare, riuscendo infine a entrare in R. e, in segno di vittoria, facendo abbattere un terzo della cinta di mura. Il suo successo ebbe però breve durata: desiderando condurre una trattativa con Belisario, Vitige uscì da R. alla volta della Campania per avviare i negoziati, ma il generale bizantino ne approfittò per marciare su R. e riconquistarla, restaurando in una ventina di giorni il tratto di mura distrutte da Totila. Solo nel 550 i Goti ripresero la città, sempre durante un'assenza di Belisario: dopo sei mesi di assedio, Totila conquistò R., provvedendo a una sua completa fortificazione e mantenendovi la residenza e la guarnigione armata. ║ Presa e sacco di R. del 1527: nel corso della guerra combattuta tra Carlo V e Francesco I in territorio italiano, il duca Carlo di Borbone (che era stato in precedenza conestabile per il re francese ma era poi passato al servizio dell'imperatore spagnolo) condusse nell'aprile 1527 le sue truppe mercenarie alla volta di R., alleata della Francia, approfittando di un momento di divisione tra le forze della lega di Cognac. Papa Clemente VII affidò la difesa della città a Renzo di Ceri, che riuscì a raccogliere solo 4.000 archibugieri da contrapporre a un esercito assai più numeroso, sperando tuttavia su un aiuto tempestivo da parte dell'esercito della lega. Il 6 maggio, il duca di Borbone condusse l'assalto decisivo per la presa della città, durante il quale però perse la vita. Le truppe spagnole e i lanzichenecchi tedeschi saccheggiarono R. con ferocia, mentre il papa riusciva a rifugiarsi a stento in Castel Sant'Angelo, grazie al sacrificio di molte fra le sue guardie svizzere. ║ Occupazione francese del 1798: la napoleonica campagna d'Italia del 1796-97 terminò con la pace di Tolentino, che ridusse notevolmente i territori sottoposti alla giurisdizione pontificia. Il generale francese L. Duphot, tuttavia, proseguiva in R. una propaganda per la sollevazione contro il Governo papale, a causa della quale fu ucciso dalle milizie pontificie. In risposta a ciò, il generale Berthier mosse dalla Cisalpina con un esercito contro la città: le truppe repubblicane occuparono l'Urbe, mentre il papa ne fuggiva e veniva proclamata la Repubblica romana. ║ Attacco e assedio del 1849: il 28 febbraio 1849 il generale francese N.-Ch.-V. Oudinot mosse alla volta di R. con 6.000 uomini, allo scopo di abbattere il neocostituito Governo repubblicano. La difesa della città, condotta da 10.000 uomini al comando di Garibaldi, si organizzò intorno al caposaldo del Gianicolo. Il primo attacco, sferrato da Oudinot il 30 aprile, fu respinto dal tiro incrociato dei difensori che costrinsero le truppe francesi a ripiegare su Civitavecchia. Raccolte forze assai più numerose (30.000 uomini, 3.000 effettivi di cavalleria e 76 pezzi di artiglieria), Oudinot riprese il 1° giugno l'attacco alla città: la superiorità nel numero, nell'equipaggiamento e nell'armamento fu decisiva. Nel corso di circa un mese di combattimenti, cui parteciparono larghi strati della popolazione romana, i Francesi occuparono le postazioni strategiche di villa Pamphili e villa Corsini, per contrastare la difesa sul Gianicolo, aprirono brecce nei bastioni centrali e assaltarono in più punti le mura aureliane (a Villa Spada, villa Savorelli, ecc.). Solo il 30 giugno Oudinot poté ordinare l'assalto finale alla città, ma le sue truppe entrarono in R. tre giorni più tardi, dopo che fu stipulata una tregua. ║ La presa di R. nel 1870: lo scoppio della guerra franco-prussiana del 1870 contribuì a creare lo scenario internazionale adatto perché il Governo italiano risolvesse di imperio l'annosa questione romana (V.). Fallita ancora una volta la via diplomatica con la Santa Sede, l'11 settembre il generale Cadorna ricevette l'ordine di passare i confini del residuo Stato pontificio e di impadronirsi di R. Forte di ben 60.000 uomini, che avrebbero dovuto scoraggiare l'idea di una resistenza armata da parte del pontefice, Cadorna si adoperò ancora in trattative con il comandante in capo dei soldati pontifici Kanzler: il 20 settembre diede tuttavia l'ordine di attacco, col preciso vincolo che fossero rispettati la Città leonina, Castel Sant'Angelo, il Monte Vaticano e il Gianicolo. I combattimenti si concentrarono soprattutto nel tratto di mura compreso tra Porta Salaria e Porta Pia da dove, aperta una breccia con l'ausilio dell'artiglieria, penetrarono in città i bersaglieri. Il generale Kanzler consegnò R. alle truppe italiane, fatta salva la Città leonina. ║ Marcia su R.: evento di natura insurrezionale che rappresentò il culmine della fase squadrista e movimentista del Fascismo e ne segnò l'ascesa al potere e la trasformazione in partito totalitario da identificare con lo Stato. L'intento di marciare sulla capitale, già programmato da B. Mussolini ai primi di ottobre, fu da quest'ultimo ammesso più volte e pubblicamente annunciato in un discorso tenuto a Napoli il 24. L'attacco ebbe luogo il 28 ottobre 1922, dopo che le squadre fasciste armate, coordinate da un comando con sede a Perugia, erano confluite a Santa Marinella, Monterotondo e Tivoli. Le guidava un quadrunvirato costituito da I. Balbo, E. De Bono, C.M. De Vecchi e M. Bianchi. Il re rifiutò di firmare il decreto di stato d'assedio per la città, sottopostogli dall'allora presidente del Consiglio L. Facta, preferendo convocare Mussolini per affidargli l'incarico di costituire un nuovo Governo. Vittorio Emanuele credeva, forse, di potere in questo modo riportare entro l'alveo dello Stato monarchico-liberale il fenomeno fascista, utilizzandolo ai propri scopi in chiave antiprogressista: con il suo gesto, in realtà, consegnò senza colpo ferire l'Italia a una dittatura ventennale. ║ R. occupata dai Tedeschi (8-10 settembre 1943): dopo la firma dell'armistizio fra l'Italia e gli Anglo-Americani (8 settembre 1943), il re e i membri del Governo Badoglio erano fuggiti da R. senza lasciare alcuna direttiva, mentre lo sbarco alleato, che avrebbe dovuto avvenire nei pressi della capitale, ebbe invece luogo nella regione di Salerno, lasciando la città esposta alla ritorsione dei Tedeschi. La difesa di R. rimase affidata a quattro divisioni (Granatieri, Piave, Ariete e Centauri), cui però si aggiunsero durante i combattimenti numerosi civili volontari. Gli scontri con le truppe tedesche cominciarono l'8 settembre stesso, e si svolsero principalmente tra la città e il mare, mentre il grosso delle truppe italiane era stato schierato verso Nord, da dove ci si attendeva l'attacco più massiccio. Anche per questa ragione la situazione diventò presto insostenibile, spingendo il generale Calvi di Bergolo a firmare una tregua d'armi a Frascati, sede del comando Kesselring, che costituiva R. città aperta sotto il suo comando. In breve, tuttavia, R. passò sotto il completo controllo delle truppe naziste di occupazione. ║ La liberazione di R. nel 1944: dopo lo sbarco di Anzio (22 gennaio 1944) e la battaglia di Cassino (1° febbraio-20 marzo 1944), gli Alleati organizzarono nuovamente le forze per liberare l'Italia centrale e R. dall'occupazione nazista. Conquistate le posizioni di Formia (18 maggio) e Terracina (24 maggio), dovettero cedere in un primo momento all'armata del generale Mackensen; in seguito, però, occupati il Monte Artemisio, il Maschio di Lariano e Velletri, resero malsicuro per i Tedeschi l'anfiteatro dei Colli laziali. I nazisti evacuarono R. il 3 giugno, defluendo lungo la via Cassia e Aurelia, mentre le truppe statunitensi entrarono in città il 4 giugno da porta San Giovanni, facendo di R. la prima capitale d'Europa liberata.

RELIGIONE

La comprensione della dimensione religiosa del mondo romano, vista nella sua complessità e nel suo sviluppo diacronico, si è resa possibile solo nel corso del XIX sec., grazie all'impostazione storica e filologica introdotta in questo campo di studi da R.H. Klausen, J.A. Hartung, J.A. Ambrosch, L. Preller. I maggiori progressi si devono tuttavia a Th. Mommsen e a G. Wissowa, che per primi tracciarono con certezza la distinzione tra religione greca e religione romana; infine le indagini, tra gli altri, di G. Dumézil e di J.G. Frazer provarono come la storia religiosa di R. avesse le sue fonti in epoche antichissime, da un lato di matrice indoeuropea, dall'altro di natura autoctona. ║ Età arcaica, monarchica e repubblicana: carattere fondamentale dell'esperienza religiosa romana, fin dai tempi più antichi, fu il suo aspetto eminentemente pubblico. Il concetto di sacralità si fondava su due coppie di antitesi tra loro complementari: sacro/profano e pubblico/privato, che definivano la specificità delle due sfere esistenziali, che noi definiremmo religiosa e civile, senza peraltro operare alcuna cesura tra esse; il religioso confluiva nel civile che, specularmente, da esso non poteva prescindere. La proporzione per cui il sacro stava al profano come il pubblico al privato rappresentava una sorta di definizione cosmologica, che ordinava la totalità dello Stato romano. Ogni atto ufficiale, che fosse religioso o giuridico, del singolo o della collettività, traeva il proprio valore e la propria efficacia dal rispetto del rito: era la corretta procedura a garantire all'agire un carattere significativo e non arbitrario, a connetterlo con l'agire della comunità e degli altri membri della medesima. A questo scopo, ogni atto "rituale" (nel senso testé spiegato) era accuratamente registrato in annali, atti, memoriali, ecc. (spesso ad opera di apposite figure sacerdotali, V. OLTRE): tale operazione svolgeva una duplice funzione culturale. Da un lato, per il fatto stesso di registrare un dato sottraendolo all'oblio e alla stretta contingenza, mitizzava l'evento storico, dal più grande al più minuto, conferendogli un valore extrastorico; dall'altro, dando un contesto storicistico a rimanenze di un antico patrimonio mitico originale, storicizzava il mito, conservando quanto si avvertiva come ancora significativo per la concezione che la città aveva di sé ("demitizzazione romana", secondo la definizione di C. Kock). Da siffatto processo risultò, ad esempio, la fitta trama di leggende che avvolge il passato più remoto della romanità: Romolo e Remo, Orazio Coclite, il ratto delle Sabine, Orazi e Curiazi, ecc. Non deve perciò stupire che manchi alla fase arcaica romana, prima che venisse mutuata tanta parte del patrimonio religioso dell'Ellade, l'elaborazione mitologica (V. MITO), la ricerca cosmogonica (V. COSMOGONIA) e teogonica così largamente testimoniate in tutte le religione antiche: il rapporto inscindibile tra sacro e profano, infatti, contrastava la percezione di una cesura del tempo, tra un "prima" sacro e un "dopo" profano, annullando l'esigenza di ancorare il valore del divenire storico a un momento atemporale, che eternamente riaccade (appunto, mitico). La comunità arcaica, del resto, non era incline alla rappresentazione antropomorfica della divinità, che fu introdotta forse durante la dominazione etrusca: il divino era percepito come numen, cioè manifestazione di volontà e potenza divina ma non personale e comunque di un'entità non definita o definibile. Tale carattere mantennero, al riparo dall'evoluzione della dimensione pubblica, le divinità del culto privato e domestico. Lari e Penati erano entità divine indistinte, preposte rispettivamente allo spazio concreto della vita privata, la casa, e alla protezione della famiglia, mentre gli dei manes rappresentavano le forze vitali dei defunti che, dissolti come individui, permanevano come pluralità di forze e poteri benefici. ║ La tradizione attribuisce al re Numa Pompilio l'istituzione di numerosi elementi della religiosità pubblica; le fonti in nostro possesso, ad esempio un calendario della seconda metà del VI sec. a.C., confermano che a quell'epoca la vita civile della città era scandita mediante l'assunzione del tempo religioso da parte dell'autorità (divisione dell'anno in giorni fasti e nefasti e comiziali, feste collegate ai cicli dell'agricoltura ma anche alla stagione utile alle campagne militari, ecc.). A un'originaria coincidenza di ruoli, politico e religioso, nella persona del re, seguì una più pragmatica partizione delle funzioni, con la creazione dei collegi sacerdotali, che rappresentarono l'elemento di più alta originalità dell'evoluzione religiosa nell'antica R. Primo per importanza era il collegio dei pontefici, costituito da 6, poi 9 e infine 16 elementi, cui era preposto un pontifex maximus; parte integrante del collegio erano anche il rex sacrorum, i 15 flamini e le 6 vestali; alcune funzioni, in origine proprie dei pontefici, furono affidate ad altri corpi sacerdotali appositamente istituiti: i XV viri sacris faciundis e gli auguri mutuarono la funzione divinatoria, i VII epulones provvedevano allo svolgimento, due volte all'anno, di un banchetto sacro a Giove. Mentre l'azione sacerdotale nei collegi era esercitata in permanenza, i membri di quattro sodalitates operavano solo in precise cerimonie annuali (i Lupercii, in marzo, i Salii, in marzo, gli Arvali, in maggio) o in occasioni specifiche (i Feziali, per la firma di trattati o per le dichiarazioni di guerra). Una ricostruzione attendibile del pantheon (di origini italiche, con debiti verso Etruschi, Marsi, Lanuvi, Sabini, ecc. ) di età monarchico-repubblicana è resa possibile in primo luogo dalla lista dei flamini, ciascuno dei quali era addetto al culto di una precisa divinità: i 12 minori erano relativi ad altrettanti dei, di cui ci sono noti nove nomi (Carmenta, Cerere, Falacer, Flora, Furrina, Pomona, Portuno, Volturno, Vulcano), i tre maggiori erano quelli di Giove (il flamen Dialis, un sorta di doppione del rex sacrorum), Marte e Quirino. Secondo lo studioso di cultura indoeuropea G. Dumézil (che espose le sue tesi in molti saggi, tra cui citiamo Iuppiter, Mars, Quirinus, 1941), la triade maggiore sarebbe espressione di una partizione funzionale (sovranità ieratico-religiosa, forza fisica, fecondità) ugualmente presente in tutte le religioni e le strutture sociali di ascendenza indoeuropea (Giunone attesta un concetto di complementarità femminile alla triade maggiore quale sposa di Giove, come prova la presenza in età arcaica di una flaminica speculare al flamen Dialis). Questi tre dei formavano comunque l'ossatura del pantheon arcaico insieme a Giano e Vesta, divinità in rapporto dialettico tra loro. Giano era personificazione dell'apertura e della disponibilità alla trasformazione, mentre Vesta era garante del limite; o ancora, l'uno era connesso alla contingenza e l'altra alla necessità: Giano stava agli inizi e Vesta alla fine di un atto. Il pantheon si completava con un'altra serie di divinità minori in parte desumibili dai calendari (Nettuno, Saturno, Termino, ecc.). Col passare del tempo molte di queste figure, più o meno definite, scomparvero perché non necessarie alla struttura permanente dello Stato, altre furono identificate con divinità elleniche assumendone in parte i caratteri (Vulcano-Efesto; Nettuno-Poseidone, ecc.), altre ancora giunsero in fasi successive a maggior importanza e ad un culto pubblico (Diana, Venere, Minerva, Cerere, ecc.). Dopo una primitiva sistemazione cultuale, elementi di innovazione furono conseguenti alla politica egemonica di R. nella regione, tra il VI e il V sec. a.C. Nell'anno 509 a.C., secondo la tradizione, fu proclamata la Repubblica e dedicato il tempio capitolino a Giove Ottimo Massimo: funzionalmente tale divinità non corrispondeva al Giove arcaico, e infatti era affiancato, in una nuova triade, da Giunone Regina e Minerva. Parallelamente veniva istituito il culto di Diana sull'Aventino: in entrambi i casi si trattava di una sottrazione, da parte della città egemone, di due culti che erano stati propri e comuni a tutta la lega latina, originariamente riferiti a Giove Laziare sul Monte Albano e a Diana Nemorense (da nemus, il bosco sacro a lei dedicato) presso Ariccia. Ancora una volta l'aspetto religioso sanzionava quanto realizzato sul piano storico, esprimendo nella sovranità del dio assunto entro le mura della città l'egemonia della città stessa. In seguito molti altri culti ufficiali furono introdotti: a partire dal 493 a.C. la plebe cittadina venerò sull'Aventino Cerere, unitamente ai figli Libero e Libera (poi identificati rispettivamente con Demetra, Dioniso e Persefone). In opposizione a tale culto, distintivo dei plebei, i patrizi importarono la divinità frigia Cibele, destinataria di riti misterici concorrenziali a quelli di Demetra-Cerere e Dioniso-Libero; con l'epiteto di Mater deum Idaea, inoltre, si diffondeva il mito dell'origine troiana di R. e si poteva considerare la stessa Cibele come essenzialmente interna alla più antica tradizione romana. Molte altre divinità elleniche trovarono spazio in R.: Ercole, che perse il suo carattere eroico, cioè semidivino, per attingere lo status di vera e propria divinità; Mercurio, Apollo e i Dioscuri, fortemente romanizzati; nel 293 a.C. venne fondato il primo santuario di Esculapio, che diventò luogo di guarigioni, come i suoi omologhi in Grecia. Non mancarono di svilupparsi, inoltre, figure di divinità schiettamente locali, quali Venere e Fortuna. La sostanziale disomogeneità del pantheon romano fu accresciuta nel corso del II sec. a.C. dalla pratica dell'evocatio, in base alla quale le divinità dei popoli vinti trovavano posto nei culti cittadini, secondo una tolleranza e una capacità di assimilazione che costituiscono forse il tratto di maggior distinzione della religiosità in R. Lo Stato, infatti, pur avocandosi il controllo e la gestione della religione ufficiale, non interveniva nell'ambito della sfera privata, non era uno "Stato etico" interessato alle scelte individuali: suo interesse era mantenere il controllo dei fenomeni sociali e salvaguardare l'ordine pubblico e politico, unico motivo per cui poteva talvolta proibire o regolamentare culti particolari (un esempio in questo senso è il celeberrimo senatus consultum de bacchanalibus del 186 a.C., che interdiva le cerimonie dionisiache, operando anche una sanguinosa repressione degli adepti). In un tale contesto il momento religioso privato restava per lo più nell'alveo dei culti tradizionali e conservatori dei Lari e dei Penati, mentre la dimensione pubblica veniva esercitata dal singolo cittadino da un lato come gesto di lealtà nei confronti dello Stato, dall'altro come diritto di cittadinanza, usufruendo dei servizi sacerdotali e partecipando della dimensione metastorica della res publica. ║ Età imperiale: già l'ultima fase repubblicana aveva registrato un'involuzione della partecipazione alla religione ufficiale, percepita come mera formalità di natura più laica e politica che spirituale, sia da parte delle classi colte e degli intellettuali, volti in prevalenza alla filosofia ellenistica, sia da parte delle classi popolari che vedevano irrisolti i loro bisogni esistenziali. Questa condizione favorì l'enorme diffusione di cui godettero in età imperiale le religioni orientali e misteriche, già attestate da un documento del 43 a.C. che consentiva la costruzione di un tempio dedicato a Iside. Il secondo elemento innovativo di quest'epoca fu l'introduzione del culto imperiale, che sconfessò la diuturna tradizione repubblicana che aveva rifuggito il culto della personalità. Suo immediato antecedente fu la divinizzazione post mortem di Cesare, di cui Augusto era figlio adottivo: forte di tale adozione, il primo imperatore assunse una serie di cariche sacerdotali e sacre, favorendo una percezione della sua persona come coincidente con il cuore politico e religioso di R. stessa e introducendo in tal modo la possibilità di essere destinatario diretto di culto. In Occidente e con l'aristocrazia senatoria, le cose furono condotte con particolare prudenza (associazione del nome di Augusto a nozioni religiose e alla personalizzazione di R., introduzione dell'entità soprannaturale del genius Augusti, ecc.), mentre nelle province orientali, culturalmente più favorevoli alla venerazione diretta del sovrano, il culto attecchì subito, organizzato e diretto da un apposito collegio sacerdotale e sostenuto da una distorsione propagandistica per cui la particolare devozione della gens Iulia alla dea Venere veniva connessa alla discendenza da quella divinità. Il culto imperiale si evolse variamente nei secoli, fino alla teocrazia di Diocleziano, preceduta dall'identificazione dell'imperatore con il Sole voluta da Aureliano. Benché vitale più in Oriente che in Occidente, tuttavia il culto imperiale risultò omogeneo alla tradizione romana: l'imperatore rappresentava lo Stato e il culto a lui destinato esprimeva la stessa lealtà allo Stato prima implicita nel culto capitolino. Le religioni orientali avevano convissuto con quella pubblica e ufficiale nei primi secoli dell'Impero, perpetuando la tradizione romana di tolleranza e sincretismo religioso: particolarmente diffusi erano i culti di Mitra (divinità uranica diurna, identificata presto con il Sole), di Iside (caratterizzato dal messaggio fortemente iniziatico), di Attis, ecc., ma nel corso del III sec. d.C. particolarmente rilevanti furono il fenomeno cristiano, neoplatonico e gnostico che proponevano risposte ai medesimi bisogni religiosi ed esistenziali. Rispetto ai misteri e ai culti orientali la religione pubblica romana esercitò il massimo della propria capacità di assimilazione e di trasformazione sincretistica (si pensi all'Editto di Caracalla che equiparò tutti i culti romani e stranieri): solo l'Ebraismo (per il suo rigido monoteismo) e il Cristianesimo rimasero esclusi da questo processo. Quest'ultimo poneva, oltre ai problemi di ordine sociale impliciti nell'organizzazione interclassista, del resto condivisi da molte altre esperienze, la negazione senza compromesso del culto degli imperatori e di altri dei. Da ciò innanzi tutto furono causate le dure persecuzioni decise da alcuni imperatori, culminate in quelle di Decio (251). Solo nel 313 l'Editto di Costantino riconobbe liceità al Cristianesimo che, nel 391, quando Teodosio proibì i sacrifici pagani, divenne a sua volta religione di Stato. Il paganesimo (da pagus: capanna) sopravvisse a lungo nelle campagne e tra i membri dell'aristocrazia senatoria, ma aveva definitivamente perso il carattere simbiotico con la dimensione politica dell'Impero, in ciò sostituito per molti versi dalla nuova religione.

POPOLAZIONE

Per la prima volta, nella storia postunitaria, con il censimento del 1991 è stato registrato un calo di popolazione nella città di R.: si è infatti passati, dai 2.782.000 abitanti del 1971, ai 2.515.951 di quell'anno. Oltre a ciò, a partire dai primi anni Settanta, la popolazione residente ha dimostrato una tendenza allo spostamento dal centro alle periferie, fatto che ha determinato un rapido processo di invecchiamento demografico nel centro storico in cui, peraltro, prevalgono le sedi di attività terziarie e direzionali con una progressiva riduzione della funzione residenziale e un ricambio della popolazione assai lento. Omogeneo allo spostamento verso le periferie è l'abbandono dell'area urbana a favore dei centri di provincia; le motivazioni sono varie: congestione del centro cittadino, carenza dei trasporti, aumento del costo della vita, rigidità del mercato immobiliare, sviluppo socio-economico dei comuni circostanti. I caratteri demografici della popolazione romana, considerata nel suo complesso, non si discostano in genere, dalla media nazionale: tassi di natalità e di mortalità prossimi al 9‰, nuclei familiari costituiti da meno di tre componenti, crescita del tasso di invecchiamento e di femminilizzazione.

URBANISTICA

A dispetto del significativo calo di popolazione registrato nell'ultimo decennio, la crescita edilizia di R. è stata continua, tanto che l'estensione della superficie urbanizzata risulta ormai superiore a un quarto rispetto a quella dell'intero comune. Causa dell'incremento urbanistico non è solo la domanda di alloggi, ma soprattutto il fenomeno della riconversione funzionale da residenziale a terziaria e direzionale. Nella sua progressiva espansione la città si è estesa sia sul Gianicolo, sul colle Vaticano, a Monte Mario, alla destra del Tevere, sia lungo le direttrici della via Flaminia, Cassia, Aurelia, Nomentana, Appia, Tiburtina e Casilina, come pure verso i Colli Albani (dei quali ormai ha raggiunto le pendici) e verso il mare, specialmente in direzione del Lido di Ostia, intorno al quale gravita il quartiere dell'EUR. Nel complesso, se si escludono poche aree minori non edificate (come quelle tra le vie Appia e Pontina o tra la Portuense e l'Aurelia), il territorio compreso entro il grande raccordo anulare risulta completamente urbanizzato; dal suo perimetro si dipartono, lungo le principali vie di comunicazione, zone edificate che conferiscono all'assetto urbano una caratteristica forma a stella. Nuovi quartieri periferici (le cosiddette borgate), hanno risposto alle esigenze abitative dei grandi flussi migratori, negli anni Sessanta e Settanta, provenienti dalle regioni meridionali. Tuttavia, in particolare dal dopoguerra in poi, l'edilizia ha avuto uno sviluppo privo di controlli, a macchia d'olio, spesso al limite dell'illecito o recuperato alla legalità mediante lo strumento del condono. Per tale ragione, dalla fine degli anni Settanta, le forze politiche cittadine si sono confrontate in merito al problema della pianificazione urbanistica, questione resa sempre più pressante dall'aggravarsi della congestione del traffico cittadino, dei tassi di inquinamento sia atmosferico sia acustico. L'obiettivo di una riqualificazione urbana ha imposto vari interventi di recupero e restauro degli edifici nell'area del centro storico, mentre alcune zone pericentrali sono state trasformate in veri e propri quartieri residenziali, spesso ambiti dalla popolazione in virtù di determinate qualità ambientali, come la posizione elevata (sulle alture dei Parioli, di Monte Mario, del Gianicolo) o l'abbondanza di verde (nei quartieri Salario, Trieste, Nomentano); diverse aree periferiche, infine, si sono evolute in comprensori residenziali, razionalmente organizzati e muniti di servizi autonomi. Degni di nota sono anche i progetti del parco dell'Appia Antica e del Sistema Direzionale Orientale (SDO): il primo finalizzato a proteggere l'area archeologica e ad assicurare la presenza di verde pubblico all'interno di un'area fortemente urbanizzata; il secondo destinato a ospitare gli insediamenti direzionali, attualmente localizzati per lo più nel centro storico e nelle immediate vicinanze. I principali ostacoli alla realizzazione di questi e di altri interventi sono costituiti dalla scarsità dei fondi a disposizione dell'amministrazione comunale, nonché dalla forte opposizione della proprietà fondiaria. Va tuttavia sottolineato che, nonostante lo sviluppo recente abbia mutato completamente il volto della città, conferendole l'aspetto di una grande e moderna metropoli, vaste zone della parte centrale continuano a essere occupate da monumenti antichi (Foro e Palatino, Colosseo, Fori Imperiali, ecc.), da parchi (Villa Borghese, Pincio, ecc.) e da giardini. Internamente alla città, in seguito al trattato del Laterano del 1929, l'area che comprende la basilica di San Pietro, i palazzi vaticani e le strutture adiacenti è costituita in Stato autonomo (V. VATICANO, CITTÀ DEL), motivo per cui R. ospita una duplice serie di rappresentanze diplomatiche: una presso la Repubblica italiana e la seconda presso la Santa Sede. In quanto capitale e sede privilegiata delle attività politiche nazionali e internazionali, in R. è posta la residenza del capo dello Stato, la sede del Parlamento, del Governo e dei massimi organi del potere giudiziario. Nella città hanno il proprio domicilio anche importanti istituti internazionali, come la FAO (Food and Agriculture Organization), la Camera di commercio internazionale, l'Istituto internazionale per l'unificazione del diritto privato e varie accademie straniere. Degne di nota le infrastutture per le attività sportive, tra cui citiamo: gli stadi Olimpico, dei Marmi e Flaminio, il Palazzo e il Palazzetto dello Sport, il complesso del Foro italico (con lo stadio del nuoto e del tennis), i due ippodromi di Tor di Valle e delle Capannelle e il centro sportivo dell'EUR.

ARTE

Arte antica: numerose sono le difficoltà che si incontrano nel tentativo di dare una definizione lineare e sintetica dell'arte romana, sia perché essa si sviluppò su un territorio estremamente vasto, comprendente di fatto tutte le regioni sottoposte al dominio di R., assumendo in ognuna di esse tratti peculiari mutuati dalle forme indigene, sia perché fu elaborata in un periodo di tempo molto lungo, quasi un millennio. Inoltre, lo studio dell'arte di R. inteso come disciplina autonoma è relativamente recente, poiché nel XIX sec. l'arte romana era considerata una fase di decadenza dell'arte greca e per questo era largamente sottovalutata. Per quanto riguarda quest'ultimo problema, la critica moderna ha invece dimostrato la sostanziale autonomia dell'arte romana rispetto a quella ellenica: si sono infatti rilevati i differenti presupposti di ordine teorico, giacché alla base dell'elaborazione estetica greca è la ricerca formale (gli ordini architettonici, il corpo umano, il ritratto), mentre i Romani orientarono le loro ricerche essenzialmente verso fini pratici. Prova ne è la prevalenza data dai Romani all'architettura, che rappresenta la manifestazione più originale della loro arte: la sua finalità pratica è evidente negli edifici di utilità pubblica (basiliche, terme, anfiteatri, acquedotti, mercati) e nel sapiente impiego dei materiali poveri, come il laterizio, per l'edilizia privata. Inoltre, il fine pratico, più esattamente politico-propagandistico, dell'arte romana traspare anche dai monumenti ufficiali, che testimoniano un'esigenza celebrativa ignota all'arte greca: per commemorare eventi politici, civili, religiosi o militari i Romani costruirono fori e innalzarono archi di trionfo, colonne istoriate e statue imperiali nella città di R. e in ogni parte dei loro domini. Anche la scelta dei soggetti artistici testimonia della differenza fra le realizzazioni dei Romani e dei Greci: questi ultimi, infatti, ricorsero spesso al repertorio mitologico, con il quale si alludeva simbolicamente agli eventi contemporanei, mentre gli artisti romani descrissero in modo realistico le imprese e i personaggi, collocando le scene in paesaggi naturali ritratti veristicamente. Di fatto, il rilievo a soggetto storico costituisce una delle forme più tipiche dell'arte romana e trae origine dalle grandi pitture trionfali dell'età repubblicana (di cui sono pervenuti scarsi esempi dei secc. IV-III a.C.), nelle quali erano narrate al popolo e celebrate le imprese dell'esercito e dei suoi comandanti. Quanto al problema degli inizi dell'arte romana, va rilevata un'ambiguità di fondo, poiché è innegabile che la cultura artistica di R. nel periodo monarchico, e comunque fino al IV sec. a.C., si identifica con la cultura italica e soprattutto etrusca: da Veio provenivano, per esempio, Vulca e gli artisti che decorarono il tempio ligneo di Giove Capitolino, con decorazioni in terracotta secondo lo stile etrusco; opera di un'officina etrusca è la famosa lupa bronzea (V sec. a.C.) e di tipo etrusco la fibula aurea recante un'iscrizione (Preneste, V sec. a.C.). All'influsso etrusco si aggiunse nel IV sec. a.C. quello osco-campano, come testimonia l'opera d'arte più antica lavorata a R. (ma rinvenuta a Palestrina), nota come Cista Ficoroni, nella quale le decorazioni riprendono temi della pittura vascolare attica. Nel III sec. a.C. l'arte etrusco-italica assunse un più spiccato carattere locale e anche a R. si manifestò pienamente la tendenza propria dello spirito latino, propensa al ritratto, al tema storico, allo stile narrativo. A questo periodo risale la creazione del Foro romano, una piazza su cui si affacciavano i Rostri (tribuna degli oratori fatta erigere nel 44 a.C.); la basilica Giulia (55-44 a.C.); il tempio di Saturno (V sec. a.C.); il tempio di Giulio Cesare (29 a.C.); il tempio dei Dioscuri (fondato nel 484 a.C. e ricostruito nel 117 a.C. e nel 6 a.C.), del quale rimangono tre colonne corinzie; l'arco di Augusto (29 a.C.); la chiesa di Santa Maria Antiqua (VI sec.); il tempio di Vesta, con la casa delle Vestali; il tempio di Antonino e Faustina (141); la basilica di Massenzio (IV sec). Sempre nel III sec. a.C. R. fu circondata dalle mura serviane. A partire dalla fine del III sec. a.C. sugli influssi etruschi e campani e sul substrato culturale latino si innestò l'influenza della cultura ellenica, che contribuì notevolmente alla formazione di una cultura artistica romana. Diffusa dapprima solo a livello filosofico-letterario e in un gruppo limitato di nobili e intellettuali, la cultura greca si diffuse rapidamente a R. nel II sec. a.C., attraverso l'importazione di opere d'arte a partire dalla conquista di Siracusa (212 a.C.) e soprattutto a seguito delle vittoriose campagne in Grecia e in Oriente (146 a.C.): numerose opere originali di celebri artisti come Policleto, Scopas, Lisippo e Apelle furono prelevate come bottino di guerra e portate a R., dove, copiate in serie dai ricchi patrizi, furono impiegate per uso decorativo. Questa larga importazione avvicinò i Romani all'ideale estetico ellenico e sempre più cospicua divenne la richiesta di opere d'arte da parte dei possidenti e dei nobili. Inoltre, considerata la fortuna delle opere greche, nel corso dei secc. II e I a.C. molti artisti cominciarono a trasferirsi a R., dando origine a una corrente ellenistica che produsse sia opere decorative, sia ritratti. Due furono quindi i filoni convergenti nella genesi dell'arte romana: quello greco-ellenistico e quello latino-italico, l'uno caratterizzato da una tecnica raffinata e di tendenza classicheggiante, l'altro naturalistico, lineare, austero e narrativo. Candelabri, crateri, copie di statue celebri furono i prodotti della corrente neoattica; ritratti di togati, rilievi funerari e storici quelli della corrente romana. Una conseguenza importante dell'influsso ellenico fu la ricostruzione in pietra dei templi lignei, iniziata per volontà di Silla; nel Tabularium da questi edificato, inoltre, apparve per la prima volta il motivo delle finestre formate da arcate gettate su pilastri e inquadrate fra semicolonne, che diventò poi elemento caratteristico dei teatri, degli anfiteatri e dei circhi romani. Dell'influsso etrusco rimasero il tempio tripartito e la casa ad atrio. Dall'incontro fra la sobrietà italica e la forma tardo-ellenistica ebbe origine, verso la fine del I sec. a.C., l'arte del periodo augusteo e tiberiano, la quale, oltre a testimoniare la profonda assimilazione dell'esperienza artistica greca, costituì la prima manifestazione della glorificazione del potere imperiale. Fra le espressioni più rilevanti si ricordano i rilievi marmorei con scene processionali dell'Ara Pacis Augustae (I sec. a.C.), che rimase il modello insuperato dei monumenti ufficiali imperiali, e l'adozione di modelli greci classici (come il Doriforo di Policleto) per la raffigurazione scultorea dell'imperatore. Durante il principato di Augusto (31 a.C. - 14 d.C.) ebbe origine la costruzione dei Fori imperiali; al vecchio Foro romano si aggiunsero il Foro di Cesare (54-46 a.C.); il Foro di Augusto (2 d.C.), con il tempio di Marte Ultore; il Foro di Vespasiano (71-75 d.C.), con il tempio della Pace; il Foro di Nerva (98), con i resti del tempio di Minerva; il Foro di Traiano (113), con la basilica Ulpia e la colonna traiana, alle cui spalle si elevano i mercati traianei. R. fu arricchita di numerosi monumenti edificati in marmo, come il teatro di Marcello; nello stesso periodo l'edilizia monumentale si diffuse in molte città d'Italia e anche nelle province, in particolare nella Gallia Narbonense, come testimoniano la maison Carrée di Nîmes, il teatro di Orange, gli archi di trionfo di Carpentras e Saint Rémy. Sotto i successori di Augusto si verificò invece un ritorno alla tradizione tipicamente latina dell'impiego del laterizio; anche nella scultura, l'indirizzo latino più caratteristico è illustrato dai rilievi di età tiberiana dell'ara dei vicomagistri, ora nei Musei Vaticani. Un esempio di soluzione innovativa adottata dagli architetti romani, che sfruttava abilmente le proprietà dell'opera cementizia, è la sala ottagonale della Domus aurea di Nerone (I sec.), in cui la cupola insiste sull'ottagono senza l'uso di pennacchi. Quanto alle scarne testimonianze pittoriche, la decorazione parietale mostra in un primo stile (imitante incrostazioni marmoree) un chiaro influsso ellenistico; nel cosiddetto secondo stile le superfici si animano con visioni prospettiche di architetture, che divengono sempre più ridotte e schematiche nel terzo, per svilupparsi poi nel quarto stile in un esuberante decorativismo con fantasiose inquadrature scenografiche architettoniche e floreali: le origini di quest'ultimo stile, i cui esempi più ricchi si trovano a Pompei e sono datati fra il 63 e il 79, sono forse da ricollegare alle pitture più arcaiche della casa di Livia sul Palatino. Meno indipendenti dai modelli greci appaiono invece i mosaici contemporanei, in particolare quelli a colori. Nell'età flavia (I sec.) la scultura sviluppò una notevole tendenza plastica e coloristica, come appare sia dai rilievi dell'arco di Tito, le cui raffigurazioni rendono l'illusione di uno spazio reale, sia dai motivi ornamentali e dalle urne istoriate; peraltro, non scomparve la tendenza più classicistica e accademica, soprattutto in edifici di carattere pubblico, come nei rilievi del palazzo della Cancelleria. Infine, una menzione merita il monumento architettonico più celebre dell'età flavia, l'anfiteatro Flavio o Colosseo (72 a.C. - 80 d.C.), la cui cavea è sostenuta da un ingegnoso sistema di volte. Una tendenza plastica più vigorosa caratterizzò l'arte di epoca traianea (secc. I-II), che raggiunse risultati mirabili nella scultura e in particolare nel rilievo storico, in grado ormai di esprimere in modo originale e autonomo una grandiosa complessità di temi e di composizioni. Ciò appare evidente nel fregio della colonna istoriata innalzata nel 113 per commemorare le vittorie conseguite sui Daci: in essa è descritta, in una narrazione continua e priva di enfasi retorica, la cronaca delle battaglie e dei trionfi dell'imperatore, la cui umanità è messa in risalto dall'attenzione per i vinti, colti nel momento del dolore e della disperazione. All'età di Adriano (II sec.) risale il Pantheon (eretto nel 27 a.C. e rifatto nel 118-128 circa), uno dei più celebri monumenti dell'architettura romana, in cui sono sintetizzati diversi moduli costruttivi: a pianta circolare, è coperto da una cupola costituita da un'armatura emisferica che conferisce alla costruzione un aspetto maestoso e imponente. Altri edifici monumentali furono realizzati sotto Adriano in molte parti dell'Impero, da Atene, prediletta dall'imperatore (agorá e Olimpieion), all'Asia Minore (tempio di Adriano a Efeso, biblioteca di Mileto, acropoli di Pergamo), alla Siria (complesso di Baalbek, teatro di Palmira), all'Africa settentrionale (terme di Leptis Magna), alla Britannia (vallo di Adriano, imponente fortificazione a protezione contro le invasioni dei popoli settentrionali). La personalità del filelleno Adriano, il quale fece realizzare per sé la celebre villa Adriana a Tivoli, arricchita da giardini e terrazze, contribuì a orientare il gusto artistico del suo tempo verso modelli classicheggianti. La ripresa dei temi classici è evidente nella produzione dei sarcofagi, decorati spesso con scene mitologiche greche, e nella scultura: la figura di Antinoo, prediletto dell'imperatore, costituì il modello di sculture e rilievi eseguiti con raffinatezza, ma spesso privi di vigore creativo, in ogni parte dell'Impero. Il classicismo adrianeo improntò anche gran parte dell'arte di epoca antoniniana (II sec.), sebbene ravvivato da un maggior colorismo e da un più vivace espressionismo, prevalente poi nel periodo di Marco Aurelio; tuttavia, la colonna antonina, eretta da Antonino per commemorare le vittorie sarmatiche, se confrontata con il suo modello, la colonna traiana, mostra un sensibile irrigidimento delle raffigurazioni e una ripetizione formale degli schemi. Al periodo adrianeo-antoniniano appartengono varie pitture, in genere paesistiche, eseguite con tocco leggero e vivace impressionismo (villa Adriana, Ostia, tombe dei Pancrazi e dei Valeri). La ricerca coloristica è evidente anche nella levigatura della superficie delle statue, specialmente nel periodo di Commodo (II sec.), con contrasti luministici. Alla fine del II e soprattutto nel III sec., mentre si manifestava la crisi dell'Impero e si andava accentuando la tendenza all'introspezione e al misticismo, si verificò un progressivo abbandono delle forme classiche delle immagini: i ritratti imperiali e privati dell'epoca mostrano infatti un chiaro tentativo di approfondire l'indagine psicologica, sottolineando le espressioni e conferendo ai volti un atteggiamento assorto, spesso con lo sguardo rivolto in alto, caratteristica questa che portò nel III sec. ai ritratti di imperatori con espressione addirittura estatica. Un vivace colorismo ornamentale, realizzato talora in forme barocche, caratterizzò l'arte severiana (secc. II-III); in questo periodo, al quale appartengono l'arco di Settimio Severo, la domus sul Palatino e la grandiosa ristrutturazione della città africana di Leptis Magna, l'arte ufficiale ricorse spesso al simbolo, per esempio la figura di Eracle, per celebrare le vittorie militari sui barbari. Nonostante una reazione classicheggiante dell'arte sotto Gallieno (testimoniata dai sarcofagi delle famiglie senatorie e militari, con raffigurazioni di imprese belliche e più spesso generalmente simbolici, con temi desunti dalla mitologia), prevalsero sempre di più, nella produzione del III sec., i modi dell'arte popolare. Grande diffusione ebbe poi in quest'epoca l'arte musiva, utilizzata nelle decorazioni delle grandi ville (villa di Piazza Armerina in Sicilia), delle terme (quelle di Caracalla) e degli edifici monumentali, e che raggiunse livelli tecnici assai elevati. Sotto la tetrarchia affiorarono con sempre maggior evidenza i dialetti artistici locali delle varie province. Durante il IV sec. R. abdicò al suo ruolo di capitale dell'Impero: altre città, come Milano, Treviri e Nicomedia, furono privilegiate nella costruzione degli edifici monumentali. Una ripresa del ruolo guida di R. si ebbe sotto Costantino (secc. III-IV), prima del definitivo trasferimento della capitale a Costantinopoli. Il grandioso arco di trionfo elevato da Costantino a R. nel 315, per celebrare la sua vittoria su Massenzio in occasione della battaglia del ponte Milvio (312), costituisce un esempio dei caratteri distintivi del linguaggio del tardo Impero, quali la frontalità, l'irrigidimento ieratico monumentale, l'amore per le dimensioni colossali. L'ultima creazione dell'arte romana può essere considerata la basilica cristiana, basata sulla pianta della basilica civile e caratterizzata dalla maggiore altezza della navata centrale rispetto a quelle laterali e dall'arco che delimita l'abside. Con la caduta dell'Impero d'Occidente (476) vennero meno anche i motivi, i temi e gli elementi che avevano dato vita all'arte romana: tuttavia la sua eredità non andò perduta, ma venne raccolta dalle rinascenze medioevali e dal Rinascimento italiano ed europeo, che ne studiarono e ripresero le forme innovandole; inoltre, ai fasti dell'arte aulica dell'Impero e al suo repertorio figurativo si rifecero quasi sempre tutti i regimi forti, le Monarchie nazionali e gli Imperi dell'Europa moderna (per l'architettura V. anche TOPOGRAFIA). ║ Medioevo: i primi secoli del Medioevo furono caratterizzati dalla graduale decadenza della R. imperiale e dallo sviluppo della R. cristiana. L'imperatore Costantino fece edificare grandi basiliche da destinare al nuovo culto: quella di San Giovanni in Laterano; quella di San Pietro; quella di San Lorenzo fuori le Mura; quella di Sant'Agnese fuori le Mura. Non di rado, inoltre, l'organizzazione ecclesiastica piegò alle proprie esigenze edifici, pubblici e privati, della R. pagana: alcune delle stesse basiliche dell'imperatore Costantino vennero erette su antichi monumenti (San Pietro e San Paolo, ad esempio, sorsero sulle venerate sepolture dei due apostoli, in aree sepolcrali pagane) e, così pure, il centro politico e morale della città, la sede del Papato, venne fissato nel Laterano, già ricca dimora dei Laterani divenuta poi di dominio imperiale. Nei primi secoli del Cristianesimo l'architettura imperiale romana conservò la sua caratteristica vitalità nella robusta ampiezza dello schema basilicale (il nuovo battistero del Laterano, Santa Maria Maggiore, Santa Sabina, Santo Stefano Rotondo, Santa Costanza, già mausoleo della figlia di Costantino). Le vicende della scultura, che cominciò a orientarsi verso un nuovo Classicismo, sono chiarite dai sarcofagi di porfido di Santa Costanza, dalle tarde statue imperiali e consolari e dalla produzione di preziosi avori. Nell'epigrafia del periodo si distinsero diverse iscrizioni dettate dal papa Damaso per onorare i martiri della fede e un codice raffigurante il calendario per l'anno 354, a noi giunto solo in copia. La prima pittura di ispirazione cristiana è documentata da vari mosaici (in Santa Costanza, in Santa Pudenziana, nelle catacombe di Domitilla) e da affreschi di ipogei e catacombe, dove la decorazione parietale attesta l'ancora viva classicità delle forme, l'aderenza ai modi ellenistici e l'iniziale accoglienza delle tradizioni dell'Oriente cristiano. Un duro colpo alla compagine monumentale di R. fu recato dal triplice sacco dei Goti (410), dei Vandali di Genserico (455) e dei Vandali di Ricimero (472), cui si aggiunsero incursioni, assedi, pestilenze e terremoti; né valse ad arrestare il decadimento l'opera di restauro di Teodorico. R., contraendosi sulle pendici dei quattro colli prospicienti il Foro e sulle propaggini del Vaticano e del Laterano, venne acquistando, a poco a poco, l'aspetto caratteristico di città medioevale, sede del Papato. Nel VI sec., tuttavia, la produzione artistica di R. conobbe una nuova e fortunata stagione, sempre più vicina alla cultura bizantino-orientale (orientali, del resto, furono quasi tutti i pontefici del periodo). Di questa nuova influenza si colgono i segni in particolare nell'architettura che, nonostante la persistenza del modulo basilicale classico e il larghissimo uso del materiale classico di recupero, adotta persino l'unità di misura bizantina. Tra gli esempi più caratteristici si ricordano Sant'Agata dei Goti, la chiesa degli Apostoli, ricavata in una parte del palazzo imperiale e la chiesa ricavata dal Pantheon (donato da Foca a papa Bonifacio IV) in accordo alla tendenza, allora assai diffusa, di trasformare in chiese cristiane vari edifici pubblici o templi pagani. Per la pittura, tra le testimonianze più rilevanti di questo periodo ricordiamo gli affreschi di Santa Maria Antiqua e l'affresco di Giovanni III nella catacomba di Lucina. Di grande valore vengono considerate alcune opere artistiche, caratterizzate dallo stesso stile, anche se di epoca posteriore: i mosaici dell'oratorio di San Venanzio, di Santo Stefano Rotondo, dell'oratorio del Presepe in San Pietro (tutti dispersi in più luoghi, spesso anche fuori R.) e di San Pietro in Vincoli; le icone di Santa Maria in Trastevere e di Santa Maria Tempulo (portate poi in Santa Maria del Rosario); gli affreschi di Santa Maria in via Lata, di San Saba, di San Crisogono, di San Lorenzo fuori le Mura e di Santa Passera. Verso la fine dell'VIII sec. si affermarono nell'arte romana caratteristiche locali che, in parte, si rifacevano a temi prebizantini e costantiniani; all'antico modello di San Pietro si ispirarono Santa Prassede e San Martino sui Monti. Nei mosaici (ai Santi Nereo e Achilleo, nel Triclinio lateranense, in Santa Prassede, in San Marco, in Santa Maria in Domnica) prevalse una scuola propriamente romana, distinguibile da quella bizantina per evidenti caratteristiche di tecnica e colore; nella miniatura, come nella pittura di grandi dimensioni, lo stile adottato si connotò come fortemente medioevale; la scultura ornamentale ebbe caratteri decisamente barbarici, specie nella copiosa produzione di lastre. Verso la fine dell'VIII sec., la crescente ricchezza e potenza del Papato diede impulso all'attività edilizia; questa si caratterizzò per la fedeltà ai modelli più antichi, come testimoniano l'ampliamento del Laterano, del Vaticano e di altre numerose chiese. Contro le incursioni dei Saraceni, inoltre, Giovanni VIII fondò Giovannipoli intorno a San Paolo, mentre risale a Leone IV la cosiddetta Città leonina che, sviluppandosi intorno a San Pietro, era cinta da mura e raccordata con il caposaldo difensivo costituito dalla Mole adriana. Del X sec. e dei suoi vari tentativi di renovatio è rimasto ben poco: poche tracce del palazzo di Ottone III presso Santa Maria in Cosmedin; il pozzo della chiesa di San Bartolomeo all'Isola; la corona del Sacro Romano Impero; gli affreschi di Santa Maria in Pallara e quelli di San Crisogono, nuovamente influenzati dai modelli bizantini. L'XI sec. inaugurò una nuova tendenza nell'arte romana che, pur ispirandosi all'antico, seppe rielaborarne sapientemente gli elementi e produrre uno stile nuovo, ben presto esportato con successo non solo nel resto d'Italia, ma anche al di là delle Alpi. Le testimonianze più significative di questo periodo sono: una serie di codici miniati (tra cui si ricordano, in particolare, le Bibbie atlantiche, così dette per le loro dimensioni); gli affreschi di San Clemente, di Santa Cecilia e di Santa Pudenziana; diverse pitture su tavola (tra cui la tavola con il Giudizio, originariamente nella chiesa di Santa Maria in Campo Marzio e ora nella pinacoteca vaticana e diversi dipinti raffiguranti la Madonna custoditi in Sant'Angelo in Peschiera, in Santa Maria in via Lata, nella chiesa del Santissimo Nome di Maria, in Santa Maria in Aracoeli, in San Cosimato e in San Lorenzo in Damaso). Dall'osservazione attenta di queste produzioni risulta evidente la duplice influenza dello stile bizantino e di quello elaborato a Montecassino. Nel corso del XII sec. fiorì la pittura politica, ben rappresentata dagli affreschi dipinti per Callisto II nel palazzo del Laterano e raffiguranti la vittoria papale nella lotta per le investiture; della scultura in marmo dell'epoca sono rimaste poche tracce, mentre completamente perdute sono le produzioni di scultura lignea che, come si desume dalle opere ritrovate in vari centri minori limitrofi, fu tenuta in grande considerazione. Parimenti rilevanti furono i mosaici (absidi di Santa Maria in Trastevere, di San Clemente e di Santa Maria Nova), ispirati alle produzioni bizantine. In questo periodo rifiorì anche l'edilizia, principalmente per iniziativa dei pontefici che diedero avvio a quel rinnovamento delle chiese di R. che fu poi proseguito per tutto il Duecento. Si ispirano al rinascimento carolingio, per lo più teso al rinnovamento delle forme paleocristiane, le ricostruzioni di San Clemente, di Santa Maria in Cosmedin, di Santa Maria in Trastevere, di Santa Croce in Gerusalemme, dei Santi Giovanni e Paolo. Presso molte chiese, inoltre, vennero edificati chiostri che, verso la fine del XII sec. e nel corso del XIII sec., toccarono un vertice di preziosa eleganza per ritmo architettonico e per la smagliante policromia. Nel secondo decennio del XIII sec., parallelamente all'influsso di mosaicisti veneziani in campo pittorico (come testimoniano i celebri affreschi di San Sebastiano, di Santa Maria Nuova e dei Santi Quattro Coronati), la scultura e, soprattutto, l'architettura si elevarono all'apice del Classicismo. Estremamente diffusa, a R. come pure nel resto d'Italia, fu l'architettura cistercense: ai domenicani, in particolare, si deve la fondazione di Santa Maria sopra Minerva, ai francescani quella di Santa Maria in Aracoeli, a Niccolò III, infine, la ricostruzione della cappella del Sancta Sanctorum, che venne anche decorata con affreschi e mosaici. Fu proprio nel corso di questo secolo che operarono a R. grandi personalità artistiche. Tra queste, prima in ordine di tempo, fu quella di Arnolfo di Cambio, che rinnovò l'antico oratorio del Presepe in Santa Maria Maggiore, costruì i cibori di San Paolo e di Santa Cecilia, il monumento Annibaldi e quello per Carlo d'Angiò. Ad Arnolfo di Cambio si affiancarono ben presto Pietro d'Oderisio, Cimabue, P. Cavallini e J. Torriti; fu proprio grazie a quest'ultimo che la pittura di scuola romana, pur mantenendo intatta la tipica raffinatezza bizantina, riuscì a liberarsi dai manierismi. Alla fine del secolo, R. vide l'opera del giovane Giotto che affrescò per Bonifacio VIII la proclamazione del Giubileo, disegnò il mosaico della Navicella ed eseguì il polittico di San Pietro. Il trasferimento della sede papale da R. ad Avignone (1305-77) spinse la maggior parte degli artisti di qualche rilievo a lasciare la città e a cercare lavoro altrove. Fu solo il ritorno dei papi a R. che, ponendo termine alla crisi, inaugurò un nuovo periodo di grande splendore artistico nel corso del quale si assistette alla ricostruzione della basilica del Laterano, gravemente danneggiata da un incendio, e alla realizzazione della tomba del cardinale di Hertford, in Santa Cecilia, a opera di Paolo Romano. La R. del XV sec. ospitò nuovamente grandi artisti tra cui Gentile da Fabriano, che iniziò la decorazione della basilica lateranense (sarà poi Pisanello a portarla a termine), Masaccio e Masolino, che dipinsero un trittico per Santa Maria Maggiore e gli affreschi della cappella del cardinale Branda Castiglione in San Clemente e, più tardi, nuovamente Masolino che affrescò una serie di uomini celebri. ║ Rinascimento: il Rinascimento a R. venne inaugurato dal riordinamento edilizio di Martino V. La sua opera fu continuata da Eugenio IV e portata al culmine da Niccolò V (1447-55), il papa umanista che sognò, e in parte realizzò, la trasformazione della Città leonina in una nuova città imperiale, in grado di sostenere il confronto con l'antica R. Fu sotto il pontificato di quest'ultimo che ebbe inizio la realizzazione del nuovo palazzo Vaticano (con la celebre cappella affrescata dal Beato Angelico), venne concepito il progetto di sostituire la basilica di San Pietro, di epoca costantiniana, con un'altra più monumentale e fu edificata la biblioteca Vaticana. Di poco posteriore fu la costruzione di numerosi palazzi, caratterizzati dalla sapiente fusione di elementi ancora tipici del castello medioevale con altri propriamente rinascimentali; si ricordano, fra questi, palazzo Venezia, voluto da Paolo II; il palazzo ora dei Penitenziari, commissionato da Domenico della Rovere; il palazzo ora della Curia generalizia francescana, eretto per il papa Giulio II. Il primo palazzo completamente rinascimentale fu quello ora della Cancelleria, ordinato dal cardinale Raffaello Riario, il cui autore non è stato ancora identificato con precisione (i nomi di A. Bregno, Bramante, Iacopo di Pietrasanta e Meo del Caprino rimangono le ipotesi più accreditate). Sotto il pontificato di Sisto IV della Rovere (1471-84), il rinnovamento edilizio, che pure interessò tutta la città, riguardò primariamente due edifici: la cappella Sistina, alla cui decorazione lavorarono artisti come D. Ghirlandaio, S. Botticelli, C. Rosselli, P. Perugino, L. Signorelli, e la biblioteca Vaticana, il cui affresco dedicatorio venne dipinto da Melozzo da Forlì. Episodica più che aderente allo sviluppo rinascimentale di R. fu la scultura, rappresentata da Mino del Reame, Mino da Fiesole, Paolo Romano, Giovanni Dalmata, Isaia da Pisa, Antonio del Pollaiolo (cui si deve, fra l'altro, la monumentale tomba di Sisto IV), oltre a vari artisti lombardi. Innocenzo VIII (1484-92) ebbe il merito di chiamare a R. A. Mantegna e Filippino Lippi, cui affidò la decorazione rispettivamente degli edifici detti del Belvedere e della cappella Carafa, in Santa Maria sopra Minerva. Se Pio II e Sisto IV fecero di R. anche un imponente centro librario, meta di scrittori e miniatori di rilievo, Alessandro VI Borgia (1492-1503), ispirandosi al progetto originario di Niccolò V, si preoccupò quasi esclusivamente del problema della difesa della città e, principalmente, di Castel Sant'Angelo. R. raggiunse il culmine dello splendore rinascimentale con il pontificato di Giulio II che, assicurandosi la collaborazione dei massimi artisti dell'epoca (Bramante, Michelangelo e Raffaello), contribuì all'affermazione e diffusione di un nuovo linguaggio architettonico. A Bramante, in particolare, si devono il chiostro della Pace, il tempietto di San Pietro in Montorio, i cortili del Belvedere, nonché il progetto e la parziale realizzazione della nuova basilica di San Pietro, concepita a croce greca e sormontata da una cupola. Quanto a Michelangelo, già a R. nel 1496-97, dopo la Pietà in San Pietro e la tomba di Giulio II, dal 1508 al 1512 si occupò degli affreschi della volta della cappella Sistina. A Raffaello, infine, venne commissionata la decorazione delle stanze e, successivamente, delle logge vaticane. La trasformazione rinascimentale di R. può considerarsi conclusa con Leone X (1513-21). Costui, alla morte di Bramante (1514), nominò Raffaello sovrintendente alla fabbrica di San Pietro e alle antichità di R., della cui conservazione ci si cominciò a preoccupare per la prima volta seriamente. A Raffaello si ascrivono: la decorazione delle stanze; la pittura del profeta Isaia in Sant'Agostino; i cartoni per gli arazzi della cappella Sistina; i cartoni per i mosaici della cupola e le Sibille rispettivamente per le cappelle di Agostino Chigi in Santa Maria della Pace e in Santa Maria del Popolo. In campo architettonico Raffaello si distinse per quanto segue: il progetto di palazzo Caffarelli-Vidoni, di chiara ispirazione bramantesca, che rappresentò un modello insuperabile per l'architettura cinquecentesca; Sant'Eligio degli Orefici e la cappella Chigi in Santa Maria del Popolo, due notevoli esempi di edifici religiosi a cupola; il progetto di villa Madama, concepito dall'artista come struttura disposta intorno a un cortile circolare e realizzato solo parzialmente in seguito. Il sacco di R. del 1527 determinò la dispersione degli artisti, creando una tragica frattura nella vita artistica romana. L'attività edilizia tornò intensa e grandiosa solo con Paolo III (1534-49); sotto il suo pontificato B. Peruzzi edificò il palazzo Massimo, A. da Sangallo il Giovane fortificò le mura contro il pericolo dei musulmani, Michelangelo progettò la sistemazione della piazza del Campidoglio, ponendo al centro il monumento equestre di Marco Aurelio, mentre sul Palatino vennero edificati la villa e gli orti Farnesiani, primo giardino botanico del mondo. In seguito alla morte di Sangallo, Paolo III nominò sovrintendente alla fabbrica di San Pietro Michelangelo; quest'ultimo, fedele alla pianta bramantesca, seguì personalmente la costruzione fino al tamburo, lasciando ai suoi successori, che si distaccarono in parte dal modello del maestro, la costruzione dell'immensa cupola. In campo pittorico, si devono a Michelangelo il Giudizio universale nella cappella Sistina (1534-41), nonché gli affreschi della cappella Paolina (1542-50). Se Giulio II del Monte (1550-55) commissionò a Vignola e a B. Ammannati (che si rifecero a precedenti disegni di Vasari) la costruzione della villa Giulia, Pio IV (1559-65) continuò nell'opera di espansione della città aprendo porta Angelica e porta Pia e creando borgo Pio. Anche Gregorio XIII (1572-85) fu animato da un notevole entusiasmo edilizio, che lo spinse a creare la chiesa del Gesù, fortunatissimo prototipo della futura chiesa della Controriforma; ad essa si aggiunsero l'edificio del Collegio romano, progettato da B. Ammannati, e il palazzo del Quirinale, che non venne tuttavia portato a termine. Una volta che il Campidoglio ebbe raggiunto l'assetto definitivo, Sisto V Peretti (1585-90), passato alla storia come "papa costruttore", concepì e in parte attuò un piano regolatore che non si limitò a porre le basi della futura sistemazione urbanistica della città, ma rese anche evidente il trionfo della R. cristiana su quella pagana: oltre al resto, si consacrarono agli apostoli Pietro e Paolo la colonna traiana e quella antonina, si innalzarono gli obelischi Vaticano, Laterano, Esquilino e di piazza del Popolo, poi sormontati da una croce e corredati da iscrizioni sul trionfo di Cristo, si costruirono il palazzo del Laterano e il nuovo palazzo Vaticano. Per quanto riguarda la pittura, in un primo tempo prevalse a R. quella corrente artistica, detta Manierismo, che tese all'imitazione esclusiva ed esasperata di Michelangelo e Raffaello. Tra gli altri artisti operarono a R.: M. Venusti, D. da Volterra (affresco in San Marcello), i napoletani G. Vasari (le cui opere si trovano in San Giovanni Decollato, nel palazzo della Cancelleria, in Vaticano), Iacopino del Conte (in San Giovanni Decollato), F. Salviati (affreschi in San Marcello, Santa Maria del Popolo, San Giovanni Decollato, nel palazzo Sacchetti), il napoletano Pirro Ligorio (affreschi in San Giovanni Decollato), Cavalier d'Arpino (affreschi in Santa Prassede, nel Battistero lateranense, in Santa Maria Maggiore). Un rinnovamento nella pittura della scuola romana si deve ai bolognesi Carracci, che dipinsero la galleria di palazzo Farnese, e a Michelangelo da Caravaggio che affermò una caratteristica esigenza di verità nelle tele di San Luigi de' Francesi, di Santa Maria del Popolo e di Sant'Agostino. Quanto alla scultura, ricordiamo l'opera di Andrea Sansovino (sepolcri in Santa Maria del Popolo e all'Aracoeli; Sant'Anna, Madonna e Bambino in Sant'Agostino), del suo allievo Iacopo Sansovino (Madonna del parto in Sant'Agostino; sepolcri in San Marcello), di Guglielmo (sepolcro di san Paolo III in San Pietro), di Giacomo della Porta, di B. Ammannati (sepolcri in San Pietro in Montorio). I massimi livelli dell'arte, furono tuttavia raggiunti da Michelangelo (la Pietà in San Pietro; Mosè in San Pietro in Vincoli; la tarda Pietà Rondanini), con cui furono costretti a confrontarsi tutti gli scultori cinquecenteschi. ║ Età barocca: all'opera di Sisto V seguì una fase di minore attività, coincidente con il pontificato di Clemente VIII Aldobrandini (1592-1605). Fu soltanto con l'elezione alla cattedra di San Pietro di Paolo V (1605-21) che il fervore edilizio del passato riprese. Tra le opere di questo periodo si ricordano: la demolizione della parte anteriore della basilica di San Pietro e la sostituzione della croce greca bramantesca con una croce latina ad opera di C. Maderno; la costruzione di Sant'Andrea delle Fratte, del Sudario, di San Carlo a' Cantinari e di San Carlo al Corso; la definitiva sistemazione del Quirinale, che venne scelto quale residenza estiva del pontefice. Varie altre iniziative sono da ascrivere al cardinale Scipione Borghese, che ampliò il palazzo gentilizio, edificò la villa suburbana e il palazzo ora Pallavicini-Rospigliosi al Quirinale. L'arte barocca raggiunse l'apice con il pontificato di Urbano VIII (1623-44), quando G.L. Bernini venne posto alla direzione della fabbrica di San Pietro. Risalgono a questi anni Sant'Ignazio, il baldacchino di San Pietro, le facciate di Santa Bibiana e del palazzo di Propaganda Fide su piazza di Spagna, palazzo Barberini, la fontana del Tritone, quella delle Api. Accanto a Bernini operarono a R. anche Pietro da Cortona, che eresse la chiesa dei Santi Luca e Martina, e F. Borromini, che portò a termine palazzo Spada ed edificò il San Carlino alle Quattro Fontane, l'oratorio dei Filippini e Sant'Ivo alla Sapienza. La fortuna di Bernini subì un duro colpo con Innocenzo X (1644-55); quest'ultimo, infatti, gli preferì i rivali G. Rainaldi (che cominciò la costruzione della chiesa di Sant'Agnese), F. Borromini (cui si ascrivono il rifacimento dell'interno di San Giovanni e la prosecuzione dei lavori alla chiesa di Sant'Agnese) e A. Algardi (celebre per i disegni per la villa Pamphili). Nel 1647, tuttavia, la cappella Cornaro con l'Estasi di santa Teresa, in Santa Maria della Vittoria, guadagnò nuovamente a Bernini il favore del pontefice, che gli commissionò di lì a poco la fontana di piazza Navona e la decorazione del braccio lungo della basilica di San Pietro; all'architetto fu inoltre affidata la sovrintendenza ai lavori del palazzo di Montecitorio. Il pontificato di Alessandro VII Chigi (1655-67) vide all'opera Bernini (colonnato di San Pietro, scala regia in Vaticano, palazzo Chigi Odescalchi, chiesa di Sant'Andrea), P. da Cortona (prospetto di Santa Maria della Pace, facciata di Santa Maria in via Lata), C. Rainaldi (chiesa di Santa Maria in Campitelli, due chiese gemelle in piazza del Popolo, rivestimento di Santa Maria Maggiore dalla parte dell'Esquilino), F. Borromini (cappella Spada in San Girolamo della Carità, facciata di San Carlino alle Quattro Fontane). Pur nella generale decadenza politica ed economica dello Stato pontificio, il XVIII sec. si aprì con il restauro di antiche chiese, ad opera di Clemente XI (1700-21), all'insegna di vaghe tendenze classicheggianti e archeologiche. Risalgono a questo periodo, inoltre, il porto e la fontana di Ripetta e palazzo de Carolis. Se la scalinata di Trinità dei Monti rappresentò il culmine dell'attività edilizia promossa dal pontefice Innocenzo XIII (1721-24), il suo successore, il fiorentino Clemente XII (1730-40), contribuì allo splendore artistico di R. favorendo due architetti toscani: A. Galilei (cappella Corsini, facciata di San Giovanni in Laterano e facciata di San Giovanni de' Fiorentini) e F. Fuga (palazzo della Consulta, chiesa dell'Orazione e Morte, palazzo e villa Corsini). Fu proprio in questi anni che sorse, a opera di N. Salvi, la celeberrima fontana di Trevi (1732), epilogo del Barocco romano spesso assurto a simbolo della stessa R. Con Benedetto XIV (1740-58) si assistette al rifacimento di Santa Maria Maggiore, di Santa Croce, di Santa Maria degli Angeli e di San Marco, mentre sotto il pontificato di Clemente XIII Rezzonico (1758-69) vennero ultimate la fontana di Trevi, la villa Albani e la villa del Priorato di Malta. Clemente XIV (1769-74) passò alla storia come colui che ordinò l'allestimento del Museo Vaticano, portato a termine successivamente da Pio VI (1775-99) e da Pio VII (1800-23). A Pio VI, in particolare, vanno ascritti palazzo Braschi, nonché l'erezione degli obelischi di Trinità dei Monti, di Montecitorio e del Quirinale. Nel corso dei primi anni del XVII sec. la pittura a R. seguì le orme del rinnovamento operato da Caravaggio; fra i più celebri seguaci di quest'ultimo si ricordano B. Manfredi, C. Saraceni e, per lo meno nel suo ultimo periodo, G. Brandi. Rilevante fu anche l'attività di numerosi pittori emiliani: il Domenichino (oratorio di Sant'Andrea al Celio, affreschi in San Luigi de' Francesi, pennacchi in Sant'Andrea della Valle), G. Reni (affreschi nell'oratorio di Sant'Andrea al Celio, la nota Aurora di palazzo Rospigliosi), G. Lanfranco (cupola di Sant'Andrea della Valle, affreschi della cappella Sacchetti in San Giovanni dei Fiorentini) e il Guercino. Particolarmente diffuso fu l'affresco monumentale con P. Berrettini da Cortona, con il genovese G.B. Gaulli e con il trentino padre Pozzo. Per tutto il XVIII sec., inoltre, R. fu la meta privilegiata di vari artisti (P. Brill, P.P. Rubens, G. Dughet, G. Courtois, P. Subleyras e A.R. Mengs), che provenivano da tutta l'Europa e che, già nel XVI sec., avevano cominciato a guardare con interesse alla grandezza artistica della città. Furono proprio gli scambi culturali con la produzione d'Oltralpe che contribuirono alla diffusione di particolari aspetti dell'arte, quali la pittura di paesaggio, il vedutismo, la natura morta. È di questo periodo, del resto, la fondazione dell'Accademia francese a opera di Luigi XIV (1666). Fedeli alla scuola romana restarono, invece, A. Sacchi (le cui opere sono conservate in Santa Maria degli Angeli e in San Carlo a' Catinari) e l'allievo di C. Maratta (che lavorò in Santa Maria del Popolo, in Sant'Isidoro, in Santa Maria degli Angeli e nel palazzo Altieri), le cui produzioni si distinsero per l'estrema compostezza, l'equilibrio, la correttezza formale e la predilezione per l'estetica classicistica. Altrettanto rilevanti furono poi la corrente meridionale, rappresentata da S. Rosa, L. Giordano, S. Conca (opere in Santa Cecilia) e C. Giaquinto (soffitto in Santa Croce in Gerusalemme, pala alla Trinità degli Spagnoli), e la corrente toscana, con B. Luti (opere in Santa Caterina da Siena) e P. Batoni (opere in San Gregorio e in Santa Maria degli Angeli). Dedito alla decorazione di chiese e palazzi, infine, fu un consistente gruppo di celebri pittori, quali G. Chiari, F. Trevisani, G. Odazi, G. e P.L. Ghezzi, P. Costanzi e M. Benefial. L'affermazione del Neoclassicismo non portò alla ribalta nuove personalità artistiche, riducendosi a mera corrente di gusto, cui la pittura del Settecento non fece altro che conformarsi. Quanto alla scultura, nel XVIII sec. spiccò l'opera del Bernini, cui si ascrivono, oltre alle opere citate in precedenza: i due angeli realizzati per ponte Sant'Angelo e custoditi in Sant'Andrea delle Fratte; le tombe di Urbano VIII e di Alessandro VII in San Pietro; la statua di Urbano VIII in Campidoglio. Tra gli altri scultori, per lo più fedeli al Bernini e dediti ad assecondare le richieste dell'architettura, si ricordano: A. Raggi, F. Baratta, F. Mochi, il fiammingo F. Duquesnoy, A. Algardi (pale marmoree in Sant'Agnese e in San Pietro, monumento di Leone XI in San Pietro, statua di Innocenzo X nel palazzo dei conservatori, tombe in San Giovanni in Laterano), E. Ferrata (elefante in piazza della Minerva), P. Bracci, C. Rusconi (statue della navata di San Giovanni in Laterano) e i francesi P. Legros e P. Monnot. Da non dimenticare, infine, è l'arte dello stucco che contribuì, insieme alla pittura, ad arricchire le chiese di mirabili e ricercati effetti; notevole, da questo punto di vista, è l'interno di Santa Maria dell'Orto. Negli ultimi decenni del XVIII sec., si assistette a una reazione antibarocca che ebbe il suo centro nell'Accademia di Francia e che può essere ben esemplificata dall'opera San Brunone di J.-A. Houdon, conservato in Santa Maria degli Angeli. Decisamente antibarocche, infine, furono le produzioni di Canova, già ispirate al nascente Neoclassicismo; si pensi, ad esempio, alle tombe di Clemente XIV nella chiesa dei Santi Apostoli e di Clemente XIII in San Pietro. ║ I secc. XIX e XX: in questi secoli ebbero particolare fortuna gli studi antiquari, che favorirono varie opere di esplorazione e restituzione, quali gli scavi del Foro traiano e del Foro romano e il restauro dell'arco di Tito. Gli orientamenti dell'architettura vennero influenzati da tale clima, come si evince chiaramente dalla ricostruzione della basilica di San Paolo o dalle nuove costruzioni nella villa Borghese. Le imprese edilizie di Pio IX (1846-78) furono, per lo più, svincolate da un piano urbanistico generale; basti pensare alla colonna dell'Immacolata in piazza di Spagna, alla porta di San Pancrazio, al quadriportico e alla cappella del Verano, al restauro di antiche basiliche. Nella seconda metà dell'Ottocento a R. vennero costruite la ferrovia R.-Frascati (1856) con stazione a Porta Maggiore, la linea di Civitavecchia (1859) con stazione a Porta Portese, la R.-Ceprano (1862) con stazione a Termini e i primi ponti in ferro (a San Paolo, a San Giovanni dei Fiorentini e a Ripetta). Il 1870 segnò una svolta nella storia urbanistica di R.: divenuta capitale di uno Stato moderno, alla città si imponevano determinate necessità burocratiche e amministrative, cui dovevano adeguarsi i criteri del nuovo sviluppo. In accordo alla nuova funzione di R., inoltre, andavano operate opportune modifiche all'edilizia del passato che, seguendo direttive più pittoresche che razionali, aveva condotto a una confusa e antiestetica mescolanza tra vari edifici appartenenti a epoche diverse. Già prima del 1870 monsignor F.-X. de Merode aveva operato il primo intervento su larga scala con criteri che sarebbero poi divenuti tipici del futuro sviluppo urbano di R. Risalgono a questo periodo la caserma del Macao e un quartiere residenziale presso Termini, in direzione del quale sembrò orientarsi lo sviluppo della città. Nel 1873 un nuovo piano regolatore prescrisse nuove direttive urbanistiche che, basandosi sul principio della sovrapposizione del nuovo all'antico, si concretizzarono in quanto segue: la demolizione di vecchi quartieri, la trasformazione di piazza Venezia nel crocicchio in cui convergevano le strade che dalla periferia conducevano al centro storico, la localizzazione del centro cittadino in piazza Colonna. Oltre a ciò, vennero edificati nuovi quartieri impiegatizi presso le piazze Vittorio Emanuele II e Indipendenza; si procedette alla ristrutturazione del Tevere che entrò definitivamente a far parte del nuovo sistema viario; furono costruiti i muraglioni; venne ultimata la rete delle fognature; si diede avvio alla realizzazione alle due sezioni del Lungotevere, che liberò R. dall'incubo delle periodiche inondazioni, e di 12 nuovi ponti (Palatino, 1882; Garibaldi, 1888; Mazzini, 1904; Vittorio Emanuele II, 1911; Umberto I, 1896; Cavour, 1902; Margherita, 1886; Risorgimento, 1911); sorse un nuovo quartiere industriale, detto Testaccio. Fino alla fine del XIX sec. lo sviluppo urbanistico non conobbe soste: vennero costruiti il palazzo di Giustizia in Prati (1887-1912), il palazzo delle Esposizioni in via Nazionale (1880-83), la sinagoga (1889-1904), la chiesa di St. Paul in via Nazionale (1873-80), gli edifici porticati in piazza Vittorio (1880-83), piazza Esedra (1888-89), la galleria Sciarra (1883), i grandi magazzini Bocconi (1886, divenuti poi La Rinascente), il policlinico Umberto I (1886-1903), il villino Ximenes (1900). Parallelamente a varie iniziative volte a reprimere la speculazione edilizia, nel 1909 il Governo Giolitti approvò un nuovo piano regolatore che puntava a limitare gli sventramenti e a creare nuovi quartieri (piazza d'Armi, Flaminio, piazza Verbano, San Giovanni al di fuori delle mura, San Paolo e Portuense). Questi ultimi, separati da vasti parchi, si caratterizzarono per la presenza di tre tipi di abitazione: i fabbricati (alti fino a 24 m), i villini (costituiti al massimo da tre piani e comprendenti una piccola zona di verde) e i giardini (vere e proprie abitazioni di lusso); occorre attendere il 1922 perché, accanto alle tipologie abitative sopra ricordate, si affermi anche la palazzina, un edificio a metà fra il fabbricato e il villino. Risalgono a questo periodo il complesso di San Saba (1906-14), la borgata-giardino della Garbatella (1920), la città-giardino Aniene (1920), il quartiere di piazza Verbano (1925), in cui per la prima volta si procedette alla differenziazione del sistema stradale. Quanto allo stile architettonico, si optò per un compromesso fra l'edilizia moderna e vari motivi di ispirazione barocca (il cosiddetto barocchetto romano) che si diffuse largamente nella città, sopravvivendo fino all'inizio dell'epoca fascista. La politica urbanistica del Fascismo si contraddistinse non solo per il tentativo, in parte riuscito, di dare a R. un unico centro, ma anche e soprattutto per le grandi demolizioni promosse, che coinvolsero indistintamente chiese, conventi, palazzi e case del Medioevo e del Rinascimento allo scopo di far risaltare le rovine della città antica e di creare grandi arterie spettacolari; non vennero risparmiati neppure i monumenti che, anzi, vennero distrutti senza remore per permettere le sfilate militari. Tra le demolizioni più importanti si ricordano: quelle delle zone intorno al Mercato di Traiano (1924), al tempio di Vesta (1925) e al teatro di Marcello (1926), di via Barberini (1926), del largo Argentina (1927), della via di Tor de' Specchi (1928-30), della zona a Ovest del monumento a Vittorio Emanuele II (1929), del Foro di Nerva (1930), delle case di Monte Caprino (1931), di via delle Botteghe Oscure (1933), dei borghi (1937), del "granarone" di Urbano VIII (1937), delle case intorno al Campidoglio e davanti a San Giovanni dei Fiorentini (1940). Accanto agli sventramenti, tuttavia, venne inaugurata la via dell'Impero (1932); si diede avvio alla costruzione della via XXIII Marzo (1931); si procedette all'allargamento della via di San Gregorio, che assunse il nome di via dei Trionfi (1933); venne inaugurato il Corso (1935); fu aperta la piazza Nicosia (1936); fu realizzato il grande complesso sportivo che, originariamente denominato Foro Mussolini, divenne in seguito l'attuale Foro italico (1928-33); si costruì la Città universitaria (1932-35); fu edificato il complesso dell'E 42 (poi EUR) che, inizialmente concepito per ospitare l'esposizione universale del 1942, si trasformò in un efficace polo di attrazione dello sviluppo cittadino (ne facevano parte, oltre al resto, il palazzo dei Congressi e l'ufficio postale del gruppo BBPR); sorsero nuovi quartieri signorili. Risalgono all'immediato dopoguerra, invece, il compimento di via della Conciliazione (1950), la realizzazione della via Gregorio VII (1950), la costruzione della nuova stazione Termini (1947-50), i quartieri INA del Tiburtino (1947-50), le case-torri di viale Etiopia (1952-53), le abitazioni al Tuscolano (1950-51), la sistemazione delle Fosse ardeatine (1944-51); rientrano, poi, negli interventi resi necessari dalle Olimpiadi del 1960 la via Olimpica, il villaggio Olimpico, lo stadio Flaminio, il palazzo e il palazzetto dello sport e il velodromo. Nel 1962, per far fronte a problemi sempre più urgenti derivanti dalla particolare natura della città di R. (enorme quantità di monumenti antichi, sviluppo irrazionale, compresenza di istituzioni politiche, sia municipali sia nazionali, e religiose, ecc.), venne approvato un nuovo piano regolatore che prevedeva i centri commerciali e periferici (ad esempio Cinecittà 2, 1982-88), una nuova ala della Galleria nazionale d'arte moderna (1965-92), la ristrutturazione del palazzo delle Esposizioni (1983-90), le stazioni del prolungamento della linea B della metropolitana (1980-90), l'air-terminal ostiense (1980-90), la costruzione della moschea e del Centro islamico a Monte Antenne (1990). In seguito all'approvazione della legge per R. capitale (1990) e alla legge sui fondi per il giubileo del 2000 (1996), fu prevista la realizzazione di varie iniziative: il completamento dell'Auditorium nella zona del Villaggio olimpico, la realizzazione della Terza università a Valco San Paolo, la ristrutturazione della stazione Termini, la riqualificazione del mattatoio Testaccio, da adibire a nuove funzioni, il "progetto delle 100 piazze", la valorizzazione delle zone periferiche. Quanto alla pittura, nel corso dei primi decenni del XIX sec. R. e il paesaggio ad essa circostante costituirono il motivo ispiratore di gran parte degli artisti di tutta Europa, quali J.-A.-D. Ingres, J.-B.-C. Corot, C.W. Eckersberg, J.-L.-Th. Géricault. Nella capitale la pittura fu rappresentata soprattutto da V. Camuccini, che operò al Quirinale, in palazzo Torlonia e in San Paolo. Sulle orme di quest'ultimo si posero numerosi pittori (tra cui F. Coghetti, F. Agricola, P. Gagliardi), che lasciarono importanti testimonianze della loro arte in Vaticano e in diverse chiese, allora oggetto di restauro. Particolarmente richiesti furono T. Mainardi (le sue opere si trovano in San Lorenzo, Sant'Andrea, al Quirinale e nel palazzo del Quirinale) e F. Giani (i suoi affreschi sono conservati nel palazzo Altieri). Agli inizi del XX sec. si distinsero il movimento purista dei Nazareni, la cui nascita va ricondotta a pittori di origine tedesca, e l'originalità di I. Caffi e N. Costa. Quanto alla scultura, infine, dominò sopra tutte le altre la personalità artistica di A. Canova, cui si ispirarono numerosi artisti stranieri e italiani, quali A. Tadolini, A. Thorwaldsen (autore del monumento di Pio VII in San Pietro e di quello Consalvi al Pantheon) e P. Tenerani (cui si attribuiscono la Deposizione in San Giovanni in Laterano e la tomba di Pio VIII in San Pietro).
Roma: il Colosseo

Roma: i Fori imperiali

Roma: Castel Sant'Angelo e ponte Sant'Angelo

Piazza di Spagna a Roma

Roma: Fontana di Trevi


CULTURA

Per la sua importanza storica e per la sua preminenza politica e religiosa nelle vicende dell'Italia, R. è sede di numerose e illustri istituzioni culturali, alcune delle quali di antica origine. Nel settore degli studi, la città ospita diversi istituti universitari, sia statali (università di Roma La Sapienza, università di Roma Tor Vergata), sia del Vaticano (Pontificia Università Gregoriana, Accademia di Scienze, Istituto Biblico, Istituto per gli Studi Orientali, ecc.); conta inoltre l'università Pro Deo per gli studi sociali, la facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, l'Istituto Superiore di Educazione fisica, l'Accademia di Belle Arti, l'Accademia Nazionale d'Arte drammatica, l'Accademia Nazionale di Danza, ecc. Nutrita è anche la rappresentanza delle istituzioni straniere, fra le quali l'Accademia di Francia, l'Istituto Germanico, l'Accademia Britannica, l'Accademia Americana, l'Accademia di Spagna. R. è anche sede di autorevoli istituzioni culturali, quali il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), l'Accademia Nazionale dei Lincei, l'Accademia degli Arcadi, l'Accademia Nazionale di San Luca, l'Accademia Musicale di Santa Cecilia, l'Istituto dell'Enciclopedia Italiana, l'Istituto di Studi Romani, la Società Geografica Italiana, la Società Dante Alighieri. Infine, nella città sono presenti numerosi istituti internazionali di commercio e di diritto e dal secondo dopoguerra la città è sede della FAO.Biblioteche: R. è una delle città più ricche al mondo di biblioteche e archivi (circa 300, pubblici e privati), nei quali sono conservati manoscritti, incunaboli, libri a stampa, documenti dal Medioevo all'età contemporanea. Ricordiamo le principali biblioteche pubbliche. Biblioteca Nazionale Centrale Vittorio Emanuele II: fondata nel 1875 e aperta al pubblico l'anno successivo, nel 1885 ebbe il titolo di Centrale. Il primo nucleo era costituito dalla biblioteca privata dei Gesuiti del Collegio Romano (Bibliotheca Secreta), cui furono aggiunti nel tempo numerosi altri fondi, fra i quali le 69 librerie dei conventi soppressi con la legge del 1873, la raccolta Valenzani di libri dell'Estremo Oriente, le biblioteche private del matematico Chasles e del tipografo A. Blado. Ricca di preziosi manoscritti, ma povera di edizioni a stampa all'atto dell'istituzione, oggi gode di un patrimonio bibliografico molto ampio e costantemente incrementato con gli esemplari d'obbligo che la legge sulla stampa le assicura (V. anche NAZIONALE CENTRALE VITTORIO EMANUELE II, BIBLIOTECA). Biblioteca Alessandrina: è la biblioteca universitaria, fondata nel 1661 da papa Alessandro VII e aperta al pubblico nel 1667. Nel 1870 passò allo Stato italiano e prese il nome di Universitaria; nel 1935 si trasferì nella città universitaria. Comprende ricche collezioni, fra le quali la biblioteca del duca di Urbino F.M. della Rovere. Biblioteca Angelica: istituita dall'agostiniano Angelo Rocca, è la più antica delle biblioteche pubbliche di R., dopo la Vaticana: dall'anno della sua fondazione (1614) si è arricchita di manoscritti, incunaboli e libri rari ed è specializzata in studi ecclesiastici e storico-letterari. Dal 1941 è sede dell'Accademia degli Arcadi (V. anche ANGELICA, BIBLIOTECA). Biblioteca Casanatense: trae origine e nome dal cardinale Girolamo Casanate, che nel 1698 lasciò in legato la sua libreria di 25.000 volumi. Nel 1873 passò in possesso del Governo italiano; teologia, discipline storico-religiose e filologia classica sono i settori particolarmente rappresentati (V. anche CASANATENSE, BIBLIOTECA). Biblioteca Corsiniana: fondata dal cardinale Lorenzo Corsini (poi papa Clemente XII) al principio del XVII sec., fu aperta al pubblico nel 1754 e nel 1883 fu donata dai Corsini ai Lincei, che l'aggregarono alla biblioteca dell'Accademia. Sono annessi il celebre Gabinetto nazionale delle stampe, la fondazione Caetani per gli studi musulmani e la sezione archeologica Lovatelli (V. anche CORSINIANA, BIBLIOTECA). Biblioteca dell'Istituto di archeologia e storia dell'arte: ha sede nel palazzo Venezia. Fondata nel 1922 per iniziativa di C. Ricci, ebbe come nucleo iniziale la collezione di libri d'arte della direzione generale delle Antichità e Belle Arti. Si arricchì in varie riprese con donazioni e acquisti successivi. Biblioteca Vallicelliana: creata nel 1581 come raccolta di libri e manoscritti lasciati a san Filippo Neri dal letterato portoghese Achille Stazio e arricchitasi nel secolo successivo, nel 1669 fu sistemata nell'attuale sede, opera di Borromini. Nel 1873 passò allo Stato italiano. Altre importanti biblioteche di R. sono quelle del Museo italiano del Risorgimento, della Società Geografica Italiana, del Senato della Repubblica (a palazzo Madama) e della Camera dei Deputati (a Montecitorio), del Consiglio di Stato, nonché quelle di numerosi ministeri. Biblioteca Apostolica Vaticana: appartenente allo Stato del Vaticano, venne fondata nel XV sec. da Niccolò V; è una delle più grandi e ricche biblioteche del mondo. ║ Archivi: numerosi sono gli archivi con sede a R., che svolgono un ruolo fondamentale per la conservazione di materiale documentario. Archivio di Stato: creato nel 1870 nel palazzo della Sapienza, conserva gli archivi delle amministrazioni centrali dello Stato Pontificio dal IX sec. alla presa di R., fondi giudiziari e notarili, archivi di ospedali, fondazioni e corporazioni religiose oggi scomparsi o soppressi, archivi privati. Archivio Storico Capitolino: sorto nel 1922, costituisce un centro importante per la documentazione della storia di R. e del Lazio. È organizzato in tre distinte sezioni: storica, notarile e archivio generale del comune. Archivio centrale dello Stato: custodisce gli archivi delle amministrazioni centrali dello Stato italiano a partire dall'Unità e riveste un ruolo particolarmente importante per la storia politica dell'età contemporanea. A R. hanno inoltre sede archivi di natura diversa, appartenenti a istituti di credito e banche (Archivio storico della Banca d'Italia); di enti pubblici, aziende municipalizzate; di associazioni varie e sindacati; di istituzioni culturali, nei quali spesso sono conservati archivi personali. ║ Musei e gallerie: R. vanta un considerevole numero di musei e gallerie, fra i più ricchi e importanti nel mondo, che conservano raccolte d'arte fra le più celebri e dal valore inestimabile. Galleria dell'Accademia di San Luca: inizialmente ospitata presso la chiesa dei Santi Luca e Martina, dal 1932 ha sede nel palazzo Carpegna alla Stamperia, insieme all'Accademia. Conserva opere italiane e straniere dei secc. XVI-XVIII, oltre a materiale vario legato alla storia dell'antica Accademia. Museo nazionale romano: è una delle più importanti raccolte mondiali di arte antica, inaugurata nel 1889. Attualmente la sede storica del museo (le aule delle Terme di Diocleziano, le celle e il chiostro del convento dei Certosini) è in fase di risistemazione: il nucleo principale, che comprende le opere d'arte antica rinvenute a R. e nella provincia dopo il 1870, oltre alla collezione antiquaria istituita dal gesuita A. Kircher, fu trasferito nel 1993 nella nuova sede, il palazzo dell'ex Collegio Massimo in piazza dei Cinquecento, mentre la collezione Ludovisi, acquistata nel 1901, è posta nelle sale del palazzo Altemps, aperto al pubblico nel 1997. Museo nazionale di Villa Giulia: fondato nel 1889 e destinato a raccogliere i materiali delle civiltà etrusca, falisca e laziale dell'Etruria meridionale e della provincia di R., fu sistemato negli ambienti della villa suburbana di Giulio III. Il primo nucleo si accrebbe rapidamente con i reperti degli scavi di Cerveteri, Vulci, Veio e con l'acquisizione della collezione Castellani. Fra i reperti più celebri spiccano le tavole d'oro di Pyrgi e il sarcofago degli sposi di Cerveteri. Nel 1997 fu inaugurata la nuova sala di Venere. Museo preistorico ed etnografico Luigi Pigorini: fondato nel 1876 nel palazzo del Collegio Romano, e attualmente ospitato nel palazzo delle Scienze all'EUR, fu costituito all'inizio dalle collezioni del museo Kircheriano, il cui materiale relativo alla protostoria nel 1913 venne smembrato fra il Museo di Villa Giulia, quello nazionale romano e quello di palazzo Venezia; il settore etnografico comprende l'importante collezione etnografica di E. Hillyer Giglioli. Musei Capitolini: il nucleo originario, che costituì il primo museo pubblico del mondo, fu fondato nel 1471 da Sisto IV e fu in seguito accresciuto da Pio V e da Clemente XII; l'attuale complesso si è formato nei secoli attraverso varie donazioni e acquisti e si è arricchito con le sculture e i materiali provenienti dagli scavi eseguiti in aree del comune dopo il 1870. Ne fanno parte il Museo Capitolino (collezione egizia dall'Iseo Campense; sculture della Venere, del gladiatore morente; ricche serie di ritratti greci e romani, di sarcofagi); il Museo dei Conservatori (testa colossale di Costantino; rilievi antoniniani; fasti; sculture arcaiche; monumenti cristiani; Venere Esquilina; bronzi; vasi greci della collezione Castellani); il Museo Nuovo (ritratti e sculture di arte repubblicana e imperiale; copie di statue greche). In una stanza apposita è ospitato l'originale in bronzo, restaurato fra il 1981 e il 1990, della statua equestre di Marco Aurelio che ornava la piazza del Campidoglio dove, dal 1997, è stata collocata una copia. L'Antiquarium comprende terrecotte architettoniche arcaiche, lucerne, vetri e varia suppellettile romana, oltre a mosaici. Importante la Pinacoteca Capitolina, fondata da Benedetto XIV; raccoglie dipinti di scuola varia dal XIV al XVII sec. e, in particolare, dei secc. XVI-XVII. Museo Barracco: donato dal barone G. Barracco, collezionista di sculture antiche, che nel 1902 decise di destinare la raccolta alla città e fece costruire un apposito edificio, inaugurato nel 1905. Il museo si arricchì in seguito di altre interessanti sculture. Nel 1948 la collezione fu riordinata nella nuova sede della Piccola Farnesina. Comprende scelti pezzi di scultura egiziana dall'Antico Regno al periodo romano, di scultura babilonese, assira, greca, fra cui copie di opere di Mirone, Policleto, Fidia, Prassitele; ritratti romani; stele palmirene. Museo e Galleria Borghese: la raccolta fu iniziata dal cardinale Scipione Borghese nel XVII sec.; fu acquistata dallo Stato, insieme con la villa, nel 1902. Riveste un'importanza fondamentale per le opere del Rinascimento (Antonello da Messina, Raffaello, Tiziano, Correggio) e del Seicento (Caravaggio) e conserva sculture di P. e G.L. Bernini e di A. Canova. Dopo 13 anni di restauro, la Galleria fu riaperta al pubblico nel 1997 (V. anche BORGHESE, GALLERIA). Galleria comunale d'arte moderna e contemporanea: fu istituita nel 1925 nel palazzo Caffarelli e nel 1990, dopo essere passata nel palazzo Braschi, fu riaperta al pubblico nell'ex convento di San Giuseppe a Capo le Case. Conserva opere italiane ottocentesche e novecentesche. Galleria nazionale d'arte antica: iniziata dal cardinale Neri Corsini (XVII sec.), fu donata allo Stato nel 1883. La sede venne in seguito trasferita dal palazzo Corsini al palazzo Barberini, acquistato dallo Stato. È ricca di dipinti italiani (Raffaello, F. Lippi, L. Lotto e pittori napoletani e liguri) e stranieri (El Greco) dei secc. XVII-XVIII. Galleria nazionale d'arte moderna: istituita nel 1883, passò in seguito all'attuale sede di Valle Giulia, costruita nel 1915. Costituisce la maggior collezione d'arte moderna e contemporanea d'Italia; nelle sue sale sono rappresentate tutte le scuole di pittura, scultura e grafica dei secc. XIX-XX. Galleria Doria-Pamphili: ha sede nel palazzo gentilizio omonimo e custodisce una preziosa raccolta privata di oltre 400 dipinti italiani e stranieri, in particolare dei secc. XVI-XVII. Fu istituita nel 1651 da Innocenzo X; vi si trovano i suoi ritratti in pittura, di Velázquez, e scolpito, di G.L. Bernini. Galleria Pallavicini-Rospigliosi: ha sede nel palazzo gentilizio omonimo e non è aperta al pubblico. Possiede opere del Rinascimento italiano (L. Lotto) e del XVII sec. (Rubens). Galleria Colonna: ospitata nel palazzo gentilizio omonimo, la ricca raccolta di dipinti di scuola italiana e straniera dal XIV al XVIII sec. fu iniziata da Girolamo Colonna nel 1654-55 e incrementata nei secoli successivi: si segnalano opere di Bronzino, Tintoretto, Carracci e i paesaggi di G. Dughet. Museo di palazzo Venezia: raccoglie dipinti del Rinascimento, sculture lignee, piccoli bronzi, opere di arte applicata. Museo di R.: istituito nel 1930 per documentare la vita di R. dal Medioevo a oggi, dal 1949 ha sede nel palazzo Braschi. Museo della civiltà romana: contiene calchi, fotografie, modellini, piante, riproduzioni di tutti i monumenti e i materiali che documentano la civiltà romana. Museo napoleonico: raccoglie ricordi e cimeli di Napoleone e dei Napoleonidi; fu legato alla città di R. nel 1927 dal conte M. Primoli. Galleria Spada: ha sede nel palazzo omonimo. Iniziata nel XVII sec. dal cardinale B. Spada, fu venduta allo Stato nel 1926. Vi sono conservate pitture del XVII sec. Museo dell'Alto Medioevo: creato nel 1967, conserva oggetti archeologici risalenti ai secc. IV-X, fra cui epigrafi, frammenti musivi, corredi funebri longobardi, ecc. Museo centrale del Risorgimento: nato dal Museo della Nazione fondato nel 1906, conserva oggetti e documenti riguardanti la storia italiana dal Risorgimento al termine della prima guerra mondiale. Museo nazionale d'arte orientale: fondato nel 1957, comprende numerose sezioni, fra le quali quella iranica, indiana, del Sud-Est asiatico. Molti degli oggetti conservati provengono dagli scavi effettuati con il patrocinio dell'ISMEO (Istituto italiano per il Medio ed Estremo Oriente). Museo nazionale delle arti e delle tradizioni popolari: inaugurato nel 1956 nel palazzo delle Tradizioni popolari all'EUR, conserva documenti di varia natura sulle tradizioni e i costumi popolari italiani. Museo degli strumenti musicali: conserva circa 3.000 esemplari, dall'antichità fino all'epoca contemporanea. Museo artistico industriale: ha sede nell'Istituto nazionale d'istruzione professionale. Iniziato nel 1872, raccoglie collezioni varie di arti industriali. Istituto nazionale per la Grafica: creato nel 1975, è diviso nelle sezioni della Calcografia nazionale e del Gabinetto nazionale delle Stampe. Conserva circa 135.000 stampe, 20.000 disegni, 23.000 matrici e un importante fondo storico della fotografia. Museo Torlonia: fondato da G.R. Torlonia, raccoglie sculture antiche greche e romane e il materiale proveniente dagli scavi eseguiti nei terreni di proprietà dei Torlonia (a Cerveteri, Vulci, Porto). Museo nazionale di Castel Sant'Angelo: possiede alcune raccolte d'interesse esclusivamente storico e un'interessante armeria. Musei Vaticani: sono situati a R., ma appartengono alla Città del Vaticano. Nel complesso di edifici dei Palazzi Vaticani, che costituiscono la residenza del pontefice dal 1378 (grandiosa dimora iniziata da Niccolò V e ampliata in tempi successivi da altri papi) e che comprendono gioielli quali la cappella Sistina e le stanze Vaticane, si trovano numerosi musei e gallerie, istituiti in seguito all'imponente crescita delle collezioni artistiche. Fra essi ricordiamo il Museo Pio Clementino, che ospita le raccolte di sculture greche e romane appartenute a Clemente XIV; il Museo Gregoriano Egizio, fondato nel 1839 da Gregorio XVI e recentemente riorganizzato in un nuovo allestimento; il Museo Gregoriano Etrusco, anch'esso voluto da Gregorio XVI e aperto nel 1837, contenente materiale etrusco proveniente da scavi dell'Etruria meridionale, oltre a lasciti e donazioni; la galleria degli Arazzi, la pinacoteca Vaticana, eccezionale collezione allestita nel palazzo voluto da Pio XI nel 1932 e comprendente i dipinti, qui confluiti, dei palazzi pontifici; il Museo Gregoriano Profano, fino al 1970 ospitato nel palazzo Laterano, fondato nel 1843 da Gregorio XVI e comprendente vaste raccolte di sculture, frammenti architettonici e mosaici provenienti da scavi eseguiti fino al 1870; il Museo Pio Cristiano, istituito nel 1854 da Pio IX, che possiede un'importante raccolta di sarcofagi e una collezione epigrafica; il Museo missionario etnologico, allestito nel 1926 con documenti della storia delle missioni e materiali che illustrano la vita e i costumi dei popoli presso i quali queste hanno sede, e comprendente anche una sezione preistorica.

TEATRO

Il più antico teatro di R. fu quello ligneo del Campidoglio (1513), forse distrutto nel sacco del 1527. Inoltre, le cronache cittadine testimoniano l'esistenza di altri due teatri in via Giulia, in attività l'uno fino al 1575, l'altro menzionato in un documento del 1553. Lo sviluppo considerevole della vita teatrale romana si verificò tuttavia durante il Seicento e il Settecento, secoli in cui fra le famiglie nobili di R. si diffuse rapidamente la passione per le rappresentazioni teatrali, determinando addirittura l'esigenza di edificare veri e propri teatri privati. Fra essi un posto preminente spetta a quello dei Barberini, attivo fra il 1634 e il 1656: pur nella sua breve stagione, contribuì notevolmente allo sviluppo del melodramma e al sorgere del teatro d'opera in Italia, offrendo nello stesso tempo i primi esempi di opera comica. Altre famiglie romane che fecero edificare teatri privati furono i Colonna (1668) e i Pamphili (1684); le cronache del primo Settecento riportano notizie anche dei teatri Ottoboni (1728) e Bernini, creato nella casa di G.L. Bernini al Corso già a partire dal 1684, così come ben noti furono i teatri della regina Cristina di Svezia e quello, nel palazzo di Trinità dei Monti, della regina Maria Casimira di Polonia. La passione per le rappresentazioni teatrali si diffuse a R. in questo periodo anche fra i Collegi, ecclesiastici e laici, che approntarono sale teatrali (fra le quali si ricordano quelle del Collegio clementino, attive dal 1609 al 1874, e del Collegio germanico, dal 1656), destinate alle accademie e alla messa in scena di commedie musicali o in prosa. Il XVII sec. vide inoltre l'apertura dei primi teatri pubblici di R.: nel maggio 1670 fu inaugurato il Tordinona, dalla struttura interamente lignea, che l'anno seguente fu ampliato e rinnovato dal suo stesso progettista, C. Fontana. Ribattezzato Apollo dal 1795, questo teatro ospitò due prime rappresentazioni di opere verdiane, il Trovatore nel 1853 e Un ballo in maschera nel 1859. L'ultimo spettacolo vi si tenne nel 1888; l'anno seguente, infatti, a causa dei lavori di sistemazione del Lungotevere, venne demolito e il sipario fu trasferito al teatro Argentina, dove si trova ancor oggi. Nel 1716 circa, per opera di A. D'Alibert, nell'area cosiddetta della Pallacorda fu edificato un teatro inizialmente chiamato D'Alibert quindi, a partire dal 1725, teatro delle Dame. Le prime rappresentazioni furono di spettacoli in prosa, ma già dal 1718 furono messe in scena opere in musica e in breve tempo il teatro delle Dame divenne un importante centro di diffusione della riforma drammatica iniziata da Apostolo Zeno e proseguita da Metastasio. Ricostruito in muratura nel 1859 dai nuovi proprietari, i Torlonia, andò distrutto in un incendio del 1863. Un altro importante teatro fu quello, in origine privato, allestito dai fratelli Capranica nel loro palazzo intorno al 1679; pur ampliato e ricostruito, iniziò a funzionare regolarmente solo a partire dal 1711, a causa della censura sui teatri imposta da papa Innocenzo XII nel 1699; dal momento della sua riapertura conobbe però una lunga stagione di attività, dapprima con numerose rappresentazioni di opere serie, in un secondo momento con opere buffe, allestite con successo fino agli ultimi anni del XVIII sec. Scarse furono le stagioni di prosa, culminate con le rappresentazioni di alcune opere goldoniane: la Pamela maritata (1755) fu composta infatti da Goldoni proprio per la compagnia di attori del teatro Capranica. Le rappresentazioni vi continuarono nel XIX sec. fino al 1881; dopo una lunga fase di chiusura, nel 1922 fu trasformato in cinematografo. Anche un altro celebre teatro di R., il Valle, fu originariamente un piccolo locale di legno, costruito presso il palazzo Capranica alla Valle per volontà del marchese Camillo Capranica. Nella sua lunga storia, iniziata nel 1727 con la messa in scena della tragedia Matilde di Pratoli, conobbe numerosi rifacimenti e ammodernamenti, che dapprima preservarono la struttura lignea (1765 e 1791), quindi lo trasformarono in teatro in muratura, inaugurato nel 1822: primo artefice della nuova architettura fu G. Valadier, cui seguirono G. Salvi e, nel 1845, G. Servi, che aggiunse la facciata sul lato dell'ingresso al palcoscenico. Successivi restauri e abbellimenti (1865, 1888, 1897) lo resero uno dei teatri più prestigiosi e più frequentati di R., e in esso recitarono i più illustri artisti drammatici italiani del periodo: nel XX sec. ulteriore fama, viva ancor oggi, gli diedero interpreti come E. Gramatica e M. Abba. Al 1732 risale l'inaugurazione del teatro Argentina, voluto dal duca G. Sforza Cesarini e progettato da G. Theodoli, che adottò la più moderna forma a ferro di cavallo: vi furono rappresentate opere di genere serio, con nobile tradizione. Tuttavia, la realizzazione del teatro Costanzi nel 1880, che dal 1928 assunse il nome di teatro dell'Opera, determinò l'inizio della decadenza dell'Argentina, privandolo della supremazia in fatto di spettacoli lirici: il teatro rimase ed è tuttora dedicato all'arte drammatica. La storia del teatro Pallacorda di via Firenze si identifica soprattutto con la storia del teatro romanesco. Durante il XVIII sec. gli spettacoli di maggior rilievo furono quelli in prosa; nel 1841 il teatro venne riaperto con il nuovo nome di teatro Metastasio, e dal 1852 acquistò grande rinomanza; infine, per le sue ridotte dimensioni, dopo il 1870 decadde al rango di teatrino rionale. Di pari interesse le vicende del teatro Ornani, aperto al principio del Settecento con gli spettacoli di burattini (1729-36) e rinnovato nel 1784 con il nome di Nuovo Teatro. Nel 1871 fu costruito il Quirino, il primo teatro popolare di R.: restaurato, presentò in seguito fortunati spettacoli di prosa, balli e operette; infine, fu ulteriormente rinnovato nel 1934 per ospitare gli spettacoli di E. Petrolini.

MUSICA

Dalla caduta dell'Impero romano d'Occidente (476) all'XI sec. l'importanza di R. come centro musicale è connessa essenzialmente allo sviluppo del canto liturgico cristiano. Infatti, gli uffici ecclesiastici iniziarono a definirsi e a rafforzarsi già durante i secc. IV-V, concretizzandosi nella forma solenne della Messa: nel V sec., inoltre, l'autorevolezza dell'esito di tale processo di sistemazione crebbe con il parallelo accrescimento dell'autorità dei vescovi di R. Fra il V e il VII sec. numerosi pontefici, fra i quali Gelasio I, contribuirono al consolidamento della liturgia, ma fu soprattutto Gregorio I (Gregorio Magno) a organizzare in modo definitivo la liturgia romana e i relativi canti: a lui si deve inoltre l'istituzione in R. di una Schola cantorum per l'insegnamento, l'interpretazione e la conservazione dei canti di chiesa. Il carattere universale dell'opera di Gregorio si evince dal fatto che dal VI all'VIII sec. il canto romano si diffuse in tutta Europa, unificando ovunque l'esecuzione musicale chiesastica e raggiungendo il massimo splendore nei secc. IX-XI. Di contro, con il sorgere e il progredire della polifonia, a partire dal XII sec. il canto romano iniziò a declinare; quando la corte papale tornò a R. dopo la cattività avignonese, lo stesso coro pontificio, portato con sé dal papa Gregorio XI e composto in maggioranza da cantori di origine franco-fiamminga, era ormai dedito al nuovo stile polifonico. Del resto, di cantori franco-fiamminghi continuò per lungo tempo a essere formato il Collegio dei Cappellani Cantori Pontifici, che aveva sostituito l'antica Schola cantorum. Nel XV sec. il papa Sisto IV fondò due cappelle, destinate a grande fortuna: nel 1473 fu realizzata la Sistina, con funzione di cappella di palazzo, e nel 1480 quella di San Pietro, che per i successivi interventi di Giulio II ebbe in seguito il nome di Giulia. Quest'ultima fu diretta da maestri stabili, fra i quali merita di essere ricordato G. Pierluigi da Palestrina, mentre la cappella Sistina, a seguito della riforma di Sisto V (1586), ebbe solo direttori temporanei, eletti fra gli stessi membri del coro. Quanto ai cantori stessi, i soprani furono prima adolescenti e falsettisti, ai quali si aggiunsero, dall'inizio del XVII sec., anche evirati; di contro, i contralti non compresero evirati se non dalla fine del XVII sec. L'importanza capitale di R. come centro musicale nel Cinquecento e nel Seicento è testimoniata dalla fondazione di numerose altre cappelle, fra le quali si ricordano la Liberiana (Santa Maria Maggiore) attiva già dalla metà del XV sec., la Lateranense (1535) e quelle di San Luigi dei Francesi, di Santa Maria in Trastevere, di Santa Maria ai Monti; inoltre, intorno al 1550 fu aperta da N. Vicentino una scuola privata per l'insegnamento musicale, che fino ad allora era praticato solo nelle scuole annesse alle cappelle maggiori. In questo periodo la scuola romana ebbe un ruolo fondamentale nella storia della musica, in particolare di quella sacra, in quanto i suoi esponenti maggiori (fra gli altri C. Festa, G. Animuccia, G. Pierluigi da Palestrina, R. Giovannelli) contribuirono a risolvere definitivamente l'evoluzione dell'intera arte polifonica vocale, dalle ingegnosità fiamminghe alla luminosità classica. All'apogeo del Cinquecento seguì, nel corso del XVII sec., un lento declino della musica più propriamente liturgica, in quanto alla severa polifonia vocale palestriniana successero le amplificazioni barocche che, con la moltiplicazione delle voci, l'accompagnamento strumentale e i virtuosismi dei solisti, tendevano all'enfasi e alla grandiosità. In questa fase, soltanto la Sistina rimase fedele alla tradizione cinquecentesca; tuttavia, alle altre cappelle non mancarono direttori di genio, quali A. Scarlatti (Santa Maria Maggiore), D. Scarlatti (Giulia) e N. Jommelli (Giulia). Nel frattempo, fondamentale importanza aveva assunto, nella vita musicale romana, l'Accademia di Santa Cecilia, fondata nel 1584 con il nome di Vertuosa compagnia de' musici, come prova il fatto che già nel 1689 l'iscrizione era divenuta obbligatoria per tutti i professionisti di musica sacra a esclusione dei cantori pontifici; inoltre, nel 1741 le fu demandata l'approvazione dei maestri di cappella, e 30 anni più tardi fu aperta anche alle donne. L'Accademia raggiunse il culmine della potenza durante il XVIII sec. Nella stessa epoca, favorita dallo sviluppo dell'accompagnamento strumentale, fiorì a R. un'importante scuola organistica a servizio delle cappelle musicali (a eccezione della Sistina), i cui principali esponenti (G. Frescobaldi e B. Pasquini), i loro allievi e successori (in particolare F. Gasparini e D. Scarlatti) rinnovarono l'arte organistica nel mondo. Di fatto, grande fortuna ebbero a R. nel Seicento e Settecento non solo l'organistica e la cembalistica, ma anche la musica strumentale in genere: a tal riguardo, assai rilevante fu l'attività di A. Corelli, che si segnalò come compositore, violinista e direttore d'orchestra. Da alcune testimonianze si evince inoltre che nello stesso periodo vi furono in R. eccellenti scuole di strumenti ad arco. Il genere caratteristico dell'ambiente romano, nella storia delle musica secentesca, è l'oratorio, su testo sia in volgare, sia in latino: il primo, derivato dalla Laude spirituale, nacque negli oratori filippini e mostrò una tendenza particolare alla rappresentazione scenica, contaminandosi spesso con il melodramma; il secondo, coltivato in origine nell'oratorio del Crocifisso a San Marcello, si originò dal mottetto drammatizzato, e raggiunse presto forma definitiva con G. Carissimi. Quest'ultimo, fra l'altro, coltivò pure il genere della cantata, che si affermò rapidamente e, con il successivo contributo dei romani-napoletani (L. Rossi, A. Stradella, ecc.), conseguì una singolare fortuna. Infine, l'ambiente musicale della R. del Seicento rivestì un'importanza capitale nella storia dell'opera in musica, cui diede un contributo fondamentale e i cui quadri formali furono destinati a divenire canonici. Tradizionalmente, l'apertura della scuola operistica romana è fissata al 1626, con la rappresentazione di La catena d'Adone di D. Mazzocchi, ma già in precedenza avevano avuto luogo a R. manifestazioni di teatro musicale. Centro dell'opera romana fu il teatro Barberini; fra i librettisti si annovera G. Rospigliosi, futuro papa Clemente IX, e fra gli scenografi G.L. Bernini. Benché nella seconda metà del Seicento le energie operistiche romane iniziassero a declinare, il teatro musicale continuò per tutto il secolo successivo a ricevere linfe vitali dai maggiori operisti e dai più celebri cantanti d'Italia. Un notevole risveglio di vita musicale si ebbe agli inizi dell'Ottocento, anche per influsso dell'illuminato dominio napoleonico, in quanto fu ripresa la tradizione della musica "privata", coltivata cioè non soltanto da professionisti, ma anche da dilettanti di buon livello nelle case e nei circoli; tuttavia, si trattò di un risveglio solo temporaneo, e l'interessamento del pubblico per la musica, nel corso del XIX sec. si restrinse all'opera teatrale e, secondariamente, alla musica sacra. Una riforma della musica sacra si rese necessaria: fu dapprima soltanto progettata da Gregorio XVI, e realizzata poi, nel 1903, dal pontefice Pio X; in conseguenza di essa, nel 1910 fu istituita la Pontificia Scuola Superiore di Musica Sacra, assurta nel 1931 a livello universitario con il nome di Pontificio Istituto di Musica Sacra. Fra le cappelle romane più rinomate, alle quali dal 1868 si aggiunse la Schola cantorum di S. Salvatore al Lauro, continuarono a figurare la Lateranense, la Giulia, la Liberiana e la Sistina. Tra i maestri romani che dall'Ottocento al Novecento si distinsero maggiormente come compositori di musica sacra si ricordano P. Terziani, P. Raimondi, S. Meluzzi. Nel corso dell'Ottocento si affermarono a R. alcuni enti musicali di importanza considerevole, quali la Congregazione e Accademia di Santa Cecilia, prima pontificia, poi regia; l'Accademia Filarmonica Romana; la Società Orchestrale Romana; la Società Musicale Romana; la Società Bach; il Quintetto della Regina Margherita; la Banda Comunale; i primi due enti sono tuttora in vita. L'Accademia di Santa Cecilia intorno alla metà del XIX sec. iniziò ad assumere un orientamento sempre più accentuato verso la musica profana e verso l'istruzione musicale: la sua scuola, fondata nel 1877, fu elevata al rango di conservatorio di musica nel 1919 e i concerti per orchestra da essa gestiti sono divenuti la massima istituzione sinfonica italiana. L'Accademia Filarmonica, fondata nel 1821 con lo scopo di rendere note le opere teatrali che non potevano giungere sulle scene romane, nel corso dell'Ottocento fece conoscere molte opere di Rossini, Donizetti, Verdi, mentre più recentemente ha rivelato musiche corali di autori come Mendelssohn, Rossini, Beethoven. Dal 1921 la Filarmonica offre annualmente regolari stagioni di musica da camera, che si tengono al teatro Olimpico. Altre istituzioni che animano attualmente il ricco panorama musicale romano sono il Teatro dell'Opera, l'Istituzione Universitaria dei Concerti, il Coro Polifonico Romano; creato nel 1960 per la diffusione della musica contemporanea è il Gruppo d'Improvvisazione Nuova Consonanza.

CRONOLOGIA DELLA STORIA DI ROMA ANTICA
753 a.C.
Fondazione di Roma.
753-509
Periodo monarchico.
509
Cacciata dei Tarquini. Data tradizionale dell'inizio della Repubblica. Primo trattato tra Roma e Cartagine.
496 ca.
Roma sconfigge i Latini presso il Lago Regillo.
494
Prima secessione della plebe.
493
Trattato tra Roma e la Lega latina.
477
Veio sconfigge i Romani al fiume Cremera.
451-50
I decemviri elaborano le Leggi delle XII Tavole.
445
La Lex Canuleia abroga il divieto di matrimonio tra patrizi e plebei.
444
Istituzione dei tribuni militari con poteri consolari.
443
Istituzione della censura.
426
Conquista di Fidene.
406-396
Guerra contro Veio, conclusa con la distruzione della città etrusca.
390
Sconfitta romana ad Allia e presa di Roma da parte dei Galli.
376
Leges Liciniae-Sextiae: ammissione dei plebei al consolato e norme sull'agro pubblico.
358-53
Guerra contro Etruschi e Falisci.
354
Trattato fra Romani e Sanniti.
348
Rinnovo del trattato tra Roma e Cartagine.
343-41
Prima guerra sannitica.
340-38
Guerra contro i Latini; scioglimento della Lega latina.
339
Leggi di Publilio Filone sul valore dei plebisciti.
326
Napoli si arrende ai Romani.
326-304
Seconda guerra sannitica.
321
Sconfitta di Roma alle Forche Caudine; trattato di pace con i Sanniti.
310
I Romani sconfiggono gli Etruschi.
306
Rinnovo del trattato romano-cartaginese.
304
Trattato di pace tra Romani e Sanniti.
303-302
Trattato fra Roma e Taranto.
300
La Lex Ogulnia ammette i plebei nei collegi sacerdotali.
299
Trattato tra Romani e Lucani.
298-90
Terza guerra sannitica (o prima guerra italica).
295
Vittoria romana a Sentino.
287
La Lex Ortensia dà valore di legge ai plebisciti.
283
I Romani battono i Galli Boi presso il Lago Vadimone.
282
Roma, alleata di Turi; violazione romana del trattato con Taranto.
281-72
Guerra contro Taranto e Pirro.
278
Trattato tra Roma e Cartagine.
275
Vittoria a Benevento su Pirro, che lascia l'Italia.
272
Presa di Taranto; Livio Andronico a Roma.
270
Presa di Reggio; Roma completa la sottomissione dell'Italia meridionale.
264-41
Prima guerra punica.
260
I Romani vincono i Cartaginesi a Milazzo.
255
Sconfitta di Attilio Regolo in Africa.
241
Vittoria romana alle Egadi; trattato di pace e annessione della Sicilia.
238
Occupazione romana della Sardegna e della Corsica.
237
I Cartaginesi iniziano l'occupazione della Spagna.
229-28
Prima guerra illirica contro la regina Teuta.
227
Creazione delle prime due province:Sicilia e Sardegna-Corsica.
226
Trattato dell'Ebro fra Roma e Cartagine.
225-22
Vittorie romane a Telamone e Casteggio e sottomissione della Gallia Cisalpina.
220-19
Seconda guerra illirica.
219
Annibale espugna Sagunto, alleata di Roma.
218-202
Seconda guerra punica.
218
Vittorie di Annibale presso i fiumi Trebbia e Ticino.
217
Vittoria di Annibale presso il Trasimeno.
216
Vittoria di Annibale a Canne.
215-205
Prima guerra macedonica.
212
Presa romana di Siracusa; alleanza tra Roma e gli Etoli.
211
Presa romana di Capua.
209-206
Scipione l'Africano conquista la Spagna.
207
I Romani vincono Asdrubale presso il Metauro.
205
Pace di Fenice tra Roma e Macedonia.
204
Introduzione del culto della Magna Mater a Roma.
203-202
Scipione in Africa; vittorie romane ai Campi Magni e a Zama.
200-197
Seconda guerra macedonica.
200-196
Riconquista della Gallia Cisalpina.
197
Vittoria romana a Cinocefale contro Filippo V.
197
Vittoria romana a Cinocefale contro Filippo V.
197-93
Organizzazione della Spagna in due province: Ulteriore e Citeriore.
193-88
Guerra contro Antioco III di Siria.
189
Vittoria romana contro Antioco a Magnesia al Sipilo.
188
Pace di Apamea con Antioco III: ridimensionamento della Siria.
186
Un senatoconsulto decreta la repressione dei culti dionisiaci in Italia.
181-78
Rivolta delle province spagnole, sedata dal console Gracco.
180
Lex Vilia sulla regolamentazione del cursus honorum.
171-68
Terza guerra macedonica.
168
Vittoria di Emilio Paolo a Pidna; deportazione di Perseo in Italia; Polibio a Roma fra gli ostaggi della Lega achea.
149-46
Terza guerra punica; Scipione Emiliano distrugge Cartagine e istituisce la provincia d'Africa.
146
Creazione della provincia di Macedonia; distruzione di Corinto e scioglimento delle leghe greche. Acaia annessa alla provincia macedone.
143-33
Rivolta dei Celtiberi, capeggiata da Viriato, conclusa con la presa di Numanzia da parte di Scipione Emiliano.
136-32
Prima rivolta servile in Sicilia.
133
Tribunato di Tiberio Gracco e pro-posta di ridistribuzione dell'agro pub-blico. Assassinio del tribuno. Attalo III lascia in eredità ai Romani il Regno di Pergamo.
125
Respinta la proposta di Fulvio Flacco di concedere la cittadinanza romana agli Italici; rivolta e distruzione della colonia latina di Fregellae.
125-18
Conquista e istituzione in provincia della Gallia Narbonense.
123
Caio Gracco tribuno della plebe; il tribunale sui reati di concussione passa sotto il controllo dei cavalieri, che divengono un ordine distinto da quello senatorio.
122
Deduzione di una colonia a Cartagine; secondo tribunato di Caio Gracco.
121
Uccisione di Caio Gracco.
112-105
Guerra giugurtina.
107
Primo consolato di Mario e riforma dell'esercito.
105
Cimbri e Teutoni vincono i Romani a Orange (Arausio).
104-100
Seconda rivolta servile in Sicilia.
102
Mario vince i Teutoni ad Aquae Sextiae.
101
Vittoria di Mario sui Cimbri ai Campi Raudii.
100
Tribunato di Saturnino e sua uccisione durante i disordini. Mario console per la quinta volta.
91
Tribunato di Marco Livio Druso; proposta di legislazione a favore degli Italici.
90-88
Rivolta degli Italici (guerra sociale).
90
La Lex Iulia concede la cittadinanza agli Italici rimasti fedeli o che depongono le armi.
88
La Lex Plautia-Papiria estende la cittadinanza romana; consolato di Silla; sostituzione di Silla con Mario nel comando in Oriente contro Mitridate; Silla marcia su Roma; fuga dei mariani.
88-85
Prima guerra contro Mitridate VI re del Ponto.
87
Silla assedia Atene; consolato di Cinna; ritorno di Mario e proscrizioni anti-sillane.
86
Morte di Mario.
85
Vittoria a Cheronea su Mitridate e pace di Dardano.
84
Assassinio di Cinna.
83-82
Ritorno di Silla in Italia; guerra civile conclusa a Porta Collina; dittatura di Silla.
83-81
Seconda guerra contro Mitridate.
81-80
Proscrizioni dei popolari; legislazione di riforma dello Stato; estensione del pomerio al Magro e al Rubicone.
80-72
Rivolta di Sertorio in Spagna, sedata da Pompeo.
79
Silla lascia volontariamente il potere.
78
Morte di Silla.
74
Nicomede IV re di Bitinia lascia il suo Regno in eredità ai Romani.
74-63
Terza guerra contro Mitridate.
73-71
Terza rivolta servile, guidata da Spartaco.
70
Consolato di Pompeo e Crasso; processo contro Verre e orazioni d'accusa di Cicerone.
67
La Lex Gabinia conferisce a Pompeo un comando straordinario su più province per combattere i pirati.
66
La Lex Manilia conferisce a Pompeo un comando straordinario per concludere la guerra contro Mitridate, sostituendo Licinio Lucullo.
66-63
Campagna di Pompeo contro Mitridate, creazione delle province di Siria-Giudea e Bitinia-Ponto.
63
Consolato di Cicerone e congiura di Catilina.
62
Battaglia di Pistoia e morte di Catilina; Cesare pretore nella Spagna Ulteriore.
60
Accordo tra Pompeo, Cesare e Crasso (primo triumvirato).
59
Consolato di Cesare; leggi agrarie; la Lex Vatinia assegna a Cesare il proconsolato della Gallia Narbonense, della Cisalpina e dell'Ilirico.
58-57
Esilio di Cicerone a Tessalonica e Durazzo.
58-51
Cesare conquista la Gallia.
56
Incontro di Lucca e rinnovo del triumvirato: vengono concordate la proroga del mandato di Cesare nel governo della Gallia per cinque anni e l'assegnazione del governo della Spagna a Pompeo e della Siria a Crasso.
55
Consolato di Pompeo e Crasso.
55-54
Spedizione di Cesare in Britannia.
53
Spedizione di Crasso contro i Parti e sua uccisione a Carre.
52
Rivolta di Vercingetorige in Gallia; assassinio di Clodio; Pompeo console unico.
50
Il Senato chiede a Cesare di lasciare il comando proconsolare; rottura definitiva tra Pompeo e Cesare.
49
Cesare passa il Rubicone; Pompeo si ritira in Oriente.
48
Cesare batte Pompeo a Farsalo; uccisione di Pompeo in Egitto per ordine di Tolomeo XIII.
47
Cesare sottomette l'Egitto; campagna contro Farnace del Ponto e vittoria di Zela.
46
Cesare batte i pompeiani a Tapso in Africa; è nominato dittatore e console per cinque anni.
45
Vittoria di Cesare sui pompeiani a Munda.
44
Cesare ottiene la dittatura a vita; il 15 marzo è ucciso da una congiura di ottimati.
43
Guerra di Modena; accordo tra Ottaviano, Antonio e Lepido (secondo triumvirato). Proscrizioni contro gli anticesariani e morte di Cicerone.
42
Battaglia di Filippi e suicidio di Bruto e Cassio.
41-40
Guerra di Perugia; Ottaviano vince Lucio Antonio.
40
Accordi di Brindisi tra i triumviri: Antonio ottiene l'Oriente, Ottaviano l'Italia, la Gallia e la Spagna, Lepido l'Africa e le isole.
37
Rinnovo del triumvirato; Antonio sposa Cleopatra.
36-35
Fallita spedizione di Antonio contro i Parti.
36
Sesto Pompeo è sconfitto a Nauloco da Ottaviano e da Marco Agrippa; Ottaviano ottiene l'inviolabilità propria dei tribuni della plebe.
36
Sesto Pompeo è sconfitto a Nauloco da Ottaviano e da Marco Agrippa; Ottaviano ottiene l'inviolabilità propria dei tribuni della plebe.
35-33
Spedizione di Ottaviano in Illiria.
31
Vittoria di Ottaviano ad Azio; Cleopatra e Antonio si rifugiano in Egitto.
30
Suicidio di Antonio e Cleopatra; Ottaviano assume la corona d'Egitto, quale diretto possesso imperiale.
27
Ottaviano proclama la restaurazione degli ordinamenti repubblicani, ottiene dal Senato il comando proconsolare sulle province e il titolo di Augusto; mantiene il consolato.
27 a.C. - 14 d.C.
Principato di Augusto.
25-19
Pacificazione della Spagna.
25
Galizia, Valle d'Aosta e Spagna Tarraconense diventano province romane.
23
Augusto rinuncia al consolato, ma trasforma in vitalizio il potere proconsolare e le prerogative tribunizie; morte di Marcello, nipote di Augusto.
16-10
Sistemazione del confine settentrionale dell'Italia, creazione delle province del Norico, della Rezia, delle Alpi Marittime e delle Alpi Cozie.
12-9
Conquista della Pannonia e campagna in Germania di Tiberio e Druso, figliastri di Augusto; Druso muore sull'Elba.
12
Morto Lepido, Augusto assume il titolo di pontifex maximus.
6
Esilio di Tiberio a Rodi.
2
Augusto Pater Patriae.
2 d.C.
Morte di Lucio, figlio di Agrippa e Giulia, adottato da Augusto.
4
Morte di Gaio, fratello di Lucio, anch'egli adottato da Augusto; richiamo e adozione di Tiberio.
5
Lex Valeria-Cornelia: regolamenta gli scrutini per la commendatio dei magistrati.
6
La Giudea diventa provincia romana.
6-9
Rivolta pannonica.
9
Arminio distrugge le tre legioni romane di Quintilio Varo nella foresta di Teutoburgo; la Pannonia diviene provincia romana.
14
Morte di Augusto.
14-37
Tiberio imperatore.
14-16
Spedizione di Germanico, nipote e figlio adottivo di Tiberio, in Germania.
17
Trionfo di Germanico, richiamato a Roma.
18
Spedizione di Germanico in Asia Minore; Commagene e Cappadocia province romane.
19
Morte di Germanico in Asia.
23
Druso, figlio di Tiberio, è avvelenato da Seiano, prefetto del pretorio.
24
Domata la rivolta di Tacfarinate in Mauretania.
26
Ritiro di Tiberio a Capri.
37
Morte di Tiberio e successione di Caligola, figlio di Germanico.
37-41
Caligola imperatore.
41
Cassio Cherea, tribuno dei pretoriani, uccide Caligola in odio al centralismo monarchico.
41-54
Claudio imperatore.
42
Creazione di due province in Mauretania.
43-44
Claudio conquista e riduce in provincia la Britannia.
46
Creazione della provincia di Tracia.
49
Claudio adotta Nerone, figlio di sua moglie Agrippina
54
Morte di Claudio, forse avvelenato.
54-68
Nerone imperatore.
55
Nerone fa uccidere Britannico, figlio di Claudio.
59
Nerone fa uccidere la madre Agrippina.
62
Morte di Afranio Burro; allontanamento di Seneca; Nerone fa esiliare e uccidere la moglie Ottavia e sposa Poppea.
63
Campagna partica di Domizio Corbulone.
64
Incendio di Roma.
65
Congiura di Pisone; suicidio di Seneca, Lucano, Petronio.
66
Rivolta giudaica in Palestina. Vespasiano incaricato della repressione.
68
Ribellione dei praefecti militum Galba (Spagna Tarraconense), Otone (Lusitania), Vindice (Gallia Lugdunense) e dei pretoriani a Roma. Suicidio di Nerone.
68-69
Anno dei quattro imperatori e guerra civile. Galba (imperatore dal giugno 68) è ucciso nel gennaio 69 dai pretoriani, sostenitori di Otone; questi muore suicida dopo la sconfitta subita a Bedriaco da parte di Vitellio.
69
Vespasiano acclamato imperatore dalle legioni orientali e danubiane; Vitellio viene ucciso a Roma occupata da truppe fedeli a Vespasiano.
69-79
Vespasiano imperatore.
69-70
Rivolta dei Batavi e loro repressione.
70
Tito, figlio di Vespasiano, distrugge Gerusalemme; Lex de imperio.
77
Agricola, governatore della Britannia; costruzione del limen fortificato lungo il Reno e il Danubio.
79
Morte di Vespasiano; successione di Tito; eruzione del Vesuvio.
79-81
Tito imperatore.
81-96
Domiziano imperatore.
83
Guerra contro i Catti.
84
Agricola conquista la Britannia fino alla Scozia.
85-89
Guerra contro Decebalo sul confine danubiano.
96
Uccisione di Domiziano in una congiura.
96-98
Nerva imperatore.
97
Associazione di Traiano al principato.
98
Morte di Nerva.
98-117
Traiano imperatore.
101-102
Prima guerra dacica.
105-106
Seconda guerra dacica; la Dacia diviene provincia romana.
113-117
Guerra partica; conquista di Ctesifonte; Mesopotamia, Assiria e Armenia diventano province.
117
Morte di Traiano in Cilicia.
117-38
Adriano imperatore.
122
Costruzione del vallo in Britannia.
132-35
Repressione della seconda rivolta giudaica.
138
Morte di Adriano.
138-61
Antonino Pio imperatore.
142
Costruzione del nuovo vallo in Britannia, con linea più avanzata.
161-80
Marco Aurelio imperatore.
161-69
Lucio Vero associato all'impero.
162-65
Guerra contro i Parti.
167-75
Guerre contro Marcomanni, Quadi e Iazigi.
169
Morte di Lucio Vero.
175-76
Ribellione di Avidio Cassio in Siria.
177
Commodo associato all'impero.
180
Morte di Marco Aurelio.
180-92
Commodo imperatore.
192
Assassinio di Commodo.
193
Lotta per la successione: Elvio Pertinace, eletto imperatore dai pretoriani, viene ucciso e sostituito con Didio Giuliano; Pescennio Nigro è acclamato in Siria, Clodio Albino in Britannia, Settimio Severo in Pannonia; ingresso di Severo in Roma; uccisione di Didio Giuliano.
193-211
Settimio Severo imperatore.
194
Severo vince Nigro a Isso e si accorda con Albino.
195-97
Severo in lotta contro Albino, sconfitto a Lione; Caracalla viene nominato Cesare.
197
Guerra contro i Parti: caduta di Ctesifonte.
211
Severo muore in Britannia; Caracalla e il fratello Geta imperatori.
211-17
Caracalla imperatore.
212
Caracalla uccide Geta; emanazione della Constitutio Antoniniana.
214-15
Guerra contro i Parti.
217
Uccisione di Caracalla a Carre; i soldati eleggono Macrino, prefetto del pretorio, primo imperatore di rango equestre.
217-18
Macrino imperatore.
218
Macrino ucciso dai soldati, che eleggono Eliogabalo, pronipote di Giulia Domna, moglie di Settimio Severo.
218-22
Eliogabalo imperatore.
222
Eliogabalo è ucciso dai pretoriani; il cugino Severo Alessandro, quattordicenne, è eletto imperatore sotto la guida della madre Giulia Mamea.
222-35
Severo Alessandro imperatore.
231-35
Severo Alessandro combatte i Persiani e i Germani; viene ucciso a Magonza dai soldati, che proclamano imperatore Massimino il Trace.
235-38
Massimino il Trace imperatore; vittorie sui Germani.
238
I Goti invadono la Mesia; il proconsole d'Africa Gordiano è proclamato imperatore dal Senato con il figlio; entrambi muoiono poco dopo; Massimino marcia in Italia ed è ucciso durante l'assedio di Aquileia; il Senato nomina imperatori Pupieno e Balbino, poi uccisi dai pretoriani che impongono Gordiano III.
238-44
Gordiano III imperatore.
244
Morte di Gordiano, ucciso in Oriente.
244-49
Filippo l'Arabo imperatore.
247
Filippo vince i Carpi in Dacia.
249
Il senatore Decio, chiamato a combattere i Goti che premono sul confine danubiano, è proclamato imperatore dall'esercito; Filippo è ucciso a Verona.
249-51
Decio imperatore.
250
Persecuzione contro ebrei e cristiani.
251-53
Decio muore in battaglia contro i Goti; successione di vari imperatori, Treboniano Gallo, Emiliano, Volusiano; proclamazione di Valeriano da parte delle legioni renane.
253-60
Valeriano imperatore si associa il figlio Gallieno.
257-58
Persecuzione contro i cristiani e martirio di san Cipriano, vescovo di Cartagine.
258
Rivolta di Postumio in Gallia e proclamazione del Regno autonomo delle Gallie.
260
Valeriano è fatto prigioniero da Sapore I re dei Persiani. Editto di tolleranza di Gallieno a favore dei cristiani.
267
Muore Odenato; la vedova Zenobia fonda il Regno autonomo di Palmira.
268
Gallieno è ucciso a Milano in una congiura.
268-70
Claudio II Gotico imperatore.
268
Vittoria di Claudio sugli Alamanni arrivati al lago di Garda e sui Goti a Naisso.
270
Morte di Claudio. Proclamazione di Aureliano.
270-75
Aureliano imperatore.
271
Abbandono della Dacia a nord del Danubio invasa dai Goti; vittoria su Alamanni e Marcomanni.
272-74
Sottomissione di Palmira e del Regno delle Gallie.
275
Assassinio di Aureliano.
275-76
Elezione di Claudio Tacito e suo assassinio in Asia; invasioni di Franchi e Alamanni a ovest del Reno.
276-82
Aurelio Probo imperatore.
277-79
Vittorie di Probo su Franchi, Alamanni, Vandali e Goti.
282
Assassinio di Probo; il prefetto del pretorio Caro eletto imperatore.
282-83
Caro imperatore.
283
Caro muore a Ctesifonte; i figli Carino e Numeriano imperatori.
284
Morte di Numeriano. Diocleziano eletto dall'esercito a Nicomedia.
284-305
Diocleziano imperatore.
285
Carino sconfitto da Diocleziano in Mesia e assassinato.
286
Massimiano è associato all'impero; inizio dell'organizzazione della tetrarchia.
293
Diocleziano nomina Galerio Cesare in Oriente. Massimiano nomina Costanzo Cloro Cesare in Occidente.
298
Galerio, soccorso da Diocleziano, batte i Persiani; Pace di Nisibi e supremazia romana a est del Tigri.
301
Editto sui prezzi.
303
Editti di persecuzione contro i cristiani.
305
Abdicazione di Diocleziano e Massimiano.
306-24
Guerra tra i successori di Diocleziano (Galerio, Costanzo Cloro, Massimino Daia, Severo, Massenzio e Costantino).
306
Costantino è acclamato Augusto.
307
Massenzio elimina Severo.
308
Incontro di Carnunto fra Diocleziano, Massimiano e Galerio; Licinio nominato Augusto.
310
Massimiano, assediato da Costantino a Marsiglia, si suicida; Massimino Daia è nominato Augusto.
311
Galerio revoca gli editti di persecuzione contro i cristiani con un editto di tolleranza; morte di Galerio.
312
Costantino batte Massenzio a ponte Milvio; alleanza con Licinio.
313
Incontro tra Costantino e Licinio a Milano; libertà di culto per i cristiani (Editto di Milano); Massimino Daia è eliminato da Licinio.
324
Costantino vince Licinio (battaglie di Adrianopoli e Crisopoli) e rimane unico imperatore.
325
Concilio di Nicea e condanna dell'Arianesimo.
330
Inaugurazione di Costantinopoli, nuova capitale dell'Impero.
332-34
Campagne contro Sarmati e Goti; Sapore II invade l'Armenia.
337
Morte di Costantino. Lotte per la successione tra i suoi tre figli Costantino, Costante e Costanzo.
337-61
Costanzo imperatore col fratello Costantino II dal 337 al 340, quando questi viene sconfitto da Costante.
350
Costante ucciso da Magnenzio.
351-54
Gallo diventa Cesare in Oriente; sua uccisione.
355
Giuliano diventa Cesare in Gallia.
357
Giuliano vince gli Alamanni a Strasburgo; Costanzo a Roma.
360
L'esercito proclama imperatore Giuliano a Parigi.
361
Costanzo muore in Cilicia.
362
Legislazione di Giuliano in favore dei culti pagani.
363
Campagna di Giuliano in Persia; sua morte.
363-64
L'esercito elegge Gioviano, che muore pochi mesi dopo.
364-75
Valentiniano I imperatore.
364
Valentiniano I si associa a Valente, al quale affida l'Oriente.
367
Graziano, figlio di Valentiniano, è nominato Augusto.
374-97
Ambrogio vescovo di Milano.
375
Morte di Valentiniano; gli succedono i figli Graziano e Valentiniano II.
376
I Goti a Sud del Danubio.
378
Battaglia di Adrianopoli; i Goti sconfiggono e uccidono Valente. Graziano nomina Augusto in Oriente Teodosio.
379-95
Teodosio imperatore.
380
I Goti si stanziano come federati nei Balcani.
381
Proscrizione dei culti pagani.
383
Morte di Graziano. Valentiniano II si stabilisce a Milano. Arcadio, figlio di Teodosio, è nominato Augusto.
383-388
Usurpazione di Magno Massimo in Gallia e Italia.
391
Il Cristianesimo religione di Stato.
392
Usurpazione di Eugenio; morte di Valentiniano II.
394
Battaglia del Frigido e sconfitta di Eugenio.
395
Morte di Teodosio a Milano; divisione dell'Impero tra i figli Arcadio (Oriente) e Onorio (Occidente), sotto la tutela del generale Stilicone.
395-408
Arcadio imperatore d'Oriente.
395-423
Onorio imperatore d'Occidente.
395-96
I Goti di Alarico nei Balcani.
401-03
Alarico in Italia; vittorie di Stilicone a Pollenzo (402) e Verona (403).
402
La corte di Onorio si trasferisce a Ravenna.
406
Invasione della Gallia da parte di Alani, Burgundi, Suebi (o Svevi), Vandali.
407-11
Usurpazione di Costantino III acclamato dall'esercito in Britannia.
408
Uccisione di Stilicone ; morte di Arcadio.
408-50
Teodosio II imperatore d'Oriente.
409
Vandali, Alani, Suebi in Spagna.
410
Alarico, dopo trattative fallite con Ravenna, saccheggia Roma; morte di Alarico.
412
Ataulfo, successore di Alarico, passa in Gallia.
413
I Burgundi autorizzati a stabilirsi a Worms e Magonza; i Franchi saccheggiano Treviri; i Visigoti prendono Narbona e Tolosa.
418
I Visigoti fondano il Regno di Aquitania.
419
Lotta tra Vandali e Suebi in Spagna.
421
Costanzo III, da poco associato al potere, muore in settembre.
423
Morte di Onorio.
425-55
Valentiniano III imperatore d'Occidente.
428-77
Genserico re dei Vandali.
429
I Vandali passano in Africa e assediano Cartagine.
430-31
I Vandali assediano ed espugnano Ippona.
430 ca.-54
Ezio comandante dell'esercito in Occidente.
436
Ezio batte i Burgundi; la loro sconfitta segna la fine del regno di Worms.
438
Pubblicazione del Codice teodosiano.
439
I Vandali espugnano Cartagine.
440
Incursione vandala in Sicilia.
450
Morte di Teodosio II e di Galla Placidia; Marciano sposa Pulcheria, sorella di Teodosio, e diventa imperatore.
450-57
Marciano imperatore d'Oriente.
451
Sconfitta degli Unni ai Campi Catalauni, in Gallia.
452
Attila invade l'Italia, ma si arresta sulla linea del Po.
453
Morte di Attila.
454
Valentiniano III uccide Ezio.
455
Uccisione di Valentiniano III; i Vandali conquistano e saccheggiano Roma.
457-61
Maggioriano imperatore d'Occidente.
457-74
Leone I imperatore d'Oriente.
461-72
Artemio Procopio imperatore d'Occidente, riconosciuto dal generale Ricimero.
474-91
Zenone imperatore d'Oriente.
476
Il re barbaro Odoacre sconfigge Oreste, reggente dell'Impero d'Occidente, e ne depone il figlio Romolo Augustolo.

IMPERATORI ROMANI D'OCCIDENTE
Augusto
Tiberio
Caligola
Claudio
Nerone
Galba
Otone
Vitellio
Vespasiano
Tito
Domiziano
Nerva
Traiano
Adriano
Antonino Pio
Marco Aurelio
Lucio Vero
Commodo
Pertinace
Didio Giuliano
Clodio Albino
Pescennio Nigro
Settimio Severo
Caracalla
Geta
Macrino
Eliogabalo
Alessandro Severo
Massimino il Trace
Gordiano I
Gordiano II
Pupieno
Balbino
Gordiano III
Filippo l'Arabo
Decio
Treboniano Gallo
Emiliano
Valeriano
Gallieno
Postumo (nelle Gallie)
Leliano (nelle Gallie)
Mario (nelle Gallie)
Vittorino (nelle Gallie)
Tetrico (nelle Gallie)
Claudio II il Gotico
Quintillo
Aureliano
Tacito
Floriano
Probo
Caro
Carino e Numeriano
Diocleziano
Massimiano
Costanzo I Cloro
Galerio
Flavio Severo
Massenzio
Massimino Daia
Costantino il Grande
Licinio
Costantino II
Costante
Costanzo II
Magnezio
Giuliano detto l'Apostata
Gioviano
Valentiniano I
Valente
Graziano
Valentiniano II
Teodosio
Onorio
Giovanni
Valentiniano III
Petronio Massimo
Avito
Maggioriano
Libio Severo
Antemio
Olibrio
Glicerio
Giulio Nepote
Romolo Augustolo
27 a.C. - 14 d.C.
14 – 37
37 – 41
41 – 54
54 - 68
68 – 69
69
69
69 – 79
79 – 81
81 – 96
96 – 98
98 – 117
117 – 138
138 – 161
161 – 180
161 – 169
180 – 192
193
193
193 – 197
193 – 194
193 – 211
211 – 217
211 – 212
217 – 218
218 – 222
222 - 235
235 – 238
238
238
238
238
238 – 244
244 – 249
249 – 251
251 – 253
253
253 - 260
253 - 268
260 - 268
268
268
268 - 270
270 - 274
268 – 270
270
270 - 275
275 - 276
276
276- 282
282 - 283
283 - 284
284 - 305
286 - 305
305 - 306
305 - 311
306 - 307
306 - 312
308 - 313
306 – 337
308 – abdica 323
337 - 340
337 -350
337 - 361
350 - 353
360 - 363
363 - 364
364 - 375
364 - 378
367 - 383
375 - 392
379 - 395
395 - 423
423 - 425
425 - 455
455
455 - 456
457 - 461
461 - 465
467 - 472
472
473 - 474
474 - 475
475 - 476