Capitale dell'Italia, capoluogo del Lazio e della provincia omonima.
Sorge a 20 m s/m., a circa 20 km dalle coste tirreniche. 2.546.804 ab. CAP
00100. ║
Provincia di R. (5.352 kmq; 3.700.424 ab.): presenta
un'articolata eterogeneità di paesaggi fisici e antropici, abbracciando i
Monti della Tolfa, i Monti Sabatini e i Colli Albani, tutti vulcanici, il
pianeggiante agro romano, la valle del Tevere, il bacino dell'Aniene (a
eccezione del tronco sorgentifero), i Colli laziali e la parte superiore del
bacino del Sacco; si estende inoltre per il tratto di costa dalla foce del
Mignone fino a Torre Astura. Per quanto riguarda le attività economiche,
nelle zone più fertili (i Colli laziali e i Sabatini) predominano le
colture della vite e dell'olivo; la campagna romana, un tempo paludosa, è
ormai coltivabile grazie a secolari opere di bonifica e fornisce vino, frutta e
ortaggi; i Castelli romani, Bracciano e Zagarolo sono i centri vinicoli
principali; Tivoli e dintorni hanno importanza per le olive, l'uva da tavola e
gli ortaggi, mentre Civitavecchia e Anzio per la pesca. L'allevamento del
bestiame, per lo più ovino, è praticato soprattutto nella campagna
romana, sostenendo una produzione casearia di qualità (il pecorino della
zona è apprezzato in tutta la penisola); in progresso è
l'allevamento bovino, specie per la produzione di latte. I maggiori centri
industriali, dopo
R., sono Colleferro, Civitavecchia e Tivoli. L'energia
idroelettrica è attinta in massima parte dagli impianti sull'Aniene. I
centri urbani principali sono: Velletri, Civitavecchia, Tivoli, Marino,
Guidonia, Montecelio, Nettuno, Albano Laziale, Frascati, Genzano di Roma,
Monterotondo, Colleferro, Anzio, Pomezia, Palestrina, Cerveteri. ║ Fig. -
R. caput mundi (
R. capo del mondo): locuzione con la quale i
cittadini romani proclamavano la supremazia della loro città sul mondo.
Fu utilizzata in tal senso, tra gli altri, da Lucano e da Tito Livio. ║
Fig. -
O R. o morte: motto prescelto da Garibaldi in occasione
dell'impresa d'Aspromonte del 1861 e rinnovato nel 1867 per quella di Mentana.
║ Fig. -
Capire R. per toma: capire una cosa per l'altra. ║
Fig. -
Tutte le strade portano a R.: un obiettivo può essere
raggiunto in diversi modi, ugualmente validi. • Etim. - La derivazione
etimologica del nome di
R. fu ricercata già dagli antichi,
benché le soluzioni da essi offerte non reggano oggi all'esame
filologico: è inverosimile, infatti, che
Rōma derivi da
Rōmûlus (sembra vero piuttosto il contrario). Le ipotesi
formulate in età moderna sono numerose: una si richiama all'antico nome
del Tevere
Rūmō, per cui
rōmānus avrebbe come
significato originario: fluviale. A sostegno di questa tesi starebbe la
corrispondenza, nella cinta muraria serviana, della
Porta Flumentana con
la primitiva
Porta Romula. Un'altra teoria si rifà all'originario
nome del Palatino:
Rūma (mammella); un'altra al nome gentilizio
etrusco
Ruma, cui si richiamerebbe anche l'antico nome del Tevere.
Quest'ultima ipotesi, elaborata all'inizio del XX sec. da W. Schulze è a
tutt'oggi la più accreditata.
GEOGRAFIA
Morfologia: la città si trova al
centro di un'area pianeggiante, dalla caratteristica forma triangolare,
attraversata da Nord-Est a Sud-Ovest dal fiume Tevere che vi riceve da sinistra
le acque dell'Aniene. Dal centro della pianura si innalzano le pendici dei coni
vulcanici dei Monti Sabatini (a Nord) e dei Colli Albani (a Sud-Est),
sovrapposti e alternati a depositi alluvionali. Le colline a sinistra del
Tevere, i celebri Sette Colli, geologicamente sono il prodotto eruttivo del
distretto dei Colli Albani, mentre quelle sulla destra del fiume sono in
prevalenza costituite da depositi ghiaiosi di origine marina, fluviale e
lacustre e solo superficialmente. La vicinanza di rilievi vulcanici e,
così pure, degli Appennini sismicamente attivi spiegano la frequenza di
scosse telluriche che, soprattutto in passato, hanno interessato la
città: pur se non particolarmente intensi (magnitudo massima pari a 4)
questi sismi sono nettamente percepiti a causa della modesta profondità
dell'epicentro (inferiore a 7 km). La morfologia originaria del luogo, dunque,
aveva carattere di deposito vulcanico, seppur poco elevato e dalla
sommità spianata, in cui il Tevere e i corsi d'acqua minori avevano
inciso il proprio letto. È questa la ragione dei vari e talvolta bruschi
dislivelli che caratterizzavano il sito urbano, come pure la campagna
circostante: valga per tutti l'esempio del Gianicolo (88 m s/m.) che sovrasta,
senza soluzione di continuità, il rione di Trastevere (18 m s/m.). A tale
conformazione del territorio conseguiva anche il problema di frequenti ristagni
d'acqua, cui si cercò di porre rimedio già nell'antichità
con la tecnica dei riporti di terreno, con spessori pari, per l'area della
città antica, a un minimo di 5 m, fino anche ai 15 m dell'odierna
Passeggiata archeologica. Anche in età moderna si è ricorsi a
questo sistema, elevando l'entità dei riporti, benché con un fine
diverso: regolarizzare, cioè, la pendenza dei corsi stradali e del
fondovalle (come via del Tritone, via Nazionale, viale Manzoni, via dell'Amba
Aradam, via Pannonia, via Satrico-via Lanciani, via Gregorio VII, via Cipro) o
di aree a edificazione pianificata (stazione Termini, via Nizza-piazza
Alessandria, EUR). Nonostante l'indubbia importanza degli interventi antropici
per il successivo sviluppo della città, furono proprio le caratteristiche
naturali del luogo a favorire la nascita dei primi insediamenti umani
antecedenti la
R. storica: il sito romano, infatti, si differenziava
dalle altre località della campagna romana (simili per le alture a
sommità spianata, abitabili e facilmente difendibili) per la vicinanza
del Tevere. Il fiume, navigabile fin dall'Umbria, costituiva la migliore e la
più agevole via di comunicazione tra le regioni appenniniche e il mare.
Punto nodale del transito fluviale era l'Isola Tiberina: a valle dell'isola,
infatti, un piccolo dislivello obbligava al trasbordo del carico su mezzi
terrestri o su altri natanti, mentre a monte era sito l'unico guado praticabile.
Essa era dunque snodo ineludibile tanto delle direttrici commerciali in
direzione Ovest-Est quanto in direzione Nord-Sud. L'occupazione delle alture che
dominavano da sinistra l'Isola Tiberina e il tratto più stretto della
valle comportò, dunque, anche un potere di controllo sui traffici che
favorì le popolazioni lì insediate e lo sviluppo di una florida
comunità urbana coordinata economicamente e politicamente. Il più
antico nucleo cittadino sorse e si sviluppò dapprima sul Palatino, che si
ergeva sulle modeste paludi del fondovalle, poi sul Campidoglio e sulle vette
degli altri colli (Quirinale, Viminale, Esquilino, Celio, Aventino). ║
Idrografia: in epoca antica erano già state realizzate opere di
drenaggio, canalizzazione e bonifica, riprese e perfezionate nei secc. XIX-XX.
Con esse si cercò di ridurre, se non di eliminare del tutto, i danni
provocati alla città dall'assetto idrologico del suo sito e dalle
esondazioni del Tevere, cui contribuivano il restringimento delle sponde causato
dagli insediamenti antropici e il colmamento del letto raramente dragato. Solo
con l'inizio del XX sec. la costruzione di argini in muratura, almeno nell'area
centrale della città, ha permesso di contenere le rovinose piene del
fiume che hanno però più volte colpito le campagne e le zone
periferiche di espansione edilizia. L'edificazione della centrale idroelettrica
di Castel Giubileo (1951), invece, ha consentito di regolarizzare la portata del
corso d'acqua: il bacino della centrale, infatti, funziona anche come cassa di
colmata delle acque del Tevere. Quest'ultimo, soprattutto nel ventennio 1960-80,
è andato incontro a un processo di progressiva degradazione, sia
nell'equilibrio del corpo idrico sia nella qualità stessa delle acque,
che ancora nei primi decenni del XX sec. erano utilizzabili per scopi alimentari
o balneari. Ciò nondimeno, l'approvvigionamento urbano di acqua potabile
non costituisce un problema: varie condotte, già in funzione
nell'antichità, sono state ripristinate, potenziate e affiancate da
numerosi altri acquedotti, il più importante dei quali è quello
Peschiera-Capore. ║
Clima: il clima di
R. deve la sua
mitezza alla latitudine, all'altitudine propria e del territorio immediatamente
circostante (pianeggiante e contornato da moderati rilievi) e alla vicinanza del
mare: le temperature, molto miti, registrano infatti medie annue di 15,9 °C
e le precipitazioni ammontano a circa 800 mm annui. Negli ultimi decenni il
clima della città ha subito un innalzamento della temperatura media,
conseguente allo sviluppo urbano.
ECONOMIA
Tra le attività economiche della
capitale, l'agricoltura ha incidenza minima, nonostante la presenza di terreni
agricoli entro i confini del comune. L'industria, invece, occupa circa il 16%
della popolazione attiva, facendo della città il terzo polo industriale
italiano dopo Milano e Torino. Il settore è costituito in prevalenza da
un tessuto di piccole imprese, addette alla produzione artigianale o alla
manutenzione più che alla manifattura. Come tali, esse sono legate al
regime produttivo delle poche imprese maggiori (poligrafiche, farmaceutiche,
elettrotecniche ed elettroniche), di cui spesso rappresentano l'indotto delle
commissioni esterne. Al termine dell'esplosione urbanistica, che ha depresso il
settore edile e dei materiali da costruzione, nel corso degli ultimi anni il
settore in crescita è stato il terziario, che occupa circa l'80% della
popolazione attiva. Il grande sviluppo dell'attività terziaria (che
comprende offerta di servizi a singoli, famiglie, turisti, imprese,
attività di pubblica amministrazione, direzionali, di ricerca) risulta
comprensibile in relazione al carattere specifico di
R. capitale e sede
direttiva di importanti imprese a carattere nazionale, sia pubbliche sia
private, come pure di diverse imprese attive nell'informazione (RAI, emittenti
televisive private, agenzie di stampa, testate giornalistiche a diffusione
nazionale, ecc.). ║
Comunicazioni interne: il traffico interno alla
città costituisce uno dei maggiori problemi della capitale, direttamente
proporzionale al crescere del traffico automobilistico privato, che congestiona
gli spostamenti tra i quartieri cittadini, in particolare quelli centrali.
Obiettivo delle amministrazioni cittadine è quello di garantire sia il
trasporto pubblico urbano a residenti, lavoratori pendolari, turisti e
pellegrini, sia una buona organizzazione e scorrevolezza della circolazione
privata, spesso perseguita con l'introduzione di zone a traffico limitato o di
isole pedonali. Elementi significativi del trasporto pubblico, alcuni dei quali
potenziati o realizzati in occasione dei Mondiali di calcio del 1990, sono: la
linea metropolitana A (14,5 km) e la linea B; linee in sede propria (tramvie);
corsie riservate per i mezzi su gomma; realizzazione di una cintura ferroviaria
metropolitana; aree di sosta e parcheggio. ║
Comunicazioni esterne:
R. costituisce un punto nodale delle comunicazioni sia su scala regionale
sia nazionale. Dalla città transitano le linee ferroviarie da e per il
Nord, sia lungo la costa tirrenica, sia verso l'interno in direzione
Firenze-Bologna; ugualmente a
R. fanno capo i convogli da e per il Sud,
in direzione Napoli-Reggio Calabria, due importanti linee transappenniniche (per
l'Umbria e le Marche e per l'Abruzzo) e diverse tratte locali. Il traffico su
ruota, invece, non interessa quasi più direttamente la città ma si
vale della rete autostradale, assai sviluppata, o delle grandi arterie esterne,
alcune delle quali ricalcano le antiche vie romane: l'Aurelia, la Cassia, la
Flaminia, la Salaria, la Casilina. Le tratte per Milano e Napoli sono state
raccordate da una bretella a 25-30 km dalla città, e il raccordo anulare,
su cui in precedenza si inseriva il traffico Nord-Sud, è impiegato oggi
solo per quello cittadino.
R., infine, è cresciuta come scalo
aereo internazionale, con gli aeroporti di Fiumicino e Ciampino. Dal 1989,
inoltre, è entrato in funzione un collegamento veloce su rotaia tra
l'aeroporto di Fiumicino e la nuova stazione
R.-Ostiense.
PREISTORIA E TOPOGRAFIA
Le prime tracce di insediamento umano
nell'area di
R. risalgono all'epoca neandertaliana, come testimoniano gli
oggetti litici ritrovati in numerose località, fra cui Tor di Quinto e
Frascati; qualche reperto attesta la presenza di popolazioni nella zona anche
durante il Paleolitico superiore. Per contro, i ritrovamenti risalenti al
Neolitico sono limitati ad aree periferiche, come i Colli Albani, mentre sono
assenti nell'area della città: ciò ha indotto a ritenere che,
durante questo periodo e nell'Età del Bronzo in cui si sviluppò
altrove la cultura appenninica, il territorio di
R. fosse inadatto alla
vita umana, forse per le avverse condizioni climatiche. I primi abitanti della
città furono comunità di pastori provenienti dai Colli Albani (da
Alba Longa, secondo la tradizione) e insediatisi presso le colline sulla sponda
sinistra del Tevere a partire dall'Età del Ferro, nel periodo cioè
in cui si diffuse in Italia la cultura detta
villanoviana.
R.
prevalse presto sui villaggi vicini grazie alla sua collocazione geografica
presso il mare, lungo le direttrici che collegavano le coste con le regioni
appenniniche, e alla posizione strategica per il controllo sia dei guadi del
Tevere, sia di una importante via del sale che dalla foce del fiume portava ai
monti dell'interno. Dai nomi dati ai colli dai primi abitanti (
Fagutal,
dal faggio,
Viminalis, dal vimine,
Querquetulanus, dalla quercia)
e conservati dalla tradizione letteraria, si evince che le loro cime erano
ricoperte da boscaglie; tra l'uno e l'altro colle si estendevano invece zone
paludose, alcune delle quali (la palude del Velabro, fra Palatino e Campidoglio)
erano ricordate ancora in epoca storica. Il colle prescelto per l'insediamento
principale fu quasi certamente il Palatino che, grazie alla conformazione
scoscesa era facilmente difendibile: di fatto, le testimonianze archeologiche
provano che su quest'altura (che la tradizione ricordava come il colle di
Romolo) già tra il IX e il VII sec. a.C. si susseguirono centri abitati,
con capanne a pianta ellittica e rettangolare, noti col nome di
R.
quadrata. Altri vasti stanziamenti primitivi sono stati scoperti
sull'Esquilino e sul Quirinale, spesso associati a corredi funerari risalenti
anche al IX sec. a.C., e importanti necropoli sono state rinvenute ai margini
dell'avvallamento paludoso che si estendeva fra il Palatino e il Campidoglio. Le
sepolture in questo luogo cessarono intorno al VI sec. a.C., e ciò
costituisce una conferma del fatto che, secondo le fonti, proprio intorno a
quell'epoca avvennero l'unificazione delle varie comunità dei colli, la
bonifica della zona paludosa attraverso la creazione della cloaca massima, e la
creazione del Foro come area di mercato. Il centro abitato si espanse allora sui
colli vicini, e la nuova città fu divisa in quattro regioni
(
Suburana,
Esquilina,
Collina e
Palatina),
comprendenti anche il Campidoglio e la Velia, zona di congiunzione fra le
regioni. I tratti più esposti a eventuali attacchi nemici furono cinti da
mura, i cui blocchi di tufo a forma di parallelepipedo sono stati rinvenuti
negli scavi sul Palatino, sul Campidoglio e sul Viminale, e l'originario guado
del Tevere fu sostituito da un ponte (
pons sublicius). Tra la fine del VI
e i primi del V sec. a.C., durante l'età regia, a
R. furono
realizzate importanti opere architettoniche a carattere religioso e civile: ci
sono noti i resti del tempio di Giove Capitolino, della
Regia più
arcaica, di alcune cisterne, delle fondazioni dei templi dei Castori e di
Saturno; al medesimo periodo risalgono forse anche le fondazioni dei due templi
del Foro Boario, identificati con quelli della
Fortuna Virile e
della
Mater Matuta, e certamente il cippo del Foro, un blocco di tufo che
contiene la più antica iscrizione in lingua latina. Durante la Monarchia,
il Campidoglio divenne l'acropoli sacra, il Campo Marzio un centro di
addestramento militare, il Foro il centro delle attività cittadine e il
Palatino un quartiere residenziale. Intorno al 390 a.C., l'incendio provocato
dai Galli distrusse quasi interamente la
R. primitiva, i cui monumenti
furono quindi restaurati o ricostruiti; a questa fase risalgono il tempio della
Concordia (367 a.C.), voluto da M. Furio Camillo, e le cosiddette mura serviane,
che proteggevano tutto il perimetro della città e che sono ancora
parzialmente visibili in alcuni punti di
R. Durante il IV e il III sec.
a.C. si procedette alla costruzione di nuovi templi, di importanti strade (la
Via Appia, tracciata nel 312 a.C. per iniziativa del censore Appio Claudio) e di
acquedotti extraurbani (per volontà dello stesso Appio Claudio e di M.
Furio Dentato). L'attività edilizia aumentò nel periodo
successivo, anche se i lavori furono sovente rallentati dallo sforzo bellico
intrapreso dai Romani contro Cartagine: tra le costruzioni più notevoli
del III e del II sec. a.C. si ricordano il Circo Flaminio (221 a.C.), il tempio
della
Magna Mater sul Palatino (192 a.C.), le varie basiliche - luoghi
d'incontro per attività commerciali, legali, politiche e finanziarie -
nel Foro (
Porcia,
184 a.C.;
Fulvia et Aemilia,
179
a.C.), nonché i portici per il commercio al minuto (
Porticus
Aemilia,
Porticus Octavia). Inoltre, già dal III sec. a.C.
R. iniziò ad avere problemi di sovraffollamento, a causa del suo
ruolo di città sempre più importante: lo testimoniano i resti dei
numerosi caseggiati a più piani (
insulae), destinati a divenire un
tratto tipico della capitale, costruiti lungo le vie strette e anguste, come la
celebre e famigerata
Suburra. Di contro, l'orgoglio delle famiglie
più ricche si manifestava nella costruzione di nuovi templi e di opere
pubbliche: al II sec. a.C. risalgono sia la pavimentazione delle vie urbane, sia
la costruzione dei templi di Giove Statore e di Giunone Regina, mentre al 144
a.C. si data la cosiddetta
Aqua Marcia, acquedotto imponente per
dimensioni e portata, in grado di rifornire di acqua anche la zona al di
là del Tevere (Trastevere). L'attraversamento del fiume, a sua volta,
venne migliorato con l'edificazione di nuovi ponti in muratura (Emilio, 142
a.C.; Milvio 109 a.C.), così come furono agevolate le comunicazioni
esterne tramite la creazione di un sistema di vie lastricate (Appia, Latina,
Emilia, Flaminia). Nel I sec. a.C., L. Cornelio Silla fu il primo dei grandi
dittatori a riorganizzare vaste zone, quali il Comizio e i Rostri; nel 78 a.C.
Q. Lutazio Catulo, con l'edificazione del
Tabularium, collegò il
Campidoglio e il Foro in unità architettonica. Durante questa fase,
R.
si arricchì di opere d'arte bottino di guerra e di materiali preziosi
importati dall'Oriente; si sviluppò il gusto per le costruzioni fastose e
monumentali, testimoniato dalle numerose ville signorili (
domus) in
città, sui colli e presso il mare. Pompeo, da parte sua, inaugurò
un sistema di teatri e di portici, mentre Giulio Cesare, con la legge
de urbe
augenda,
progettò una risistemazione urbanistica della
città comprendente anche la deviazione del Tevere sotto i Monti Vaticani
e la completa bonifica del Campo Marzio. La sua morte interruppe tale
rinnovamento, benché Agrippa e poi Augusto portassero a compimento alcuni
suoi progetti quali il
Forum Iulium e la basilica Giulia. Lo stesso
Cesare donò al popolo i giardini di Trastevere con il tempio di
Fors
Fortuna; altri giardini (
horti) furono abbelliti per volere di
potenti cittadini come Lucullo (
Horti Luculliani, sul Pincio) e Sallustio
(
Horti Sallustiani, fra Pincio e Quirinale). Le aree monumentali della
città, che erano state scelte dai re, avevano raggiunto il loro assetto
definitivo durante la Repubblica. Tuttavia, l'aspetto esteriore (quale appare
oggi) è frutto essenzialmente della politica edilizia degli imperatori,
ognuno dei quali volle dare il proprio contributo al fasto cittadino,
manifestando parimenti la propria personale potenza. Il primo, profondo
rinnovamento di
R. fu opera di Augusto, il quale intorno al 7 a.C. divise
il territorio della città in 14 regioni e vi riorganizzò in modo
più razionale i sistemi di polizia e dell'annona; costruì anche,
oltre a completare gli edifici iniziati da Cesare, un nuovo foro, detto di
Augusto, e il tempio di Apollo sul Palatino, con il portico delle Danaidi;
risanò definitivamente il Campo Marzio, riservando un'area per il proprio
mausoleo e per l'
Ara Pacis. Condusse nuovi acquedotti a
R. e
affidò ai suoi più stretti collaboratori altre grandiose opere
monumentali: ad Agrippa si devono il
Pantheon,
poi rifatto da
Adriano, le prime terme pubbliche e il tempio di Nettuno; Mecenate invece
bonificò l'Esquilino, creandovi un vasto sistema di giardini. Durante il
Regno di Tiberio furono costruiti i
Castra Praetoria, per la sistemazione
della milizia imperiale, e la
Domus tiberiana, sul Palatino. Dei folli
progetti di Caligola rimane solo il circo di Trastevere, poi divenuto sacro al
Cristianesimo per i suoi martiri. Claudio creò il porto di Ostia e si
preoccupò di far giungere l'acqua (tramite due nuovi acquedotti) alle
ville e ai parchi del Quirinale, del Pincio e dell'Aventino, dove si erano
trasferiti i Romani più ricchi, allontanatisi dal caotico centro urbano.
Nel 64 d.C., durante il Regno di Nerone, si verificò l'incendio,
tristemente famoso, che devastò buona parte delle zone centrali: il piano
regolatore da lui promulgato prevedeva la ricostruzione razionale del
territorio, ma di fatto tutte le principali energie furono convogliate nella
realizzazione della sua sontuosa residenza, detta
Domus aurea, la quale
non fu terminata, però, prima della sua morte. Per converso, le
realizzazioni degli imperatori Flavi risentono del tentativo da loro operato di
restaurare la "romanità" che le passioni ellenistiche di
Nerone avevano trascurato: furono perciò costruiti l'anfiteatro Flavio,
più noto come Colosseo, il Foro di Vespasiano, lo stadio in Campo Marzio
(attuale Piazza Navona) e le terme di Tito. Durante il Regno di Nerva fu
realizzato un nuovo Foro, detto Transitorio, che congiungeva il Foro romano alla
Suburra; al principato di Traiano risale invece la grandiosa concezione di un
foro comprendente la basilica Ulpia, le biblioteche e la famosa colonna
istoriata che narrava le vittorie dell'imperatore sui Daci. L'avvento al
principato di Adriano segnò anche l'inizio dei restauri delle opere
più antiche, come il Pantheon e le terme di Agrippa; inoltre, furono
edificati il grandioso mausoleo (odierno Castel Sant'Angelo), con il ponte Elio
per accedervi, e il tempio di Venere e
R. sul sito della
Domus aurea
neroniana. Durante l'Impero degli Antonini si ebbe una pausa nelle grandi
creazioni monumentali, benché non mancassero nuovi edifici e nuove opere
pubbliche; per contro, notevole fu l'attività edilizia dei Severi, che si
esplicò nelle grandiose terme antoniniane, nell'arco di trionfo del foro,
ma anche in caserme, templi, magazzini, acquedotti. Nel periodo successivo, di
fronte alla minaccia delle invasioni barbariche, si moltiplicarono le opere di
fortificazione: nel III sec. l'intera città fu circondata da una poderosa
cinta di mura (le cosiddette "mura aureliane"), iniziata da
Aureliano nel 272 e terminata in cinque anni. Restauri furono poi compiuti da
Massenzio, Arcadio e Onorio; Aureliano eresse anche un colossale tempio dedicato
al Sole, mentre a Massenzio si deve la celebre basilica, costruita sui resti
dell'incendio che devastò
R. nel 284. Nonostante l'incombente
decadenza, la città raggiunse proprio in questo periodo il massimo
fulgore architettonico, come documenta lo storico Ammiano Marcellino; archi di
trionfo furono innalzati ancora da numerosi imperatori (Costantino, Graziano,
Valentiniano e Teodosio, Arcadio, Onorio), ma nel 410 il sacco dei Vandali di
Alarico iniziò la serie delle distruzioni delle opere d'arte e dei
monumenti. I successivi cambiamenti urbanistici appartengono per contro alla
topografia medioevale.
STORIA
Età arcaica e monarchica
(753-509 a.C.): le testimonianze archeologiche attestano successivi insediamenti
sui colli romani tra il X e il VII sec. a.C. (V.
SOPRA) che, costituitisi in unità politica,
parteciparono alla lega religiosa latina che si raccoglieva intorno al santuario
di Giove Laziare, sul Monte Cavo. In origine la città egemone fu Alba,
presto soppiantata da
R., secondo la tradizione, durante il Regno di
Tullo Ostilio. Le nostre scarse conoscenze dell'età arcaica dipendono in
gran parte dalla tradizione annalistica, ma questa, nata nel III sec. a.C., si
trovò a dover colmare i 500 anni di storia che la separavano dalla
tradizionale data di fondazione di
R., fissata al 753 a.C. (e messa in
relazione con il mito troiano della fuga di Enea, con i suoi discendenti diretti
- i re di Alba Longa - e indiretti - i fratelli Romolo e Remo, artefici della
fondazione vera e propria): di fatto non possediamo dati sequenziali sicuramente
attendibili anteriori al 390 a.C., anno dell'incendio gallico. Gli annalisti
attinsero per le loro narrazioni sia dalle fonti ufficiali della città
(gli
Annales Pontificum), sia dai documenti privati delle famiglie
più potenti, mescolando spesso fatti reali a elementi leggendari e
mitologici. La serie dei s
ette re di R. (Romolo, Numa Pompilio, Tullo
Ostilio, Anco Marzio, Tarquinio Prisco, Servio Tullio, Tarquinio il Superbo)
sortisce appunto da una simile miscela e contiene, accanto a figure leggendarie
come Romolo o Numa Pompilio, elementi sicuramente storici: è indubbio che
la
R. arcaica fosse una Monarchia (in una prima fase controllata
dall'elemento latino e sabino, in una seconda - gli ultimi tre re - da quello
etrusco), tuttavia, l'ordine, il numero e l'identità dei re furono
oggetto di rielaborazioni successive. Il
populus della città
comprendeva da un lato i cittadini ordinari (
plebs), senza alcuna
qualifica religiosa, politica o sociale, divisi in tre tribù a loro volta
ripartite in dieci
curiae, dall'altro le famiglie di più antica
tradizione e maggiore potenza economica e agraria (
gentes), che si
riconoscevano in un comune culto degli antenati e i cui membri anziani
(
patres,
da cui
patritii) costituivano un'assemblea
(
senatus) che coadiuvava il
rex. Questa originaria frattura tra la
moltitudine dei plebei e l'oligarchia patrizia generò un antagonismo
secolare mirante, rispettivamente, all'abolizione o al mantenimento della
segregazione socio-politica. È plausibile che il predominio del
patriziato sia stato combattuto dai re etruschi, i primi estranei alla
discendenza gentilizia; la tradizione ascrive infatti a Servio Tullio (forse
coincidente con il
Mastarna etrusco) la riforma che riconobbe
gentes
di origine plebea e il nuovo ordinamento politico-militare, basato sul
censo, che ripartiva la popolazione in cinque classi (
classes), ognuna
delle quali a sua volta divisa in
centuriae. Gli antichi
comitia
curiata furono dunque sostituiti dalla nuova assemblea dei
comitia
centuriata, dove veniva ridimensionato lo strapotere patrizio. Durante il
periodo d'influenza etrusca (datato fra il 610 e il 509 a.C. e confermato da
qualche rinvenimento archeologico),
R. si affermò come vera e
propria grande città murata, tra le più notevoli dell'Occidente
mediterraneo; inoltre, fu resa salubre con la creazione di un primo impianto
fognario e fu abbellita con la costruzione di templi; infine, fu ingrandita con
l'ampliamento del territorio della città (
ager romanus) e resa
prospera con l'aumento dei commerci. Ciò nonostante, l'influsso etrusco
non fu decisivo: al di là delle apparenze,
R. continuò a
rimanere la sede di una popolazione latina dedita principalmente all'agricoltura
e dominata da una oligarchia che reagì all'egemonia etrusca non solo
cacciando i re, ma istituendo un ordinamento repubblicano: alla Monarchia
vitalizia succedeva una diarchia annuale (V.
CONSOLATO), investita del comando
(
imperium), mentre l'elettorato sia attivo sia passivo era riservato ai
soli patrizi con una piena restaurazione del privilegio politico di classe.
║
La Repubblica patrizio-plebea (
509-287 a.C.)
e
l'espansione nella penisola (
509-264 a.C.): con il declino della
potenza etrusca in
R. e l'istituzione della Repubblica, l'Urbe
subì un ridimensionamento nei rapporti egemonici regionali (battaglie di
Cuma e di Ariccia) e un aggravio delle divisioni interne. La spedizione etrusca
di Porsenna, inoltre, sebbene fallita provocò comunque gravi danni alla
città e costrinse
R. a sottoscrivere un patto che di fatto ne
limitava l'autonomia politica nella regione, inducendo le città della
lega latina a emanciparsi dalla dominazione romana. Solo nel 493 a.C., sotto il
console Spurio Cassio, gli scontri tra Romani e Latini cessarono e fu ratificato
il
Foedus cassianum, in base al quale i due popoli (cui in seguito si
sarebbero aggiunti anche gli Ernici) stabilivano un'alleanza militare in
funzione difensivo-offensiva contro Equi e Volsci, stabilivano legami
commerciali e il diritto di
connubium. Nel mentre
R. si dovette
difendere anche dalla pressioni dell'etrusca Veio. Sul piano interno, lo scontro
fra plebe e patriziato (che in circa 250 anni condusse la legislazione
repubblicana alla sua forma definitiva) si inasprì; molteplici erano gli
obiettivi perseguiti: una riforma agraria, una legislazione sui debiti meno
rigida, la compilazione di leggi scritte che garantisse uguaglianza civile e
proteggesse dagli abusi dei magistrati patrizi, la partecipazione diretta alla
gestione dello Stato insieme al patriziato. Il primo risultato ottenuto dalla
plebe, che si era ritirata dalla città sull'Aventino nel 494 a.C.
(V. AVENTINO e
MENENIO AGRIPPA), fu
l'istituzione di una sorta di Stato parallelo. Esso comprendeva magistrature
proprie e riservate: gli
aediles plebis, preposti alla cura del
tempio di Cerere sull'Aventino, culto principale della plebe romana, e i
tribuni plebis, con varie attribuzioni (inviolabilità, diritto di
veto, di intercessione, ecc.): essi erano eletti e presiedevano un'assemblea
separata,
concilia plebis tributa, mentre le antiche tribù
gentilizie furono dissolte in favore di una divisione più razionale a
base territoriale in quattro tribù urbane e 16 del contado (che nei
secoli sarebbero giunte a 35). La lotta tra i due fronti pervenne a un
compromesso con la decisione di codificare in forma scritta il diritto
consuetudinario, fino ad allora tramandato oralmente e fulcro del potere
patrizio. Nel 451 a.C. fu nominato un collegio (
decemviri legibus
scribundis) con l'incarico di redigere il codice delle
Dodici tavole,
incise su bronzo, fondamento di tutto il successivo diritto romano. Nel
frattempo, tra il 445 e il 376 a.C., in diverse occasioni i due consoli annuali
furono sostituiti da
tribuni militum con autorità consolare,
magistratura aperta anche ai plebei: chi l'avesse ricoperta poteva adire alla
questura e, in seguito, diventare membro di diritto del Senato. La
reazione patrizia determinò l'istituzione della
censura (443
a.C.), che ereditava parte dei poteri detenuti dai consoli e che per un secolo
rimase esclusivo appannaggio dei senatori patrizi. Nel corso del IV sec. a.C. la
plebe ottenne altre importanti vittorie nella lotta per l'eguaglianza civile: le
leggi
Liciniae-Sestiae (366 a.C.), reintroducendo il consolato,
imponevano che uno dei due fosse plebeo; veniva sancita l'eleggibilità di
plebei appartenenti a censi elevati alla dittatura (356 a.C.), alla censura (351
a.C.), alla pretura (337 a.C.); la
lex Publilia (339 a.C.) estendeva il
valore vincolante delle decisioni dei concili della plebe (
plebiscita) a
tutta la città, dopo ratifica del Senato, istituendo su un piano
pressoché paritario i
comitii tributi e i
comitii
centuriati; la
lex Ogulnia (300 a.C.) superò l'estremo
conservatorismo cultuale, aprendo alla plebe i collegi di auguri e pontefici e,
infine, la
lex Hortensia (287 a.C.), eliminando la ratifica del Senato
per i plebisciti, sancì la pacificazione sociale. In realtà a
R., all'inizio del III sec. a.C., si era ormai consolidata una classe
timocratica, trasversale alle origini gentilizie, che univa il vecchio
patriziato alla più recente e ricca nobiltà plebea. ║ A
più riprese, durante il V sec. a.C.,
R. dovette affrontare la
città di Veio, da cui fu più volte battuta ma che infine
sconfisse, dopo un assedio decennale, nel 396 a.C., ad opera del dittatore Furio
Camillo. Se la sconfitta degli Etruschi estese il territorio romano a tutto il
Lazio, comprendendo i Monti Cimini, tuttavia espose la città alla diretta
pressione dei Celti (stanziati nella piana del Po e in Emilia), principali
responsabili del declino militare etrusco. In breve, tribù celtiche
guidate da Brenno mossero contro
R.: sconfitti i Romani presso il fiume
Allia (387 a.C.), i Celti (o Galli) saccheggiarono e incendiarono la
città, di cui si salvò solo la rocca Capitolina, da cui si
ritirarono solo dopo aver ottenuto il pagamento di un riscatto. L'episodio
causò lo sfaldarsi della lega latina: tuttavia, grazie alle
capacità militari e alla tenacia politica di Furio Camillo, i Romani
riuscirono in breve a restaurare la propria egemonia nel centro Italia. Nel 358
a.C. fu rinnovato il trattato di alleanza con Latini, Volsci ed Ernici, in
funzione antigallica, mentre
R. controllava, direttamente o
indirettamente, un territorio compreso tra i Monti Cimini e Terracina; nel 348
a.C. un trattato con Cartagine (forse successivo a un accordo non ben attestato
del VI sec.) stabiliva i confini meridionali dell'area di influenza romana.
Negli stessi decenni, però, si era affermata nel centro-Sud della
penisola la potenza dei Sanniti i quali, uniti ai Frentani, costituirono una
forte unità politica (sul modello della Lega guidata da
R.) che
danneggiava soprattutto le città italiote e le colonie greche,
ingaggiando uno scontro lungo decenni con i Romani, storicamente classificato in
tre conflitti (V.
SANNITICO) compresi tra il 343 e il 290 a.C.,
durante il quale
R. subì anche sconfitte umilianti, come quella
celeberrima delle Forche Caudine (321 a.C.). La resistenza del sistema di
alleanze romano fu messa a dura prova, dal momento che i Sanniti non solo
riuscirono a collaborare con le popolazioni già nemiche di
R.
(come Etruschi e Galli), ma seppero anche coagulare intorno alle proprie azioni
belliche i suoi stessi alleati. Essi promossero infatti la rivolta dei Latini
(340-338 a.C.), che tuttavia
R. seppe volgere a proprio vantaggio,
battendo le popolazioni in rivolta, dissolvendo la lega e sostituendola con una
serie di accordi bilaterali unitamente al divieto per le singole città di
stringere alleanze tra loro. Dopo aver reso propri tributari i Sanniti (in tasse
e truppe), dedotto numerose colonie (tra cui la più grande fu Venosa in
Apulia) e sedato le insurrezioni dei Galli Senoni e dei Galli Boi (285-283
a.C.), la federazione romano-italica si affermò come una delle maggiori
potenze del Mediterraneo, seconda solo all'Impero cartaginese, all'Egitto e alla
Siria. La sua sfera d'influenza comprendeva l'Italia centrale e si estendeva
verso il Meridione, dove le città greche erano minacciate dalle
tribù lucane. Quando nel 282 a.C.
R. inviò aiuti militari
alla città di Turi, con chiari intenti espansionistici, suscitò la
preoccupazione della greca Taranto che, sentendosi minacciata,
chiese e
ottenne l'aiuto di Pirro, re dell'Epiro (V. PIRRO
II) contro
R. Questi, sbarcato a Taranto nel 280 a.C.,
conquistò di stretta misura due vittorie a Eraclea e ad Ascoli ma,
fortemente indebolito dall'alto numero di morti che erano costate, non
poté costringere
R. alla pace. Dopo una breve campagna condotta in
Sicilia (278 a.C.), Pirro rientrò in patria lasciando
R. libera di
completare l'unificazione della penisola: Taranto si arrese nel 272 a.C.,
entrando nella federazione italica; ad essa fecero seguito, fra il 270 e il 265
a.C., la greca Reggio, le popolazione dei Bruzi, dei Lucani, degli Umbri e degli
Iapigi. Inoltre
R. aveva creato una rete strategica di colonie, latine e
romane, e costruito un'imponente rete viaria che permetteva un efficace
controllo politico-militare sul territorio. La confederazione romana, inoltre,
non aveva carattere unico, ma si articolava in differenti tipologie di rapporti,
anche allo scopo di inibire possibili alleanze tra soggetti di diversa
condizione: piena cittadinanza (propria dei cittadini dell'
Urbs,
dell'
ager romanus, dei cittadini delle colonie dedotte direttamente da
R. e dei membri delle tribù italiche di più antica
sottomissione), municipi (città che godono dei diritti di cittadinanza
escluso quello di voto,
sine suffragio) e alleati (
socii e
civitates foederatae). Elemento comune a tutti i rapporti bilaterali era
il dovere militare di fornire truppe ausiliarie o, per le città di mare,
navi ed equipaggi; per contro, solo chi godeva della cittadinanza era soggetto a
tassazione diretta. Intorno alla metà del III sec. a.C. il processo di
romanizzazione (non solo militare ma politico e culturale) della penisola era
ormai irreversibile
. ║
Guerre puniche e macedoniche
(
264-146 a.C.)
. L'ascesa di R. a potenza del Mediterraneo: fra
il III e il II sec. a.C.
R. combatté e vinse i popoli
tradizionalmente egemoni nel Mediterraneo, Cartaginesi e Greci. L'Impero di
Cartagine, attestato fin dai secc. VII-VI a.C., aveva origini commerciali,
estendendo i traffici marittimi sull'intero Mediterraneo orientale. In Italia,
la presenza delle colonie e degli empori cartaginesi era particolarmente intensa
lungo la costa tirrenica, tutelata da alleanze militari con le città
etrusche limitrofe. Quando ad esse era subentrata
R., le relazioni si
erano mantenute pacifiche fino alla metà del III sec. a.C. A quell'epoca,
però, l'unificazione della penisola aveva condotto i Romani a nutrire
forti interessi per la Sicilia, il cui dominio era equamente spartito tra
Cartagine e Siracusa. La supremazia nel Mediterraneo centro-occidentale fu la
posta del lungo conflitto, articolato in tre guerre
(V. PUNICO), tra
R. e Cartagine: la conquista della Sicilia, infatti, rappresentò
il superamento da parte romana dei precedenti limiti territoriali di potenza
locale, del carattere terrestre del suo esercito e degli interessi circoscritti
alla sola penisola italiana. La necessità militare di dotarsi di una
flotta, per contrastare la supremazia navale punica, avviò un enorme
impulso espansivo di
R. e mise la Repubblica in contatto, sul piano
politico, con il mondo ellenistico-orientale. La prima guerra punica (264-241
a.C.), si concluse con la vittoria romana e una pace che imponeva a Cartagine di
abbandonare la Sicilia e di pagare una pesante indennità di guerra; la
Sicilia divenne possesso romano e fu il primo territorio istituito in
amministrazione provinciale (241 a.C.), presto seguito da Sardegna e Corsica
(238 a.C.). Cartagine, tuttavia, cercò di imporre un nuovo controllo sul
Mediterraneo appoggiandosi ai possedimenti in Spagna (237-219 a. C.) e di
lì mosse contro
R. Nel 218 a.C. Annibale assediò Sagunto,
alleata di
R., e diede il via al secondo conflitto, caratterizzato dal
suo genio militare, che portò la guerra sul territorio italico,
infliggendo ai Romani numerose e gravi sconfitte terrestri, culminate nel
disastro di Canne (216 a.C.). Nonostante i successi militari, che sterminarono
gli eserciti consolari, Annibale non riuscì a cogliere l'obiettivo della
sua brillante strategia: sollevare contro
R. i suoi stessi alleati e
sfaldare l'unità della confederazione italica, base del potere romano. La
federazione mantenne sostanzialmente la sua coesione,
R. non cedette e
continuò la guerra, prima in Spagna, quindi direttamente in Africa, dove
P. Cornelio Scipione Africano sconfisse Annibale nella battaglia di Zama (202
a.C.). Nel medesimo periodo, i Romani avevano fronteggiato con successo, ai
confini settentrionali, anche i Galli Boi e Insubri (224-220 a.C. e 200-191
a.C.) e nei decenni successivi completarono l'opera di pacificazione della
Gallia Cisalpina con la sottomissione dei Liguri (197-154 a.C.), degli Istri
(178-177 a.C.) e della costa dalmata (156-155 a.C. e 129 a.C.). Durante la
seconda guerra punica, Cartagine si era procurata l'alleanza del re Filippo V di
Macedonia, contro la quale
R. intervenne militarmente
(V. MACEDONICHE, GUERRE) nel quarantennio tra il
200 e il 168 a.C., conducendo contemporaneamente un conflitto contro la Siria
(V. ANTIOCO III IL GRANDE). In quel frangente
R. si
trovò ad affrontare problemi politici del tutto nuovi, in quanto fino ad
allora il mondo greco-orientale era rimasto al di fuori dalla sua sfera di
interessi e quasi sconosciuto, se si esclude la lotta alla pirateria
nell'Adriatico (229-228 a.C.) e la creazione di un protettorato sull'Illirico
(219 a.C.). Il tentativo di espansione di Filippo V fu definitivamente bloccato
(200-196 a.C.) dalla vittoria romana a Cinocefale, ma la Macedonia
conservò la sua indipendenza; i Romani affrontarono Antioco III, presso
il quale si era rifugiato Annibale, sconfiggendolo dapprima in Grecia, alle
Termopili, quindi - sbarcati per la prima volta in territorio asiatico - a
Magnesia (189 a.C.). Anche in questa circostanza
R. non fece annessioni
dirette, ma si limitò a spartire fra Rodi e Pergamo parte dei territori
siriaci. Tale strategia, che escludeva possedimenti territoriali nei Regni
ellenistici, sottendeva forse una volontà, da parte di
R., di
limitare il proprio ruolo a quello di potenza pacificatrice dell'Oriente
ellenizzato senza esercitare un dominio diretto: ruolo tuttavia che non
poté esercitare a lungo. Il Regno di Macedonia rispettò la
pax
romana solo fino all'ascesa del re Perseo, che sfidò nuovamente
R. (terza guerra macedonica, 172-168 a.C.), ma subì la disfatta di
Pidna (168 a.C.). Un dominio diretto romano fu instaurato in Grecia e nell'Egeo
e, nel 146 a.C., dopo l'ultima ribellione della Grecia, Corinto fu distrutta,
tutte le leghe di città greche furono disciolte e fu costituita la
provincia di Macedonia. Nello stesso 146 a.C., la distruzione totale
dell'abitato di Cartagine segnò l'epilogo dello scontro con la potenza
punica, sulle cui terre fu creata la provincia d'Africa. Nel 133 a.C. il re
Attalo di Pergamo lasciò in eredità il suo Regno a
R., che
lo istituì (126 a.C.) come provincia d'Asia; a quella data i territori
romani comprendevano dunque, oltre all'Italia, alla Gallia Cisalpina, all'Istria
e alla Dalmazia, altre sette province: Sicilia, Sardegna-Corsica, Spagna
Citeriore e Spagna Ulteriore (create tra il 206 e il 197 a.C.), Macedonia,
Africa e Asia. L'influenza romana si esercitava inoltre, specie in Africa e in
Asia, su numerosi Regni alleati e libere città; in Occidente, poi, dopo
una serie di conflitti con le tribù indigene della Spagna e della Gallia
meridionale (Lusitani e Celtiberi), e dopo le campagne contro i Liguri, gli
Allobrogi e gli Alverni (125-121 a.C.) anche la Gallia Transalpina fu ridotta a
provincia (
Gallia Narbonensis, 121 a.C.). Una tanto vasta espansione
militare
ebbe profonde ripercussioni all'interno dello Stato: sul piano
economico, le conquiste provocarono un forte incremento dei commerci, ormai
diffusi in tutto il mondo conosciuto, cui corrispose però un generale
impoverimento della classe contadina sia a causa del suo massiccio reclutamento
nell'esercito sia (specie durante la seconda guerra punica) per il saccheggio e
la distruzione delle terre coltivabili. Sul piano culturale, l'incontro con la
civiltà ellenistica e orientale avviò un processo di
ellenizzazione, testimoniato dalla nascita di circoli di intellettuali
filoelleni (come quello degli Scipioni), dagli influssi greci nella letteratura,
nell'arte, nella religione e nell'architettura (cui invano si opposero i
conservatori,
in primis Catone il Censore); infine, sul piano sociale e
politico la gestione delle conquiste provocò una crisi e la
trasformazione dei ceti dirigenti che sfociarono in lotte civili e condussero
alla fine dell'istituto repubblicano. Le grandi guerre dell'unificazione e del
dominio esterno erano state condotte dalla nuova compagine timocratica
patrizio-plebea, di cui il Senato era l'organo direttivo, omogeneo e unitario,
assai più efficace, nei momenti di crisi, dell'autorità popolare
espressa nei comizi. Pur non mancando, all'interno dell'ordine senatorio,
elementi favorevoli al mantenimento di una reale autorità popolare, in
generale si determinò un progressivo irrigidimento dell'oligarchia
nobiliare, sempre più ricca rispetto alle masse contadine, di cui
requisiva per insolvenza o acquistava a prezzo irrisorio le terre. A quell'epoca
cominciarono a formarsi i latifondi, che rimasero patrimonio dell'aristocrazia
romana fino alla fine dell'Impero, lavorati dagli schiavi (il cui numero era
cresciuto a dismisura con le guerre di conquista), a danno di salariati e dei
clientes, mentre lo sfruttamento dell'
ager publicus, teoricamente
concesso a tutti, era di fatto limitato ai grandi proprietari; tutti questi
fattori contribuirono a determinare il grave problema della questione agraria.
Ad essa era anche connessa, in conseguenza delle guerre di espansione, la
questione degli alleati italici che, pur artefici dell'esito vittorioso,
restavano ancora esclusi dalla piena cittadinanza e, dunque, dalla distribuzione
di terre e bottino. L'oligarchia senatoria non prestò il dovuto interesse
a queste tensioni, impegnata al suo interno nella lotta per il potere; infine,
l'ala più tradizionalista, capeggiata da M. Porcio Catone, riuscì
a scalzare l'egemonia della famiglia degli Scipioni, mentre l'aristocrazia
fondiaria venne raggiunta, nel censo, dalla nuova e potente classe dei cavalieri
(
equites), non senatoria, e costituita da grandi mercanti, appaltatori,
esattori. ║
I Gracchi e la fine della Repubblica (
133-31
a.C.): molti problemi, sorti in seguito all'espansione militare, erano
ancora in attesa di una soluzione. Fra i più gravi era quello della
cattiva amministrazione nelle province, che provocava vere e proprie spoliazioni
di città da parte di governatori avidi e corrotti; l'irrequietezza delle
truppe, che non di rado tendevano a identificare l'autorità nel proprio
comandante e non più nello Stato; la politica segregazionista nei
confronti degli alleati italici, privi di cittadinanza; il problema sociale
delle classi rurali e della plebe urbana in costante aumento, e delle pretese
politiche accampate dalla classe equestre. In tale contesto si inserirono le
proposte riformatrici dei due tribuni della plebe Tiberio e Caio Gracco; i
motivi che animarono l'azione dei due fratelli, al di là della loro
personale sconfitta, trovarono nella riforma del sistema repubblicano ideata e
intrapresa da Giulio Cesare la loro risoluzione definitiva. D'altra parte,
l'operato di Cesare fu decisivo nel percorso di trasformazione dello Stato
romano da Repubblica in principato, il quale comunque (nella Costituzione
concepita e attuata da Augusto) assunse caratteri peculiari: infatti, le forme
giuridiche repubblicane non furono abbattute, ma in qualche modo restaurate,
cosicché il trapasso dalla Repubblica all'Impero apparve non come una
cesura giuridica, bensì come un necessario adattamento del diritto, dopo
le guerre civili del I sec. a.C. e la definitiva pacificazione delle parti sotto
l'egemonia personale del principe. Nel 133 a.C. il tribuno della plebe Tiberio
Sempronio Gracco (V. GRACCO, TIBERIO SEMPRONIO),
vista irrisolta la questione agraria nonostante alcuni interventi da parte dei
settori più illuminati dell'aristocrazia senatoria, propose una legge di
riforma agraria, diretta alla redistribuzione alla plebe delle terre
dell'
ager publicus. Dal momento, però, che l'altro tribuno aveva
opposto il suo veto, Gracco ricorse a un atto extralegale e rivoluzionario,
facendolo deporre e ottenendo così l'approvazione del progetto. Durante
tumulti cittadini scoppiati in occasione delle nuove elezioni al Tribunato (132
a.C.) Tiberio Gracco fu ucciso: ciò non impedì l'insediarsi della
commissione, costituita da tre senatori, incaricata di applicare la
lex
Sempronia. I lavori della commissione triumvirale continuarono, nonostante
numerose interferenze da parte senatoriali e consolari, fino al 111 a.C., quando
fu soppressa: in quegli anni tuttavia aveva effettuato una distribuzione di
terre pubbliche di cui avevano beneficiato decine di migliaia di cittadini
romani nullatenenti (
capitecenses), che poterono così rientrare
nelle classi censitarie inferiori, con notevoli ricadute di tipo
politico-sociale. Tuttavia, all'epoca del tribunato di Caio Gracco
(V. GRACCO, CAIO SEMPRONIO) nel 123 a.C., la
lentezza dei lavori della commissione non poteva impedire che il problema
agrario fosse ancora di bruciante attualità. Questi, a differenza del
fratello Tiberio, si preoccupò di dotarsi di una base sociale e politica
di appoggio, cercando il sostegno dei cavalieri e delle popolazioni italiche,
legando così strettamente la causa popolare (
lex frumentaria) allo
scontro tra gli ordini senatorio ed equestre (
lex iudiciaria) ed entrambe
alla questione della cittadinanza per i
socii (
lex de sociis et nomine
latino)
. Rieletto tribuno nel 122 a.C., Gracco si impegnò
nella deduzione di colonie nei territori pubblici oltremare, in particolare sul
luogo della distrutta Cartagine; tutte le sue conquiste furono lasciate cadere
subito dopo la sua uccisione nel 121 a.C., tuttavia, la reazione aristocratica
non poté soffocare le istanze sociali e politiche da lui sollevate. La
lotta politica interna (storicamente classificata come scontro tra partito
popolare e partito degli ottimati) ebbe un momento di stasi quando la Repubblica
fu costretta a fronteggiare due importanti guerre esterne: quella contro
Giugurta (111-105 a.C.) e quella contro le tribù germaniche di Cimbri e
Teutoni. In entrambi i casi le operazioni militari risolutive furono condotte
dal console Gaio Mario (V. MARIO, GAIO), un
homo novus, originario del ceto equestre, che fece prigioniero il re
Giugurta e sconfisse in campo aperto i Teutoni (battaglia di Aquae Sestia, 102
a.C.) e i Cimbri (battaglia dei Campi Raudii, 101 a.C.). Di particolare
importanza fu inoltre la cosiddetta riforma mariana dell'esercito, in base alla
quale la leva volontaria, fino ad allora affiancata solo in caso di
necessità a quella obbligatoria in base al censo per i piccoli
proprietari terrieri (fanteria) e per gli
equites (cavalleria) fu
trasformata in istituto stabile che prevedeva, alla fine di una ferma di 16
anni, poi portati a 20, la concessione di appezzamenti di terreno e il diritto
alla spartizione del bottino conquistato nelle campagne militari. La riforma,
inoltre, favorì lo strutturarsi di un
cursus militare e la
creazione di un rapporto assai stretto tra la truppa e il generale, riconosciuto
dai soldati come garante della loro sorte economica. Eletto console per cinque
volte consecutive, Mario appoggiò la parte democratica in cui confluivano
ormai indissolubilmente le istanze dei ceti popolari e dei
socii italici.
L'assassinio del tribuno Druso (91 a.C.), relatore di un'ennesima legge per la
concessione della cittadinanza agli alleati, innescò una rivolta armata
di questi ultimi, organizzati in una confederazione. L'insurrezione, scoppiata
nel 91 a.C., si concluse nell'89 a.C., dopo due anni di combattimenti condotti
dallo stesso Mario e da Silla (V. SILLA, LUCIO CORNELIO), generale e uomo politico aristocratico già segnalatosi
nella guerra giugurtina; risolutive tuttavia non furono le armi ma la
promulgazione della
lex Plautia Papiria per il diritto di cittadinanza a
tutti gli Italici. La reazione dei senatori, guidata dall'aristocratico Silla,
non perse forza: nell'88 a.C. il conflitto politico tra Mario e Silla per
ottenere il comando nella guerra contro Mitridate re del Ponto (88-84 a.C.),
sfociò in episodi di vera e propria guerra civile, culminati nell'entrata
in
R. di Silla alla testa delle sue legioni. Seguirono l'esilio di Mario
(88 a.C.) e un periodo di disordini intestini: la parte popolare elesse al
consolato Cinna (87 a.C.), nemico di Silla, e richiamò in patria Mario,
che condussero una repressione contro gli ottimati, mentre Silla combatteva con
buoni esiti in Grecia e in Oriente. Morti nel frattempo sia Cinna sia Mario,
Silla - di ritorno dalla campagna militare - nell'83 a.C. penetrò in
Italia con le sue legioni e sconfisse i seguaci di Mario e il partito popolare.
Eletto dittatore (82-79 a.C.), intraprese a sua volta una spietata persecuzione
degli avversari, restaurando norme giuridiche favorevoli agli ottimati, tra cui
l'abolizione della
lex iudiciaria, la necessità della ratifica del
Senato ai plebisciti dei comizi, ecc. Nel 79 a.C., tuttavia, Silla lasciò
volontariamente il potere al Senato, dando così fiato all'opposizione dei
popolari. Un'insurrezione democratica fu capeggiata in Italia da Lepido e in
Spagna dal mariano Sertorio: ne seguì una guerra (80-72 a.C.) condotta e
vinta da Pompeo (V. POMPEO MAGNO, GNEO), che
assurse così a grande fama come uomo politico con grandi doti militari,
indipendente pur se di estrazione senatoria. Pompeo si alleò con il
plutocrate Crasso (V. CRASSO, MARCO LICINIO DIVITE), assai influente per aver domato la rivolta di schiavi capeggiati
da Spartaco (73-71 a.C.)
. Insieme ottennero il consolato nel 70 a.C.,
operando una effettiva mediazione tra la parte degli ottimati (tutela
dell'autorità e delle prerogative senatorie) e quella dei popolari
(ripristino delle legge favorevoli all'ordine equestre e delle prerogative
tribunizie per la plebe, ecc.). Nel 67 a.C., contro la volontà del
Senato, Pompeo ottenne il comando supremo, con poteri militari straordinari,
della guerra contro i pirati; conseguita la vittoria, nel 66 a.C. Pompeo ebbe il
comando anche della seconda guerra contro Mitridate, iniziata già nel 74
a.C. e fino ad allora condotta da Lucullo, che egli concluse vittoriosamente nel
64 a.C., aggiungendo ai domini romani la nuova provincia di Siria. Al ritorno in
Italia, benché all'apice della gloria militare, Pompeo si adeguò
all'autorità senatoria e sciolse il suo esercito; in tal modo, tuttavia,
privo del sostegno dei suoi soldati vide respinte da quell'assemblea le sue
richieste di distribuzione di terre ai veterani e di ratifica dell'ordinamento
imposto all'Asia. Negli stessi anni si andava imponendo in
R., come capo
delle forze popolari, G. Giulio Cesare, con una proposta di legge agraria che,
concedendo amplissimi poteri alla commissione incaricata di distribuire le terre
pubbliche, fu respinta come rivoluzionaria dal Senato: nel 63 a.C., il console
M. Tullio Cicerone si oppose formalmente ad essa, presentandosi, anche per il
fatto di aver smascherato la congiura eversiva di Catilina, come salvatore del
regime senatoriale. Pompeo e Cesare, unitisi con Crasso nell'alleanza personale
del
primo triumvirato (60 a.C.) - privo di qualsiasi legittimità
giuridica ma efficacissimo sul piano politico - ottennero l'approvazione di una
serie di provvedimenti di natura popolare (distribuzione delle terre ai
veterani, ratifica dell'ordinamento dell'Asia, ecc.) conseguendo così una
vittoria sul Senato. Secondo il patto privato, nel 59 a.C. Cesare ottenne il
consolato e il comando militare straordinario per la durata di cinque anni
nell'Italia settentrionale e nella Gallia Transalpina, cariche in forza delle
quali egli operò una amplissima distribuzione di terre in Italia, che
contribuì a una vera soluzione del problema agrario, e stabilì un
nuovo ordinamento dell'amministrazione delle province favorevole ai cavalieri, i
cui interessi erano sostenuti da Crasso. In risposta ai movimenti dei Germani
verso la Gallia, che minacciavano indirettamente la provincia della Transalpina
e l'Italia settentrionale, tra il 58 e il 51 a.C., Cesare condusse una serie di
brillanti campagne, da lui stesso descritte nel
De bello Gallico,
spingendosi oltre il Reno e in Britannia; l'intera Gallia fu conquistata e
ridotta in provincia. L'inclusione della Gallia nel mondo romano fu densa di
conseguenze: la romanizzazione della regione portò infatti a uno
spostamento verso Nord del baricentro dello Stato e pose le premesse di quei
fenomeni politici e culturali da cui ebbe origine, caduto l'Impero, l'Europa
medioevale. In seguito alle guerre galliche, il prestigio politico e la
popolarità militare di Cesare crebbero tanto da oscurare la fama di
Pompeo. La situazione politica a
R. era mutata, mentre Crasso e Pompeo si
erano allontanati: Cesare rinsaldò il
triumvirato organizzando un
incontro a Lucca (56 a.C.), nel quale fu decisa una vera e propria spartizione
delle sfere di influenza dei tre politici: a Crasso fu affidato l'Oriente e la
campagna contro i Parti, a Pompeo l'Italia con la Spagna e l'Africa, mentre
Cesare stesso si riservò la proroga del comando militare. Nel 53 a.C.,
tuttavia, la morte di Crasso a Carre durante la disastrosa spedizione contro i
Parti (V.) accentuò la rivalità fra
Cesare e Pompeo: dopo l'assassinio, per mano dell'aristocratico Milone, del
tribuno P. Clodio, che stava conducendo in
R. una campagna di violenze
anti-senatoriali, Pompeo fu formalmente invitato dal Senato a ristabilire
l'ordine ed eletto console unico per il 52 a.C. Il ravvicinamento fra Pompeo e
il Senato comportò la definitiva rottura con Cesare e, nei due anni
successivi, il conflitto esplose apertamente: il Senato ordinò a Cesare
di sciogliere il suo esercito, ma questi pose la condizione che Pompeo lo
imitasse; il Senato rifiutò e dichiarò Cesare nemico della patria.
Nel 49 a.C. Cesare, guadando il Rubicone, marciò su
R. con una
sola legione, costringendo in una fulminea campagna Pompeo e gran parte dei
senatori ad abbandonare l'Italia. Sconfitti i pompeiani a Ilerda, in Spagna (49
a.C.), Cesare passò in Illiria e nel 48 a.C. a Farsalo, in Tessaglia,
affrontò e vinse le truppe guidate dallo stesso Pompeo. Costui
cercò rifugio in Egitto, ma vi fu ucciso dal re Tolomeo. Dopo aver domato
le rimanenti forze pompeiane con campagne in Asia (47 a.C.), in Africa (46 a.C.)
- dove l'avversario Catone Uticense si tolse la vita - e in Spagna (45 a.C.),
Cesare tornò a
R., dedicandosi esclusivamente a disegnare un nuovo
assetto dello Stato, che potesse sanare i danni di 90 anni di guerre civili.
Egli si considerò dittatore a vita e
imperator, introducendo
così il principio - fino ad allora assente - dell'autocrazia personale.
Infatti, pur senza invalidare i poteri tradizionali del Senato e dei comizi, e
talvolta anzi consolidandoli e ampliandoli, egli si arrogò alcuni
privilegi - soprattutto nella nomina delle cariche e nella proposta di leggi -
che gli garantivano di fatto un potere assoluto. Di tale autorità si
avvalse soprattutto per riordinare l'amministrazione delle province e per
fondare numerose colonie militari, nelle province e in Italia, mentre a
R. il Senato perdeva di fatto il potere esecutivo, esercitando forse solo
una funzione consultiva. Cesare, inoltre, introdusse nell'assemblea molti
senatori di origine equestre, italica e provinciale, privandola così del
suo tradizionale carattere patrizio e romano. Altro fine politico di Cesare era
quello di unificare al massimo le classi e le regioni dell'Impero ormai
imminente, in una prospettiva simile alle grandi Monarchie ellenistiche,
restringendo gradualmente i privilegi dell'Italia e di
R. Non è
certo che egli intendesse assumere il titolo di re; certamente, l'accusa di
tirannide fu lanciata contro di lui dai settori più rigidamente
repubblicani e conservatori e il 15 marzo 44 a.C. Cesare cadde vittima di una
congiura per mano di cospiratori guidati da Bruto e Cassio. ║
La
nascita dell'Impero e il Regno di Ottaviano Augusto: la morte di Cesare non
condusse alla restaurazione dello Stato repubblicano ma a nuovi e gravissimi
scontri civili. In una prima fase, il Senato si divise tra cesariani e
repubblicani, in un secondo momento l'assemblea seguì in parte Ottaviano
(V. AUGUSTO, GAIO GIULIO CESARE OTTAVIANO) e in
parte Antonio (V. ANTONIO, MARCO). Inizialmente
l'eredità politica di Cesare fu raccolta dal suo luogotenente Antonio, ma
tale posizione gli fu contestata da Ottaviano, figlio adottivo ed erede
universale del defunto dittatore: i due si accordarono con un compromesso,
destinato a espellere dall'Italia i sostenitori di Bruto e Cassio, che
ripiegarono infatti in Oriente. Nonostante l'opposizione politica condotta
contro Antonio da un personaggio del rango di Cicerone, nel 43 a.C. si giunse
alla costituzione di un
secondo triumvirato (Antonio, Ottaviano e
Lepido) che fu ratificato come magistratura (
triumviratus rei publicae
constituendae) dal Senato. Ciò segnò l'inizio della guerra
civile fra cesariani e repubblicani: i primi avviarono una dura persecuzione
contro i repubblicani, nella quale Cicerone trovò la morte, ricorrendo
(come già Silla) alle liste di proscrizione per eliminare gli avversari;
dal canto loro, i repubblicani - Cassio in Siria e nell'Asia minore, Bruto in
Macedonia, in Tracia e nella provincia di Asia - si prepararono alla guerra,
riuscendo a riunire 13 legioni e una numerosa flotta. Nel 42 a.C., a Filippi,
l'esercito di Antonio e Ottaviano sbaragliò le truppe di Bruto e Cassio,
lasciando il controllo dello Stato nelle mani dei triumviri. Tornato in Italia,
Ottaviano dovette affrontare un'insurrezione dei popoli italici, ribellatisi
alle vessazioni dell'esercito guidato dal fratello di Antonio (guerra di
Perugia, 41-40 a.C.) e il problema della flotta repubblicana guidata dal figlio
di Pompeo, Sesto Pompeo. Incontratisi a Brindisi nel 40 a.C., Antonio e
Ottaviano si accordarono per mettere fine alla guerra sulla base di una
spartizione dell'Impero: Ottaviano assunse il compito di ripristinare l'ordine
in Occidente, ad Antonio spettò l'Oriente, a Lepido l'Africa. Nel 36
a.C., dopo tre anni di dura guerra, la flotta di Sesto Pompeo fu distrutta
(battaglia di Nauloco): contemporaneamente, Ottaviano esautorò Lepido dal
potere, estendendo il suo controllo a tutte le province occidentali. Frattanto
Antonio, in Oriente, si era legato a Cleopatra regina d'Egitto, dedicandosi con
scarsa energia alla riorganizzazione dei domini romani e senza opporsi
adeguatamente alla nuova offensiva dei Parti, che già dal 40 a.C.
premevano ai confini dell'Impero. Solo nel 36 a.C. egli intraprese una campagna
militare, ottenendo però un successo limitato alla sola Armenia. La
celebrazione del trionfo di Antonio contro i Parti ebbe luogo non a
R.,
bensì ad Alessandria d'Egitto: tale scelta mostrava quale direzione
avesse preso la politica di Antonio, dominato dal fascino di Cleopatra e dal
ricordo dei tratti orientalizzanti della politica di Cesare. Quando Antonio
proclamò Cleopatra sovrana indipendente dell'Egitto, Ottaviano si
presentò allora come il vendicatore delle conquiste repubblicane e il
garante dell'unità tradizionale dell'Impero, saldamente collocata in
Italia e a
R., ancorando la propria politica interna all'idea
tradizionale del predominio italico e romano su tutti i popoli dell'Impero. Nel
32 a.C., al momento della scadenza del potere triumvirale, già una volta
rinnovato, Antonio cercò di esautorare Ottaviano: questi rispose con la
guerra, dichiarandola alla sola Cleopatra perché la difesa della
Repubblica non fosse nuovamente associata all'idea di guerra civile. La
battaglia di Azio (31 a.C.) fu combattuta fra due grandi eserciti, due grandi
flotte e due opposte mentalità e modi d'intendere il potere: la vittoria
fu di Ottaviano, il quale nel 30 a.C., passato in Egitto, sgominò la
cavalleria nemica ad Alessandria; Antonio e Cleopatra, sconfitti, si diedero la
morte e l'Egitto fu ridotto a provincia, con uno
status particolare. Nel
29 a.C. Ottaviano tornò a
R., celebrò il trionfo e
ordinò la chiusura delle porte del tempio di Giano, a significare che
l'età delle guerre era terminata. Ottaviano, che assunse poi il nome di
Augusto, attese nei primi anni del suo lungo principato a dare fondamento legale
al suo potere, senza alterare vistosamente la tradizione repubblicana: egli
voleva apparirne come il restauratore proprio quando innovava radicalmente la
struttura dello Stato. Egli non volle creare alcuna nuova magistratura, ma
rafforzò funzioni e caratteri, in riferimento esclusivo alla sua persona,
di quelle già esistenti.
L'imperium proconsularis perpetuo gli
diede il comando di tutte le armate; la potestà tribunizia vitalizia gli
conferì amplissimi poteri sul Senato e nell'assemblea popolare,
garantendogli inoltre l'inviolabilità; il titolo di
pontifex maximus
gli consentì di regolare e controllare gli aspetti più
strettamente pubblici e con ricadute sulla vita civile della religione. La somma
di tali cariche, attribuitegli di volta in volta dal Senato, gli conferirono di
fatto un immenso potere decisionale e governativo, esaltato dall'assunzione dei
due epiteti di
imperator e di
augustus. La configurazione del
principato augusteo fu mantenuta formalmente inalterata dai suoi successori per
almeno due secoli fino a che, in seguito alla profonda crisi del III sec.,
Diocleziano sostituì apertamente alla figura del
princeps (il
primo) quella del
dominus, monarca assoluto. Tratto distintivo del
principato augusteo fu l'imprescindibilità del primato politico,
militare, amministrativo ed economico dell'elemento romano, latino e italico (in
quest'ordine) nei criteri di organizzazione dell'Impero: ciò in evidente
rifiuto degli intenti cosmopoliti di Cesare. La cittadinanza romana rimase
dunque un privilegio, fondante la struttura dell'Impero di cui i provinciali
rimanevano sudditi: le ricchezze dell'Impero erano convogliate a
R. e
solo l'Italia non era sottoposta al pagamento dei tributi principali. Augusto
ebbe comunque piena consapevolezza della necessità di reggere con
saggezza e moderazione i territori sottoposti, attraverso un'amministrazione
provinciale moderata e libera dalla corruzione della tarda Repubblica. Egli
affiancò ai magistrati locali delle province senatorie un procuratore
addetto alla riscossione delle imposte e, tramite la remunerazione delle
cariche, creò un sistema di funzionari con competenze fisse e ordinati
per gradi. Inoltre, accanto alla cassa dello Stato (
erarium)
istituì una cassa imperiale (
fiscum), abolendo il meccanismo degli
appalti per la riscossione dei tributi; per garantire una riserva di funzionari,
riorganizzò l'ordine senatorio e quello equestre, creando commissioni di
curatores e di
praefecti per sveltire la gestione degli affari
pubblici; con le iniziative urbanistiche, con la cura degli approvvigionamenti
idrici e alimentari, con le coorti di
vigiles contro gli incendi e le
coorti urbane con compiti di polizia, rese
R. una degna capitale.
Attraverso tale lunga serie di riforme e dedicando tutta la sua opera alla
sorveglianza e alla direzione degli affari, Augusto assicurò un
ordinamento stabile ed efficiente, offrendo ai provinciali e a tutto l'Impero
l'autorità e la garanzia di un governo giusto e pacifico. Infine, Augusto
ebbe cura particolare del problema dei confini e della politica estera
imperiale, rinforzando la linea di frontiera (
limes) dell'Impero, che le
conquiste attuate nel I sec. a.C. da Pompeo, Cesare e Antonio, avevano
notevolmente sviluppato: ciò anche a costo di rettificare le linee
difensive abbandonando
enclaves di difficile difesa o facendo ulteriori
conquiste. La Spagna fu pacificata e riorganizzata, come pure la regione alpina;
nel settentrione, Augusto avanzò il confine fino al Danubio; inoltre,
creò una catena di province (Rezia, Norico, Pannonia e Mesia) e congiunse
le linee del Reno e del Danubio, assicurando un confine continuo, efficiente e
munito contro le invasioni dei barbari dell'Europa centrale. In Oriente, furono
riordinati i Regni vassalli d'Armenia e del Bosforo e riconosciuti altri Stati
autonomi, benché sottoposti al controllo di
R. Nell'ordinamento
dell'Impero voluto da Augusto, fatto salvo l'Egitto che dipendeva direttamente
dall'imperatore, furono distinte province di rango senatorio, mediante la
tradizionale
proroga imperii delle magistrature ordinarie, e province di
rango imperiali, di norma quelle di più recente acquisizione, governate
da
legati imperiali. ║
Da Tiberio a Settimio Severo
(
14-211 d.C.): successore di Augusto fu Tiberio (14-37).
Benché la tradizione storiografica, legata all'ambiente senatorio, ne
abbia trasmesso l'immagine di individuo cupo e tiranno violento, Tiberio fu
eccellente statista, politico e amministratore accorto: si sforzò di
rispettare l'autorità senatoria ma, privo del carisma del predecessore,
per dominare l'ostilità del Senato ricorse anche alla più dura
repressione. In politica estera si attenne alle direttive di Augusto, secondo
cui, terminata la fase di espansione, il ricorso alle guerre esterne doveva
essere limitato alla tenuta dei confini. Del resto, fino a Traiano e con la sola
eccezione della conquista della Britannia (43), le campagne condotte dagli
imperatori o dai loro generali rimasero sempre circoscritte. Nonostante la
potente organizzazione militare, l'Impero romano dei primi secoli fu
essenzialmente pacifico: le legioni erano prevalentemente stanziate ai confini e
i cittadini di
R. e delle province non ne avvertivano il peso, pur
godendo della loro protezione. Il ruolo degli eserciti provinciali si
rivelò comunque determinante nei momenti di crisi, quando la successione
degli imperatori, che non fu mai regolata da norme giuridiche, determinò
lotte anche assai cruente: i generali, in virtù del prestigio acquisito
con le vittorie militari, divennero i principali aspiranti alla Corona
imperiale. Sul piano economico, la pace romana e la riorganizzazione
dell'amministrazione provinciale favorirono la ripresa demografica e un
miglioramento delle condizioni economiche, gravemente compromesse dalle guerre
intestine della tarda Repubblica. Sul piano interno, il più grave
problema dell'Impero rimase il rapporto tra Senato e imperatore, una diarchia
giuridica in teoria, ma in pratica sbilanciata in favore dell'imperatore. La
legittimità di quest'ultimo, tuttavia, dipendeva dal riconoscimento del
Senato. Alla morte di Tiberio, dopo il breve Regno di Caligola (37-41), le cui
stravaganze accentuarono le tendenze autocratiche del principato, il potere
passò a Claudio (41-54), il quale riprese la politica di espansione,
annettendo la Britannia, e di rafforzamento dei poteri amministrativi della
corte imperiale. Il suo tentativo di governare l'Impero attraverso una
burocrazia efficiente, affidata a funzionari di rango non senatorio, gli
attirò l'ostilità degli ambienti aristocratici: tuttavia,
raramente si manifestò in modo altrettanto chiaro l'intenzione cosciente
di amministrare lo Stato in base a principi lontani dall'arbitrio e dalla
prepotenza. Infatti, Claudio si preoccupò del corretto funzionamento
della giustizia e concepì l'Impero come una grande unità da curare
e sorvegliare in tutte le sue parti. Il suo successore Nerone (54-68), ultimo
della dinastia Giulio-Claudia, trascurò presto i consigli del suo
mentore, il filosofo Seneca, in favore di una politica conciliante nei confronti
del Senato: la sua condotta politica, priva di moralità e caratterizzata
da una crescente autocrazia, causò una serie di complotti senatoriali,
repressi con ferocia, e in ultimo la ribellione delle legioni. Durante il suo
Regno, inoltre, si sviluppò una significativa tendenza ellenizzante nella
concezione imperiale, caratterizzata da assolutismo monarchico e maggior
considerazione della parte orientale dell'Impero. La morte di Nerone
scatenò una vera e propria guerra per il potere, che nel corso di un solo
anno (69) vide l'elezione e l'uccisione di tre imperatori: Galba, Otone e
Vitellio. Con la salita al trono di Vespasiano (69-79) ebbe inizio la dinastia
Flavia. Egli ristabilì l'ordine e si impegnò con successo nel
risanamento delle finanze e dell'amministrazione, duramente provate dalla
dissennata politica di Nerone e dalla guerra per la successione. Ribadì
il concetto augusteo della centralità dell'elemento romano e italico che,
tuttavia, non gli impedì di allargare l'arruolamento nell'esercito a
tutti i provinciali e non più ai soli Italici. Tale provvedimento
contribuì ad accelerare il processo di romanizzazione dei territori
dell'Impero. A Vespasiano successe il figlio Tito (79-81), ricordato dalle fonti
come un ottimo imperatore, e quindi il secondogenito Domiziano (81-96), ritratto
invece come despota e tiranno sanguinario. Di temperamento autocratico, costui
abbandonò la politica augustea seguita dal padre, scatenando la reazione
dell'opposizione senatoria, per far fronte alla quale non esitò a
istituire una vera e propria polizia segreta. Dopo una serie di congiure
aristocratiche, soffocate nel sangue, fu ucciso in una cospirazione cui
parteciparono insieme senatori e milizia pretoriana. A Domiziano seguirono gli
imperatori della dinastia degli Antonini, dinastia "illuminata",
sotto il cui governo l'Impero romano raggiunse il suo apogeo: essi affermarono
definitivamente il primato imperiale, ritrovando però le basi di un
compromesso con il Senato. Alla morte di Domiziano, la minaccia di una guerra
civile fu sventata dall'elezione al principato del vecchio autorevole senatore
Nerva (96-98), il quale riuscì a garantire la successione al figlio
adottivo Traiano (98-117): costui ebbe il merito di riuscire a realizzare un
miracolo politico, restaurando cioè l'autorità del Senato senza
diminuire quella del principe. Traiano, che si definì
primus inter
pares (primo tra i pari), riprese con vigore una politica di conquista
catalizzando intorno ai suoi progetti le forze vitali del Senato e delle classi
dirigenti. A lui e ai suoi successori (Adriano, Antonino Pio, Marco Aurelio)
spetta il merito di aver realizzato nei fatti la collaborazione tra i poteri,
condizione necessaria a garantire la ripresa e a raggiungere la pienezza della
vita civile ed economica. D'altra parte, Traiano e Adriano proseguirono nel
rafforzamento del potere amministrativo della corte imperiale e della
burocrazia, rendendolo sempre più indipendente dal Senato. In politica
estera, sotto Traiano l'Impero raggiunse la sua massima espansione:
l'imperatore, con due campagne vittoriose, sconfisse i Daci (101-102; 103-105),
portando il confine romano oltre il Danubio; in Asia rinverdì le
ambizioni di Antonio, infliggendo dure sconfitte ai Parti (113-117) e creando
nuove province. Tuttavia, l'amministrazione governativa e militare delle nuove
acquisizioni risultò troppo onerosa per le forze di
R., pur
floride: Adriano (117-138) fu costretto ad abbandonare quasi interamente le
nuove province d'Asia, preferendo garantire la sicurezza dei confini (si pensi
alla costruzione del
vallo di Adriano tra il 122 e il 127, che
definì le frontiere britanniche dell'Impero) e dedicandosi al
miglioramento del benessere dell'Impero. Adriano, amante della civiltà
ellenica e uomo di raffinata cultura, trascorse gran parte del suo principato
viaggiando in tutte le regioni del dominio romano; fondò numerose
città, e dovunque innalzò templi, costruì strade,
acquedotti, mercati: la sua opera fu fondamentale per Atene, città da lui
prediletta, che tornò a essere centro di cultura. Il lungo periodo di
pace e di prosperità, celebrato già dai contemporanei come il
più splendido della storia di
R., produsse un ulteriore incremento
dei commerci e delle industrie. Ad Adriano succedette Antonino Pio (138-161), il
cui lungo Regno fu sostanzialmente occupato dalla saggia ordinaria
amministrazione e dal riassestamento e consolidamento delle frontiere e
costituì il culmine del felice periodo degli Antonini. Tuttavia, durante
il Regno di Marco Aurelio (161-180), imperatore filosofo che governò con
rigore e dedizione secondo i dettami della dottrina stoica, si affacciò
nuovamente, dopo secoli di pace, il pericolo barbarico. Tribù germaniche
di Quadi e Marcomanni assalirono i confini del Danubio; l'esercito dei Parti
tornò a minacciare gravemente la Mesopotamia. Inoltre, si verificarono
carestie e una tremenda pestilenza costrinse
R., per la prima volta, ad
arruolare nell'esercito regolare numerosi contingenti di mercenari di origine
barbarica. Sotto la guida di Marco Aurelio e del fratello Lucio Vero a lui
associato nel Regno, l'Impero reagì con successo, concludendo un trattato
di pace con i Parti (165) e sconfiggendo i Marcomanni (175). Ma quando a Marco
Aurelio successe il figlio Commodo (180-192), personalità tirannica,
privo del rigore paterno e incapace di reggere il potere senza ricorrere alla
violenza e all'annientamento degli avversari politici, iniziò la lenta
fase di declino di
R. Come ai tempi di Domiziano, sotto Commodo l'intero
sistema entrò in crisi e l'imperatore, assassinato in una congiura di
palazzo, cadde vittima del suo stesso potere. Ne seguì una nuova guerra
civile (192-193) per la successione: dapprima fu eletto Pertinace, favorito dai
senatori, ma fu subito scalzato dal candidato dei pretoriani, Didio Giuliano: a
costui gli eserciti provinciali contrapposero ognuno il proprio imperatore,
Clodio Albino (Britannia), Pescennio Nigro (Siria) e Settimio Severo (Pannonia).
Quest'ultimo si impadronì di
R.,
abbatté i
concorrenti rivali e fondò una nuova dinastia. Di origine africana e di
estrazione militare, Settimio Severo (193-211) era del tutto estraneo al clima
di incontro tra romanità ed ellenismo che aveva caratterizzato
l'età degli Antonini; il suo Regno si distinse infatti soprattutto per la
prevalenza dell'aspetto militare, ed egli stesso, trascurando ogni parvenza di
accordo con il Senato, dimostrò apertamente che il suo potere si fondava
sul sostegno dell'esercito. La costituzione dell'Impero concepita da Augusto fu
accantonata e cessò di essere alla base della gestione del potere: la
fase di crisi che ne seguì e che durò per l'intero III sec.
(descritto dalla tradizione come il secolo dell'anarchia) fu determinante per la
storia di
R. e fu risolta da Diocleziano, che riformò interamente
la struttura dell'Impero e la concezione del principato, trasformandolo in una
Monarchia assoluta, centralizzata e teocratica. ║
Il Cristianesimo:
la crisi dell'Impero romano iniziata alla fine del II sec. coincise con la
progressiva affermazione del Cristianesimo in tutto il mondo allora conosciuto.
Il messaggio della nuova religione giunse presto a
R., trovando il suo
primo centro di diffusione fra gli Ebrei della città, come provano sia
l'esistenza di una reazione della comunità ebraica alla propaganda
cristiana intorno all'anno 50, sia la predicazione di Paolo (57-58), che
contribuì non poco alla diffusione del nuovo credo. Nel 64 i cristiani
furono a torto accusati di aver appiccato l'incendio che distrusse il centro di
R., e ciò determinò, secondo la tradizione, la prima loro
persecuzione per ordine di Nerone. Alla fine del I sec. risale la
Prima
Clementis, documento della comunità cristiana di
R. che sembra
contenere il primo cenno al martirio di Pietro e Paolo
. Nel II sec. i
cristiani di
R. costituivano ormai un gruppo con un carattere ben
delineato, che riconosceva le proprie origini nella predicazione degli apostoli;
inoltre, grazie all'operato dei vescovi di
R., fra il II e il III sec.
l'importanza di questa comunità di lingua latina crebbe fino a
raggiungere una posizione preminente all'interno dei gruppi cristiani
dell'Impero. In una prima fase di diffusione del Cristianesimo, lo Stato romano
si mostrò in genere tollerante nei confronti di quella che era
considerata una delle numerose sette religiose presenti a
R.; tuttavia,
non tardarono a verificarsi singoli episodi di insofferenza, aggravatisi poi in
atti di vera e propria persecuzione contro i cristiani. Tale inasprimento si
spiega con diversi motivi: in primo luogo, la nuova religione, fondata
sull'adorazione di un Dio unico, non solo negava l'esistenza degli dei del
Pantheon greco-romano, ma vietava ai suoi seguaci il culto dell'imperatore, la
cui divinità costituiva uno dei cardini del sistema imperiale. Inoltre,
l'esigenza di meditazione e di interiorità connessa alla fede induceva i
cittadini cristiani ad allontanarsi dalla vita sociale e pubblica, mentre le
comunità che progressivamente si raccoglievano a costituire la Chiesa
rappresentavano un elemento di aggregazione sociale del tutto estraneo allo
Stato e di fatto insensibile alle sue esigenze. Infine, la nuova religione si
distingueva dalle altre religioni orientali, tollerate dalle autorità,
per il suo carattere assolutamente universalistico, per la semplicità dei
riti, per la mancanza di rigidi gradi di iniziazione: ciò conferiva ad
essa una forza espansiva dirompente, in quanto il suo messaggio e il nucleo
vitale del suo credo, fondato sulla moralità dell'amore universale,
sull'importanza della carità, sulla parità delle creature e sulla
speranza del regno celeste, potevano essere intesi e recepiti facilmente da
individui di ogni classe, razza e cultura. Di per sé, il Cristianesimo
non costituiva una forza eversiva dello Stato, finché al credente era
richiesto di dare il suo contributo come cittadino; tuttavia, era una potenziale
minaccia per l'Impero, in quanto i valori etico-religiosi prefiguravano e, entro
certi limiti, rendevano attuabile la possibilità di un'esistenza al di
fuori dell'Impero stesso. A ciò si aggiunga che l'ampia diffusione dei
culti di origine orientale, in particolar modo del Mitraismo, dei culti
misterici, delle sette orfico-pitagoriche e della filosofia platonizzante
produceva un atteggiamento antagonistico nei confronti dei cristiani; inoltre,
molti cittadini romani, pur disposti a condividerne alcuni insegnamenti morali,
mostravano un'incomprensione profonda per il Cristianesimo: infatti, risultava
assolutamente incomprensibile, per la cultura greco-romana, basare l'intera vita
spirituale su un fatto tanto irrazionale come la fede in un Uomo-Dio e
riconoscere nella breve esistenza di Gesù di Nazareth un evento
rivoluzionario per l'intera storia umana. Del resto, il disprezzo mostrato dai
cristiani per i valori morali che avevano sorretto la civiltà pagana
(l'onore, la gloria, l'impegno civile, la saggezza, l'amore per la conoscenza,
per l'arte e per la bellezza) li rendevano ostili alla maggioranza dei
cittadini, inasprendo ancora di più le difficoltà del contatto.
Né il fenomeno, in continua espansione, poteva essere circoscritto e
combattuto dalle autorità, sia perché si insinuava in tutti gli
strati della società, sia perché i cristiani si sottraevano con la
morte all'obbedienza imposta alla legge e alla tradizione di
R. Questo
complesso insieme di motivi determinò lentamente i presupposti per le
persecuzioni dei cristiani: volute da molti imperatori, soprattutto per motivi
di ordine pubblico, esse furono attuate certamente con una crudeltà e uno
zelo fino ad allora estraneo alla mentalità romana, ma la cui reale
entità venne anche talora amplificata, a scopo edificante,
dall'apologetica cristiana. Ciò nonostante,
R. non riuscì
ad annientare la nuova Chiesa, per la sua capacità di penetrazione e per
la sua strenua resistenza, che si manifestò in tutte le forme, dal
sacrificio dei martiri (testimoni della fede) all'operato di quanti, pur
piegandosi all'autorità, mantenevano una forte riserva interiore: la
Chiesa continuò quindi ad ampliarsi e a organizzarsi in forme concrete.
Inoltre, l'esperienza nata dalle dispute interne fra i sostenitori del martirio
e i fautori della resistenza passiva la rese sempre più consapevole delle
proprie inesauribili risorse e dei limiti del paganesimo e dell'Impero,
avviandola a diventare una forza anche politica, con la quale fu necessario per
le autorità confrontarsi. Da parte sua, lo Stato poté comprendere
quale forza poteva rappresentare, nei momenti di crisi, l'appoggio della Chiesa
cristiana; perciò, con il passare del tempo, le classi dirigenti
dell'Impero e le gerarchie della Chiesa cristiana compresero che l'atteggiamento
migliore e più conveniente per entrambe fosse quello di minimizzare i
contrasti per raggiungere un più utile compromesso. Non è certo
casuale il fatto che Costantino, il primo imperatore a legittimare
definitivamente il Cristianesimo come religione di
R., abbia tentato di
utilizzare la forza dell'elemento cristiano per i suoi obiettivi politici,
rivendicando in un secondo momento alla figura dell'imperatore l'autorità
di mediatore e arbitro dei contrasti sorti all'interno della Chiesa.
║
Da Settimio Severo all'ascesa di Diocleziano
(
193-284): la storia di
R. nel III sec. fu caratterizzata da
momenti di profonda crisi militare, sociale e politica: infatti, l'esplosione
delle forze barbariche (tribù germaniche a Occidente e Parti a Oriente)
mise a dura prova le difese dell'Impero, che del resto versava, al suo interno,
in una grave situazione di disagio e di instabilità, travagliato
dall'impossibilità di trovare un'adeguata soluzione ai crescenti problemi
di governo e alla crisi economica e sociale, generata dalla decadenza delle
classi dirigenti tradizionali. L'aumento delle spese di governo causò il
deprezzamento della moneta e portò a un sistema di requisizioni e di
lavoro obbligatorio, nonché alla parziale introduzione dei pagamenti in
natura. Di fronte alla continua minaccia delle invasioni e al sempre più
oneroso gravame fiscale, le classi inferiori decaddero a condizioni di fatto
servili, fatto questo che produsse spesso disordini e rivolte. La complessa
struttura sociale preesistente si andò lentamente cristallizzando in
caste ereditarie, mentre le attività economiche, soprattutto in
Occidente, conoscevano una quasi completa paralisi: le aree coltivate e le
dimensioni delle città si ridussero, mentre sul piano sociale si
creò una profonda frattura della popolazione fra gli
honestiores,
detentori del potere, e gli
humiliores, asserviti e senza difesa alcuna.
Nello stesso periodo, sul piano politico si verificò la definitiva
estromissione dal potere della classe senatoria: con Settimio Severo la
Monarchia assunse un carattere nettamente militare; poco tempo dopo, durante il
Regno di Caro (282-83), fu data forma giuridica all'autocrazia, in quanto
l'imperatore, acclamato dall'esercito, abolì la condizione formale della
ratifica senatoria dell'elezione. Sotto Settimio Severo (193-211)
R.
conobbe ancora un periodo di relativa pace; le frontiere furono consolidate e le
province furono ben amministrate, anche se si dovette rinunciare alla Scozia,
che fu evacuata. Ma già durante il Regno del figlio Caracalla (211-17),
che con l'editto del 212 (
Constitutio Antoniniana) conferì la
cittadinanza romana a tutti gli abitanti dell'Impero, abolendo ogni distinzione
fra Italici e provinciali, si verificarono incursioni di Goti e Alamanni presso
la frontiera danubiana. Dopo il breve Regno di Macrino (217-18), il potere
passò a Eliogabalo (218-22), famigerato per gli eccessi, la corruzione
morale e la tirannide, e quindi ad Alessandro Severo (222-35), che cercò
invano di ripristinare l'ordine nell'Impero, finendo anch'egli, come i suoi
predecessori, ucciso in una congiura. Seguirono 50 anni di anarchia militare,
durante i quali
R. giunse quasi al tracollo, mentre sul versante
orientale si rafforzava la potenza militare e politica dei Parti per opera della
dinastia persiana dei Sasanidi. A
R. gli imperatori iniziarono a
susseguirsi in rapida successione, eletti e affossati dagli eserciti: Massimino
il Trace (235-38), Gordiano I e Gordiano II (238), Pupieno e Balbino (238),
Gordiano III (238-44), Filippo l'Arabo (244-49), Decio (249-51), Emiliano (253)
e Valeriano (253-60). Durante il Regno di quest'ultimo i Parti sferrarono
l'attacco contro
R., occupando la Siria, invadendo l'Asia Minore e
prendendo prigioniero l'imperatore stesso (259), prima di essere finalmente
bloccati dall'esercito romano. In Occidente, nel 260-68, il pretendente Postumo
fondò un Impero nell'Impero, governando autonomamente per più di
10 anni le Gallie, la Spagna e la Britannia. La crisi fu acuita da altre
invasioni di Franchi sul basso Reno, di Goti nei Balcani e nell'Egeo, di
Alamanni in Italia settentrionale. Il figlio e successore di Valeriano, Gallieno
(253-68), pur dovendo lottare contro una schiera di pretendenti rivali,
riuscì a evitare il crollo definitivo dell'Impero, che fu poi rafforzato
dai suoi successori, gli imperatori illirici Claudio II il Gotico (268-70) e
Aureliano (270-75), che aumentò le difese di
R. circondandola di
una nuova possente cerchia di mura fortificate. Alla sua morte, tuttavia,
l'Impero cadde nuovamente in uno stato di totale anarchia, nel quale il potere
veniva confusamente controllato ed esercitato dai militari, che si arrogarono
l'elezione degli imperatori: Tacito (275-76), Floriano (276), Probo (276-82),
Caro (282-83), Carino e Numeriano (283-84). Infine, emerse la forte
personalità di Diocleziano, che mantenne il potere per 20 anni (284-305)
e sotto il quale l'Impero giunse alla metamorfosi definitiva. ║
Da
Diocleziano a Costantino (
284-337): i secc. IV e V furono segnati da
importanti eventi e da mutamenti epocali per la storia di
R. e
dell'Occidente latino: il Cristianesimo, a lungo combattuto dagli imperatori,
divenne infine la religione dell'Impero, e
R. stessa fu elevata a centro
della cristianità. Le invasioni delle popolazioni barbariche a Nord e a
Oriente costrinsero
R. a uno sforzo difensivo immane e destinato, almeno
in Occidente, al fallimento; l'intero apparato burocratico, politico e militare
dell'Impero subì una radicale trasformazione con la divisione fra Impero
d'Occidente e Impero d'Oriente, con l'affermazione della Monarchia assoluta, con
l'irrigidimento del sistema amministrativo secondo una struttura gerarchica
piramidale. Sul piano militare, alle lotte interne per il potere si aggiunse in
misura sempre più elevata l'aumento delle guerre esterne, rese necessarie
dalla pressione dei popoli barbarici alle frontiere, con conseguenti ingenti
spese per il mantenimento degli eserciti; ciò determinò da un lato
il fenomeno dell'imbarbarimento delle legioni, a causa dell'arruolamento di
truppe mercenarie reclutate fra i barbari stessi, e dall'altro lo stanziamento
all'interno dei confini dell'Impero di tribù barbariche, cui le
autorità romane cedevano la terra per garantire ai territori di frontiera
una maggiore stabilità. Sul piano politico-religioso, il crollo del
principato, che fondava la legittimità sull'approvazione senatoria,
indusse gli imperatori a trovare un'altra base legale del loro potere, raggiunto
per volontà dell'esercito: si rafforzò allora l'idea del monarca
come rappresentante dell'autorità divina. Già Aureliano si era
presentato come
dominus et deus per volontà del Sole Invitto,
culto di origine persiana; Diocleziano si ricollegò a Giove, mentre
Costantino, con l'assunzione del Cristianesimo a religione dell'Impero,
rafforzò il suo potere come rappresentante sacro di Dio in terra: non
soltanto le questioni teologiche divennero materia su cui gli imperatori
dovevano pronunciarsi, ma fu anche introdotto un cerimoniale di corte in cui la
persona dell'imperatore, adorna di attributi simbolico-religiosi (diadema,
porpora e oro), imponeva la prostrazione a chi era ammesso alla sua presenza. In
tal modo, cessate dopo Diocleziano le persecuzioni, il rapporto con la Chiesa si
trasformò in problema politico e ad essa fu riconosciuto un posto
essenziale nella società romana. Il primato di
R. come centro del
Cristianesimo divenne presto indiscusso in Occidente e il processo di
cristianizzazione si inserì nei grandi movimenti barbarici; più
problematico fu invece in Oriente, benché si ammettesse la supremazia del
pontefice di
R. Sul piano sociale, inoltre, l'insicurezza dei confini e
l'esposizione sempre più grave al rischio delle incursioni barbariche
favorirono l'acuirsi di manifestazioni di rivolta, come i frequenti episodi di
fuga e ribellione dei servi che si schierarono con i barbari. Non di rado anche
le classi agiate provinciali, sulle quali gravavano oneri fiscali molto pesanti,
preferivano il compromesso coi barbari all'obbedienza agli amministratori
imperiali; si può quindi rilevare un rapporto profondo tra l'aspetto
violento della decadenza dell'Impero e l'aspetto più silenzioso e
nascosto della trasformazione sociale e culturale. Dalla morte di Aureliano
(275) all'avvento di Diocleziano (284) la crisi interna dell'Impero
maturò attraverso guerre civili ed esterne, fino a trovare in Diocleziano
un risolutore che, con la metamorfosi profonda delle strutture, rinnovò e
conferì una nuova forza all'Impero. Pochi imperatori incarnarono, come
Diocleziano, una tanto rigida volontà di ordine e di stabilità.
Per garantire la protezione dei territori controllati da
R. e una
successione senza lotte civili, egli divise l'Impero in due parti, d'Occidente e
d'Oriente, e con esso anche il potere imperiale. Instaurò infatti il
sistema della
tetrarchia, con il quale il supremo titolo imperiale si
trovò ripartito tra due Augusti, Diocleziano stesso e Massimiano
(286-305), e due Cesari (Galerio e Costanzo), a loro subordinati e destinati a
esserne i successori. Per quanto il sistema tetrarchico non risolvesse del tutto
il problema delle lotte per il potere, certamente disciplinò il sistema
di elezione dell'imperatore e introdusse il principio della collegialità
della carica più alta, che fu poi formalizzato da Teodosio. D'altra
parte, Diocleziano iniziò una vasta riforma dell'amministrazione e
dell'esercito che fu poi continuata da Costantino. In primo luogo, egli
intuì la necessità, determinata dalle guerre continue e dai
pericoli causati dalla contemporanea pressione dei barbari su confini anche
molto lontani fra loro, di trasferire dal centro alla periferia la sede
dell'autorità imperiale: nonostante il suo vivo senso della
romanità e della latinità, abbandonò
R., e
spostò la propria sede stabile a Nicomedia di Bitinia. Del resto,
città come Treviri o Milano andavano svolgendo un ruolo sempre più
importante, divenendo quasi vere e proprie capitali di fatto. In secondo luogo,
Diocleziano separò le cariche militari da quelle civili e riformò
profondamente l'amministrazione provinciale in base al principio della
capillarità: il numero delle province fu portato a 70 e quindi a 116;
esse furono quindi raggruppate in diocesi e queste in prefetture, dando
così luogo a una struttura rigidamente piramidale, al cui vertice stava
la suprema autorità imperiale articolata in Augusti e Cesari. I motivi di
tale divisione capillare dell'amministrazione erano di natura sia finanziaria
sia difensiva. Infatti, l'economia ormai da un secolo era in piena crisi, con la
svalutazione quasi totale della moneta e il ritorno sempre più frequente
allo scambio in natura, e Diocleziano tentò di risollevarla attraverso
vari provvedimenti, come l'editto calmiere dei prezzi (301), che non ebbero
però risultati duraturi. Decisiva per la storia della società
antica e medioevale fu infine il tentativo di impedire la disgregazione della
struttura sociale esistente attraverso l'irrigidimento del sistema, attuato con
l'obbligo dell'ereditarietà delle professioni e legando i contadini alla
terra mediante l'istituzione della servitù della gleba. ║
Costantino e la fine dell'Impero romano d'Occidente (
306-476): nel
305 Diocleziano depose volontariamente il potere, ritirandosi a vita privata.
Nonostante il sistema della tetrarchia, seguirono nuove guerre civili: in
Oriente fra Licinio (308-23) e Massimino (308-13), conclusasi con la temporanea
vittoria di Licinio nel 313; in Occidente fra Costantino e Massenzio, il quale
fu sconfitto nel 312 a Ponte Milvio. Nel 314 e nel 324 Costantino sconfisse
Licinio, riunendo nuovamente nella sua persona l'autorità imperiale
d'Occidente e d'Oriente. Lo stesso Costantino (306-37), oltre a ripristinare
l'unità politica nell'Impero, vi favorì l'affermarsi di una nuova
unità spirituale, nel nome del riconoscimento ufficiale della religione
cristiana, che aveva da tempo ottenuto di fatto un'ampia affermazione. Infatti,
con l'Editto di Milano (313) e con la convocazione del Concilio di Arles (314) e
del grande Concilio di Nicea (325), l'imperatore, che pure aderì al
Cristianesimo solo in punto di morte, fu il fondatore di un nuovo Impero
cristiano. Tale situazione diede origine al fondamentale problema della
reciproca determinazione dei rapporti tra Chiesa e Impero, che Costantino
affrontò con abili soluzioni, le quali però nella sostanza
adombravano già il futuro cesaropapismo, concezione del supremo potere
religioso dell'imperatore che dominò per secoli nella storia dell'Impero
d'Oriente. Oltre a perfezionare l'ordinamento dioclezianeo, Costantino
approntò una nuova sistemazione dell'amministrazione centrale, aumentando
gli uffici di corte e limitando le prerogative dei funzionari più
elevati, che costituivano i
comitatenses dell'imperatore. La finanza
dell'Impero fu risollevata con il
solidus aureo, moneta forte che
resistette bene alla svalutazione, mentre gli ecclesiastici, esponenti della
Chiesa cristiana, per la prima volta ebbero funzioni giudiziarie: con
quest'ultima misura era ormai compiuta la definitiva trasformazione
dell'edificio politico-giuridico dell'antica
R. Il Regno di Costantino
ebbe inoltre un'importanza decisiva per la storia di
R. come città
e come centro politico e spirituale: nel 330, infatti, egli trasferì
ufficialmente la sede imperiale da
R. a Bisanzio, cui mutò il nome
in Costantinopoli. La
R. d'Oriente fu scelta per la sua posizione
geografica e strategica al crocevia di Asia ed Europa e acquisì
immediatamente un'importanza primaria, sostituendo in tutto, in primo luogo con
la creazione di un Senato alternativo a quello romano, l'antica capitale: a
R. tuttavia fu comunque riconosciuto il primato su tutte le città
dell'Impero, compresa la stessa Costantinopoli. La progressiva accentuazione
della contrapposizione, prima di fatto, poi anche di diritto, tra Oriente e
Occidente contribuì non poco al rapido declino di quel carattere
ecumenico di
R., che l'aveva resa una città senza rivali nel
mondo. Infatti,
R. conobbe una progressiva decadenza come centro
politico: solo nel Medioevo, grazie all'operato dei pontefici, riuscì a
riacquistare un ruolo fondamentale, non più come capitale di un Impero ma
come città santa per eccellenza del mondo cristiano. Ma intanto, fra IV e
V sec., a quello politico
fece seguito il declino economico, urbanistico
e demografico di
R.; in particolare nel V sec. la città dovette
subire il saccheggio dei Goti di Alarico (410) e dei Vandali di Genserico (455).
Alla morte di Costantino, nel 337, seguirono nuove lotte per la successione;
l'Impero fu poi conquistato da Costanzo II (337-61), che riunì tutto il
potere nelle sue mani e chiamò a parteciparvi il cugino Giuliano. Morto
Costanzo II, Giuliano (360-63) divenne unico imperatore e si adoperò per
la difesa del confine del Reno. Passato alla storia come "apostata"
e restauratore del paganesimo, Giuliano era uno spirito illuminato e si era
dedicato in gioventù a studi filosofici: nelle sue intenzioni, il ritorno
alla religione pagana tradizionale avrebbe ridato coesione e forza all'Impero e
avrebbe sottratto il potere imperiale, che Costantino aveva caricato di
responsabilità religiose, alle violente lotte dottrinali che già
travagliavano la Chiesa cristiana. Giuliano, tuttavia, non ordinò mai
persecuzioni contro i cristiani, limitandosi a restaurare la parità del
culto pagano con quello cristiano; il suo tentativo di restaurazione si
rivelò però fallimentare, poiché l'antica religione era
stata ormai soppiantata dalla nuova in quasi tutto l'Impero. I suoi successori
Valentiniano I (364-75) e Valente (364-78), rispettivamente in Occidente e in
Oriente, ritornarono a una politica favorevole ai cristiani e si sforzarono di
migliorare lo stato di estrema depressione in cui erano precipitate le classi
inferiori. Ma il tracollo era prossimo: Valente fu il primo degli imperatori il
cui esercito venne distrutto dai barbari, ed egli stesso rimase ucciso nella
battaglia di Adrianopoli (378), in cui l'irruenza militare delle orde dei
Visigoti, sospinte dalla pressione degli Unni, ebbe la meglio sulla disciplina
dell'esercito di
R. Graziano (367-83), figlio e successore di
Valentiniano I, associò al trono un valente generale, Teodosio (379-95),
il quale, dopo un complicato intrico politico di imperatori eletti e deposti,
riuscì a mantenere nelle proprie mani il potere. Al suo Regno risale lo
stanziamento ufficiale, come federati, dei Goti entro i confini dell'Impero e il
loro arruolamento nell'esercito. In tal modo l'imbarbarimento progressivo
dell'Impero assunse un nuovo carattere, diventando una penetrazione legittima
dei popoli germanici all'interno dei confini e favorendo la loro ascesa fino ai
più alti comandi militari. Teodosio, dotato di grandi capacità
personali, riuscì a controllare gli eventi e a imporre all'Impero un
indirizzo politico e religioso unitario; ma già alla sua morte
l'unità risultò compromessa dai figli Arcadio, cui toccò la
parte orientale, e Onorio (395-423), cui toccò quella occidentale: essi,
in teoria colleghi al governo di un unico Stato, erano in realtà monarchi
con pari diritti di due Regni distinti, d'Oriente e d'Occidente, e dal 395 le
sorti delle due parti dell'Impero romano si divisero definitivamente. In Oriente
l'Impero bizantino sopravvisse fino alla conquista di Costantinopoli da parte
dei Turchi nel 1453; grazie all'inespugnabile capitale, alle riserve militari
offerte dai popoli dell'Asia Minore e a una struttura amministrativa complessa
ed efficiente, esso riuscì infatti a resistere alle pressioni di
Persiani, Unni, e più tardi di Avari, Bulgari e Arabi. Nei suoi territori
prevalsero la lingua e la cultura greche, ma vi furono anche prodotti due dei
massimi monumenti del diritto romano, i codici di Teodosio II e di Giustiniano.
In Occidente, per contro, prevalsero i capi e gli eserciti barbarici: Onorio fu
sotto la tutela di Stilicone, grande e ambizioso generale, che protesse l'Italia
dai Goti ed esercitò di fatto il potere imperiale. I Goti intanto, dopo
la morte del loro capo Alarico e dopo un lungo periodo di scorrerie e di
saccheggi, si stanziarono come federati in Aquitania. Dopo Onorio, il trono
imperiale fu infine assicurato a Valentiniano III (425-55), mentre l'Impero era
sempre più preda delle orde barbariche. Ezio, generale a capo delle forze
occidentali, riuscì a fermare e sconfiggere gli Unni di Attila, la cui
minaccia continuò comunque a gravare a lungo sull'Italia. I Vandali di
Genserico invasero la Spagna e passarono quindi in Africa, dove fondarono un
Regno autonomo, dotandosi di una flotta in grado di contestare a quella romana
il dominio del Mediterraneo. La fine di Ezio e Valentiniano III coincise con il
precipitare rapido della situazione dell'Impero d'Occidente: fra il 455 e il 474
si succedettero rapidamente sul trono numerosi imperatori (Petronio Massimo,
Avito, Maggioriano, Libio Severo, Antemio, Olibrio, Glicerio), che tuttavia
avevano un potere solo nominale, in quanto quello effettivo era esercitato dai
generali barbarici. Nel 475 il generale Oreste depose l'imperatore Giulio
Nepote, sostituendogli il proprio figlio Romolo, detto Augustolo. Nel 476 un
altro generale, il barbaro Odoacre, fu acclamato re dalle truppe barbariche
stanziate in Italia; deposto Romolo, rinviate a Costantinopoli le insegne
imperiali, Odoacre ricevette il titolo di patrizio romano: come tale, e come re
degli Eruli, governò l'Italia. L'Impero romano sopravviveva ancora,
perché formalmente l'autorità imperiale tornava all'Augusto
d'Oriente: tuttavia, si trattava di un dominio puramente nominale, poiché
gli imperatori d'Oriente non avevano né le forze militari, né la
volontà effettiva di intervenire direttamente negli affari occidentali.
Per questo, benché Odoacre e dopo di lui Teodorico (493-526), fondatore
del Regno ostrogoto in Italia, riconoscessero l'autorità dell'imperatore
d'Oriente, il 476 è tradizionalmente considerato la data conclusiva della
storia romana. Quanto a
R.,
già da tempo essa aveva perso
il ruolo di capitale ed era tornata a essere una qualunque città
d'Italia: tuttavia, la gloria dei suoi monumenti e il ricordo della grandezza
del suo passato, così come le testimonianze del suo primato religioso,
sopravvissero nei secoli, tanto che nell'800 il fondatore del Sacro Romano
Impero, Carlo Magno, sentì l'esigenza di legittimare il suo potere, erede
dell'Impero d'Occidente, facendosi incoronare proprio a
R. ║
Medioevo: già prima della deposizione di Romolo Augustolo (476),
l'antico splendore di
R. sembrava definitivamente perduto: le invasioni e
i saccheggi dei barbari avevano devastato gran parte dei suoi edifici
monumentali; gli abitanti, in costante diminuzione, lasciavano la periferia e si
ammassavano al centro dell'Urbe; le massime magistrature avevano abbandonato la
capitale, rivelatasi tutt'altro che sicura, per trasferirsi altrove, per lo
più a Milano e a Ravenna; il Senato, divenuto un mero organo
amministrativo, rivelava tutta la sua impotenza a garantire una vita civile ed
economica dignitosa. Ciò nondimeno, alla progressiva e inesorabile
decadenza della
R. imperiale si contrapponeva la crescita della
R.
cristiana e, con essa, del Papato la cui potenza, non più solo religiosa
ma anche e soprattutto politica, era rivelata dall'importanza che assumeva
l'elezione del nuovo pontefice, spesso causa di violenti conflitti tra forze e
interessi contrapposti. La cruenta guerra gotico-bizantina si abbatté in
modo rovinoso su molte città italiane, ma fu particolarmente disastrosa
per
R., che venne ripetutamente conquistata e perduta dai due avversari.
Nel corso della dominazione bizantina, che pure voleva imprimere alla
città un'impronta orientaleggiante (le chiese e le località
assunsero nomi bizantini e, così pure, sia la classe dirigente sia i papi
furono di origine bizantina o, comunque, orientale e siriaca),
R.
riuscì a mantenere il carattere di città sacra e il pontefice la
qualifica di suprema autorità cittadina. Tra la fine del VI e l'inizio
del VII sec. si impose all'attenzione di tutti la figura di papa Gregorio Magno
che, pur senza scontrarsi direttamente con i Bizantini, si sostituì ad
essi e riuscì a sopperire alle più elementari necessità
civili e militari della cittadinanza. Nella seconda metà del VII sec., in
seguito allo scisma monotelita, i legami tra
R. e Bisanzio vennero
irrimediabilmente spezzati: se con Gregorio II si concludeva la lunga sequela
dei papi orientali, la rottura definitiva avvenne con l'imperatore Leone II
l'Isaurico che, oltre all'editto fiscale, impose severe misure iconoclastiche.
Tutta l'Italia bizantina, così, si ribellò al potere imperiale e
promosse la costituzione a
R. di un governo autonomo, guidato dal
patrizio e duca Stefano, con il compito di amministrare sia la città sia
il ducato (la linea politica adottata fu dichiaratamente filopapale). Di questa
situazione di crisi cercarono di approfittare i Longobardi di Liutprando, ma il
papa, appellandosi ora ai Bizantini, ora ai duchi longobardi di Spoleto e di
Benevento (che non riconoscevano l'autorità di Liutprando), ora ai
Franchi, riuscì a impedire che il ducato romano cadesse nelle mani dei
barbari. Parallelamente al pericolo esterno,
R. doveva affrontare anche
l'altrettanto pericolosa minaccia interna rappresentata dall'aristocrazia
locale, che aspirava a fare del Pontificato un proprio dominio e che, quindi,
insorse con tumulti e violenze quando Pipino, re dei Franchi, venne nominato
patrizio (il titolo comportava, infatti, il diritto a partecipare attivamente
alle decisioni religiose e amministrative della città). Fu proprio grazie
all'appoggio del re franco Carlo che Adriano I riuscì a neutralizzare la
permanente minaccia longobarda: non solo le mura e il sistema difensivo di
R. vennero rafforzati con risorse materiali e umane, ma venne apprestata
anche una più efficiente milizia, la
familia sancti Petri. Oltre a
ciò, Carlo fece ampie concessioni al Papato, accordandogli sia i
territori sottratti all'Esarcato di Ravenna sia un ampliamento della sua
giurisdizione territoriale, e in più di un'occasione intervenne a
sostenere il pontefice contro l'aristocrazia in rivolta. In cambio, tuttavia, la
Constitutio romana dell'824, voluta da Lotario, prevedeva la ratifica
imperiale dell'elezione papale, nonché l'invio dei cosiddetti
missi carolingi con il compito di gestire, direttamente o indirettamente,
l'amministrazione della città. In seguito alla rapida decadenza dei
Franchi,
R. si vide esposta al pericolo saraceno prima (celebri lo sbarco
alle foci del Tevere, la facile vittoria sulle milizie cittadine e il saccheggio
di San Pietro e San Paolo) e a quello longobardo dopo (specie quando il duca di
Spoleto fu, per un certo periodo, padrone del Pontificato). A partire
dall'inizio del X sec., tuttavia, tutto il potere si concentrò nelle mani
di Teofilatto, che riuscì a liberare definitivamente la città dai
Saraceni (915). Alla sua morte, gli successe la figlia Marozia, che sposò
il re Ugo di Provenza e, forte dell'appoggio della nobiltà romana,
investì il figlio Alberico del titolo di
princeps Romanorum,
ponendolo a capo di un principato personale. Un figlio di quest'ultimo,
Ottaviano, divenne papa con il nome di Giovanni XIII. Successivamente, con
Ottone I e la sua politica ecclesiastica, che prevedeva la sistematica ingerenza
dell'imperatore nell'organismo religioso, il Papato tornò sotto il potere
imperiale. L'aristocrazia romana, tuttavia, non si arrese e per 50 anni, guidata
dalla potente famiglia dei Crescenzi, cercò di riconquistare il dominio
della città. La lotta fu sempre più accanita finché, alla
morte di Ottone III, crollò definitivamente il sogno romano-cristiano
della
restauratio Imperii e il potere passò dalla famiglia dei
Crescenzi a quella dei Tuscolo (1012) che, nonostante contrasti con le famiglie
rivali, lo mantenne per un trentennio. Di lì a poco, comparvero sulla
scena politica nuovi ceti e nuovi casati che, schierandosi apertamente dalla
parte del movimento riformatore, ne sostennero l'idea di base che poggiava sulla
convinzione dell'indipendenza della Chiesa dall'Impero; le vecchie casate
nobiliari, invece, rinnovarono la loro fedeltà all'Impero. Fu in questo
scenario che si collocarono le vicende della lotta delle investiture, che videro
Enrico IV assediare a più riprese la città (1081-82),
impadronirsene, costringere il papa a cercare rifugio in Castel Sant'Angelo e
divenire, infine, signore di
R. con il titolo di patrizio. Solamente un
esercito normanno, capeggiato da Roberto il Guiscardo, riuscì a liberare
la città che, tuttavia, fu sottoposta a un feroce saccheggio, mentre gli
abitanti che tentarono di ribellarsi ai nuovi invasori vennero deportati o
uccisi senza pietà.
R., così, rimase in balia delle varie
fazioni nobiliari, in eterna lotta fra loro. Solo nel 1144 il popolo, incitato
dalla parola di Arnaldo da Brescia, ebbe la meglio e poté dar vita a un
governo da cui venne del tutto estromesso il dominio papale. L'esperienza
comunale non durò a lungo; ciò a causa soprattutto dell'assenza in
R. di fiorenti attività commerciali e artigianali che, altrove,
costituirono la base imprescindibile di ogni reggimento simile a quello romano.
Fu così che nel 1188 il Comune accettò ufficialmente di
sottomettersi al Papato, stipulando con Clemente III un accordo che stabiliva
una certa distinzione tra potere civile e religioso e il riconoscimento legale
del Senato, pur vincolato a investitura da parte del pontefice e ben presto
oggetto di feroci dispute tra le varie casate nobiliari. Andò incontro
alla medesima sorte anche il successivo tentativo di governo signorile su base
popolare, ugualmente ostacolato dagli interessi conflittuali delle grandi
famiglie: troppo stretti e complessi, infatti, erano gli interessi che legavano
l'aristocrazia romana alla Santa Sede, perché si potesse proseguire in
questa direzione. Ciò nondimeno, tra la seconda metà del XIII e
l'inizio del XIV sec., a
R. si affermò nuovamente il Comune che,
in questa nuova fase, si impegnò nell'espansione territoriale contro i
Comuni minori e i signori feudali e cercò, altresì, di porre un
freno alle ingerenze della Chiesa nel governo della città; il titolo di
senatore venne disputato non più soltanto fra i signori locali, ma anche
tra i sovrani e i principi stranieri. Infine, a cominciare da Niccolò III
(1277-80), un Orsini, tutte le principali cariche pubbliche vennero assegnate al
papa e, quindi, alle grandi famiglie della città (Orsini, Colonna,
Savelli, Annibaldi, Caetani), i cui membri venivano alternativamente investiti
della suprema autorità religiosa. Dopo il pontificato di Bonifacio VIII
(1294-1303), che risollevò per qualche anno il prestigio artistico e
culturale di
R., il trasferimento della corte papale ad Avignone
precipitò
R. nell'anarchia e nella miseria e vani furono i
numerosi tentativi di convincere il papa a far ritorno nella capitale della
cristianità, nonostante l'offerta di rimettere nelle sue mani tutte le
cariche pubbliche. Su questo sfondo ebbe luogo e fallì il tentativo di
Cola di Rienzo di restaurare nella città un Impero rinnovato: costretto a
fuggire nel 1347 e tornato poi come senatore nel 1354, trovò la morte in
un tumulto a opera di quello stesso popolo che egli intendeva liberare dal
disagio economico e dalla stanchezza. Seguirono anni di miseria in cui si
susseguirono senza tregua la peste del 1348, il terremoto del 1349, le
inesorabili guerre tra fazioni contrapposte e il rovinoso banditismo nelle
campagne. L'ordine fu ricostituito solamente quando il papa Innocenzo VI
affidò il compito di riconquistare e riappacificare
R. ad Egidio
di Albornoz, il quale riuscì nel suo intento facendo qualche concessione,
più formale che sostanziale, alle aspirazioni popolari: l'istituzione di
un consiglio di popolani a coadiuvare l'attività del senatore,
l'emanazione di uno statuto dichiaratamente avverso ai magnati, nonché
l'approvazione delle Costituzioni egidiane che, disciplinando i rapporti tra
governo pontificio e poteri locali e determinando i criteri istituzionali
dell'organismo governato dal papa, parvero garantire un periodo di relativa
tranquillità. Nonostante ciò, la crisi provocata dalla fuga del
pontefice ad Avignone non poté considerarsi conclusa. Fu Gregorio XI,
alfine, che nel 1377 si decise a far ritorno a
R.; dopo la morte di lui,
tuttavia, temendo che il suo successore si rifugiasse nuovamente ad Avignone, il
popolo insorse con tumulti e violenze e costrinse il conclave riunito a eleggere
un papa romano. Cominciò così il grande scisma d'Occidente,
poiché ad Urbano VI, nominato a
R., i cardinali francesi,
convenuti a Fondi, opposero Clemente VII. Quando successe a Urbano VI (1389),
Bonifacio IX ereditò una situazione quanto mai difficile da gestire, ma
riuscì in breve tempo a ristabilire il controllo. Dopo aver concesso al
Comune un vitalizio in cambio del reciproco sostegno, fece ricorso alla minaccia
di non far ritorno a
R. per riacquistare una qualche influenza
nell'amministrazione della città. In seguito, furono le continue lotte
tra le due fazioni contrapposte degli Orsini e dei Colonna che condussero alla
definitiva capitolazione del Comune: nel 1398, infatti, minacciati dal
condottiero Paolo Orsini di Firenze, i medesimi partiti affidarono la
città nelle mani di Bonifacio IX. Alla morte del pontefice, il Comune
recuperò parte della libertà perduta finché, quando gli
Orsini e i Colonna ricominciarono le ostilità e il nuovo papa Innocenzo
VII si appellò al re di Napoli, Ladislao di Durazzo, quest'ultimo si
impadronì della città e la mantenne in suo potere fino alla morte
(1414). Di nuovo teatro di violenze,
R. venne infine ricondotta
all'obbedienza a opera di Martino V, eletto papa nel Concilio di Costanza
(1417). ║
Rinascimento: il pontificato di Martino, ponendo termine
al grande scisma, inaugurò un lungo periodo di pace nel corso del quale
il pontefice promosse un consistente processo di ripresa economica,
amministrativa e culturale, avviandosi a fare di
R. la capitale dello
Stato della Chiesa, il simbolo visibile del potere del Papato. Parallelamente,
Martino V abbracciò la politica delle limitazioni delle libertà
municipali, trasformandosi in sovrano assoluto e distribuendo ai membri della
sua famiglia, a titolo di feudo, vasti territori. Ebbe origine in questo modo il
grande nepotismo del Papato rinascimentale che, divenuto ben presto costume e
istituzione, alimentò le ambizioni dei grandi casati gentilizi (Colonna,
Orsini, Sforza, Della Rovere, Borgia), da sempre in lotta per l'influenza nella
Curia. Fu proprio in seguito alle rivalità fra le famiglie dei potenti,
in parte alimentate anche dai Colonna, che nel 1434 risorse il Comune, mentre
Eugenio IV, successore di Martino, fu costretto alla fuga. Di lì a poco,
tuttavia, l'intervento del vescovo di Recanati Giovanni Vitelleschi
consentì al papa di tornare a
R. dove, nonostante il nepotismo e
la crescente mondanizzazione della Chiesa, cominciò un periodo in cui la
vita politica si svolse tranquilla e ordinata sotto il dominio assoluto del
Papato, a eccezione di sporadiche turbolenze connesse per lo più a crisi
politiche esterne. Papi come Niccolò V, Pio II, Sisto IV e Paolo II si
preoccuparono anche dell'opera di ricostruzione edilizia, urbanistica e civile
di
R. che, tra la fine del XV e il principio del XVI sec., era già
divenuta una delle più belle città del mondo, con una popolazione
in continuo aumento e personalità del calibro di P. Bracciolini, F.
Filelfo, il cardinale Bessarione, L.B. Alberti, Michelangelo e Raffaello. A
partire dalla seconda metà del XVI sec., gli ideali della Controriforma
cominciarono ad affermarsi anche a
R.: lo splendore rinascimentale e, con
esso, la costosa attività edilizia e artistica si attenuarono e agli
stessi pontefici venne imposto di condurre una vita meno sfarzosa e una politica
meno avventurosa e più attenta, per converso, alle esigenze della
popolazione. Tuttavia, se l'ordine pubblico e la sicurezza civile vennero meglio
garantiti, anche attraverso un'energica repressione del brigantaggio che
imperversava nelle campagne, l'atmosfera della Controriforma impose un pesante
conformismo e un irrigidimento del principio di autorità, soprattutto in
campo religioso. ║
Seicento e Settecento: il contrasto fra
l'estrema agiatezza della nobiltà e la miseria in cui versava gran parte
della popolazione determinò a
R. una serie di provvedimenti, con
cui si intendevano fronteggiare i quotidiani disordini, per lo più
connessi all'aumento dei prezzi (compreso quello del pane) e al brigantaggio che
dilagava nelle campagne. Verso la fine del XVI sec., così, si
accentuò la tendenza a rafforzare il potere centrale (celebre fu la bolla
Pro commissa nobis di Clemente VII, del 1592), anche a costo di
danneggiare gli interessi dei signorotti locali. Con Alessandro VII Chigi, la
grave situazione finanziaria, cui si era cercato di porre un rimedio agli inizi
del XVII sec. tramite l'indebitamento pubblico, si fece ancor più
preoccupante, poiché ad essa si aggiunsero la decadenza dell'agricoltura
e l'inarrestabile aumento del debito pubblico, non controbilanciato quest'ultimo
da un parallelo aumento del reddito. Neppure la riforma finanziaria, varata di
lì a poco, ebbe successo: le entrate venivano destinate quasi interamente
alla monumentale attività edilizia promossa da Alessandro VII e alle
esorbitanti spese di amministrazione. Fu così che, nell'ambito del
governo civile di
R., si profilò nuovamente l'intervento della
Curia che, ridotto il Senato a istituzione poco più che formale,
restaurò la propria autorità e, con essa, l'antico nepotismo.
Parallelamente alle preoccupazioni mondane del pontefice, così, tornarono
alla ribalta anche le ambizioni delle grandi casate aristocratiche (Ludovisi,
Borghese, Barberini, Pamphili) che, come per tacita convenzione, si alternarono
al potere. Dilagarono, allora, il disordine, la venalità, l'oppressione
fiscale e la malversazione laddove, tuttavia, la concentrazione della ricchezza
in poche mani, e principalmente nella famiglia pontificia di turno,
consentì il grandioso mecenatismo e la magnificenza edilizia di
R.
che, nonostante la crescente miseria politica ed economica dello Stato
pontificio, continuava a costituire la meta privilegiata di molti stranieri,
dotti, artisti o avventurieri, diretti in Italia. Risalgono proprio a
quest'epoca, del resto, il soggiorno romano di Cristina, ex regina di Svezia, e
il suo salotto, che diedero origine alla fondazione di un'accademia dalla quale
sboccerà, verso la fine del secolo, la celebre Arcadia. Nel corso del
XVIII sec., lo Stato della Chiesa, per scelta di neutralità, rimase
escluso dai grandi eventi politici, sia italiani sia europei, coinvolgendo nel
proprio isolamento la stessa
R. Anche il rinnovato mecenatismo di Pio VI,
che sembrò voler restaurare lo splendore del Rinascimento e del Barocco,
non fu che un guizzo immediatamente spento dall'imminente minaccia
rivoluzionaria. Preannunciate dai numerosi emigrati che diffusero a
R. le
notizie sugli eventi di Francia, le idee rivoluzionarie conquistarono ben presto
anche i giovani e i ceti più irrequieti della borghesia romana, a opera
soprattutto di propagandisti ed emissari giacobini che operavano con il
beneplacito delle logge massoniche e la protezione dell'ambasciata francese.
Già nel 1793, in seguito a un attentato in cui trovò la morte il
diplomatico francese N.-J.-H. de Bassville, colpevole di aver ostentato emblemi
rivoluzionari, la Francia decise di interrompere ogni relazione diplomatica con
lo Stato pontificio. Nel 1797, dopo che la gendarmeria pontificia ebbe ucciso il
generale Duphot in un tumulto, un esercito francese avanzò dalla
Cisalpina su
R.: protetta dalle baionette francesi, la sparuta pattuglia
dei giacobini locali proclamò dal Campidoglio la Repubblica romana,
costringendo Pio VI a riparare a Firenze. La Costituzione della Repubblica,
ispirata a quella francese del 1795, prevedeva l'istituzione di un Tribunato, di
un Senato e di un Governo, quest'ultimo retto da un Consolato di cinque membri e
da alcuni ministri; nella realtà dei fatti, tuttavia, le sorti della
nascente Repubblica rimasero nelle mani dei Francesi. Ben presto, le ruberie e
le prepotenze commesse dai patrioti e dall'esercito liberatore provocarono vari
tentativi di rivolta, sia in città sia nelle campagne. Inizialmente
represse con ferocia, le insurrezioni dei popolani, unitamente allo scarso
seguito dei giacobini locali, accelerarono la fine dell'esperienza repubblicana.
║
Dalla fine del Settecento al 1849: la Rivoluzione francese e le
vicende napoleoniche investirono anche lo Stato pontificio. Nonostante
l'energico tentativo effettuato dal nuovo papa Pio VII di ristabilire l'ordine,
le idee giacobine non scomparvero del tutto e tornarono, anzi, alla ribalta nel
1809, anno in cui
R. era nuovamente in balia dei Francesi. L'impegno
riformatore di questi ultimi non valse a conquistare la simpatia dei Romani e,
specialmente nelle campagne, non mancarono insurrezioni e rivolte. In seguito
alla caduta di Napoleone, Pio VII fece ritorno in città (1815) e
avviò l'opera di restaurazione che, inizialmente blanda, si fece poi
più rigida, specie con papa Leone XIII (1823). Tra i cittadini, tuttavia,
presero a circolare le prime concrete idee di libertà, non solo fra la
borghesia, ma anche fra le famiglie patrizie e il popolo; ciò a opera
soprattutto della Carboneria i cui uomini, nel 1825, cominciarono a essere
puniti con la morte in nome dei loro ideali rivoluzionari. Fu così che,
nei primi anni del suo pontificato (1831-46), Gregorio XVI si trovò a
dover affrontare una rivoluzione che, scoppiata nelle province settentrionali
(specialmente in Romagna), minacciava di estendersi anche altrove. A Gregorio
XVI successe Pio IX; erano gli anni in cui il pensiero di V. Gioberti,
illustrato nel
Primato morale e civile degli Italiani, sembrava capace di
contemperare le aspirazioni liberali e patriottiche con i sentimenti cattolici e
Pio IX apparve agli occhi di tutti il possibile artefice di tale conciliazione.
Spinto dall'entusiasmo popolare, il pontefice si avviò ben presto sulla
strada delle riforme: rinnegando secoli di esclusiva partecipazione
ecclesiastica al governo dello Stato pontificio, istituì un ministero al
quale anche i laici potevano aver parte; creò una Consulta di Stato, la
cui nomina spettava alle amministrazioni provinciali; costituì la Guardia
civica; concesse una modesta libertà di stampa. La concessione della
Costituzione (marzo 1848), alla quale infine il pontefice fu costretto,
rivelò le insuperabili contraddizioni tra il principio teocratico e il
regime costituzionale: alle due Camere rappresentative era sottratta la
competenza sulle questioni ecclesiastiche, sulle materie cosiddette miste, sulla
politica estera e su gran parte delle finanze, tutti ambiti di esclusiva
competenza del Concistoro dei cardinali. Infine, l'allocuzione del 29 aprile
1848, con cui Pio IX dichiarò che non era in suo potere, come capo della
cristianità, dichiarare guerra all'Austria cattolica, rivelò
inequivocabilmente l'impossibilità che la Chiesa si ponesse a capo delle
forze liberali. Gli stessi ministri laici che si alternarono alla guida del
Governo (M. Minghetti, T. Mamiani, E. Fabbri, P. Rossi) non furono liberi di
operare, sottoposti com'erano alle contrarie pressioni dei reazionari da una
parte e delle forze democratiche dall'altra. Dopo l'uccisione di P. Rossi,
seguì un periodo confuso che si concluse soltanto con la proclamazione
della Repubblica romana. ║
La Repubblica romana del 1849: in
seguito alla fuga di Pio IX a Gaeta, la Giunta provvisoria di Governo
convocò un'Assemblea Costituente che dichiarò ufficialmente
decaduto il Governo temporale e proclamò la Repubblica (9 febbraio 1849).
Il Comitato esecutivo nominato di lì a poco avviò subito
un'imponente opera di riforme: vennero aboliti i tribunali ecclesiastici, quello
del Sant'Offizio, la censura sulla stampa e la giurisdizione dei vescovi sulle
scuole e le università, mentre con un decreto si statuì che i beni
ecclesiastici divenissero proprietà nazionale (una successiva legge
agraria ne stabilì poi la ripartizione fra i contadini). Di fronte
all'imponente minaccia delle forze dell'Europa cattolica (Francia, Spagna,
Austria e truppe napoletane) fu nominato un triumvirato costituito da G.
Mazzini, C. Armellini e A. Saffi, cui vennero conferiti pieni poteri, e si fece
ricorso alla Guardia Nazionale. Questi provvedimenti, tuttavia, non valsero a
salvare la debole Repubblica che, nonostante la strenua difesa della popolazione
e di numerosi volontari accorsi da ogni parte della penisola, fu costretta a
cedere: il 3 luglio l'Assemblea Costituente decise la resa e il 31 luglio
tornò al governo della città un triumvirato nominato da Pio IX.
║
La fine dello Stato pontificio: questa vittoria non valse,
tuttavia, a mutare la sorte cui lo Stato pontificio era destinato. Il successo
dei Piemontesi nella seconda guerra d'Indipendenza (1859) riaccese le speranze
dei patrioti monarchici e repubblicani che, privilegiando ormai la soluzione
unitaria sotto l'egida dei Savoia, si impegnarono a indebolire ulteriormente il
Governo pontificio provocando incidenti e attentati (uno di questi, nel 1867,
fornì il pretesto per la celebre azione garibaldina di Mentana). In
questi anni turbinosi, gli ultimi dello Stato della Chiesa, le grandi famiglie
patrizie (Doria, Borgese, Torlonia, Caetani) non rinunciarono, tuttavia, a
condurre una vivace vita intellettuale e mondana. Persino il fervore edilizio
ebbe una ripresa con Pio IX, benché la situazione generale non
consentisse più di realizzare opere realmente grandiose e dispendiose.
║
R. capitale d'Italia: con la presa di
R. (1870)
cominciò un nuovo periodo per la vita della città, ormai capitale
di uno Stato moderno. Unitamente a varie iniziative volte a garantire la
pianificazione dell'assetto territoriale, fu avviato un crescente sviluppo
urbano, che portò alla costruzione di nuovi edifici, anche pubblici;
numerosi palazzi già esistenti, inoltre, furono sapientemente adattati
perché accogliessero la complessa macchina politica e burocratica del
nuovo Regno d'Italia. Durante il periodo fascista, venne approvato un nuovo
piano regolatore (1931) che impostò il problema edilizio e lo sviluppo
urbanistico romano con il duplice proposito di sopperire adeguatamente alle
necessità proprie di una metropoli moderna e di continuare la grande
tradizione della
R. dei Cesari e dei papi rinascimentali. Ancora centro
di vita politica durante il breve Governo Badoglio, subito dopo la firma
dell'armistizio con gli Anglo-Americani (8 settembre 1943), la città
venne abbandonata dalla corte e dal Governo. In seguito alla sottoscrizione
delle clausole della tregua a Frascati (10 settembre 1943),
R. fu
costituita città aperta e posta sotto il comando del generale Calvi di
Bergolo. Quando i Tedeschi si impadronirono di
R., i patrioti seppero
organizzare un'intensa attività clandestina antifascista che non si
lasciò mai intimidire, neppure di fronte a episodi quanto mai drammatici
(si pensi all'uccisione alle Fosse Ardeatine di 335 cittadini, in massima parte
Ebrei, come punizione per l'eccidio di 32 militari germanici in via Rasella).
Liberata dagli Anglo-Americani il 4 giugno 1944,
R. fu governata per un
breve periodo da un'amministrazione militare alleata finché, il 15
agosto, tornò a essere la sede del legittimo Governo italiano. Nel 1946
la città, capitale della nuova Repubblica, ospitò la Costituente
italiana. Per quanto concerne l'anima politica dei cittadini romani, negli anni
compresi fra il 1870 e la prima guerra mondiale, forti si mantennero a
R.
le tradizioni politiche del 1849, di origine mazziniana e repubblicana, che
ressero più volte il comune. Accanto a questa
R., che trovava
ormai nelle sue funzioni di sede della Monarchia e di capitale un nuovo
equilibrio politico-sociale, sopravviveva la
R. pontificia, che veniva a
mano a mano adeguandosi ai tempi, con la sempre maggiore partecipazione dei
cattolici alla vita del nuovo Stato. Questo processo di progressiva apertura
alle forze cattoliche si arrestò durante la dittatura fascista, che volle
dare a
R. una fisionomia imperiale. Tuttavia, con il ritorno della
libertà, dopo la seconda guerra mondiale, la vera natura di
R. e
della sua cittadinanza poté manifestarsi, concretandosi in una forte
maggioranza relativa dell'elettorato cattolico e moderato; forti si mantennero
comunque le minoranze comuniste e socialiste.
Le mura di Roma in età repubblicana
Roma e il Lazio nei primi secoli della fondazione dell'Urbe
L'Impero Romano
Espansione dell'Impero Romano
La diffusione del Cristianesimo nell'Impero Romano
ASSEDI E BATTAGLIE
Sacco di R. del 455: Genserico, re dei Vandali, aveva
stabilito il cuore del proprio Regno nei territori dell'antica Africa
proconsolare, che avevano vitale importanza per i rifornimenti dell'annona
dell'Impero d'Occidente. Allo scopo di prevenire velleità di riconquista
da parte degli imperatori romani, egli decise di portare la propria offensiva
militare in Italia e contro la stessa
R., cogliendo l'occasione della
morte, quasi contemporanea, del generale Ezio (454) e dell'imperatore
Valentiniano III (455) per sbarcare all'improvviso sulle coste del Lazio. La
carenza di truppe in difesa dell'antica capitale imperiale, cinta per 19 km dal
perimetro delle mura aureliane, consentì una resistenza di soli tre
giorni, dopo i quali
R. cedette all'assedio. La città fu
saccheggiata per 14 giorni: papa Leone I aveva tuttavia ottenuto da Genserico
che
R. non fosse data alle fiamme, che la popolazione non venisse
massacrata e che, infine, fossero rispettate le basiliche degli Apostoli. Il
bottino dei vincitori fu comunque ingente: il Foro romano, il Palatino e il
Campidoglio, ogni tempio e ogni palazzo furono metodicamente depredati di ogni
ricchezza, mentre un gran numero di personaggi illustri fu fatto prigioniero al
fine di ottenere il pagamento di ingenti riscatti da parte delle famiglie.
║
Assedi della guerra gotico-bizantina: durante la guerra (535-553)
combattuta tra Goti e Bizantini per il controllo della penisola italiana, il re
goto Vitige decise nel 536 di lasciare
R. alle forze preponderanti di
Belisario per riunire tutte le sue truppe a Ravenna. Radunato il suo esercito,
Vitige puntò alla riconquista della capitale: tagliò le condotte
degli acquedotti e la cinse d'assedio, attaccando le mura aureliane con macchine
da guerra. Tuttavia la disparità di armamento tra le truppe barbare e
quelle greche e la possibilità per Belisario di ricevere rinforzi via
mare resero vana la campagna di Vitige, che si risolse in una serie di piccoli
scontri. Nel marzo del 538, dopo un anno e pochi giorni di assedio, Vitige fu
costretto a ritirarsi da
R., dal momento che i Bizantini minacciavano
Ravenna via mare. Nel 545, assente Belisario dall'Italia, Totila, nuovo re dei
Goti, approntò un nuovo blocco della città, sia per terra sia per
mare, riuscendo infine a entrare in
R. e, in segno di vittoria, facendo
abbattere un terzo della cinta di mura. Il suo successo ebbe però breve
durata: desiderando condurre una trattativa con Belisario, Vitige uscì da
R. alla volta della Campania per avviare i negoziati, ma il generale
bizantino ne approfittò per marciare su
R. e riconquistarla,
restaurando in una ventina di giorni il tratto di mura distrutte da Totila. Solo
nel 550 i Goti ripresero la città, sempre durante un'assenza di
Belisario: dopo sei mesi di assedio, Totila conquistò
R.,
provvedendo a una sua completa fortificazione e mantenendovi la residenza e la
guarnigione armata. ║
Presa e sacco di R. del 1527: nel corso della
guerra combattuta tra Carlo V e Francesco I in territorio italiano, il duca
Carlo di Borbone (che era stato in precedenza conestabile per il re francese ma
era poi passato al servizio dell'imperatore spagnolo) condusse nell'aprile 1527
le sue truppe mercenarie alla volta di
R., alleata della Francia,
approfittando di un momento di divisione tra le forze della lega di Cognac. Papa
Clemente VII affidò la difesa della città a Renzo di Ceri, che
riuscì a raccogliere solo 4.000 archibugieri da contrapporre a un
esercito assai più numeroso, sperando tuttavia su un aiuto tempestivo da
parte dell'esercito della lega. Il 6 maggio, il duca di Borbone condusse
l'assalto decisivo per la presa della città, durante il quale però
perse la vita. Le truppe spagnole e i lanzichenecchi tedeschi saccheggiarono
R. con ferocia, mentre il papa riusciva a rifugiarsi a stento in Castel
Sant'Angelo, grazie al sacrificio di molte fra le sue guardie svizzere. ║
Occupazione francese del 1798: la napoleonica campagna d'Italia del
1796-97 terminò con la pace di Tolentino, che ridusse notevolmente i
territori sottoposti alla giurisdizione pontificia. Il generale francese L.
Duphot, tuttavia, proseguiva in
R. una propaganda per la sollevazione
contro il Governo papale, a causa della quale fu ucciso dalle milizie
pontificie. In risposta a ciò, il generale Berthier mosse dalla Cisalpina
con un esercito contro la città: le truppe repubblicane occuparono
l'Urbe, mentre il papa ne fuggiva e veniva proclamata la Repubblica romana.
║
Attacco e assedio del 1849: il 28 febbraio 1849 il generale
francese N.-Ch.-V. Oudinot mosse alla volta di
R. con 6.000 uomini, allo
scopo di abbattere il neocostituito Governo repubblicano. La difesa della
città, condotta da 10.000 uomini al comando di Garibaldi, si
organizzò intorno al caposaldo del Gianicolo. Il primo attacco, sferrato
da Oudinot il 30 aprile, fu respinto dal tiro incrociato dei difensori che
costrinsero le truppe francesi a ripiegare su Civitavecchia. Raccolte forze
assai più numerose (30.000 uomini, 3.000 effettivi di cavalleria e 76
pezzi di artiglieria), Oudinot riprese il 1° giugno l'attacco alla
città: la superiorità nel numero, nell'equipaggiamento e
nell'armamento fu decisiva. Nel corso di circa un mese di combattimenti, cui
parteciparono larghi strati della popolazione romana, i Francesi occuparono le
postazioni strategiche di villa Pamphili e villa Corsini, per contrastare la
difesa sul Gianicolo, aprirono brecce nei bastioni centrali e assaltarono in
più punti le mura aureliane (a Villa Spada, villa Savorelli, ecc.). Solo
il 30 giugno Oudinot poté ordinare l'assalto finale alla città, ma
le sue truppe entrarono in
R. tre giorni più tardi, dopo che fu
stipulata una tregua. ║
La presa di R. nel 1870: lo scoppio della
guerra franco-prussiana del 1870 contribuì a creare lo scenario
internazionale adatto perché il Governo italiano risolvesse di imperio
l'annosa questione romana (V.). Fallita ancora una
volta la via diplomatica con la Santa Sede, l'11 settembre il generale Cadorna
ricevette l'ordine di passare i confini del residuo Stato pontificio e di
impadronirsi di
R. Forte di ben 60.000 uomini, che avrebbero dovuto
scoraggiare l'idea di una resistenza armata da parte del pontefice, Cadorna si
adoperò ancora in trattative con il comandante in capo dei soldati
pontifici Kanzler: il 20 settembre diede tuttavia l'ordine di attacco, col
preciso vincolo che fossero rispettati la Città leonina, Castel
Sant'Angelo, il Monte Vaticano e il Gianicolo. I combattimenti si concentrarono
soprattutto nel tratto di mura compreso tra Porta Salaria e Porta Pia da dove,
aperta una breccia con l'ausilio dell'artiglieria, penetrarono in città i
bersaglieri. Il generale Kanzler consegnò
R. alle truppe italiane,
fatta salva la Città leonina. ║
Marcia su R.: evento di
natura insurrezionale che rappresentò il culmine della fase squadrista e
movimentista del Fascismo e ne segnò l'ascesa al potere e la
trasformazione in partito totalitario da identificare con lo Stato. L'intento di
marciare sulla capitale, già programmato da B. Mussolini ai primi di
ottobre, fu da quest'ultimo ammesso più volte e pubblicamente annunciato
in un discorso tenuto a Napoli il 24. L'attacco ebbe luogo il 28 ottobre 1922,
dopo che le squadre fasciste armate, coordinate da un comando con sede a
Perugia, erano confluite a Santa Marinella, Monterotondo e Tivoli. Le guidava un
quadrunvirato costituito da I. Balbo, E. De Bono, C.M. De Vecchi e M. Bianchi.
Il re rifiutò di firmare il decreto di stato d'assedio per la
città, sottopostogli dall'allora presidente del Consiglio L. Facta,
preferendo convocare Mussolini per affidargli l'incarico di costituire un nuovo
Governo. Vittorio Emanuele credeva, forse, di potere in questo modo riportare
entro l'alveo dello Stato monarchico-liberale il fenomeno fascista,
utilizzandolo ai propri scopi in chiave antiprogressista: con il suo gesto, in
realtà, consegnò senza colpo ferire l'Italia a una dittatura
ventennale. ║
R. occupata dai Tedeschi (
8-10 settembre
1943): dopo la firma dell'armistizio fra l'Italia e gli Anglo-Americani (8
settembre 1943), il re e i membri del Governo Badoglio erano fuggiti da
R. senza lasciare alcuna direttiva, mentre lo sbarco alleato, che avrebbe
dovuto avvenire nei pressi della capitale, ebbe invece luogo nella regione di
Salerno, lasciando la città esposta alla ritorsione dei Tedeschi. La
difesa di
R. rimase affidata a quattro divisioni (Granatieri, Piave,
Ariete e Centauri), cui però si aggiunsero durante i combattimenti
numerosi civili volontari. Gli scontri con le truppe tedesche cominciarono l'8
settembre stesso, e si svolsero principalmente tra la città e il mare,
mentre il grosso delle truppe italiane era stato schierato verso Nord, da dove
ci si attendeva l'attacco più massiccio. Anche per questa ragione la
situazione diventò presto insostenibile, spingendo il generale Calvi di
Bergolo a firmare una tregua d'armi a Frascati, sede del comando Kesselring, che
costituiva
R. città aperta sotto il suo comando. In breve,
tuttavia,
R. passò sotto il completo controllo delle truppe
naziste di occupazione. ║
La liberazione di R. nel 1944: dopo lo
sbarco di Anzio (22 gennaio 1944) e la battaglia di Cassino (1° febbraio-20
marzo 1944), gli Alleati organizzarono nuovamente le forze per liberare l'Italia
centrale e
R. dall'occupazione nazista. Conquistate le posizioni di
Formia (18 maggio) e Terracina (24 maggio), dovettero cedere in un primo momento
all'armata del generale Mackensen; in seguito, però, occupati il Monte
Artemisio, il Maschio di Lariano e Velletri, resero malsicuro per i Tedeschi
l'anfiteatro dei Colli laziali. I nazisti evacuarono
R. il 3 giugno,
defluendo lungo la via Cassia e Aurelia, mentre le truppe statunitensi entrarono
in città il 4 giugno da porta San Giovanni, facendo di
R. la prima
capitale d'Europa
liberata.
RELIGIONELa
comprensione della dimensione religiosa del mondo romano, vista nella sua
complessità e nel suo sviluppo diacronico, si è resa possibile
solo nel corso del XIX sec., grazie all'impostazione storica e filologica
introdotta in questo campo di studi da R.H. Klausen, J.A. Hartung, J.A.
Ambrosch, L. Preller. I maggiori progressi si devono tuttavia a Th. Mommsen e a
G. Wissowa, che per primi tracciarono con certezza la distinzione tra religione
greca e religione romana; infine le indagini, tra gli altri, di G.
Dumézil e di J.G. Frazer provarono come la storia religiosa di
R.
avesse le sue fonti in epoche antichissime, da un lato di matrice indoeuropea,
dall'altro di natura autoctona. ║
Età arcaica,
monarchica
e repubblicana: carattere fondamentale dell'esperienza religiosa romana, fin
dai tempi più antichi, fu il suo aspetto eminentemente pubblico. Il
concetto di sacralità si fondava su due coppie di antitesi tra loro
complementari: sacro/profano e pubblico/privato, che definivano la
specificità delle due sfere esistenziali, che noi definiremmo religiosa e
civile, senza peraltro operare alcuna cesura tra esse; il religioso confluiva
nel civile che, specularmente, da esso non poteva prescindere. La proporzione
per cui il sacro stava al profano come il pubblico al privato rappresentava una
sorta di definizione cosmologica, che ordinava la totalità dello Stato
romano. Ogni atto ufficiale, che fosse religioso o giuridico, del singolo o
della collettività, traeva il proprio valore e la propria efficacia dal
rispetto del rito: era la corretta procedura a garantire all'agire un carattere
significativo e non arbitrario, a connetterlo con l'agire della comunità
e degli altri membri della medesima. A questo scopo, ogni atto
"rituale" (nel senso testé spiegato) era accuratamente
registrato in annali, atti, memoriali, ecc. (spesso ad opera di apposite figure
sacerdotali, V. OLTRE): tale operazione svolgeva una duplice
funzione culturale. Da un lato, per il fatto stesso di registrare un dato
sottraendolo all'oblio e alla stretta contingenza, mitizzava l'evento storico,
dal più grande al più minuto, conferendogli un valore
extrastorico; dall'altro, dando un contesto storicistico a rimanenze di un
antico patrimonio mitico originale, storicizzava il mito, conservando quanto si
avvertiva come ancora significativo per la concezione che la città aveva
di sé ("demitizzazione romana", secondo la definizione di C.
Kock). Da siffatto processo risultò, ad esempio, la fitta trama di
leggende che avvolge il passato più remoto della romanità: Romolo
e Remo, Orazio Coclite, il ratto delle Sabine, Orazi e Curiazi, ecc. Non deve
perciò stupire che manchi alla fase arcaica romana, prima che venisse
mutuata tanta parte del patrimonio religioso dell'Ellade, l'elaborazione
mitologica (V.
MITO), la ricerca cosmogonica
(V. COSMOGONIA) e
teogonica così largamente testimoniate in tutte le religione antiche: il
rapporto inscindibile tra sacro e profano, infatti, contrastava la percezione di
una cesura del tempo, tra un "prima" sacro e un "dopo"
profano, annullando l'esigenza di ancorare il valore del divenire storico a un
momento atemporale, che eternamente riaccade (appunto, mitico). La
comunità arcaica, del resto, non era incline alla rappresentazione
antropomorfica della divinità, che fu introdotta forse durante la
dominazione etrusca: il divino era percepito come
numen, cioè
manifestazione di volontà e potenza divina ma non personale e comunque di
un'entità non definita o definibile. Tale carattere mantennero, al riparo
dall'evoluzione della dimensione pubblica, le divinità del culto privato
e domestico.
Lari e
Penati erano entità divine indistinte,
preposte rispettivamente allo spazio concreto della vita privata, la casa, e
alla protezione della famiglia, mentre gli
dei manes rappresentavano le
forze vitali dei defunti che, dissolti come individui, permanevano come
pluralità di forze e poteri benefici. ║ La tradizione attribuisce
al re Numa Pompilio l'istituzione di numerosi elementi della religiosità
pubblica; le fonti in nostro possesso, ad esempio un calendario della seconda
metà del VI sec. a.C., confermano che a quell'epoca la vita civile della
città era scandita mediante l'assunzione del tempo religioso da parte
dell'autorità (divisione dell'anno in giorni fasti e nefasti e comiziali,
feste collegate ai cicli dell'agricoltura ma anche alla stagione utile alle
campagne militari, ecc.). A un'originaria coincidenza di ruoli, politico e
religioso, nella persona del re, seguì una più pragmatica
partizione delle funzioni, con la creazione dei collegi sacerdotali, che
rappresentarono l'elemento di più alta originalità dell'evoluzione
religiosa nell'antica
R. Primo per importanza era il collegio dei
pontefici, costituito da 6, poi 9 e infine 16 elementi, cui era preposto un
pontifex maximus; parte integrante del collegio erano anche il
rex sacrorum, i 15
flamini e le 6
vestali; alcune funzioni,
in origine proprie dei pontefici, furono affidate ad altri corpi sacerdotali
appositamente istituiti: i XV
viri sacris faciundis e gli
auguri
mutuarono la funzione divinatoria, i VII
epulones provvedevano allo
svolgimento, due volte all'anno, di un banchetto sacro a Giove. Mentre l'azione
sacerdotale nei collegi era esercitata in permanenza, i membri di quattro
sodalitates operavano solo in precise cerimonie annuali (i
Lupercii,
in marzo, i
Salii, in marzo, gli
Arvali,
in maggio) o in occasioni specifiche (i
Feziali, per la firma di trattati
o per le dichiarazioni di guerra). Una ricostruzione attendibile del pantheon
(di origini italiche, con debiti verso Etruschi, Marsi, Lanuvi, Sabini, ecc. )
di età monarchico-repubblicana è resa possibile in primo luogo
dalla lista dei flamini, ciascuno dei quali era addetto al culto di una precisa
divinità: i 12 minori erano relativi ad altrettanti dei, di cui ci sono
noti nove nomi (Carmenta, Cerere, Falacer, Flora, Furrina, Pomona, Portuno,
Volturno, Vulcano), i tre maggiori erano quelli di Giove (il
flamen
Dialis, un sorta di doppione del
rex sacrorum), Marte e Quirino.
Secondo lo studioso di cultura indoeuropea G. Dumézil (che espose le sue
tesi in molti saggi, tra cui citiamo
Iuppiter,
Mars,
Quirinus,
1941), la triade maggiore sarebbe espressione di una
partizione funzionale (sovranità ieratico-religiosa, forza fisica,
fecondità) ugualmente presente in tutte le religioni e le strutture
sociali di ascendenza indoeuropea (Giunone attesta un concetto di
complementarità femminile alla triade maggiore quale sposa di Giove, come
prova la presenza in età arcaica di una
flaminica speculare al
flamen Dialis). Questi tre dei formavano comunque l'ossatura del pantheon
arcaico insieme a Giano e Vesta, divinità in rapporto dialettico tra
loro. Giano era personificazione dell'apertura e della disponibilità alla
trasformazione, mentre Vesta era garante del limite; o ancora, l'uno era
connesso alla contingenza e l'altra alla necessità: Giano stava agli
inizi e Vesta alla fine di un atto. Il pantheon si completava con un'altra serie
di divinità minori in parte desumibili dai calendari (Nettuno, Saturno,
Termino, ecc.). Col passare del tempo molte di queste figure, più o meno
definite, scomparvero perché non necessarie alla struttura permanente
dello Stato, altre furono identificate con divinità elleniche assumendone
in parte i caratteri (Vulcano-Efesto; Nettuno-Poseidone, ecc.), altre ancora
giunsero in fasi successive a maggior importanza e ad un culto pubblico (Diana,
Venere, Minerva, Cerere, ecc.). Dopo una primitiva sistemazione cultuale,
elementi di innovazione furono conseguenti alla politica egemonica di
R.
nella regione, tra il VI e il V sec. a.C. Nell'anno 509 a.C., secondo la
tradizione, fu proclamata la Repubblica e dedicato il tempio capitolino a Giove
Ottimo Massimo: funzionalmente tale divinità non corrispondeva al Giove
arcaico, e infatti era affiancato, in una nuova triade, da Giunone Regina e
Minerva. Parallelamente veniva istituito il culto di Diana sull'Aventino: in
entrambi i casi si trattava di una sottrazione, da parte della città
egemone, di due culti che erano stati propri e comuni a tutta la lega latina,
originariamente riferiti a Giove Laziare sul Monte Albano e a Diana Nemorense
(da
nemus,
il bosco sacro a lei dedicato) presso Ariccia. Ancora
una volta l'aspetto religioso sanzionava quanto realizzato sul piano storico,
esprimendo nella sovranità del dio assunto entro le mura della
città l'egemonia della città stessa. In seguito molti altri culti
ufficiali furono introdotti: a partire dal 493 a.C. la plebe cittadina
venerò sull'Aventino Cerere, unitamente ai figli Libero e Libera (poi
identificati rispettivamente con Demetra, Dioniso e Persefone). In opposizione a
tale culto, distintivo dei plebei, i patrizi importarono la divinità
frigia Cibele, destinataria di riti misterici concorrenziali a quelli di
Demetra-Cerere e Dioniso-Libero; con l'epiteto di
Mater deum Idaea,
inoltre, si diffondeva il mito dell'origine troiana di
R. e si poteva
considerare la stessa Cibele come essenzialmente interna alla più antica
tradizione romana. Molte altre divinità elleniche trovarono spazio in
R.: Ercole, che perse il suo carattere eroico, cioè semidivino,
per attingere lo
status di vera e propria divinità; Mercurio,
Apollo e i Dioscuri, fortemente romanizzati; nel 293 a.C. venne fondato il primo
santuario di Esculapio, che diventò luogo di guarigioni, come i suoi
omologhi in Grecia. Non mancarono di svilupparsi, inoltre, figure di
divinità schiettamente locali, quali Venere e Fortuna. La sostanziale
disomogeneità del pantheon romano fu accresciuta nel corso del II sec.
a.C. dalla pratica dell'
evocatio, in base alla quale le divinità
dei popoli vinti trovavano posto nei culti cittadini, secondo una tolleranza e
una capacità di assimilazione che costituiscono forse il tratto di
maggior distinzione della religiosità in
R. Lo Stato, infatti, pur
avocandosi il controllo e la gestione della religione ufficiale, non interveniva
nell'ambito della sfera privata, non era uno "Stato etico"
interessato alle scelte individuali: suo interesse era mantenere il controllo
dei fenomeni sociali e salvaguardare l'ordine pubblico e politico, unico motivo
per cui poteva talvolta proibire o regolamentare culti particolari (un esempio
in questo senso è il celeberrimo
senatus consultum de bacchanalibus
del 186 a.C., che interdiva le cerimonie dionisiache, operando anche una
sanguinosa repressione degli adepti). In un tale contesto il momento religioso
privato restava per lo più nell'alveo dei culti tradizionali e
conservatori dei Lari e dei Penati, mentre la dimensione pubblica veniva
esercitata dal singolo cittadino da un lato come gesto di lealtà nei
confronti dello Stato, dall'altro come diritto di cittadinanza, usufruendo dei
servizi sacerdotali e partecipando della dimensione metastorica della
res
publica. ║
Età imperiale: già l'ultima fase
repubblicana aveva registrato un'involuzione della partecipazione alla religione
ufficiale, percepita come mera formalità di natura più laica e
politica che spirituale, sia da parte delle classi colte e degli intellettuali,
volti in prevalenza alla filosofia ellenistica, sia da parte delle classi
popolari che vedevano irrisolti i loro bisogni esistenziali. Questa condizione
favorì l'enorme diffusione di cui godettero in età imperiale le
religioni orientali e misteriche, già attestate da un documento del 43
a.C. che consentiva la costruzione di un tempio dedicato a Iside. Il secondo
elemento innovativo di quest'epoca fu l'introduzione del culto imperiale, che
sconfessò la diuturna tradizione repubblicana che aveva rifuggito il
culto della personalità. Suo immediato antecedente fu la divinizzazione
post mortem di Cesare, di cui Augusto era figlio adottivo: forte di tale
adozione, il primo imperatore assunse una serie di cariche sacerdotali e sacre,
favorendo una percezione della sua persona come coincidente con il cuore
politico e religioso di
R. stessa e introducendo in tal modo la
possibilità di essere destinatario diretto di culto. In Occidente e con
l'aristocrazia senatoria, le cose furono condotte con particolare prudenza
(associazione del nome di Augusto a nozioni religiose e alla personalizzazione
di
R., introduzione dell'entità soprannaturale del
genius
Augusti, ecc.), mentre nelle province orientali, culturalmente più
favorevoli alla venerazione diretta del sovrano, il culto attecchì
subito, organizzato e diretto da un apposito collegio sacerdotale e sostenuto da
una distorsione propagandistica per cui la particolare devozione della
gens
Iulia alla dea Venere veniva connessa alla discendenza da quella
divinità. Il culto imperiale si evolse variamente nei secoli, fino alla
teocrazia di Diocleziano, preceduta dall'identificazione dell'imperatore con il
Sole voluta da Aureliano. Benché vitale più in Oriente che in
Occidente, tuttavia il culto imperiale risultò omogeneo alla tradizione
romana: l'imperatore rappresentava lo Stato e il culto a lui destinato esprimeva
la stessa lealtà allo Stato prima implicita nel culto capitolino. Le
religioni orientali avevano convissuto con quella pubblica e ufficiale nei primi
secoli dell'Impero, perpetuando la tradizione romana di tolleranza e sincretismo
religioso: particolarmente diffusi erano i culti di Mitra (divinità
uranica diurna, identificata presto con il Sole), di Iside (caratterizzato dal
messaggio fortemente iniziatico), di Attis, ecc., ma nel corso del III sec. d.C.
particolarmente rilevanti furono il fenomeno cristiano, neoplatonico e gnostico
che proponevano risposte ai medesimi bisogni religiosi ed esistenziali. Rispetto
ai misteri e ai culti orientali la religione pubblica romana esercitò il
massimo della propria capacità di assimilazione e di trasformazione
sincretistica (si pensi all'Editto di Caracalla che equiparò tutti i
culti romani e stranieri): solo l'Ebraismo (per il suo rigido monoteismo) e il
Cristianesimo rimasero esclusi da questo processo. Quest'ultimo poneva, oltre ai
problemi di ordine sociale impliciti nell'organizzazione interclassista, del
resto condivisi da molte altre esperienze, la negazione senza compromesso del
culto degli imperatori e di altri dei. Da ciò innanzi tutto furono
causate le dure persecuzioni decise da alcuni imperatori, culminate in quelle di
Decio (251). Solo nel 313 l'Editto di Costantino riconobbe liceità al
Cristianesimo che, nel 391, quando Teodosio proibì i sacrifici pagani,
divenne a sua volta religione di Stato. Il paganesimo (da
pagus: capanna)
sopravvisse a lungo nelle campagne e tra i membri dell'aristocrazia senatoria,
ma aveva definitivamente perso il carattere simbiotico con la dimensione
politica dell'Impero, in ciò sostituito per molti versi dalla nuova
religione.
POPOLAZIONEPer la prima volta, nella storia postunitaria, con il censimento del 1991 è
stato registrato un calo di popolazione nella città di
R.: si
è infatti passati, dai 2.782.000 abitanti del 1971, ai 2.515.951 di
quell'anno. Oltre a ciò, a partire dai primi anni Settanta, la
popolazione residente ha dimostrato una tendenza allo spostamento dal centro
alle periferie, fatto che ha determinato un rapido processo di invecchiamento
demografico nel centro storico in cui, peraltro, prevalgono le sedi di
attività terziarie e direzionali con una progressiva riduzione della
funzione residenziale e un ricambio della popolazione assai lento. Omogeneo allo
spostamento verso le periferie è l'abbandono dell'area urbana a favore
dei centri di provincia; le motivazioni sono varie: congestione del centro
cittadino, carenza dei trasporti, aumento del costo della vita, rigidità
del mercato immobiliare, sviluppo socio-economico dei comuni circostanti. I
caratteri demografici della popolazione romana, considerata nel suo complesso,
non si discostano in genere, dalla media nazionale: tassi di natalità e
di mortalità prossimi al 9‰, nuclei familiari costituiti da meno di
tre componenti, crescita del tasso di invecchiamento e di femminilizzazione.
URBANISTICAA dispetto del
significativo calo di popolazione registrato nell'ultimo decennio, la crescita
edilizia di
R. è stata continua, tanto che l'estensione della
superficie urbanizzata risulta ormai superiore a un quarto rispetto a quella
dell'intero comune. Causa dell'incremento urbanistico non è solo la
domanda di alloggi, ma soprattutto il fenomeno della riconversione funzionale da
residenziale a terziaria e direzionale. Nella sua progressiva espansione la
città si è estesa sia sul Gianicolo, sul colle Vaticano, a Monte
Mario, alla destra del Tevere, sia lungo le direttrici della via Flaminia,
Cassia, Aurelia, Nomentana, Appia, Tiburtina e Casilina, come pure verso i Colli
Albani (dei quali ormai ha raggiunto le pendici) e verso il mare, specialmente
in direzione del Lido di Ostia, intorno al quale gravita il quartiere dell'EUR.
Nel complesso, se si escludono poche aree minori non edificate (come quelle tra
le vie Appia e Pontina o tra la Portuense e l'Aurelia), il territorio compreso
entro il grande raccordo anulare risulta completamente urbanizzato; dal suo
perimetro si dipartono, lungo le principali vie di comunicazione, zone edificate
che conferiscono all'assetto urbano una caratteristica forma a stella. Nuovi
quartieri periferici (le cosiddette borgate), hanno risposto alle esigenze
abitative dei grandi flussi migratori, negli anni Sessanta e Settanta,
provenienti dalle regioni meridionali. Tuttavia, in particolare dal dopoguerra
in poi, l'edilizia ha avuto uno sviluppo privo di controlli, a macchia d'olio,
spesso al limite dell'illecito o recuperato alla legalità mediante lo
strumento del condono. Per tale ragione, dalla fine degli anni Settanta, le
forze politiche cittadine si sono confrontate in merito al problema della
pianificazione urbanistica, questione resa sempre più pressante
dall'aggravarsi della congestione del traffico cittadino, dei tassi di
inquinamento sia atmosferico sia acustico. L'obiettivo di una riqualificazione
urbana ha imposto vari interventi di recupero e restauro degli edifici nell'area
del centro storico, mentre alcune zone pericentrali sono state trasformate in
veri e propri quartieri residenziali, spesso ambiti dalla popolazione in
virtù di determinate qualità ambientali, come la posizione elevata
(sulle alture dei Parioli, di Monte Mario, del Gianicolo) o l'abbondanza di
verde (nei quartieri Salario, Trieste, Nomentano); diverse aree periferiche,
infine, si sono evolute in comprensori residenziali, razionalmente organizzati e
muniti di servizi autonomi. Degni di nota sono anche i progetti del parco
dell'Appia Antica e del Sistema Direzionale Orientale (SDO): il primo
finalizzato a proteggere l'area archeologica e ad assicurare la presenza di
verde pubblico all'interno di un'area fortemente urbanizzata; il secondo
destinato a ospitare gli insediamenti direzionali, attualmente localizzati per
lo più nel centro storico e nelle immediate vicinanze. I principali
ostacoli alla realizzazione di questi e di altri interventi sono costituiti
dalla scarsità dei fondi a disposizione dell'amministrazione comunale,
nonché dalla forte opposizione della proprietà fondiaria. Va
tuttavia sottolineato che, nonostante lo sviluppo recente abbia mutato
completamente il volto della città, conferendole l'aspetto di una grande
e moderna metropoli, vaste zone della parte centrale continuano a essere
occupate da monumenti antichi (Foro e Palatino, Colosseo, Fori Imperiali, ecc.),
da parchi (Villa Borghese, Pincio, ecc.) e da giardini. Internamente alla
città, in seguito al trattato del Laterano del 1929, l'area che comprende
la basilica di San Pietro, i palazzi vaticani e le strutture adiacenti è
costituita in Stato autonomo (V. VATICANO, CITTÀ
DEL), motivo per cui
R. ospita una duplice serie di rappresentanze
diplomatiche: una presso la Repubblica italiana e la seconda presso la Santa
Sede. In quanto capitale e sede privilegiata delle attività politiche
nazionali e internazionali, in
R. è posta la residenza del capo
dello Stato, la sede del Parlamento, del Governo e dei massimi organi del potere
giudiziario. Nella città hanno il proprio domicilio anche importanti
istituti internazionali, come la FAO (Food and Agriculture Organization), la
Camera di commercio internazionale, l'Istituto internazionale per l'unificazione
del diritto privato e varie accademie straniere. Degne di nota le infrastutture
per le attività sportive, tra cui citiamo: gli stadi Olimpico, dei Marmi
e Flaminio, il Palazzo e il Palazzetto dello Sport, il complesso del Foro
italico (con lo stadio del nuoto e del tennis), i due ippodromi di Tor di Valle
e delle Capannelle e il centro sportivo dell'EUR.
ARTE
Arte antica: numerose sono le
difficoltà che si incontrano nel tentativo di dare una definizione
lineare e sintetica dell'arte romana, sia perché essa si sviluppò
su un territorio estremamente vasto, comprendente di fatto tutte le regioni
sottoposte al dominio di
R., assumendo in ognuna di esse tratti peculiari
mutuati dalle forme indigene, sia perché fu elaborata in un periodo di
tempo molto lungo, quasi un millennio. Inoltre, lo studio dell'arte di
R.
inteso come disciplina autonoma è relativamente recente,
poiché nel XIX sec. l'arte romana era considerata una fase di decadenza
dell'arte greca e per questo era largamente sottovalutata. Per quanto riguarda
quest'ultimo problema, la critica moderna ha invece dimostrato la sostanziale
autonomia dell'arte romana rispetto a quella ellenica: si sono infatti rilevati
i differenti presupposti di ordine teorico, giacché alla base
dell'elaborazione estetica greca è la ricerca formale (gli ordini
architettonici, il corpo umano, il ritratto), mentre i Romani orientarono le
loro ricerche essenzialmente verso fini pratici. Prova ne è la prevalenza
data dai Romani all'architettura, che rappresenta la manifestazione più
originale della loro arte: la sua finalità pratica è evidente
negli edifici di utilità pubblica (basiliche, terme, anfiteatri,
acquedotti, mercati) e nel sapiente impiego dei materiali poveri, come il
laterizio, per l'edilizia privata. Inoltre, il fine pratico, più
esattamente politico-propagandistico, dell'arte romana traspare anche dai
monumenti ufficiali, che testimoniano un'esigenza celebrativa ignota all'arte
greca: per commemorare eventi politici, civili, religiosi o militari i Romani
costruirono fori e innalzarono archi di trionfo, colonne istoriate e statue
imperiali nella città di
R. e in ogni parte dei loro domini. Anche
la scelta dei soggetti artistici testimonia della differenza fra le
realizzazioni dei Romani e dei Greci: questi ultimi, infatti, ricorsero spesso
al repertorio mitologico, con il quale si alludeva simbolicamente agli eventi
contemporanei, mentre gli artisti romani descrissero in modo realistico le
imprese e i personaggi, collocando le scene in paesaggi naturali ritratti
veristicamente. Di fatto, il rilievo a soggetto storico costituisce una delle
forme più tipiche dell'arte romana e trae origine dalle grandi pitture
trionfali dell'età repubblicana (di cui sono pervenuti scarsi esempi dei
secc. IV-III a.C.), nelle quali erano narrate al popolo e celebrate le imprese
dell'esercito e dei suoi comandanti. Quanto al problema degli inizi dell'arte
romana, va rilevata un'ambiguità di fondo, poiché è
innegabile che la cultura artistica di
R. nel periodo monarchico, e
comunque fino al IV sec. a.C., si identifica con la cultura italica e
soprattutto etrusca: da Veio provenivano, per esempio, Vulca e gli artisti che
decorarono il tempio ligneo di Giove Capitolino, con decorazioni in terracotta
secondo lo stile etrusco; opera di un'officina etrusca è la famosa lupa
bronzea (V sec. a.C.) e di tipo etrusco la fibula aurea recante un'iscrizione
(Preneste, V sec. a.C.). All'influsso etrusco si aggiunse nel IV sec. a.C.
quello osco-campano, come testimonia l'opera d'arte più antica lavorata a
R. (ma rinvenuta a Palestrina), nota come Cista Ficoroni, nella quale le
decorazioni riprendono temi della pittura vascolare attica. Nel III sec. a.C.
l'arte etrusco-italica assunse un più spiccato carattere locale e anche a
R. si manifestò pienamente la tendenza propria dello spirito
latino, propensa al ritratto, al tema storico, allo stile narrativo. A questo
periodo risale la creazione del Foro romano, una piazza su cui si affacciavano i
Rostri (tribuna degli oratori fatta erigere nel 44 a.C.); la basilica Giulia
(55-44 a.C.); il tempio di Saturno (V sec. a.C.); il tempio di Giulio Cesare (29
a.C.); il tempio dei Dioscuri (fondato nel 484 a.C. e ricostruito nel 117 a.C. e
nel 6 a.C.), del quale rimangono tre colonne corinzie; l'arco di Augusto (29
a.C.); la chiesa di Santa Maria Antiqua (VI sec.); il tempio di Vesta, con la
casa delle Vestali; il tempio di Antonino e Faustina (141); la basilica di
Massenzio (IV sec). Sempre nel III sec. a.C.
R. fu circondata dalle mura
serviane. A partire dalla fine del III sec. a.C. sugli influssi etruschi e
campani e sul substrato culturale latino si innestò l'influenza della
cultura ellenica, che contribuì notevolmente alla formazione di una
cultura artistica romana. Diffusa dapprima solo a livello filosofico-letterario
e in un gruppo limitato di nobili e intellettuali, la cultura greca si diffuse
rapidamente a
R. nel II sec. a.C., attraverso l'importazione di opere
d'arte a partire dalla conquista di Siracusa (212 a.C.) e soprattutto a seguito
delle vittoriose campagne in Grecia e in Oriente (146 a.C.): numerose opere
originali di celebri artisti come Policleto, Scopas, Lisippo e Apelle furono
prelevate come bottino di guerra e portate a
R., dove, copiate in serie
dai ricchi patrizi, furono impiegate per uso decorativo. Questa larga
importazione avvicinò i Romani all'ideale estetico ellenico e sempre
più cospicua divenne la richiesta di opere d'arte da parte dei possidenti
e dei nobili. Inoltre, considerata la fortuna delle opere greche, nel corso dei
secc. II e I a.C. molti artisti cominciarono a trasferirsi a
R., dando
origine a una corrente ellenistica che produsse sia opere decorative, sia
ritratti. Due furono quindi i filoni convergenti nella genesi dell'arte romana:
quello greco-ellenistico e quello latino-italico, l'uno caratterizzato da una
tecnica raffinata e di tendenza classicheggiante, l'altro naturalistico,
lineare, austero e narrativo. Candelabri, crateri, copie di statue celebri
furono i prodotti della corrente neoattica; ritratti di togati, rilievi funerari
e storici quelli della corrente romana. Una conseguenza importante dell'influsso
ellenico fu la ricostruzione in pietra dei templi lignei, iniziata per
volontà di Silla; nel
Tabularium da questi edificato, inoltre,
apparve per la prima volta il motivo delle finestre formate da arcate gettate su
pilastri e inquadrate fra semicolonne, che diventò poi elemento
caratteristico dei teatri, degli anfiteatri e dei circhi romani. Dell'influsso
etrusco rimasero il tempio tripartito e la casa ad atrio. Dall'incontro fra la
sobrietà italica e la forma tardo-ellenistica ebbe origine, verso la fine
del I sec. a.C., l'arte del periodo augusteo e tiberiano, la quale, oltre a
testimoniare la profonda assimilazione dell'esperienza artistica greca,
costituì la prima manifestazione della glorificazione del potere
imperiale. Fra le espressioni più rilevanti si ricordano i rilievi
marmorei con scene processionali dell'
Ara Pacis Augustae (I sec. a.C.),
che rimase il modello insuperato dei monumenti ufficiali imperiali, e l'adozione
di modelli greci classici (come il
Doriforo di Policleto) per la
raffigurazione scultorea dell'imperatore. Durante il principato di Augusto (31
a.C. - 14 d.C.) ebbe origine la costruzione dei Fori imperiali; al vecchio Foro
romano si aggiunsero il Foro di Cesare (54-46 a.C.); il Foro di Augusto (2
d.C.), con il tempio di Marte Ultore; il Foro di Vespasiano (71-75 d.C.), con il
tempio della Pace; il Foro di Nerva (98), con i resti del tempio di Minerva; il
Foro di Traiano (113), con la basilica Ulpia e la colonna traiana, alle cui
spalle si elevano i mercati traianei.
R. fu arricchita di numerosi
monumenti edificati in marmo, come il teatro di Marcello; nello stesso periodo
l'edilizia monumentale si diffuse in molte città d'Italia e anche nelle
province, in particolare nella Gallia Narbonense, come testimoniano la maison
Carrée di Nîmes, il teatro di Orange, gli archi di trionfo di
Carpentras e Saint Rémy. Sotto i successori di Augusto si verificò
invece un ritorno alla tradizione tipicamente latina dell'impiego del laterizio;
anche nella scultura, l'indirizzo latino più caratteristico è
illustrato dai rilievi di età tiberiana dell'ara dei vicomagistri, ora
nei Musei Vaticani. Un esempio di soluzione innovativa adottata dagli architetti
romani, che sfruttava abilmente le proprietà dell'opera cementizia,
è la sala ottagonale della
Domus aurea di Nerone (I sec.), in cui
la cupola insiste sull'ottagono senza l'uso di pennacchi. Quanto alle scarne
testimonianze pittoriche, la decorazione parietale mostra in un primo stile
(imitante incrostazioni marmoree) un chiaro influsso ellenistico; nel cosiddetto
secondo stile le superfici si animano con visioni prospettiche di architetture,
che divengono sempre più ridotte e schematiche nel terzo, per svilupparsi
poi nel quarto stile in un esuberante decorativismo con fantasiose inquadrature
scenografiche architettoniche e floreali: le origini di quest'ultimo stile, i
cui esempi più ricchi si trovano a Pompei e sono datati fra il 63 e il
79, sono forse da ricollegare alle pitture più arcaiche della casa di
Livia sul Palatino. Meno indipendenti dai modelli greci appaiono invece i
mosaici contemporanei, in particolare quelli a colori. Nell'età flavia (I
sec.) la scultura sviluppò una notevole tendenza plastica e coloristica,
come appare sia dai rilievi dell'arco di Tito, le cui raffigurazioni rendono
l'illusione di uno spazio reale, sia dai motivi ornamentali e dalle urne
istoriate; peraltro, non scomparve la tendenza più classicistica e
accademica, soprattutto in edifici di carattere pubblico, come nei rilievi del
palazzo della Cancelleria. Infine, una menzione merita il monumento
architettonico più celebre dell'età flavia, l'anfiteatro Flavio o
Colosseo (72 a.C. - 80 d.C.), la cui cavea è sostenuta da un ingegnoso
sistema di volte. Una tendenza plastica più vigorosa caratterizzò
l'arte di epoca traianea (secc. I-II), che raggiunse risultati mirabili nella
scultura e in particolare nel rilievo storico, in grado ormai di esprimere in
modo originale e autonomo una grandiosa complessità di temi e di
composizioni. Ciò appare evidente nel fregio della colonna istoriata
innalzata nel 113 per commemorare le vittorie conseguite sui Daci: in essa
è descritta, in una narrazione continua e priva di enfasi retorica, la
cronaca delle battaglie e dei trionfi dell'imperatore, la cui umanità
è messa in risalto dall'attenzione per i vinti, colti nel momento del
dolore e della disperazione. All'età di Adriano (II sec.) risale il
Pantheon (eretto nel 27 a.C. e rifatto nel 118-128 circa), uno dei più
celebri monumenti dell'architettura romana, in cui sono sintetizzati diversi
moduli costruttivi: a pianta circolare, è coperto da una cupola
costituita da un'armatura emisferica che conferisce alla costruzione un aspetto
maestoso e imponente. Altri edifici monumentali furono realizzati sotto Adriano
in molte parti dell'Impero, da Atene, prediletta dall'imperatore
(
agorá e
Olimpieion), all'Asia Minore (tempio di Adriano a
Efeso, biblioteca di Mileto, acropoli di Pergamo), alla Siria (complesso di
Baalbek, teatro di Palmira), all'Africa settentrionale (terme di Leptis Magna),
alla Britannia (vallo di Adriano, imponente fortificazione a protezione contro
le invasioni dei popoli settentrionali). La personalità del filelleno
Adriano, il quale fece realizzare per sé la celebre villa Adriana a
Tivoli, arricchita da giardini e terrazze, contribuì a orientare il gusto
artistico del suo tempo verso modelli classicheggianti. La ripresa dei temi
classici è evidente nella produzione dei sarcofagi, decorati spesso con
scene mitologiche greche, e nella scultura: la figura di Antinoo, prediletto
dell'imperatore, costituì il modello di sculture e rilievi eseguiti con
raffinatezza, ma spesso privi di vigore creativo, in ogni parte dell'Impero. Il
classicismo adrianeo improntò anche gran parte dell'arte di epoca
antoniniana (II sec.), sebbene ravvivato da un maggior colorismo e da un
più vivace espressionismo, prevalente poi nel periodo di Marco Aurelio;
tuttavia, la colonna antonina, eretta da Antonino per commemorare le vittorie
sarmatiche, se confrontata con il suo modello, la colonna traiana, mostra un
sensibile irrigidimento delle raffigurazioni e una ripetizione formale degli
schemi. Al periodo adrianeo-antoniniano appartengono varie pitture, in genere
paesistiche, eseguite con tocco leggero e vivace impressionismo (villa Adriana,
Ostia, tombe dei Pancrazi e dei Valeri). La ricerca coloristica è
evidente anche nella levigatura della superficie delle statue, specialmente nel
periodo di Commodo (II sec.), con contrasti luministici. Alla fine del II e
soprattutto nel III sec., mentre si manifestava la crisi dell'Impero e si andava
accentuando la tendenza all'introspezione e al misticismo, si verificò un
progressivo abbandono delle forme classiche delle immagini: i ritratti imperiali
e privati dell'epoca mostrano infatti un chiaro tentativo di approfondire
l'indagine psicologica, sottolineando le espressioni e conferendo ai volti un
atteggiamento assorto, spesso con lo sguardo rivolto in alto, caratteristica
questa che portò nel III sec. ai ritratti di imperatori con espressione
addirittura estatica. Un vivace colorismo ornamentale, realizzato talora in
forme barocche, caratterizzò l'arte severiana (secc. II-III); in questo
periodo, al quale appartengono l'arco di Settimio Severo, la
domus sul
Palatino e la grandiosa ristrutturazione della città africana di Leptis
Magna, l'arte ufficiale ricorse spesso al simbolo, per esempio la figura di
Eracle, per celebrare le vittorie militari sui barbari. Nonostante una reazione
classicheggiante dell'arte sotto Gallieno (testimoniata dai sarcofagi delle
famiglie senatorie e militari, con raffigurazioni di imprese belliche e
più spesso generalmente simbolici, con temi desunti dalla mitologia),
prevalsero sempre di più, nella produzione del III sec., i modi dell'arte
popolare. Grande diffusione ebbe poi in quest'epoca l'arte musiva, utilizzata
nelle decorazioni delle grandi ville (villa di Piazza Armerina in Sicilia),
delle terme (quelle di Caracalla) e degli edifici monumentali, e che raggiunse
livelli tecnici assai elevati. Sotto la tetrarchia affiorarono con sempre
maggior evidenza i dialetti artistici locali delle varie province. Durante il IV
sec.
R. abdicò al suo ruolo di capitale dell'Impero: altre
città, come Milano, Treviri e Nicomedia, furono privilegiate nella
costruzione degli edifici monumentali. Una ripresa del ruolo guida di
R.
si ebbe sotto Costantino (secc. III-IV), prima del definitivo trasferimento
della capitale a Costantinopoli. Il grandioso arco di trionfo elevato da
Costantino a
R. nel 315, per celebrare la sua vittoria su Massenzio in
occasione della battaglia del ponte Milvio (312), costituisce un esempio dei
caratteri distintivi del linguaggio del tardo Impero, quali la
frontalità, l'irrigidimento ieratico monumentale, l'amore per le
dimensioni colossali. L'ultima creazione dell'arte romana può essere
considerata la basilica cristiana, basata sulla pianta della basilica civile e
caratterizzata dalla maggiore altezza della navata centrale rispetto a quelle
laterali e dall'arco che delimita l'abside. Con la caduta dell'Impero
d'Occidente (476) vennero meno anche i motivi, i temi e gli elementi che avevano
dato vita all'arte romana: tuttavia la sua eredità non andò
perduta, ma venne raccolta dalle rinascenze medioevali e dal Rinascimento
italiano ed europeo, che ne studiarono e ripresero le forme innovandole;
inoltre, ai fasti dell'arte aulica dell'Impero e al suo repertorio figurativo si
rifecero quasi sempre tutti i regimi forti, le Monarchie nazionali e gli Imperi
dell'Europa moderna (per l'architettura V. anche
TOPOGRAFIA). ║
Medioevo: i primi
secoli del Medioevo furono caratterizzati dalla graduale decadenza della
R. imperiale e dallo sviluppo della
R. cristiana. L'imperatore
Costantino fece edificare grandi basiliche da destinare al nuovo culto: quella
di San Giovanni in Laterano; quella di San Pietro; quella di San Lorenzo fuori
le Mura; quella di Sant'Agnese fuori le Mura. Non di rado, inoltre,
l'organizzazione ecclesiastica piegò alle proprie esigenze edifici,
pubblici e privati, della
R. pagana: alcune delle stesse basiliche
dell'imperatore Costantino vennero erette su antichi monumenti (San Pietro e San
Paolo, ad esempio, sorsero sulle venerate sepolture dei due apostoli, in aree
sepolcrali pagane) e, così pure, il centro politico e morale della
città, la sede del Papato, venne fissato nel Laterano, già ricca
dimora dei Laterani divenuta poi di dominio imperiale. Nei primi secoli del
Cristianesimo l'architettura imperiale romana conservò la sua
caratteristica vitalità nella robusta ampiezza dello schema basilicale
(il nuovo battistero del Laterano, Santa Maria Maggiore, Santa Sabina, Santo
Stefano Rotondo, Santa Costanza, già mausoleo della figlia di
Costantino). Le vicende della scultura, che cominciò a orientarsi verso
un nuovo Classicismo, sono chiarite dai sarcofagi di porfido di Santa Costanza,
dalle tarde statue imperiali e consolari e dalla produzione di preziosi avori.
Nell'epigrafia del periodo si distinsero diverse iscrizioni dettate dal papa
Damaso per onorare i martiri della fede e un codice raffigurante il calendario
per l'anno 354, a noi giunto solo in copia. La prima pittura di ispirazione
cristiana è documentata da vari mosaici (in Santa Costanza, in Santa
Pudenziana, nelle catacombe di Domitilla) e da affreschi di ipogei e catacombe,
dove la decorazione parietale attesta l'ancora viva classicità delle
forme, l'aderenza ai modi ellenistici e l'iniziale accoglienza delle tradizioni
dell'Oriente cristiano. Un duro colpo alla compagine monumentale di
R. fu
recato dal triplice sacco dei Goti (410), dei Vandali di Genserico (455) e dei
Vandali di Ricimero (472), cui si aggiunsero incursioni, assedi, pestilenze e
terremoti; né valse ad arrestare il decadimento l'opera di restauro di
Teodorico.
R., contraendosi sulle pendici dei quattro colli prospicienti
il Foro e sulle propaggini del Vaticano e del Laterano, venne acquistando, a
poco a poco, l'aspetto caratteristico di città medioevale, sede del
Papato. Nel VI sec., tuttavia, la produzione artistica di
R. conobbe una
nuova e fortunata stagione, sempre più vicina alla cultura
bizantino-orientale (orientali, del resto, furono quasi tutti i pontefici del
periodo). Di questa nuova influenza si colgono i segni in particolare
nell'architettura che, nonostante la persistenza del modulo basilicale classico
e il larghissimo uso del materiale classico di recupero, adotta persino
l'unità di misura bizantina. Tra gli esempi più caratteristici si
ricordano Sant'Agata dei Goti, la chiesa degli Apostoli, ricavata in una parte
del palazzo imperiale e la chiesa ricavata dal Pantheon (donato da Foca a papa
Bonifacio IV) in accordo alla tendenza, allora assai diffusa, di trasformare in
chiese cristiane vari edifici pubblici o templi pagani. Per la pittura, tra le
testimonianze più rilevanti di questo periodo ricordiamo gli affreschi di
Santa Maria Antiqua e l'affresco di Giovanni III nella catacomba di Lucina. Di
grande valore vengono considerate alcune opere artistiche, caratterizzate dallo
stesso stile, anche se di epoca posteriore: i mosaici dell'oratorio di San
Venanzio, di Santo Stefano Rotondo, dell'oratorio del Presepe in San Pietro
(tutti dispersi in più luoghi, spesso anche fuori
R.) e di San
Pietro in Vincoli; le icone di Santa Maria in Trastevere e di Santa Maria
Tempulo (portate poi in Santa Maria del Rosario); gli affreschi di Santa Maria
in via Lata, di San Saba, di San Crisogono, di San Lorenzo fuori le Mura e di
Santa Passera. Verso la fine dell'VIII sec. si affermarono nell'arte romana
caratteristiche locali che, in parte, si rifacevano a temi prebizantini e
costantiniani; all'antico modello di San Pietro si ispirarono Santa Prassede e
San Martino sui Monti. Nei mosaici (ai Santi Nereo e Achilleo, nel Triclinio
lateranense, in Santa Prassede, in San Marco, in Santa Maria in Domnica)
prevalse una scuola propriamente romana, distinguibile da quella bizantina per
evidenti caratteristiche di tecnica e colore; nella miniatura, come nella
pittura di grandi dimensioni, lo stile adottato si connotò come
fortemente medioevale; la scultura ornamentale ebbe caratteri decisamente
barbarici, specie nella copiosa produzione di lastre. Verso la fine dell'VIII
sec., la crescente ricchezza e potenza del Papato diede impulso
all'attività edilizia; questa si caratterizzò per la
fedeltà ai modelli più antichi, come testimoniano l'ampliamento
del Laterano, del Vaticano e di altre numerose chiese. Contro le incursioni dei
Saraceni, inoltre, Giovanni VIII fondò
Giovannipoli intorno a San
Paolo, mentre risale a Leone IV la cosiddetta
Città leonina che,
sviluppandosi intorno a San Pietro, era cinta da mura e raccordata con il
caposaldo difensivo costituito dalla Mole adriana. Del X sec. e dei suoi vari
tentativi di
renovatio è rimasto ben poco: poche tracce del
palazzo di Ottone III presso Santa Maria in Cosmedin; il pozzo della chiesa di
San Bartolomeo all'Isola; la corona del Sacro Romano Impero; gli affreschi di
Santa Maria in Pallara e quelli di San Crisogono, nuovamente influenzati dai
modelli bizantini. L'XI sec. inaugurò una nuova tendenza nell'arte romana
che, pur ispirandosi all'antico, seppe rielaborarne sapientemente gli elementi e
produrre uno stile nuovo, ben presto esportato con successo non solo nel resto
d'Italia, ma anche al di là delle Alpi. Le testimonianze più
significative di questo periodo sono: una serie di codici miniati (tra cui si
ricordano, in particolare, le
Bibbie atlantiche, così dette per le
loro dimensioni); gli affreschi di San Clemente, di Santa Cecilia e di Santa
Pudenziana; diverse pitture su tavola (tra cui la tavola con il
Giudizio,
originariamente nella chiesa di Santa Maria in Campo Marzio e ora nella
pinacoteca vaticana e diversi dipinti raffiguranti la
Madonna custoditi
in Sant'Angelo in Peschiera, in Santa Maria in via Lata, nella chiesa del
Santissimo Nome di Maria, in Santa Maria in Aracoeli, in San Cosimato e in San
Lorenzo in Damaso). Dall'osservazione attenta di queste produzioni risulta
evidente la duplice influenza dello stile bizantino e di quello elaborato a
Montecassino. Nel corso del XII sec. fiorì la pittura politica, ben
rappresentata dagli affreschi dipinti per Callisto II nel palazzo del Laterano e
raffiguranti la vittoria papale nella lotta per le investiture; della scultura
in marmo dell'epoca sono rimaste poche tracce, mentre completamente perdute sono
le produzioni di scultura lignea che, come si desume dalle opere ritrovate in
vari centri minori limitrofi, fu tenuta in grande considerazione. Parimenti
rilevanti furono i mosaici (absidi di Santa Maria in Trastevere, di San Clemente
e di Santa Maria Nova), ispirati alle produzioni bizantine. In questo periodo
rifiorì anche l'edilizia, principalmente per iniziativa dei pontefici che
diedero avvio a quel rinnovamento delle chiese di
R. che fu poi
proseguito per tutto il Duecento. Si ispirano al rinascimento carolingio, per lo
più teso al rinnovamento delle forme paleocristiane, le ricostruzioni di
San Clemente, di Santa Maria in Cosmedin, di Santa Maria in Trastevere, di Santa
Croce in Gerusalemme, dei Santi Giovanni e Paolo. Presso molte chiese, inoltre,
vennero edificati chiostri che, verso la fine del XII sec. e nel corso del XIII
sec., toccarono un vertice di preziosa eleganza per ritmo architettonico e per
la smagliante policromia. Nel secondo decennio del XIII sec., parallelamente
all'influsso di mosaicisti veneziani in campo pittorico (come testimoniano i
celebri affreschi di San Sebastiano, di Santa Maria Nuova e dei Santi Quattro
Coronati), la scultura e, soprattutto, l'architettura si elevarono all'apice del
Classicismo. Estremamente diffusa, a
R. come pure nel resto d'Italia, fu
l'architettura cistercense: ai domenicani, in particolare, si deve la fondazione
di Santa Maria sopra Minerva, ai francescani quella di Santa Maria in Aracoeli,
a Niccolò III, infine, la ricostruzione della cappella del Sancta
Sanctorum, che venne anche decorata con affreschi e mosaici. Fu proprio nel
corso di questo secolo che operarono a
R. grandi personalità
artistiche. Tra queste, prima in ordine di tempo, fu quella di Arnolfo di
Cambio, che rinnovò l'antico oratorio del Presepe in Santa Maria
Maggiore, costruì i cibori di San Paolo e di Santa Cecilia, il monumento
Annibaldi e quello per Carlo d'Angiò. Ad Arnolfo di Cambio si
affiancarono ben presto Pietro d'Oderisio, Cimabue, P. Cavallini e J. Torriti;
fu proprio grazie a quest'ultimo che la pittura di scuola romana, pur mantenendo
intatta la tipica raffinatezza bizantina, riuscì a liberarsi dai
manierismi. Alla fine del secolo,
R. vide l'opera del giovane Giotto che
affrescò per Bonifacio VIII la proclamazione del Giubileo, disegnò
il mosaico della Navicella ed eseguì il polittico di San Pietro. Il
trasferimento della sede papale da
R. ad Avignone (1305-77) spinse la
maggior parte degli artisti di qualche rilievo a lasciare la città e a
cercare lavoro altrove. Fu solo il ritorno dei papi a
R. che, ponendo
termine alla crisi, inaugurò un nuovo periodo di grande splendore
artistico nel corso del quale si assistette alla ricostruzione della basilica
del Laterano, gravemente danneggiata da un incendio, e alla realizzazione della
tomba del cardinale di Hertford, in Santa Cecilia, a opera di Paolo Romano. La
R. del XV sec. ospitò nuovamente grandi artisti tra cui Gentile da
Fabriano, che iniziò la decorazione della basilica lateranense
(sarà poi Pisanello a portarla a termine), Masaccio e Masolino, che
dipinsero un trittico per Santa Maria Maggiore e gli affreschi della cappella
del cardinale Branda Castiglione in San Clemente e, più tardi, nuovamente
Masolino che affrescò una serie di uomini celebri. ║
Rinascimento: il Rinascimento a
R. venne inaugurato dal
riordinamento edilizio di Martino V. La sua opera fu continuata da Eugenio IV e
portata al culmine da Niccolò V (1447-55), il papa umanista che
sognò, e in parte realizzò, la trasformazione della Città
leonina in una nuova città imperiale, in grado di sostenere il confronto
con l'antica
R. Fu sotto il pontificato di quest'ultimo che ebbe inizio
la realizzazione del nuovo palazzo Vaticano (con la celebre cappella affrescata
dal Beato Angelico), venne concepito il progetto di sostituire la basilica di
San Pietro, di epoca costantiniana, con un'altra più monumentale e fu
edificata la biblioteca Vaticana. Di poco posteriore fu la costruzione di
numerosi palazzi, caratterizzati dalla sapiente fusione di elementi ancora
tipici del castello medioevale con altri propriamente rinascimentali; si
ricordano, fra questi, palazzo Venezia, voluto da Paolo II; il palazzo ora dei
Penitenziari, commissionato da Domenico della Rovere; il palazzo ora della Curia
generalizia francescana, eretto per il papa Giulio II. Il primo palazzo
completamente rinascimentale fu quello ora della Cancelleria, ordinato dal
cardinale Raffaello Riario, il cui autore non è stato ancora identificato
con precisione (i nomi di A. Bregno, Bramante, Iacopo di Pietrasanta e Meo del
Caprino rimangono le ipotesi più accreditate). Sotto il pontificato di
Sisto IV della Rovere (1471-84), il rinnovamento edilizio, che pure
interessò tutta la città, riguardò primariamente due
edifici: la cappella Sistina, alla cui decorazione lavorarono artisti come D.
Ghirlandaio, S. Botticelli, C. Rosselli, P. Perugino, L. Signorelli, e la
biblioteca Vaticana, il cui affresco dedicatorio venne dipinto da Melozzo da
Forlì. Episodica più che aderente allo sviluppo rinascimentale di
R. fu la scultura, rappresentata da Mino del Reame, Mino da Fiesole,
Paolo Romano, Giovanni Dalmata, Isaia da Pisa, Antonio del Pollaiolo (cui si
deve, fra l'altro, la monumentale tomba di Sisto IV), oltre a vari artisti
lombardi. Innocenzo VIII (1484-92) ebbe il merito di chiamare a
R. A.
Mantegna e Filippino Lippi, cui affidò la decorazione rispettivamente
degli edifici detti del Belvedere e della cappella Carafa, in Santa Maria sopra
Minerva. Se Pio II e Sisto IV fecero di
R. anche un imponente centro
librario, meta di scrittori e miniatori di rilievo, Alessandro VI Borgia
(1492-1503), ispirandosi al progetto originario di Niccolò V, si
preoccupò quasi esclusivamente del problema della difesa della
città e, principalmente, di Castel Sant'Angelo.
R. raggiunse il
culmine dello splendore rinascimentale con il pontificato di Giulio II che,
assicurandosi la collaborazione dei massimi artisti dell'epoca (Bramante,
Michelangelo e Raffaello), contribuì all'affermazione e diffusione di un
nuovo linguaggio architettonico. A Bramante, in particolare, si devono il
chiostro della Pace, il tempietto di San Pietro in Montorio, i cortili del
Belvedere, nonché il progetto e la parziale realizzazione della nuova
basilica di San Pietro, concepita a croce greca e sormontata da una cupola.
Quanto a Michelangelo, già a
R. nel 1496-97, dopo la
Pietà in San Pietro e la tomba di Giulio II, dal 1508 al 1512 si
occupò degli affreschi della volta della cappella Sistina. A Raffaello,
infine, venne commissionata la decorazione delle stanze e, successivamente,
delle logge vaticane. La trasformazione rinascimentale di
R. può
considerarsi conclusa con Leone X (1513-21). Costui, alla morte di Bramante
(1514), nominò Raffaello sovrintendente alla fabbrica di San Pietro e
alle antichità di
R., della cui conservazione ci si
cominciò a preoccupare per la prima volta seriamente. A Raffaello si
ascrivono: la decorazione delle stanze; la pittura del profeta Isaia in
Sant'Agostino; i cartoni per gli arazzi della cappella Sistina; i cartoni per i
mosaici della cupola e le Sibille rispettivamente per le cappelle di Agostino
Chigi in Santa Maria della Pace e in Santa Maria del Popolo. In campo
architettonico Raffaello si distinse per quanto segue: il progetto di palazzo
Caffarelli-Vidoni, di chiara ispirazione bramantesca, che rappresentò un
modello insuperabile per l'architettura cinquecentesca; Sant'Eligio degli
Orefici e la cappella Chigi in Santa Maria del Popolo, due notevoli esempi di
edifici religiosi a cupola; il progetto di villa Madama, concepito dall'artista
come struttura disposta intorno a un cortile circolare e realizzato solo
parzialmente in seguito. Il sacco di
R. del 1527 determinò la
dispersione degli artisti, creando una tragica frattura nella vita artistica
romana. L'attività edilizia tornò intensa e grandiosa solo con
Paolo III (1534-49); sotto il suo pontificato B. Peruzzi edificò il
palazzo Massimo, A. da Sangallo il Giovane fortificò le mura contro il
pericolo dei musulmani, Michelangelo progettò la sistemazione della
piazza del Campidoglio, ponendo al centro il monumento equestre di Marco
Aurelio, mentre sul Palatino vennero edificati la villa e gli orti Farnesiani,
primo giardino botanico del mondo. In seguito alla morte di Sangallo, Paolo III
nominò sovrintendente alla fabbrica di San Pietro Michelangelo;
quest'ultimo, fedele alla pianta bramantesca, seguì personalmente la
costruzione fino al tamburo, lasciando ai suoi successori, che si distaccarono
in parte dal modello del maestro, la costruzione dell'immensa cupola. In campo
pittorico, si devono a Michelangelo il
Giudizio universale nella cappella
Sistina (1534-41), nonché gli affreschi della cappella Paolina (1542-50).
Se Giulio II del Monte (1550-55) commissionò a Vignola e a B. Ammannati
(che si rifecero a precedenti disegni di Vasari) la costruzione della villa
Giulia, Pio IV (1559-65) continuò nell'opera di espansione della
città aprendo porta Angelica e porta Pia e creando borgo Pio. Anche
Gregorio XIII (1572-85) fu animato da un notevole entusiasmo edilizio, che lo
spinse a creare la chiesa del Gesù, fortunatissimo prototipo della futura
chiesa della Controriforma; ad essa si aggiunsero l'edificio del Collegio
romano, progettato da B. Ammannati, e il palazzo del Quirinale, che non venne
tuttavia portato a termine. Una volta che il Campidoglio ebbe raggiunto
l'assetto definitivo, Sisto V Peretti (1585-90), passato alla storia come
"papa costruttore", concepì e in parte attuò un piano
regolatore che non si limitò a porre le basi della futura sistemazione
urbanistica della città, ma rese anche evidente il trionfo della
R. cristiana su quella pagana: oltre al resto, si consacrarono agli
apostoli Pietro e Paolo la colonna traiana e quella antonina, si innalzarono gli
obelischi Vaticano, Laterano, Esquilino e di piazza del Popolo, poi sormontati
da una croce e corredati da iscrizioni sul trionfo di Cristo, si costruirono il
palazzo del Laterano e il nuovo palazzo Vaticano. Per quanto riguarda la
pittura, in un primo tempo prevalse a
R. quella corrente artistica, detta
Manierismo, che tese all'imitazione esclusiva ed esasperata di Michelangelo e
Raffaello. Tra gli altri artisti operarono a
R.: M. Venusti, D. da
Volterra (affresco in San Marcello), i napoletani G. Vasari (le cui opere si
trovano in San Giovanni Decollato, nel palazzo della Cancelleria, in Vaticano),
Iacopino del Conte (in San Giovanni Decollato), F. Salviati (affreschi in San
Marcello, Santa Maria del Popolo, San Giovanni Decollato, nel palazzo
Sacchetti), il napoletano Pirro Ligorio (affreschi in San Giovanni Decollato),
Cavalier d'Arpino (affreschi in Santa Prassede, nel Battistero lateranense, in
Santa Maria Maggiore). Un rinnovamento nella pittura della scuola romana si deve
ai bolognesi Carracci, che dipinsero la galleria di palazzo Farnese, e a
Michelangelo da Caravaggio che affermò una caratteristica esigenza di
verità nelle tele di San Luigi de' Francesi, di Santa Maria del Popolo e
di Sant'Agostino. Quanto alla scultura, ricordiamo l'opera di Andrea Sansovino
(sepolcri in Santa Maria del Popolo e all'Aracoeli;
Sant'Anna,
Madonna
e Bambino in Sant'Agostino), del suo allievo Iacopo Sansovino (
Madonna
del parto in Sant'Agostino; sepolcri in San Marcello), di Guglielmo
(sepolcro di san Paolo III in San Pietro), di Giacomo della Porta, di B.
Ammannati (sepolcri in San Pietro in Montorio). I massimi livelli dell'arte,
furono tuttavia raggiunti da Michelangelo (la
Pietà in San Pietro;
Mosè in San Pietro in Vincoli; la tarda
Pietà
Rondanini), con cui furono costretti a confrontarsi tutti gli scultori
cinquecenteschi. ║
Età barocca: all'opera di Sisto V
seguì una fase di minore attività, coincidente con il pontificato
di Clemente VIII Aldobrandini (1592-1605). Fu soltanto con l'elezione alla
cattedra di San Pietro di Paolo V (1605-21) che il fervore edilizio del passato
riprese. Tra le opere di questo periodo si ricordano: la demolizione della parte
anteriore della basilica di San Pietro e la sostituzione della croce greca
bramantesca con una croce latina ad opera di C. Maderno; la costruzione di
Sant'Andrea delle Fratte, del Sudario, di San Carlo a' Cantinari e di San Carlo
al Corso; la definitiva sistemazione del Quirinale, che venne scelto quale
residenza estiva del pontefice. Varie altre iniziative sono da ascrivere al
cardinale Scipione Borghese, che ampliò il palazzo gentilizio,
edificò la villa suburbana e il palazzo ora Pallavicini-Rospigliosi al
Quirinale. L'arte barocca raggiunse l'apice con il pontificato di Urbano VIII
(1623-44), quando G.L. Bernini venne posto alla direzione della fabbrica di San
Pietro. Risalgono a questi anni Sant'Ignazio, il baldacchino di San Pietro, le
facciate di Santa Bibiana e del palazzo di Propaganda Fide su piazza di Spagna,
palazzo Barberini, la fontana del Tritone, quella delle Api. Accanto a Bernini
operarono a
R. anche Pietro da Cortona, che eresse la chiesa dei Santi
Luca e Martina, e F. Borromini, che portò a termine palazzo Spada ed
edificò il San Carlino alle Quattro Fontane, l'oratorio dei Filippini e
Sant'Ivo alla Sapienza. La fortuna di Bernini subì un duro colpo con
Innocenzo X (1644-55); quest'ultimo, infatti, gli preferì i rivali G.
Rainaldi (che cominciò la costruzione della chiesa di Sant'Agnese), F.
Borromini (cui si ascrivono il rifacimento dell'interno di San Giovanni e la
prosecuzione dei lavori alla chiesa di Sant'Agnese) e A. Algardi (celebre per i
disegni per la villa Pamphili). Nel 1647, tuttavia, la cappella Cornaro con
l'
Estasi di santa Teresa, in Santa Maria della Vittoria, guadagnò
nuovamente a Bernini il favore del pontefice, che gli commissionò di
lì a poco la fontana di piazza Navona e la decorazione del braccio lungo
della basilica di San Pietro; all'architetto fu inoltre affidata la
sovrintendenza ai lavori del palazzo di Montecitorio. Il pontificato di
Alessandro VII Chigi (1655-67) vide all'opera Bernini (colonnato di San Pietro,
scala regia in Vaticano, palazzo Chigi Odescalchi, chiesa di Sant'Andrea), P. da
Cortona (prospetto di Santa Maria della Pace, facciata di Santa Maria in via
Lata), C. Rainaldi (chiesa di Santa Maria in Campitelli, due chiese gemelle in
piazza del Popolo, rivestimento di Santa Maria Maggiore dalla parte
dell'Esquilino), F. Borromini (cappella Spada in San Girolamo della
Carità, facciata di San Carlino alle Quattro Fontane). Pur nella generale
decadenza politica ed economica dello Stato pontificio, il XVIII sec. si
aprì con il restauro di antiche chiese, ad opera di Clemente XI
(1700-21), all'insegna di vaghe tendenze classicheggianti e archeologiche.
Risalgono a questo periodo, inoltre, il porto e la fontana di Ripetta e palazzo
de Carolis. Se la scalinata di Trinità dei Monti rappresentò il
culmine dell'attività edilizia promossa dal pontefice Innocenzo XIII
(1721-24), il suo successore, il fiorentino Clemente XII (1730-40),
contribuì allo splendore artistico di
R. favorendo due architetti
toscani: A. Galilei (cappella Corsini, facciata di San Giovanni in Laterano e
facciata di San Giovanni de' Fiorentini) e F. Fuga (palazzo della Consulta,
chiesa dell'Orazione e Morte, palazzo e villa Corsini). Fu proprio in questi
anni che sorse, a opera di N. Salvi, la celeberrima fontana di Trevi (1732),
epilogo del Barocco romano spesso assurto a simbolo della stessa
R. Con
Benedetto XIV (1740-58) si assistette al rifacimento di Santa Maria Maggiore, di
Santa Croce, di Santa Maria degli Angeli e di San Marco, mentre sotto il
pontificato di Clemente XIII Rezzonico (1758-69) vennero ultimate la fontana di
Trevi, la villa Albani e la villa del Priorato di Malta. Clemente XIV (1769-74)
passò alla storia come colui che ordinò l'allestimento del Museo
Vaticano, portato a termine successivamente da Pio VI (1775-99) e da Pio VII
(1800-23). A Pio VI, in particolare, vanno ascritti palazzo Braschi,
nonché l'erezione degli obelischi di Trinità dei Monti, di
Montecitorio e del Quirinale. Nel corso dei primi anni del XVII sec. la pittura
a
R. seguì le orme del rinnovamento operato da Caravaggio; fra i
più celebri seguaci di quest'ultimo si ricordano B. Manfredi, C. Saraceni
e, per lo meno nel suo ultimo periodo, G. Brandi. Rilevante fu anche
l'attività di numerosi pittori emiliani: il Domenichino (oratorio di
Sant'Andrea al Celio, affreschi in San Luigi de' Francesi, pennacchi in
Sant'Andrea della Valle), G. Reni (affreschi nell'oratorio di Sant'Andrea al
Celio, la nota
Aurora di palazzo Rospigliosi), G. Lanfranco (cupola di
Sant'Andrea della Valle, affreschi della cappella Sacchetti in San Giovanni dei
Fiorentini) e il Guercino. Particolarmente diffuso fu l'affresco monumentale con
P. Berrettini da Cortona, con il genovese G.B. Gaulli e con il trentino padre
Pozzo. Per tutto il XVIII sec., inoltre,
R. fu la meta privilegiata di
vari artisti (P. Brill, P.P. Rubens, G. Dughet, G. Courtois, P. Subleyras e A.R.
Mengs), che provenivano da tutta l'Europa e che, già nel XVI sec.,
avevano cominciato a guardare con interesse alla grandezza artistica della
città. Furono proprio gli scambi culturali con la produzione d'Oltralpe
che contribuirono alla diffusione di particolari aspetti dell'arte, quali la
pittura di paesaggio, il vedutismo, la natura morta. È di questo periodo,
del resto, la fondazione dell'Accademia francese a opera di Luigi XIV (1666).
Fedeli alla scuola romana restarono, invece, A. Sacchi (le cui opere sono
conservate in Santa Maria degli Angeli e in San Carlo a' Catinari) e l'allievo
di C. Maratta (che lavorò in Santa Maria del Popolo, in Sant'Isidoro, in
Santa Maria degli Angeli e nel palazzo Altieri), le cui produzioni si distinsero
per l'estrema compostezza, l'equilibrio, la correttezza formale e la
predilezione per l'estetica classicistica. Altrettanto rilevanti furono poi la
corrente meridionale, rappresentata da S. Rosa, L. Giordano, S. Conca (opere in
Santa Cecilia) e C. Giaquinto (soffitto in Santa Croce in Gerusalemme, pala alla
Trinità degli Spagnoli), e la corrente toscana, con B. Luti (opere in
Santa Caterina da Siena) e P. Batoni (opere in San Gregorio e in Santa Maria
degli Angeli). Dedito alla decorazione di chiese e palazzi, infine, fu un
consistente gruppo di celebri pittori, quali G. Chiari, F. Trevisani, G. Odazi,
G. e P.L. Ghezzi, P. Costanzi e M. Benefial. L'affermazione del Neoclassicismo
non portò alla ribalta nuove personalità artistiche, riducendosi a
mera corrente di gusto, cui la pittura del Settecento non fece altro che
conformarsi. Quanto alla scultura, nel XVIII sec. spiccò l'opera del
Bernini, cui si ascrivono, oltre alle opere citate in precedenza: i due angeli
realizzati per ponte Sant'Angelo e custoditi in Sant'Andrea delle Fratte; le
tombe di Urbano VIII e di Alessandro VII in San Pietro; la statua di Urbano VIII
in Campidoglio. Tra gli altri scultori, per lo più fedeli al Bernini e
dediti ad assecondare le richieste dell'architettura, si ricordano: A. Raggi, F.
Baratta, F. Mochi, il fiammingo F. Duquesnoy, A. Algardi (pale marmoree in
Sant'Agnese e in San Pietro, monumento di Leone XI in San Pietro, statua di
Innocenzo X nel palazzo dei conservatori, tombe in San Giovanni in Laterano), E.
Ferrata (elefante in piazza della Minerva), P. Bracci, C. Rusconi (statue della
navata di San Giovanni in Laterano) e i francesi P. Legros e P. Monnot. Da non
dimenticare, infine, è l'arte dello stucco che contribuì, insieme
alla pittura, ad arricchire le chiese di mirabili e ricercati effetti; notevole,
da questo punto di vista, è l'interno di Santa Maria dell'Orto. Negli
ultimi decenni del XVIII sec., si assistette a una reazione antibarocca che ebbe
il suo centro nell'Accademia di Francia e che può essere ben
esemplificata dall'opera
San Brunone di J.-A. Houdon, conservato in Santa
Maria degli Angeli. Decisamente antibarocche, infine, furono le produzioni di
Canova, già ispirate al nascente Neoclassicismo; si pensi, ad esempio,
alle tombe di Clemente XIV nella chiesa dei Santi Apostoli e di Clemente XIII in
San Pietro. ║
I secc. XIX e XX: in questi secoli ebbero particolare
fortuna gli studi antiquari, che favorirono varie opere di esplorazione e
restituzione, quali gli scavi del Foro traiano e del Foro romano e il restauro
dell'arco di Tito. Gli orientamenti dell'architettura vennero influenzati da
tale clima, come si evince chiaramente dalla ricostruzione della basilica di San
Paolo o dalle nuove costruzioni nella villa Borghese. Le imprese edilizie di Pio
IX (1846-78) furono, per lo più, svincolate da un piano urbanistico
generale; basti pensare alla colonna dell'Immacolata in piazza di Spagna, alla
porta di San Pancrazio, al quadriportico e alla cappella del Verano, al restauro
di antiche basiliche. Nella seconda metà dell'Ottocento a
R.
vennero costruite la ferrovia
R.-Frascati (1856) con stazione a Porta
Maggiore, la linea di Civitavecchia (1859) con stazione a Porta Portese, la
R.-Ceprano (1862) con stazione a Termini e i primi ponti in ferro (a San
Paolo, a San Giovanni dei Fiorentini e a Ripetta). Il 1870 segnò una
svolta nella storia urbanistica di
R.: divenuta capitale di uno Stato
moderno, alla città si imponevano determinate necessità
burocratiche e amministrative, cui dovevano adeguarsi i criteri del nuovo
sviluppo. In accordo alla nuova funzione di
R., inoltre, andavano operate
opportune modifiche all'edilizia del passato che, seguendo direttive più
pittoresche che razionali, aveva condotto a una confusa e antiestetica
mescolanza tra vari edifici appartenenti a epoche diverse. Già prima del
1870 monsignor F.-X. de Merode aveva operato il primo intervento su larga scala
con criteri che sarebbero poi divenuti tipici del futuro sviluppo urbano di
R. Risalgono a questo periodo la caserma del Macao e un quartiere
residenziale presso Termini, in direzione del quale sembrò orientarsi lo
sviluppo della città. Nel 1873 un nuovo piano regolatore prescrisse nuove
direttive urbanistiche che, basandosi sul principio della sovrapposizione del
nuovo all'antico, si concretizzarono in quanto segue: la demolizione di vecchi
quartieri, la trasformazione di piazza Venezia nel crocicchio in cui
convergevano le strade che dalla periferia conducevano al centro storico, la
localizzazione del centro cittadino in piazza Colonna. Oltre a ciò,
vennero edificati nuovi quartieri impiegatizi presso le piazze Vittorio Emanuele
II e Indipendenza; si procedette alla ristrutturazione del Tevere che
entrò definitivamente a far parte del nuovo sistema viario; furono
costruiti i muraglioni; venne ultimata la rete delle fognature; si diede avvio
alla realizzazione alle due sezioni del Lungotevere, che liberò
R.
dall'incubo delle periodiche inondazioni, e di 12 nuovi ponti (Palatino, 1882;
Garibaldi, 1888; Mazzini, 1904; Vittorio Emanuele II, 1911; Umberto I, 1896;
Cavour, 1902; Margherita, 1886; Risorgimento, 1911); sorse un nuovo quartiere
industriale, detto Testaccio. Fino alla fine del XIX sec. lo sviluppo
urbanistico non conobbe soste: vennero costruiti il palazzo di Giustizia in
Prati (1887-1912), il palazzo delle Esposizioni in via Nazionale (1880-83), la
sinagoga (1889-1904), la chiesa di St. Paul in via Nazionale (1873-80), gli
edifici porticati in piazza Vittorio (1880-83), piazza Esedra (1888-89), la
galleria Sciarra (1883), i grandi magazzini Bocconi (1886, divenuti poi La
Rinascente), il policlinico Umberto I (1886-1903), il villino Ximenes (1900).
Parallelamente a varie iniziative volte a reprimere la speculazione edilizia,
nel 1909 il Governo Giolitti approvò un nuovo piano regolatore che
puntava a limitare gli sventramenti e a creare nuovi quartieri (piazza d'Armi,
Flaminio, piazza Verbano, San Giovanni al di fuori delle mura, San Paolo e
Portuense). Questi ultimi, separati da vasti parchi, si caratterizzarono per la
presenza di tre tipi di abitazione: i
fabbricati (alti fino a 24 m), i
villini (costituiti al massimo da tre piani e comprendenti una piccola
zona di verde) e i
giardini (vere e proprie abitazioni di lusso); occorre
attendere il 1922 perché, accanto alle tipologie abitative sopra
ricordate, si affermi anche la
palazzina, un edificio a metà fra
il fabbricato e il villino. Risalgono a questo periodo il complesso di San Saba
(1906-14), la borgata-giardino della Garbatella (1920), la città-giardino
Aniene (1920), il quartiere di piazza Verbano (1925), in cui per la prima volta
si procedette alla differenziazione del sistema stradale. Quanto allo stile
architettonico, si optò per un compromesso fra l'edilizia moderna e vari
motivi di ispirazione barocca (il cosiddetto
barocchetto romano) che si
diffuse largamente nella città, sopravvivendo fino all'inizio dell'epoca
fascista. La politica urbanistica del Fascismo si contraddistinse non solo per
il tentativo, in parte riuscito, di dare a
R. un unico centro, ma anche e
soprattutto per le grandi demolizioni promosse, che coinvolsero indistintamente
chiese, conventi, palazzi e case del Medioevo e del Rinascimento allo scopo di
far risaltare le rovine della città antica e di creare grandi arterie
spettacolari; non vennero risparmiati neppure i monumenti che, anzi, vennero
distrutti senza remore per permettere le sfilate militari. Tra le demolizioni
più importanti si ricordano: quelle delle zone intorno al Mercato di
Traiano (1924), al tempio di Vesta (1925) e al teatro di Marcello (1926), di via
Barberini (1926), del largo Argentina (1927), della via di Tor de' Specchi
(1928-30), della zona a Ovest del monumento a Vittorio Emanuele II (1929), del
Foro di Nerva (1930), delle case di Monte Caprino (1931), di via delle Botteghe
Oscure (1933), dei borghi (1937), del "granarone" di Urbano VIII
(1937), delle case intorno al Campidoglio e davanti a San Giovanni dei
Fiorentini (1940). Accanto agli sventramenti, tuttavia, venne inaugurata la via
dell'Impero (1932); si diede avvio alla costruzione della via XXIII Marzo
(1931); si procedette all'allargamento della via di San Gregorio, che assunse il
nome di via dei Trionfi (1933); venne inaugurato il Corso (1935); fu aperta la
piazza Nicosia (1936); fu realizzato il grande complesso sportivo che,
originariamente denominato Foro Mussolini, divenne in seguito l'attuale Foro
italico (1928-33); si costruì la Città universitaria (1932-35); fu
edificato il complesso dell'E 42 (poi EUR) che, inizialmente concepito per
ospitare l'esposizione universale del 1942, si trasformò in un efficace
polo di attrazione dello sviluppo cittadino (ne facevano parte, oltre al resto,
il palazzo dei Congressi e l'ufficio postale del gruppo BBPR); sorsero nuovi
quartieri signorili. Risalgono all'immediato dopoguerra, invece, il compimento
di via della Conciliazione (1950), la realizzazione della via Gregorio VII
(1950), la costruzione della nuova stazione Termini (1947-50), i quartieri INA
del Tiburtino (1947-50), le case-torri di viale Etiopia (1952-53), le abitazioni
al Tuscolano (1950-51), la sistemazione delle Fosse ardeatine (1944-51);
rientrano, poi, negli interventi resi necessari dalle Olimpiadi del 1960 la via
Olimpica, il villaggio Olimpico, lo stadio Flaminio, il palazzo e il palazzetto
dello sport e il velodromo. Nel 1962, per far fronte a problemi sempre
più urgenti derivanti dalla particolare natura della città di
R. (enorme quantità di monumenti antichi, sviluppo irrazionale,
compresenza di istituzioni politiche, sia municipali sia nazionali, e religiose,
ecc.), venne approvato un nuovo piano regolatore che prevedeva i centri
commerciali e periferici (ad esempio Cinecittà 2, 1982-88), una nuova ala
della Galleria nazionale d'arte moderna (1965-92), la ristrutturazione del
palazzo delle Esposizioni (1983-90), le stazioni del prolungamento della linea B
della metropolitana (1980-90), l'air-terminal ostiense (1980-90), la costruzione
della moschea e del Centro islamico a Monte Antenne (1990). In seguito
all'approvazione della legge per
R. capitale (1990) e alla legge sui
fondi per il giubileo del 2000 (1996), fu prevista la realizzazione di varie
iniziative: il completamento dell'Auditorium nella zona del Villaggio olimpico,
la realizzazione della Terza università a Valco San Paolo, la
ristrutturazione della stazione Termini, la riqualificazione del mattatoio
Testaccio, da adibire a nuove funzioni, il "progetto delle 100
piazze", la valorizzazione delle zone periferiche. Quanto alla pittura,
nel corso dei primi decenni del XIX sec.
R. e il paesaggio ad essa
circostante costituirono il motivo ispiratore di gran parte degli artisti di
tutta Europa, quali J.-A.-D. Ingres, J.-B.-C. Corot, C.W. Eckersberg, J.-L.-Th.
Géricault. Nella capitale la pittura fu rappresentata soprattutto da V.
Camuccini, che operò al Quirinale, in palazzo Torlonia e in San Paolo.
Sulle orme di quest'ultimo si posero numerosi pittori (tra cui F. Coghetti, F.
Agricola, P. Gagliardi), che lasciarono importanti testimonianze della loro arte
in Vaticano e in diverse chiese, allora oggetto di restauro. Particolarmente
richiesti furono T. Mainardi (le sue opere si trovano in San Lorenzo,
Sant'Andrea, al Quirinale e nel palazzo del Quirinale) e F. Giani (i suoi
affreschi sono conservati nel palazzo Altieri). Agli inizi del XX sec. si
distinsero il movimento purista dei Nazareni, la cui nascita va ricondotta a
pittori di origine tedesca, e l'originalità di I. Caffi e N. Costa.
Quanto alla scultura, infine, dominò sopra tutte le altre la
personalità artistica di A. Canova, cui si ispirarono numerosi artisti
stranieri e italiani, quali A. Tadolini, A. Thorwaldsen (autore del monumento di
Pio VII in San Pietro e di quello Consalvi al Pantheon) e P. Tenerani (cui si
attribuiscono la
Deposizione in San Giovanni in Laterano e la tomba di
Pio VIII in San Pietro).
Roma: il Colosseo
Roma: i Fori imperiali
Roma: Castel Sant'Angelo e ponte Sant'Angelo
Piazza di Spagna a Roma
Roma: Fontana di Trevi
CULTURA
Per la sua importanza storica e per la sua
preminenza politica e religiosa nelle vicende dell'Italia,
R. è
sede di numerose e illustri istituzioni culturali, alcune delle quali di antica
origine. Nel settore degli studi, la città ospita diversi istituti
universitari, sia statali (università di Roma La Sapienza,
università di Roma Tor Vergata), sia del Vaticano (Pontificia
Università Gregoriana, Accademia di Scienze, Istituto Biblico, Istituto
per gli Studi Orientali, ecc.); conta inoltre l'università Pro Deo per
gli studi sociali, la facoltà di Medicina e Chirurgia
dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, l'Istituto Superiore di
Educazione fisica, l'Accademia di Belle Arti, l'Accademia Nazionale d'Arte
drammatica, l'Accademia Nazionale di Danza, ecc. Nutrita è anche la
rappresentanza delle istituzioni straniere, fra le quali l'Accademia di Francia,
l'Istituto Germanico, l'Accademia Britannica, l'Accademia Americana, l'Accademia
di Spagna.
R. è anche sede di autorevoli istituzioni culturali,
quali il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), l'Accademia Nazionale dei
Lincei, l'Accademia degli Arcadi, l'Accademia Nazionale di San Luca, l'Accademia
Musicale di Santa Cecilia, l'Istituto dell'Enciclopedia Italiana, l'Istituto di
Studi Romani, la Società Geografica Italiana, la Società Dante
Alighieri. Infine, nella città sono presenti numerosi istituti
internazionali di commercio e di diritto e dal secondo dopoguerra la
città è sede della FAO
. ║
Biblioteche:
R. è una delle città più ricche al mondo di
biblioteche e archivi (circa 300, pubblici e privati), nei quali sono conservati
manoscritti, incunaboli, libri a stampa, documenti dal Medioevo all'età
contemporanea. Ricordiamo le principali biblioteche pubbliche.
Biblioteca
Nazionale Centrale Vittorio Emanuele II: fondata nel 1875 e aperta al
pubblico l'anno successivo, nel 1885 ebbe il titolo di Centrale. Il primo nucleo
era costituito dalla biblioteca privata dei Gesuiti del Collegio Romano
(
Bibliotheca Secreta), cui furono aggiunti nel tempo numerosi altri
fondi, fra i quali le 69 librerie dei conventi soppressi con la legge del 1873,
la raccolta Valenzani di libri dell'Estremo Oriente, le biblioteche private del
matematico Chasles e del tipografo A. Blado. Ricca di preziosi manoscritti, ma
povera di edizioni a stampa all'atto dell'istituzione, oggi gode di un
patrimonio bibliografico molto ampio e costantemente incrementato con gli
esemplari d'obbligo che la legge sulla stampa le assicura
(V. anche NAZIONALE
CENTRALE VITTORIO EMANUELE II, BIBLIOTECA).
Biblioteca
Alessandrina: è la biblioteca universitaria, fondata nel 1661 da papa
Alessandro VII e aperta al pubblico nel 1667. Nel 1870 passò allo Stato
italiano e prese il nome di Universitaria; nel 1935 si trasferì nella
città universitaria. Comprende ricche collezioni, fra le quali la
biblioteca del duca di Urbino F.M. della Rovere.
Biblioteca Angelica:
istituita dall'agostiniano Angelo Rocca, è la più antica delle
biblioteche pubbliche di
R., dopo la Vaticana: dall'anno della sua
fondazione (1614) si è arricchita di manoscritti, incunaboli e libri rari
ed è specializzata in studi ecclesiastici e storico-letterari. Dal 1941
è sede dell'Accademia degli Arcadi (V.
anche ANGELICA, BIBLIOTECA).
Biblioteca
Casanatense: trae origine e nome dal cardinale Girolamo Casanate, che nel
1698 lasciò in legato la sua libreria di 25.000 volumi. Nel 1873
passò in possesso del Governo italiano; teologia, discipline
storico-religiose e filologia classica sono i settori particolarmente
rappresentati (V. anche
CASANATENSE, BIBLIOTECA).
Biblioteca
Corsiniana: fondata dal cardinale Lorenzo Corsini (poi papa Clemente XII) al
principio del XVII sec., fu aperta al pubblico nel 1754 e nel 1883 fu donata dai
Corsini ai Lincei, che l'aggregarono alla biblioteca dell'Accademia. Sono
annessi il celebre Gabinetto nazionale delle stampe, la fondazione Caetani per
gli studi musulmani e la sezione archeologica Lovatelli
(V. anche CORSINIANA,
BIBLIOTECA).
Biblioteca dell'Istituto di archeologia e storia
dell'arte: ha sede nel palazzo Venezia. Fondata nel 1922 per iniziativa di
C. Ricci, ebbe come nucleo iniziale la collezione di libri d'arte della
direzione generale delle Antichità e Belle Arti. Si arricchì in
varie riprese con donazioni e acquisti successivi.
Biblioteca
Vallicelliana: creata nel 1581 come raccolta di libri e manoscritti lasciati
a san Filippo Neri dal letterato portoghese Achille Stazio e arricchitasi nel
secolo successivo, nel 1669 fu sistemata nell'attuale sede, opera di Borromini.
Nel 1873 passò allo Stato italiano. Altre importanti biblioteche di
R.
sono quelle del Museo italiano del Risorgimento, della Società
Geografica Italiana, del Senato della Repubblica (a palazzo Madama) e della
Camera dei Deputati (a Montecitorio), del Consiglio di Stato, nonché
quelle di numerosi ministeri.
Biblioteca Apostolica Vaticana:
appartenente allo Stato del Vaticano, venne fondata nel XV sec. da
Niccolò V; è una delle più grandi e ricche biblioteche del
mondo. ║
Archivi: numerosi sono gli archivi con sede a
R.,
che svolgono un ruolo fondamentale per la conservazione di materiale
documentario.
Archivio di Stato: creato nel 1870 nel palazzo della
Sapienza, conserva gli archivi delle amministrazioni centrali dello Stato
Pontificio dal IX sec. alla presa di
R., fondi giudiziari e notarili,
archivi di ospedali, fondazioni e corporazioni religiose oggi scomparsi o
soppressi, archivi privati.
Archivio Storico Capitolino: sorto nel 1922,
costituisce un centro importante per la documentazione della storia di
R.
e del Lazio. È organizzato in tre distinte sezioni: storica, notarile e
archivio generale del comune.
Archivio centrale dello Stato: custodisce
gli archivi delle amministrazioni centrali dello Stato italiano a partire
dall'Unità e riveste un ruolo particolarmente importante per la storia
politica dell'età contemporanea. A
R. hanno inoltre sede archivi
di natura diversa, appartenenti a istituti di credito e banche (
Archivio
storico della Banca d'Italia); di enti pubblici, aziende municipalizzate; di
associazioni varie e sindacati; di istituzioni culturali, nei quali spesso sono
conservati archivi personali. ║
Musei e gallerie:
R. vanta
un considerevole numero di musei e gallerie, fra i più ricchi e
importanti nel mondo, che conservano raccolte d'arte fra le più celebri e
dal valore inestimabile.
Galleria dell'Accademia di San Luca:
inizialmente ospitata presso la chiesa dei Santi Luca e Martina, dal 1932 ha
sede nel palazzo Carpegna alla Stamperia, insieme all'Accademia. Conserva opere
italiane e straniere dei secc. XVI-XVIII, oltre a materiale vario legato alla
storia dell'antica Accademia.
Museo nazionale romano: è una delle
più importanti raccolte mondiali di arte antica, inaugurata nel 1889.
Attualmente la sede storica del museo (le aule delle Terme di Diocleziano, le
celle e il chiostro del convento dei Certosini) è in fase di
risistemazione: il nucleo principale, che comprende le opere d'arte antica
rinvenute a
R. e nella provincia dopo il 1870, oltre alla collezione
antiquaria istituita dal gesuita A. Kircher, fu trasferito nel 1993 nella nuova
sede, il palazzo dell'ex Collegio Massimo in piazza dei Cinquecento, mentre la
collezione Ludovisi, acquistata nel 1901, è posta nelle sale del palazzo
Altemps, aperto al pubblico nel 1997.
Museo nazionale di Villa Giulia:
fondato nel 1889 e destinato a raccogliere i materiali delle civiltà
etrusca, falisca e laziale dell'Etruria meridionale e della provincia di
R., fu sistemato negli ambienti della villa suburbana di Giulio III. Il
primo nucleo si accrebbe rapidamente con i reperti degli scavi di Cerveteri,
Vulci, Veio e con l'acquisizione della collezione Castellani. Fra i reperti
più celebri spiccano le tavole d'oro di Pyrgi e il sarcofago degli sposi
di Cerveteri. Nel 1997 fu inaugurata la nuova sala di Venere.
Museo
preistorico ed etnografico Luigi Pigorini: fondato nel 1876 nel palazzo del
Collegio Romano, e attualmente ospitato nel palazzo delle Scienze all'EUR, fu
costituito all'inizio dalle collezioni del museo Kircheriano, il cui materiale
relativo alla protostoria nel 1913 venne smembrato fra il Museo di Villa Giulia,
quello nazionale romano e quello di palazzo Venezia; il settore etnografico
comprende l'importante collezione etnografica di E. Hillyer Giglioli.
Musei
Capitolini: il nucleo originario, che costituì il primo museo
pubblico del mondo, fu fondato nel 1471 da Sisto IV e fu in seguito accresciuto
da Pio V e da Clemente XII; l'attuale complesso si è formato nei secoli
attraverso varie donazioni e acquisti e si è arricchito con le sculture e
i materiali provenienti dagli scavi eseguiti in aree del comune dopo il 1870. Ne
fanno parte il
Museo Capitolino (collezione egizia dall'Iseo Campense;
sculture della Venere, del gladiatore morente; ricche serie di ritratti greci e
romani, di sarcofagi); il
Museo dei Conservatori (testa colossale di
Costantino; rilievi antoniniani; fasti; sculture arcaiche; monumenti cristiani;
Venere Esquilina; bronzi; vasi greci della collezione Castellani); il
Museo
Nuovo (ritratti e sculture di arte repubblicana e imperiale; copie di statue
greche). In una stanza apposita è ospitato l'originale in bronzo,
restaurato fra il 1981 e il 1990, della statua equestre di Marco Aurelio che
ornava la piazza del Campidoglio dove, dal 1997, è stata collocata una
copia. L'
Antiquarium comprende terrecotte architettoniche arcaiche,
lucerne, vetri e varia suppellettile romana, oltre a mosaici. Importante la
Pinacoteca Capitolina, fondata da Benedetto XIV; raccoglie dipinti di scuola
varia dal XIV al XVII sec. e, in particolare, dei secc. XVI-XVII.
Museo
Barracco: donato dal barone G. Barracco, collezionista di sculture antiche,
che nel 1902 decise di destinare la raccolta alla città e fece costruire
un apposito edificio, inaugurato nel 1905. Il museo si arricchì in
seguito di altre interessanti sculture. Nel 1948 la collezione fu riordinata
nella nuova sede della Piccola Farnesina. Comprende scelti pezzi di scultura
egiziana dall'Antico Regno al periodo romano, di scultura babilonese, assira,
greca, fra cui copie di opere di Mirone, Policleto, Fidia, Prassitele; ritratti
romani; stele palmirene.
Museo e Galleria Borghese: la raccolta fu
iniziata dal cardinale Scipione Borghese nel XVII sec.; fu acquistata dallo
Stato, insieme con la villa, nel 1902. Riveste un'importanza fondamentale per le
opere del Rinascimento (Antonello da Messina, Raffaello, Tiziano, Correggio) e
del Seicento (Caravaggio) e conserva sculture di P. e G.L. Bernini e di A.
Canova. Dopo 13 anni di restauro, la Galleria fu riaperta al pubblico nel 1997
(V. anche BORGHESE,
GALLERIA).
Galleria comunale d'arte moderna e contemporanea: fu
istituita nel 1925 nel palazzo Caffarelli e nel 1990, dopo essere passata nel
palazzo Braschi, fu riaperta al pubblico nell'ex convento di San Giuseppe a Capo
le Case. Conserva opere italiane ottocentesche e novecentesche.
Galleria
nazionale d'arte antica: iniziata dal cardinale Neri Corsini (XVII sec.), fu
donata allo Stato nel 1883. La sede venne in seguito trasferita dal palazzo
Corsini al palazzo Barberini, acquistato dallo Stato. È ricca di dipinti
italiani (Raffaello, F. Lippi, L. Lotto e pittori napoletani e liguri) e
stranieri (El Greco) dei secc. XVII-XVIII.
Galleria nazionale d'arte
moderna: istituita nel 1883, passò in seguito all'attuale sede di
Valle Giulia, costruita nel 1915. Costituisce la maggior collezione d'arte
moderna e contemporanea d'Italia; nelle sue sale sono rappresentate tutte le
scuole di pittura, scultura e grafica dei secc. XIX-XX.
Galleria
Doria-Pamphili: ha sede nel palazzo gentilizio omonimo e custodisce una
preziosa raccolta privata di oltre 400 dipinti italiani e stranieri, in
particolare dei secc. XVI-XVII. Fu istituita nel 1651 da Innocenzo X; vi si
trovano i suoi ritratti in pittura, di Velázquez, e scolpito, di G.L.
Bernini.
Galleria Pallavicini-Rospigliosi: ha sede nel palazzo gentilizio
omonimo e non è aperta al pubblico. Possiede opere del Rinascimento
italiano (L. Lotto) e del XVII sec. (Rubens).
Galleria Colonna: ospitata
nel palazzo gentilizio omonimo, la ricca raccolta di dipinti di scuola italiana
e straniera dal XIV al XVIII sec. fu iniziata da Girolamo Colonna nel 1654-55 e
incrementata nei secoli successivi: si segnalano opere di Bronzino, Tintoretto,
Carracci e i paesaggi di G. Dughet.
Museo di palazzo Venezia: raccoglie
dipinti del Rinascimento, sculture lignee, piccoli bronzi, opere di arte
applicata.
Museo di R.: istituito nel 1930 per documentare la vita di
R. dal Medioevo a oggi, dal 1949 ha sede nel palazzo Braschi.
Museo
della civiltà romana: contiene calchi, fotografie, modellini, piante,
riproduzioni di tutti i monumenti e i materiali che documentano la
civiltà romana.
Museo napoleonico: raccoglie ricordi e cimeli di
Napoleone e dei Napoleonidi; fu legato alla città di
R. nel 1927
dal conte M. Primoli.
Galleria Spada: ha sede nel palazzo omonimo.
Iniziata nel XVII sec. dal cardinale B. Spada, fu venduta allo Stato nel 1926.
Vi sono conservate pitture del XVII sec.
Museo dell'Alto Medioevo: creato
nel 1967, conserva oggetti archeologici risalenti ai secc. IV-X, fra cui
epigrafi, frammenti musivi, corredi funebri longobardi, ecc.
Museo centrale
del Risorgimento: nato dal Museo della Nazione fondato nel 1906, conserva
oggetti e documenti riguardanti la storia italiana dal Risorgimento al termine
della prima guerra mondiale.
Museo nazionale d'arte orientale: fondato
nel 1957, comprende numerose sezioni, fra le quali quella iranica, indiana, del
Sud-Est asiatico. Molti degli oggetti conservati provengono dagli scavi
effettuati con il patrocinio dell'ISMEO (Istituto italiano per il Medio ed
Estremo Oriente).
Museo nazionale delle arti e delle tradizioni popolari:
inaugurato nel 1956 nel palazzo delle Tradizioni popolari all'EUR, conserva
documenti di varia natura sulle tradizioni e i costumi popolari italiani.
Museo degli strumenti musicali: conserva circa 3.000 esemplari,
dall'antichità fino all'epoca contemporanea.
Museo artistico
industriale: ha sede nell'Istituto nazionale d'istruzione professionale.
Iniziato nel 1872, raccoglie collezioni varie di arti industriali.
Istituto
nazionale per la Grafica: creato nel 1975, è diviso nelle sezioni
della
Calcografia nazionale e del
Gabinetto nazionale delle
Stampe. Conserva circa 135.000 stampe, 20.000 disegni, 23.000 matrici e un
importante fondo storico della fotografia.
Museo Torlonia: fondato da
G.R. Torlonia, raccoglie sculture antiche greche e romane e il materiale
proveniente dagli scavi eseguiti nei terreni di proprietà dei Torlonia (a
Cerveteri, Vulci, Porto).
Museo nazionale di Castel Sant'Angelo: possiede
alcune raccolte d'interesse esclusivamente storico e un'interessante armeria.
Musei Vaticani:
sono situati a
R., ma appartengono alla
Città del Vaticano
. Nel complesso di edifici dei
Palazzi
Vaticani, che costituiscono la residenza del pontefice dal 1378 (grandiosa
dimora iniziata da Niccolò V e ampliata in tempi successivi da altri
papi) e che comprendono gioielli quali la cappella Sistina e le stanze Vaticane,
si trovano numerosi musei e gallerie, istituiti in seguito all'imponente
crescita delle collezioni artistiche. Fra essi ricordiamo il
Museo Pio
Clementino,
che ospita le raccolte di sculture greche e romane
appartenute a Clemente XIV; il
Museo Gregoriano Egizio,
fondato
nel 1839 da Gregorio XVI e recentemente riorganizzato in un nuovo allestimento;
il
Museo Gregoriano Etrusco, anch'esso voluto da Gregorio XVI e aperto
nel 1837, contenente materiale etrusco proveniente da scavi dell'Etruria
meridionale, oltre a lasciti e donazioni; la
galleria degli Arazzi,
la
pinacoteca Vaticana, eccezionale collezione allestita nel palazzo
voluto da Pio XI nel 1932 e comprendente i dipinti, qui confluiti, dei palazzi
pontifici; il
Museo Gregoriano Profano,
fino al 1970
ospitato nel palazzo Laterano, fondato nel 1843 da Gregorio XVI e comprendente
vaste raccolte di sculture, frammenti architettonici e mosaici provenienti da
scavi eseguiti fino al 1870; il
Museo Pio Cristiano, istituito nel 1854
da Pio IX, che possiede un'importante raccolta di sarcofagi e una collezione
epigrafica; il
Museo missionario etnologico, allestito nel 1926 con
documenti della storia delle missioni e materiali che illustrano la vita e i
costumi dei popoli presso i quali queste hanno sede, e comprendente anche una
sezione preistorica.
TEATRO
Il più antico teatro di
R. fu
quello ligneo del Campidoglio (1513), forse distrutto nel sacco del 1527.
Inoltre, le cronache cittadine testimoniano l'esistenza di altri due teatri in
via Giulia, in attività l'uno fino al 1575, l'altro menzionato in un
documento del 1553. Lo sviluppo considerevole della vita teatrale romana si
verificò tuttavia durante il Seicento e il Settecento, secoli in cui fra
le famiglie nobili di
R. si diffuse rapidamente la passione per le
rappresentazioni teatrali, determinando addirittura l'esigenza di edificare veri
e propri teatri privati. Fra essi un posto preminente spetta a quello dei
Barberini, attivo fra il 1634 e il 1656: pur nella sua breve stagione,
contribuì notevolmente allo sviluppo del melodramma e al sorgere del
teatro d'opera in Italia, offrendo nello stesso tempo i primi esempi di opera
comica. Altre famiglie romane che fecero edificare teatri privati furono i
Colonna (1668) e i Pamphili (1684); le cronache del primo Settecento riportano
notizie anche dei teatri Ottoboni (1728) e Bernini, creato nella casa di G.L.
Bernini al Corso già a partire dal 1684, così come ben noti furono
i teatri della regina Cristina di Svezia e quello, nel palazzo di Trinità
dei Monti, della regina Maria Casimira di Polonia. La passione per le
rappresentazioni teatrali si diffuse a
R. in questo periodo anche fra i
Collegi, ecclesiastici e laici, che approntarono sale teatrali (fra le quali si
ricordano quelle del Collegio clementino, attive dal 1609 al 1874, e del
Collegio germanico, dal 1656), destinate alle accademie e alla messa in scena di
commedie musicali o in prosa. Il XVII sec. vide inoltre l'apertura dei primi
teatri pubblici di
R.: nel maggio 1670 fu inaugurato il Tordinona, dalla
struttura interamente lignea, che l'anno seguente fu ampliato e rinnovato dal
suo stesso progettista, C. Fontana. Ribattezzato Apollo dal 1795, questo teatro
ospitò due prime rappresentazioni di opere verdiane, il
Trovatore
nel 1853 e
Un ballo in maschera nel 1859. L'ultimo spettacolo vi si
tenne nel 1888; l'anno seguente, infatti, a causa dei lavori di sistemazione del
Lungotevere, venne demolito e il sipario fu trasferito al teatro Argentina, dove
si trova ancor oggi. Nel 1716 circa, per opera di A. D'Alibert, nell'area
cosiddetta della Pallacorda fu edificato un teatro inizialmente chiamato
D'Alibert quindi, a partire dal 1725, teatro delle Dame. Le prime
rappresentazioni furono di spettacoli in prosa, ma già dal 1718 furono
messe in scena opere in musica e in breve tempo il teatro delle Dame divenne un
importante centro di diffusione della riforma drammatica iniziata da Apostolo
Zeno e proseguita da Metastasio. Ricostruito in muratura nel 1859 dai nuovi
proprietari, i Torlonia, andò distrutto in un incendio del 1863. Un altro
importante teatro fu quello, in origine privato, allestito dai fratelli
Capranica nel loro palazzo intorno al 1679; pur ampliato e ricostruito,
iniziò a funzionare regolarmente solo a partire dal 1711, a causa della
censura sui teatri imposta da papa Innocenzo XII nel 1699; dal momento della sua
riapertura conobbe però una lunga stagione di attività, dapprima
con numerose rappresentazioni di opere serie, in un secondo momento con opere
buffe, allestite con successo fino agli ultimi anni del XVIII sec. Scarse furono
le stagioni di prosa, culminate con le rappresentazioni di alcune opere
goldoniane: la
Pamela maritata (1755) fu composta infatti da Goldoni
proprio per la compagnia di attori del teatro Capranica. Le rappresentazioni vi
continuarono nel XIX sec. fino al 1881; dopo una lunga fase di chiusura, nel
1922 fu trasformato in cinematografo. Anche un altro celebre teatro di
R., il Valle, fu originariamente un piccolo locale di legno, costruito
presso il palazzo Capranica alla Valle per volontà del marchese Camillo
Capranica. Nella sua lunga storia, iniziata nel 1727 con la messa in scena della
tragedia
Matilde di Pratoli, conobbe numerosi rifacimenti e
ammodernamenti, che dapprima preservarono la struttura lignea (1765 e 1791),
quindi lo trasformarono in teatro in muratura, inaugurato nel 1822: primo
artefice della nuova architettura fu G. Valadier, cui seguirono G. Salvi e, nel
1845, G. Servi, che aggiunse la facciata sul lato dell'ingresso al palcoscenico.
Successivi restauri e abbellimenti (1865, 1888, 1897) lo resero uno dei teatri
più prestigiosi e più frequentati di
R., e in esso
recitarono i più illustri artisti drammatici italiani del periodo: nel XX
sec. ulteriore fama, viva ancor oggi, gli diedero interpreti come E. Gramatica e
M. Abba. Al 1732 risale l'inaugurazione del teatro Argentina, voluto dal duca G.
Sforza Cesarini e progettato da G. Theodoli, che adottò la più
moderna forma a ferro di cavallo: vi furono rappresentate opere di genere serio,
con nobile tradizione. Tuttavia, la realizzazione del teatro Costanzi nel 1880,
che dal 1928 assunse il nome di teatro dell'Opera, determinò l'inizio
della decadenza dell'Argentina, privandolo della supremazia in fatto di
spettacoli lirici: il teatro rimase ed è tuttora dedicato all'arte
drammatica. La storia del teatro Pallacorda di via Firenze si identifica
soprattutto con la storia del teatro romanesco. Durante il XVIII sec. gli
spettacoli di maggior rilievo furono quelli in prosa; nel 1841 il teatro venne
riaperto con il nuovo nome di teatro Metastasio, e dal 1852 acquistò
grande rinomanza; infine, per le sue ridotte dimensioni, dopo il 1870 decadde al
rango di teatrino rionale. Di pari interesse le vicende del teatro Ornani,
aperto al principio del Settecento con gli spettacoli di burattini (1729-36) e
rinnovato nel 1784 con il nome di Nuovo Teatro. Nel 1871 fu costruito il
Quirino, il primo teatro popolare di
R.: restaurato, presentò in
seguito fortunati spettacoli di prosa, balli e operette; infine, fu
ulteriormente rinnovato nel 1934 per ospitare gli spettacoli di E.
Petrolini.
MUSICA
Dalla caduta dell'Impero romano d'Occidente
(476) all'XI sec. l'importanza di
R. come centro musicale è
connessa essenzialmente allo sviluppo del canto liturgico cristiano. Infatti,
gli uffici ecclesiastici iniziarono a definirsi e a rafforzarsi già
durante i secc. IV-V, concretizzandosi nella forma solenne della Messa: nel V
sec., inoltre, l'autorevolezza dell'esito di tale processo di sistemazione
crebbe con il parallelo accrescimento dell'autorità dei vescovi di
R. Fra il V e il VII sec. numerosi pontefici, fra i quali Gelasio I,
contribuirono al consolidamento della liturgia, ma fu soprattutto Gregorio I
(Gregorio Magno) a organizzare in modo definitivo la liturgia romana e i
relativi canti: a lui si deve inoltre l'istituzione in
R. di una
Schola cantorum per l'insegnamento, l'interpretazione e la conservazione dei
canti di chiesa. Il carattere universale dell'opera di Gregorio si evince dal
fatto che dal VI all'VIII sec. il canto romano si diffuse in tutta Europa,
unificando ovunque l'esecuzione musicale chiesastica e raggiungendo il massimo
splendore nei secc. IX-XI. Di contro, con il sorgere e il progredire della
polifonia, a partire dal XII sec. il canto romano iniziò a declinare;
quando la corte papale tornò a
R. dopo la cattività
avignonese, lo stesso coro pontificio, portato con sé dal papa Gregorio
XI e composto in maggioranza da cantori di origine franco-fiamminga, era ormai
dedito al nuovo stile polifonico. Del resto, di cantori franco-fiamminghi
continuò per lungo tempo a essere formato il Collegio dei Cappellani
Cantori Pontifici, che aveva sostituito l'antica
Schola cantorum. Nel XV
sec. il papa Sisto IV fondò due cappelle, destinate a grande fortuna: nel
1473 fu realizzata la Sistina, con funzione di cappella di palazzo, e nel 1480
quella di San Pietro, che per i successivi interventi di Giulio II ebbe in
seguito il nome di Giulia. Quest'ultima fu diretta da maestri stabili, fra i
quali merita di essere ricordato G. Pierluigi da Palestrina, mentre la cappella
Sistina, a seguito della riforma di Sisto V (1586), ebbe solo direttori
temporanei, eletti fra gli stessi membri del coro. Quanto ai cantori stessi, i
soprani furono prima adolescenti e falsettisti, ai quali si aggiunsero,
dall'inizio del XVII sec., anche evirati; di contro, i contralti non compresero
evirati se non dalla fine del XVII sec. L'importanza capitale di
R. come
centro musicale nel Cinquecento e nel Seicento è testimoniata dalla
fondazione di numerose altre cappelle, fra le quali si ricordano la Liberiana
(Santa Maria Maggiore) attiva già dalla metà del XV sec., la
Lateranense (1535) e quelle di San Luigi dei Francesi, di Santa Maria in
Trastevere, di Santa Maria ai Monti; inoltre, intorno al 1550 fu aperta da N.
Vicentino una scuola privata per l'insegnamento musicale, che fino ad allora era
praticato solo nelle scuole annesse alle cappelle maggiori. In questo periodo
la
scuola romana ebbe un ruolo fondamentale nella storia della musica, in
particolare di quella sacra, in quanto i suoi esponenti maggiori (fra gli altri
C. Festa, G. Animuccia, G. Pierluigi da Palestrina, R. Giovannelli)
contribuirono a risolvere definitivamente l'evoluzione dell'intera arte
polifonica vocale, dalle ingegnosità fiamminghe alla luminosità
classica. All'apogeo del Cinquecento seguì, nel corso del XVII sec., un
lento declino della musica più propriamente liturgica, in quanto alla
severa polifonia vocale palestriniana successero le amplificazioni barocche che,
con la moltiplicazione delle voci, l'accompagnamento strumentale e i virtuosismi
dei solisti, tendevano all'enfasi e alla grandiosità. In questa fase,
soltanto la Sistina rimase fedele alla tradizione cinquecentesca; tuttavia, alle
altre cappelle non mancarono direttori di genio, quali A. Scarlatti (Santa Maria
Maggiore), D. Scarlatti (Giulia) e N. Jommelli (Giulia). Nel frattempo,
fondamentale importanza aveva assunto, nella vita musicale romana, l'Accademia
di Santa Cecilia, fondata nel 1584 con il nome di Vertuosa compagnia de' musici,
come prova il fatto che già nel 1689 l'iscrizione era divenuta
obbligatoria per tutti i professionisti di musica sacra a esclusione dei cantori
pontifici; inoltre, nel 1741 le fu demandata l'approvazione dei maestri di
cappella, e 30 anni più tardi fu aperta anche alle donne. L'Accademia
raggiunse il culmine della potenza durante il XVIII sec. Nella stessa epoca,
favorita dallo sviluppo dell'accompagnamento strumentale, fiorì a
R.
un'importante scuola organistica a servizio delle cappelle musicali (a
eccezione della Sistina), i cui principali esponenti (G. Frescobaldi e B.
Pasquini), i loro allievi e successori (in particolare F. Gasparini e D.
Scarlatti) rinnovarono l'arte organistica nel mondo. Di fatto, grande fortuna
ebbero a
R. nel Seicento e Settecento non solo l'organistica e la
cembalistica, ma anche la musica strumentale in genere: a tal riguardo, assai
rilevante fu l'attività di A. Corelli, che si segnalò come
compositore, violinista e direttore d'orchestra. Da alcune testimonianze si
evince inoltre che nello stesso periodo vi furono in
R. eccellenti scuole
di strumenti ad arco. Il genere caratteristico dell'ambiente romano, nella
storia delle musica secentesca, è l'oratorio, su testo sia in volgare,
sia in latino: il primo, derivato dalla
Laude spirituale, nacque negli
oratori filippini e mostrò una tendenza particolare alla rappresentazione
scenica, contaminandosi spesso con il melodramma; il secondo, coltivato in
origine nell'oratorio del Crocifisso a San Marcello, si originò dal
mottetto drammatizzato, e raggiunse presto forma definitiva con G. Carissimi.
Quest'ultimo, fra l'altro, coltivò pure il genere della cantata, che si
affermò rapidamente e, con il successivo contributo dei romani-napoletani
(L. Rossi, A. Stradella, ecc.), conseguì una singolare fortuna. Infine,
l'ambiente musicale della
R. del Seicento rivestì un'importanza
capitale nella storia dell'opera in musica, cui diede un contributo fondamentale
e i cui quadri formali furono destinati a divenire canonici. Tradizionalmente,
l'apertura della scuola operistica romana è fissata al 1626, con la
rappresentazione di
La catena d'Adone di D. Mazzocchi, ma già in
precedenza avevano avuto luogo a
R. manifestazioni di teatro musicale.
Centro dell'opera romana fu il teatro Barberini; fra i librettisti si annovera
G. Rospigliosi, futuro papa Clemente IX, e fra gli scenografi G.L. Bernini.
Benché nella seconda metà del Seicento le energie operistiche
romane iniziassero a declinare, il teatro musicale continuò per tutto il
secolo successivo a ricevere linfe vitali dai maggiori operisti e dai più
celebri cantanti d'Italia. Un notevole risveglio di vita musicale si ebbe
agli inizi dell'Ottocento, anche per influsso dell'illuminato dominio
napoleonico, in quanto fu ripresa la tradizione della musica
"privata", coltivata cioè non soltanto da professionisti, ma
anche da dilettanti di buon livello nelle case e nei circoli; tuttavia, si
trattò di un risveglio solo temporaneo, e l'interessamento del pubblico
per la musica, nel corso del XIX sec. si restrinse all'opera teatrale e,
secondariamente, alla musica sacra. Una riforma della musica sacra si rese
necessaria: fu dapprima soltanto progettata da Gregorio XVI, e realizzata poi,
nel 1903, dal pontefice Pio X; in conseguenza di essa, nel 1910 fu istituita la
Pontificia Scuola Superiore di Musica Sacra, assurta nel 1931 a livello
universitario con il nome di Pontificio Istituto di Musica Sacra. Fra le
cappelle romane più rinomate, alle quali dal 1868 si aggiunse la
Schola cantorum di S. Salvatore al Lauro, continuarono a figurare la
Lateranense, la Giulia, la Liberiana e la Sistina. Tra i maestri romani che
dall'Ottocento al Novecento si distinsero maggiormente come compositori di
musica sacra si ricordano P. Terziani, P. Raimondi, S. Meluzzi. Nel corso
dell'Ottocento si affermarono a
R. alcuni enti musicali di importanza
considerevole, quali la Congregazione e Accademia di Santa Cecilia, prima
pontificia, poi regia; l'Accademia Filarmonica Romana; la Società
Orchestrale Romana; la Società Musicale Romana; la Società Bach;
il Quintetto della Regina Margherita; la Banda Comunale; i primi due enti sono
tuttora in vita. L'Accademia di Santa Cecilia intorno alla metà del XIX
sec. iniziò ad assumere un orientamento sempre più accentuato
verso la musica profana e verso l'istruzione musicale: la sua scuola, fondata
nel 1877, fu elevata al rango di conservatorio di musica nel 1919 e i concerti
per orchestra da essa gestiti sono divenuti la massima istituzione sinfonica
italiana. L'Accademia Filarmonica, fondata nel 1821 con lo scopo di rendere note
le opere teatrali che non potevano giungere sulle scene romane, nel corso
dell'Ottocento fece conoscere molte opere di Rossini, Donizetti, Verdi, mentre
più recentemente ha rivelato musiche corali di autori come Mendelssohn,
Rossini, Beethoven. Dal 1921 la Filarmonica offre annualmente regolari stagioni
di musica da camera, che si tengono al teatro Olimpico. Altre istituzioni che
animano attualmente il ricco panorama musicale romano sono il Teatro dell'Opera,
l'Istituzione Universitaria dei Concerti, il Coro Polifonico Romano; creato nel
1960 per la diffusione della musica contemporanea è il Gruppo
d'Improvvisazione Nuova Consonanza.
CRONOLOGIA DELLA STORIA DI ROMA ANTICA
|
753 a.C. Fondazione di Roma.
|
753-509 Periodo monarchico.
|
509 Cacciata dei Tarquini. Data tradizionale dell'inizio della
Repubblica. Primo trattato tra Roma e Cartagine.
|
496 ca. Roma sconfigge i Latini presso il Lago Regillo.
|
494 Prima secessione della plebe.
|
493 Trattato tra Roma e la Lega latina.
|
477 Veio sconfigge i Romani al fiume Cremera.
|
451-50 I decemviri elaborano le Leggi delle XII Tavole.
|
445 La Lex Canuleia abroga il divieto di matrimonio tra patrizi
e plebei.
|
444 Istituzione dei tribuni militari con poteri consolari.
|
443 Istituzione della censura.
|
426 Conquista di Fidene.
|
406-396 Guerra contro Veio, conclusa con la distruzione della
città etrusca.
|
390 Sconfitta romana ad Allia e presa di Roma da parte dei
Galli.
|
376 Leges Liciniae-Sextiae: ammissione dei plebei al consolato
e norme sull'agro pubblico.
|
358-53 Guerra contro Etruschi e Falisci.
|
354 Trattato fra Romani e Sanniti.
|
348 Rinnovo del trattato tra Roma e Cartagine.
|
343-41 Prima guerra sannitica.
|
340-38 Guerra contro i Latini; scioglimento della Lega
latina.
|
339 Leggi di Publilio Filone sul valore dei plebisciti.
|
326 Napoli si arrende ai Romani.
|
326-304 Seconda guerra sannitica.
|
321 Sconfitta di Roma alle Forche Caudine; trattato di pace con i
Sanniti.
|
310 I Romani sconfiggono gli Etruschi.
|
306 Rinnovo del trattato romano-cartaginese.
|
304 Trattato di pace tra Romani e Sanniti.
|
303-302 Trattato fra Roma e Taranto.
|
300 La Lex Ogulnia ammette i plebei nei collegi
sacerdotali.
|
299 Trattato tra Romani e Lucani.
|
298-90 Terza guerra sannitica (o prima guerra italica).
|
295 Vittoria romana a Sentino.
|
287 La Lex Ortensia dà valore di legge ai
plebisciti.
|
283 I Romani battono i Galli Boi presso il Lago Vadimone.
|
282 Roma, alleata di Turi; violazione romana del trattato con
Taranto.
|
281-72 Guerra contro Taranto e Pirro.
|
278 Trattato tra Roma e Cartagine.
|
275 Vittoria a Benevento su Pirro, che lascia l'Italia.
|
272 Presa di Taranto; Livio Andronico a Roma.
|
270 Presa di Reggio; Roma completa la sottomissione dell'Italia
meridionale.
|
264-41 Prima guerra punica.
|
260 I Romani vincono i Cartaginesi a Milazzo.
|
255 Sconfitta di Attilio Regolo in Africa.
|
241 Vittoria romana alle Egadi; trattato di pace e annessione della
Sicilia.
|
238 Occupazione romana della Sardegna e della Corsica.
|
237 I Cartaginesi iniziano l'occupazione della Spagna.
|
229-28 Prima guerra illirica contro la regina Teuta.
|
227 Creazione delle prime due province:Sicilia e
Sardegna-Corsica.
|
226 Trattato dell'Ebro fra Roma e Cartagine.
|
225-22 Vittorie romane a Telamone e Casteggio e sottomissione della
Gallia Cisalpina.
|
220-19 Seconda guerra illirica.
|
219 Annibale espugna Sagunto, alleata di Roma.
|
218-202 Seconda guerra punica.
|
218 Vittorie di Annibale presso i fiumi Trebbia e Ticino.
|
217 Vittoria di Annibale presso il Trasimeno.
|
216 Vittoria di Annibale a Canne.
|
215-205 Prima guerra macedonica.
|
212 Presa romana di Siracusa; alleanza tra Roma e gli
Etoli.
|
211 Presa romana di Capua.
|
209-206 Scipione l'Africano conquista la Spagna.
|
207 I Romani vincono Asdrubale presso il Metauro.
|
205 Pace di Fenice tra Roma e Macedonia.
|
204 Introduzione del culto della Magna Mater a Roma.
|
203-202 Scipione in Africa; vittorie romane ai Campi Magni e a
Zama.
|
200-197 Seconda guerra macedonica.
|
200-196 Riconquista della Gallia Cisalpina.
|
197 Vittoria romana a Cinocefale contro Filippo V.
|
197 Vittoria romana a Cinocefale contro Filippo V.
|
197-93 Organizzazione della Spagna in due province: Ulteriore e
Citeriore.
|
193-88 Guerra contro Antioco III di Siria.
|
189 Vittoria romana contro Antioco a Magnesia al Sipilo.
|
188 Pace di Apamea con Antioco III: ridimensionamento della
Siria.
|
186 Un senatoconsulto decreta la repressione dei culti dionisiaci in
Italia.
|
181-78 Rivolta delle province spagnole, sedata dal console
Gracco.
|
180 Lex Vilia sulla regolamentazione del cursus
honorum.
|
171-68 Terza guerra macedonica.
|
168 Vittoria di Emilio Paolo a Pidna; deportazione di Perseo in
Italia; Polibio a Roma fra gli ostaggi della Lega achea.
|
149-46 Terza guerra punica; Scipione Emiliano distrugge Cartagine e
istituisce la provincia d'Africa.
|
146 Creazione della provincia di Macedonia; distruzione di Corinto e
scioglimento delle leghe greche. Acaia annessa alla provincia
macedone.
|
143-33 Rivolta dei Celtiberi, capeggiata da Viriato, conclusa con la
presa di Numanzia da parte di Scipione Emiliano.
|
136-32 Prima rivolta servile in Sicilia.
|
133 Tribunato di Tiberio Gracco e pro-posta di ridistribuzione
dell'agro pub-blico. Assassinio del tribuno. Attalo III lascia in eredità
ai Romani il Regno di Pergamo.
|
125 Respinta la proposta di Fulvio Flacco di concedere la cittadinanza
romana agli Italici; rivolta e distruzione della colonia latina di
Fregellae.
|
125-18 Conquista e istituzione in provincia della Gallia
Narbonense.
|
123 Caio Gracco tribuno della plebe; il tribunale sui reati di
concussione passa sotto il controllo dei cavalieri, che divengono un ordine
distinto da quello senatorio.
|
122 Deduzione di una colonia a Cartagine; secondo tribunato di Caio
Gracco.
|
121 Uccisione di Caio Gracco.
|
112-105 Guerra giugurtina.
|
107 Primo consolato di Mario e riforma dell'esercito.
|
105 Cimbri e Teutoni vincono i Romani a Orange (Arausio).
|
104-100 Seconda rivolta servile in Sicilia.
|
102 Mario vince i Teutoni ad Aquae Sextiae.
|
101 Vittoria di Mario sui Cimbri ai Campi Raudii.
|
100 Tribunato di Saturnino e sua uccisione durante i disordini. Mario
console per la quinta volta.
|
91 Tribunato di Marco Livio Druso; proposta di legislazione a favore
degli Italici.
|
90-88 Rivolta degli Italici (guerra sociale).
|
90 La Lex Iulia concede la cittadinanza agli Italici rimasti
fedeli o che depongono le armi.
|
88 La Lex Plautia-Papiria estende la cittadinanza romana;
consolato di Silla; sostituzione di Silla con Mario nel comando in Oriente
contro Mitridate; Silla marcia su Roma; fuga dei mariani.
|
88-85 Prima guerra contro Mitridate VI re del Ponto.
|
87 Silla assedia Atene; consolato di Cinna; ritorno di Mario e
proscrizioni anti-sillane.
|
86 Morte di Mario.
|
85 Vittoria a Cheronea su Mitridate e pace di Dardano.
|
84 Assassinio di Cinna.
|
83-82 Ritorno di Silla in Italia; guerra civile conclusa a Porta
Collina; dittatura di Silla.
|
83-81 Seconda guerra contro Mitridate.
|
81-80 Proscrizioni dei popolari; legislazione di riforma dello Stato;
estensione del pomerio al Magro e al Rubicone.
|
80-72 Rivolta di Sertorio in Spagna, sedata da Pompeo.
|
79 Silla lascia volontariamente il potere.
|
78 Morte di Silla.
|
74 Nicomede IV re di Bitinia lascia il suo Regno in eredità ai
Romani.
|
74-63 Terza guerra contro Mitridate.
|
73-71 Terza rivolta servile, guidata da Spartaco.
|
70 Consolato di Pompeo e Crasso; processo contro Verre e orazioni
d'accusa di Cicerone.
|
67 La Lex Gabinia conferisce a Pompeo un comando straordinario su
più province per combattere i pirati.
|
66 La Lex Manilia conferisce a Pompeo un comando straordinario per
concludere la guerra contro Mitridate, sostituendo Licinio Lucullo.
|
66-63 Campagna di Pompeo contro Mitridate, creazione delle province di
Siria-Giudea e Bitinia-Ponto.
|
63 Consolato di Cicerone e congiura di Catilina.
|
62 Battaglia di Pistoia e morte di Catilina; Cesare pretore nella
Spagna Ulteriore.
|
60 Accordo tra Pompeo, Cesare e Crasso (primo
triumvirato).
|
59 Consolato di Cesare; leggi agrarie; la Lex Vatinia assegna a
Cesare il proconsolato della Gallia Narbonense, della Cisalpina e
dell'Ilirico.
|
58-57 Esilio di Cicerone a Tessalonica e Durazzo.
|
58-51 Cesare conquista la Gallia.
|
56 Incontro di Lucca e rinnovo del triumvirato: vengono concordate la
proroga del mandato di Cesare nel governo della Gallia per cinque anni e
l'assegnazione del governo della Spagna a Pompeo e della Siria a
Crasso.
|
55 Consolato di Pompeo e Crasso.
|
55-54 Spedizione di Cesare in Britannia.
|
53 Spedizione di Crasso contro i Parti e sua uccisione a
Carre.
|
52 Rivolta di Vercingetorige in Gallia; assassinio di Clodio; Pompeo
console unico.
|
50 Il Senato chiede a Cesare di lasciare il comando proconsolare;
rottura definitiva tra Pompeo e Cesare.
|
49 Cesare passa il Rubicone; Pompeo si ritira in Oriente.
|
48 Cesare batte Pompeo a Farsalo; uccisione di Pompeo in Egitto per
ordine di Tolomeo XIII.
|
47 Cesare sottomette l'Egitto; campagna contro Farnace del Ponto e
vittoria di Zela.
|
46 Cesare batte i pompeiani a Tapso in Africa; è nominato
dittatore e console per cinque anni.
|
45 Vittoria di Cesare sui pompeiani a Munda.
|
44 Cesare ottiene la dittatura a vita; il 15 marzo è ucciso da
una congiura di ottimati.
|
43 Guerra di Modena; accordo tra Ottaviano, Antonio e Lepido (secondo
triumvirato). Proscrizioni contro gli anticesariani e morte di
Cicerone.
|
42 Battaglia di Filippi e suicidio di Bruto e Cassio.
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41-40 Guerra di Perugia; Ottaviano vince Lucio Antonio.
|
40 Accordi di Brindisi tra i triumviri: Antonio ottiene l'Oriente,
Ottaviano l'Italia, la Gallia e la Spagna, Lepido l'Africa e le
isole.
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37 Rinnovo del triumvirato; Antonio sposa Cleopatra.
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36-35 Fallita spedizione di Antonio contro i Parti.
|
36 Sesto Pompeo è sconfitto a Nauloco da Ottaviano e da Marco
Agrippa; Ottaviano ottiene l'inviolabilità propria dei tribuni della
plebe.
|
36 Sesto Pompeo è sconfitto a Nauloco da Ottaviano e da Marco
Agrippa; Ottaviano ottiene l'inviolabilità propria dei tribuni della
plebe.
|
35-33 Spedizione di Ottaviano in Illiria.
|
31 Vittoria di Ottaviano ad Azio; Cleopatra e Antonio si rifugiano in
Egitto.
|
30 Suicidio di Antonio e Cleopatra; Ottaviano assume la corona
d'Egitto, quale diretto possesso imperiale.
|
27 Ottaviano proclama la restaurazione degli ordinamenti repubblicani,
ottiene dal Senato il comando proconsolare sulle province e il titolo di
Augusto; mantiene il consolato.
|
27 a.C. - 14 d.C. Principato di Augusto.
|
25-19 Pacificazione della Spagna.
|
25 Galizia, Valle d'Aosta e Spagna Tarraconense diventano province
romane.
|
23 Augusto rinuncia al consolato, ma trasforma in vitalizio il potere
proconsolare e le prerogative tribunizie; morte di Marcello, nipote di
Augusto.
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16-10 Sistemazione del confine settentrionale dell'Italia, creazione
delle province del Norico, della Rezia, delle Alpi Marittime e delle Alpi
Cozie.
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12-9 Conquista della Pannonia e campagna in Germania di Tiberio e
Druso, figliastri di Augusto; Druso muore sull'Elba.
|
12 Morto Lepido, Augusto assume il titolo di pontifex
maximus.
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6 Esilio di Tiberio a Rodi.
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2 Augusto Pater Patriae.
|
2 d.C. Morte di Lucio, figlio di Agrippa e Giulia, adottato da
Augusto.
|
4 Morte di Gaio, fratello di Lucio, anch'egli adottato da Augusto;
richiamo e adozione di Tiberio.
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5 Lex Valeria-Cornelia: regolamenta gli scrutini per la
commendatio dei magistrati.
|
6 La Giudea diventa provincia romana.
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6-9 Rivolta pannonica.
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9 Arminio distrugge le tre legioni romane di Quintilio Varo nella
foresta di Teutoburgo; la Pannonia diviene provincia romana.
|
14 Morte di Augusto.
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14-37 Tiberio imperatore.
|
14-16 Spedizione di Germanico, nipote e figlio adottivo di Tiberio, in
Germania.
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17 Trionfo di Germanico, richiamato a Roma.
|
18 Spedizione di Germanico in Asia Minore; Commagene e Cappadocia
province romane.
|
19 Morte di Germanico in Asia.
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23 Druso, figlio di Tiberio, è avvelenato da Seiano, prefetto
del pretorio.
|
24 Domata la rivolta di Tacfarinate in Mauretania.
|
26 Ritiro di Tiberio a Capri.
|
37 Morte di Tiberio e successione di Caligola, figlio di
Germanico.
|
37-41 Caligola imperatore.
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41 Cassio Cherea, tribuno dei pretoriani, uccide Caligola in odio al
centralismo monarchico.
|
41-54 Claudio imperatore.
|
42 Creazione di due province in Mauretania.
|
43-44 Claudio conquista e riduce in provincia la
Britannia.
|
46 Creazione della provincia di Tracia.
|
49 Claudio adotta Nerone, figlio di sua moglie Agrippina
|
54 Morte di Claudio, forse avvelenato.
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54-68 Nerone imperatore.
|
55 Nerone fa uccidere Britannico, figlio di Claudio.
|
59 Nerone fa uccidere la madre Agrippina.
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62 Morte di Afranio Burro; allontanamento di Seneca; Nerone fa
esiliare e uccidere la moglie Ottavia e sposa Poppea.
|
63 Campagna partica di Domizio Corbulone.
|
64 Incendio di Roma.
|
65 Congiura di Pisone; suicidio di Seneca, Lucano,
Petronio.
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66 Rivolta giudaica in Palestina. Vespasiano incaricato della
repressione.
|
68 Ribellione dei praefecti militum Galba (Spagna
Tarraconense), Otone (Lusitania), Vindice (Gallia Lugdunense) e dei pretoriani a
Roma. Suicidio di Nerone.
|
68-69 Anno dei quattro imperatori e guerra civile. Galba (imperatore
dal giugno 68) è ucciso nel gennaio 69 dai pretoriani, sostenitori di
Otone; questi muore suicida dopo la sconfitta subita a Bedriaco da parte di
Vitellio.
|
69 Vespasiano acclamato imperatore dalle legioni orientali e
danubiane; Vitellio viene ucciso a Roma occupata da truppe fedeli a
Vespasiano.
|
69-79 Vespasiano imperatore.
|
69-70 Rivolta dei Batavi e loro repressione.
|
70 Tito, figlio di Vespasiano, distrugge Gerusalemme; Lex de
imperio.
|
77 Agricola, governatore della Britannia; costruzione del limen
fortificato lungo il Reno e il Danubio.
|
79 Morte di Vespasiano; successione di Tito; eruzione del
Vesuvio.
|
79-81 Tito imperatore.
|
81-96 Domiziano imperatore.
|
83 Guerra contro i Catti.
|
84 Agricola conquista la Britannia fino alla Scozia.
|
85-89 Guerra contro Decebalo sul confine danubiano.
|
96 Uccisione di Domiziano in una congiura.
|
96-98 Nerva imperatore.
|
97 Associazione di Traiano al principato.
|
98 Morte di Nerva.
|
98-117 Traiano imperatore.
|
101-102 Prima guerra dacica.
|
105-106 Seconda guerra dacica; la Dacia diviene provincia
romana.
|
113-117 Guerra partica; conquista di Ctesifonte; Mesopotamia, Assiria
e Armenia diventano province.
|
117 Morte di Traiano in Cilicia.
|
117-38 Adriano imperatore.
|
122 Costruzione del vallo in Britannia.
|
132-35 Repressione della seconda rivolta giudaica.
|
138 Morte di Adriano.
|
138-61 Antonino Pio imperatore.
|
142 Costruzione del nuovo vallo in Britannia, con linea più
avanzata.
|
161-80 Marco Aurelio imperatore.
|
161-69 Lucio Vero associato all'impero.
|
162-65 Guerra contro i Parti.
|
167-75 Guerre contro Marcomanni, Quadi e Iazigi.
|
169 Morte di Lucio Vero.
|
175-76 Ribellione di Avidio Cassio in Siria.
|
177 Commodo associato all'impero.
|
180 Morte di Marco Aurelio.
|
180-92 Commodo imperatore.
|
192 Assassinio di Commodo.
|
193 Lotta per la successione: Elvio Pertinace, eletto imperatore dai
pretoriani, viene ucciso e sostituito con Didio Giuliano; Pescennio Nigro
è acclamato in Siria, Clodio Albino in Britannia, Settimio Severo in
Pannonia; ingresso di Severo in Roma; uccisione di Didio Giuliano.
|
193-211 Settimio Severo imperatore.
|
194 Severo vince Nigro a Isso e si accorda con Albino.
|
195-97 Severo in lotta contro Albino, sconfitto a Lione; Caracalla
viene nominato Cesare.
|
197 Guerra contro i Parti: caduta di Ctesifonte.
|
211 Severo muore in Britannia; Caracalla e il fratello Geta
imperatori.
|
211-17 Caracalla imperatore.
|
212 Caracalla uccide Geta; emanazione della Constitutio
Antoniniana.
|
214-15 Guerra contro i Parti.
|
217 Uccisione di Caracalla a Carre; i soldati eleggono Macrino,
prefetto del pretorio, primo imperatore di rango equestre.
|
217-18 Macrino imperatore.
|
218 Macrino ucciso dai soldati, che eleggono Eliogabalo, pronipote di
Giulia Domna, moglie di Settimio Severo.
|
218-22 Eliogabalo imperatore.
|
222 Eliogabalo è ucciso dai pretoriani; il cugino Severo
Alessandro, quattordicenne, è eletto imperatore sotto la guida della
madre Giulia Mamea.
|
222-35 Severo Alessandro imperatore.
|
231-35 Severo Alessandro combatte i Persiani e i Germani; viene ucciso
a Magonza dai soldati, che proclamano imperatore Massimino il Trace.
|
235-38 Massimino il Trace imperatore; vittorie sui
Germani.
|
238 I Goti invadono la Mesia; il proconsole d'Africa Gordiano è
proclamato imperatore dal Senato con il figlio; entrambi muoiono poco dopo;
Massimino marcia in Italia ed è ucciso durante l'assedio di Aquileia; il
Senato nomina imperatori Pupieno e Balbino, poi uccisi dai pretoriani che
impongono Gordiano III.
|
238-44 Gordiano III imperatore.
|
244 Morte di Gordiano, ucciso in Oriente.
|
244-49 Filippo l'Arabo imperatore.
|
247 Filippo vince i Carpi in Dacia.
|
249 Il senatore Decio, chiamato a combattere i Goti che premono sul
confine danubiano, è proclamato imperatore dall'esercito; Filippo
è ucciso a Verona.
|
249-51 Decio imperatore.
|
250 Persecuzione contro ebrei e cristiani.
|
251-53 Decio muore in battaglia contro i Goti; successione di vari
imperatori, Treboniano Gallo, Emiliano, Volusiano; proclamazione di Valeriano da
parte delle legioni renane.
|
253-60 Valeriano imperatore si associa il figlio Gallieno.
|
257-58 Persecuzione contro i cristiani e martirio di san Cipriano,
vescovo di Cartagine.
|
258 Rivolta di Postumio in Gallia e proclamazione del Regno autonomo
delle Gallie.
|
260 Valeriano è fatto prigioniero da Sapore I re dei Persiani.
Editto di tolleranza di Gallieno a favore dei cristiani.
|
267 Muore Odenato; la vedova Zenobia fonda il Regno autonomo di
Palmira.
|
268 Gallieno è ucciso a Milano in una congiura.
|
268-70 Claudio II Gotico imperatore.
|
268 Vittoria di Claudio sugli Alamanni arrivati al lago di Garda e sui
Goti a Naisso.
|
270 Morte di Claudio. Proclamazione di Aureliano.
|
270-75 Aureliano imperatore.
|
271 Abbandono della Dacia a nord del Danubio invasa dai Goti; vittoria
su Alamanni e Marcomanni.
|
272-74 Sottomissione di Palmira e del Regno delle Gallie.
|
275 Assassinio di Aureliano.
|
275-76 Elezione di Claudio Tacito e suo assassinio in Asia; invasioni
di Franchi e Alamanni a ovest del Reno.
|
276-82 Aurelio Probo imperatore.
|
277-79 Vittorie di Probo su Franchi, Alamanni, Vandali e
Goti.
|
282 Assassinio di Probo; il prefetto del pretorio Caro eletto
imperatore.
|
282-83 Caro imperatore.
|
283 Caro muore a Ctesifonte; i figli Carino e Numeriano
imperatori.
|
284 Morte di Numeriano. Diocleziano eletto dall'esercito a
Nicomedia.
|
284-305 Diocleziano imperatore.
|
285 Carino sconfitto da Diocleziano in Mesia e
assassinato.
|
286 Massimiano è associato all'impero; inizio
dell'organizzazione della tetrarchia.
|
293 Diocleziano nomina Galerio Cesare in Oriente. Massimiano nomina
Costanzo Cloro Cesare in Occidente.
|
298 Galerio, soccorso da Diocleziano, batte i Persiani; Pace di Nisibi
e supremazia romana a est del Tigri.
|
301 Editto sui prezzi.
|
303 Editti di persecuzione contro i cristiani.
|
305 Abdicazione di Diocleziano e Massimiano.
|
306-24 Guerra tra i successori di Diocleziano (Galerio, Costanzo
Cloro, Massimino Daia, Severo, Massenzio e Costantino).
|
306 Costantino è acclamato Augusto.
|
307 Massenzio elimina Severo.
|
308 Incontro di Carnunto fra Diocleziano, Massimiano e Galerio;
Licinio nominato Augusto.
|
310 Massimiano, assediato da Costantino a Marsiglia, si suicida;
Massimino Daia è nominato Augusto.
|
311 Galerio revoca gli editti di persecuzione contro i cristiani con
un editto di tolleranza; morte di Galerio.
|
312 Costantino batte Massenzio a ponte Milvio; alleanza con
Licinio.
|
313 Incontro tra Costantino e Licinio a Milano; libertà di
culto per i cristiani (Editto di Milano); Massimino Daia è eliminato da
Licinio.
|
324 Costantino vince Licinio (battaglie di Adrianopoli e Crisopoli) e
rimane unico imperatore.
|
325 Concilio di Nicea e condanna dell'Arianesimo.
|
330 Inaugurazione di Costantinopoli, nuova capitale
dell'Impero.
|
332-34 Campagne contro Sarmati e Goti; Sapore II invade
l'Armenia.
|
337 Morte di Costantino. Lotte per la successione tra i suoi tre figli
Costantino, Costante e Costanzo.
|
337-61 Costanzo imperatore col fratello Costantino II dal 337 al 340,
quando questi viene sconfitto da Costante.
|
350 Costante ucciso da Magnenzio.
|
351-54 Gallo diventa Cesare in Oriente; sua uccisione.
|
355 Giuliano diventa Cesare in Gallia.
|
357 Giuliano vince gli Alamanni a Strasburgo; Costanzo a
Roma.
|
360 L'esercito proclama imperatore Giuliano a Parigi.
|
361 Costanzo muore in Cilicia.
|
362 Legislazione di Giuliano in favore dei culti pagani.
|
363 Campagna di Giuliano in Persia; sua morte.
|
363-64 L'esercito elegge Gioviano, che muore pochi mesi
dopo.
|
364-75 Valentiniano I imperatore.
|
364 Valentiniano I si associa a Valente, al quale affida
l'Oriente.
|
367 Graziano, figlio di Valentiniano, è nominato
Augusto.
|
374-97 Ambrogio vescovo di Milano.
|
375 Morte di Valentiniano; gli succedono i figli Graziano e
Valentiniano II.
|
376 I Goti a Sud del Danubio.
|
378 Battaglia di Adrianopoli; i Goti sconfiggono e uccidono Valente.
Graziano nomina Augusto in Oriente Teodosio.
|
379-95 Teodosio imperatore.
|
380 I Goti si stanziano come federati nei Balcani.
|
381 Proscrizione dei culti pagani.
|
383 Morte di Graziano. Valentiniano II si stabilisce a Milano.
Arcadio, figlio di Teodosio, è nominato Augusto.
|
383-388 Usurpazione di Magno Massimo in Gallia e Italia.
|
391 Il Cristianesimo religione di Stato.
|
392 Usurpazione di Eugenio; morte di Valentiniano II.
|
394 Battaglia del Frigido e sconfitta di Eugenio.
|
395 Morte di Teodosio a Milano; divisione dell'Impero tra i figli
Arcadio (Oriente) e Onorio (Occidente), sotto la tutela del generale
Stilicone.
|
395-408 Arcadio imperatore d'Oriente.
|
395-423 Onorio imperatore d'Occidente.
|
395-96 I Goti di Alarico nei Balcani.
|
401-03 Alarico in Italia; vittorie di Stilicone a Pollenzo (402) e
Verona (403).
|
402 La corte di Onorio si trasferisce a Ravenna.
|
406 Invasione della Gallia da parte di Alani, Burgundi, Suebi (o
Svevi), Vandali.
|
407-11 Usurpazione di Costantino III acclamato dall'esercito in
Britannia.
|
408 Uccisione di Stilicone ; morte di Arcadio.
|
408-50 Teodosio II imperatore d'Oriente.
|
409 Vandali, Alani, Suebi in Spagna.
|
410 Alarico, dopo trattative fallite con Ravenna, saccheggia Roma;
morte di Alarico.
|
412 Ataulfo, successore di Alarico, passa in Gallia.
|
413 I Burgundi autorizzati a stabilirsi a Worms e Magonza; i Franchi
saccheggiano Treviri; i Visigoti prendono Narbona e Tolosa.
|
418 I Visigoti fondano il Regno di Aquitania.
|
419 Lotta tra Vandali e Suebi in Spagna.
|
421 Costanzo III, da poco associato al potere, muore in
settembre.
|
423 Morte di Onorio.
|
425-55 Valentiniano III imperatore d'Occidente.
|
428-77 Genserico re dei Vandali.
|
429 I Vandali passano in Africa e assediano Cartagine.
|
430-31 I Vandali assediano ed espugnano Ippona.
|
430 ca.-54 Ezio comandante dell'esercito in Occidente.
|
436 Ezio batte i Burgundi; la loro sconfitta segna la fine del regno
di Worms.
|
438 Pubblicazione del Codice teodosiano.
|
439 I Vandali espugnano Cartagine.
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440 Incursione vandala in Sicilia.
|
450 Morte di Teodosio II e di Galla Placidia; Marciano sposa
Pulcheria, sorella di Teodosio, e diventa imperatore.
|
450-57 Marciano imperatore d'Oriente.
|
451 Sconfitta degli Unni ai Campi Catalauni, in Gallia.
|
452 Attila invade l'Italia, ma si arresta sulla linea del
Po.
|
453 Morte di Attila.
|
454 Valentiniano III uccide Ezio.
|
455 Uccisione di Valentiniano III; i Vandali conquistano e
saccheggiano Roma.
|
457-61 Maggioriano imperatore d'Occidente.
|
457-74 Leone I imperatore d'Oriente.
|
461-72 Artemio Procopio imperatore d'Occidente, riconosciuto dal
generale Ricimero.
|
474-91 Zenone imperatore d'Oriente.
|
476 Il re barbaro Odoacre sconfigge Oreste, reggente dell'Impero
d'Occidente, e ne depone il figlio Romolo Augustolo.
|
IMPERATORI ROMANI D'OCCIDENTE
|
Augusto Tiberio Caligola Claudio Nerone Galba Otone Vitellio Vespasiano Tito Domiziano Nerva Traiano Adriano Antonino
Pio Marco Aurelio Lucio Vero Commodo Pertinace Didio
Giuliano Clodio Albino Pescennio Nigro Settimio
Severo Caracalla Geta Macrino Eliogabalo Alessandro
Severo Massimino il Trace Gordiano I Gordiano
II Pupieno Balbino Gordiano III Filippo
l'Arabo Decio Treboniano
Gallo Emiliano Valeriano Gallieno Postumo (nelle
Gallie) Leliano (nelle Gallie) Mario (nelle Gallie) Vittorino
(nelle Gallie) Tetrico (nelle Gallie) Claudio II il
Gotico Quintillo Aureliano Tacito Floriano Probo Caro
Carino e Numeriano Diocleziano Massimiano Costanzo I
Cloro Galerio Flavio Severo Massenzio Massimino
Daia Costantino il Grande Licinio Costantino
II Costante Costanzo II Magnezio Giuliano detto
l'Apostata Gioviano Valentiniano
I Valente Graziano Valentiniano
II Teodosio Onorio Giovanni Valentiniano III Petronio
Massimo Avito Maggioriano Libio
Severo Antemio Olibrio Glicerio Giulio Nepote Romolo
Augustolo
|
27 a.C. - 14 d.C. 14 – 37 37 –
41 41 – 54 54 - 68 68 – 69 69 69 69
– 79 79 – 81 81 – 96 96 – 98 98
– 117 117 – 138 138 – 161 161 –
180 161 – 169 180 – 192 193 193 193 –
197 193 – 194 193 – 211 211 – 217 211
– 212 217 – 218 218 – 222 222 - 235 235
– 238 238 238 238 238 238 – 244 244
– 249 249 – 251 251 – 253 253 253 -
260 253 - 268 260 - 268 268 268 268 - 270 270 -
274 268 – 270 270 270 - 275 275 -
276 276 276- 282 282 - 283 283 - 284 284 - 305 286
- 305 305 - 306 305 - 311 306 - 307 306 - 312 308 -
313 306 – 337 308 – abdica 323 337 - 340 337
-350 337 - 361 350 - 353 360 - 363 363 - 364 364 -
375 364 - 378 367 - 383 375 - 392 379 - 395 395 -
423 423 - 425 425 - 455 455 455 - 456 457 -
461 461 - 465 467 - 472 472 473 - 474 474 -
475 475 - 476
|