Regione storica dell'Asia sud-occidentale, coincidente, per gli storici antichi,
con le regioni che costituivano l'Impero achemenide, il cui nucleo fu l'attuale
Iran. Durante il Medioevo, date le condizioni politiche instabili, questo
termine non indicò un'entità statale definita, ma piuttosto
l'estensione territoriale corrispondente all'Impero sasanide (perciò
comprensivo dell'Iran, ma anche dell'Afghanistan e del Belucistan). Gli Arabi
insediatisi adattarono il nome originario in
Fârs o
Fârsistân: per questa ragione, con riferimento allo Stato
iranico, in Occidente si utilizzò il nome
P. fino al 1935. Da
quella data, fu ufficialmente assunto quello di
Iran, mentre l'antico
Fârs passò a indicare solo una provincia interna del Paese.
• Geogr. ed Econ. - V. IRAN. • St. -
Preistoria: i pochi dati archeologici in nostro possesso non permettono
di tracciare un quadro esaustivo della
P. preistorica né sul piano
cronologico né territoriale, soprattutto perché le zone
interessate da ritrovamenti sono assai distanti fra loro. I reperti più
antichi sono comunque databili al Paleolitico e al Mesolitico; in alcune
località si può affermare la presenza di culture neolitiche
preceramiche (forse dell'VIII-VII millennio a.C.). A partire dal V millennio,
nella pianura e in particolare a Sialk, sono state identificate tre fasi
protostoriche di civiltà, distinte fra loro dall'evolversi della tecnica
ceramica, dall'uso sempre più frequente di mattoni, dall'introduzione del
metallo, del tornio e dall'apparizione dei primi sigilli. Alla fine del IV
millennio, a Susa si verificò uno iato culturale segnato dal passaggio da
un tipo di ceramica policroma ad un altro, rosso, monocromo e analogo a quello
proprio del periodo mesopotamico di Uruk IV; Susa evolse anche in seguito sotto
l'influsso della Mesopotamia, elaborando una scrittura detta
protoelamita
(V. ELAM). Per quanto riguarda il III e il II
millennio a.C., mentre le civiltà sumero-babilonesi grazie alla scrittura
sono per noi indagabili storicamente, la
P. ci è poco nota, ad
eccezione delle informazioni che riguardano le popolazioni dei distretti di
frontiera (Gutei, Cassiti, ecc.) che, esercitando una forte pressione sui Regni
delle valli fluviali del Tigri e dell'Eufrate, furono oggetto di descrizione da
parte delle fonti babilonesi. Solo l'Elam sviluppò una cultura propria,
per la quale si rimanda alla voce specifica. ║
I Medi e la dinastia
persiana achemenide: popolazioni indoarie (appartenenti al medesimo ceppo di
lingua indoeuropea da cui si erano precedentemente distaccati i gruppi penetrati
nelle valli dell'Indo e del Gange) occuparono l'altopiano iranico nel III
millennio a.C. o, più probabilmente, nel corso del II millennio. Fra
queste erano le stirpi dei Medi e dei Persiani, citate insieme per la prima
volta in documenti assiri del IX sec. a.C., e presumibilmente in origine assai
legate tra loro. Tale stretta connessione è testimoniata dal fatto che,
quando i Medi (V.) furono sostituiti nell'egemonia
dall'Impero persiano a partire dal VI sec. a.C., i Persiani continuarono
tuttavia a essere indicati dai Greci con il nome di
médoi.
Inizialmente essi abitarono sedi attigue a quelle mede, nella zona
settentrionale dell'altopiano, per poi trasferirsi verso Sud-Ovest, nella
regione che i Greci chiamavano
Perside e ancora oggi è il
Fârsistân, confinante con l'Elam. Divisi in dieci
tribù, i Persiani si inserirono nello scacchiere politico
vicino-orientale nel VII sec. a.C., quando l'achemenide Ciro I (capo della
tribù egemone dei Pasargadi) ottenne il trono, come vassallo del re
assiro Assurbanipal III, della provincia elamitica di Anzan. Nel 626 a.C., in
seguito alla ribellione contro il dominio assiro guidata dal re medo Ciassarre e
dal re di Babilonia Nabopolassar, gli Achemenidi si dichiararono tributari dei
Medi, mantenendo così il titolo di re di Anzan anche dopo la caduta dei
re di Ninive. Cambise I riuscì a imparentarsi con la famiglia imperiale
meda sposando la figlia del re Astiage: da loro nacque Ciro II che, occupato il
trono di Anzan nel 557 a.C., nel 549 a.C. spodestò il nonno Astiage e
sostituì l'egemonia dei Medi sulla regione con quella del suo popolo. La
capitale meda Ecbatana diventò residenza estiva, l'antica città di
Pasargade una sorta di località sacra della storia achemenide (dove Ciro
stesso volle erigere il proprio monumento funebre) e Persepoli fu costruita per
essere capitale del nuovo Stato: le tavolette babilonesi già nel 546
citavano per la prima volta i re di
P. I Regni di Lidia, Babilonia ed
Egitto, che con i Medi si erano di fatto spartiti i territori del precedente
Impero assiro, temendo che i nuovi dominatori intendessero infrangere
l'equilibrio raggiunto, pensarono di prevenire le loro mosse, attaccandoli, con
l'esercito del re di Lidia Creso, in Cappadocia (560 a.C.). L'esito fu opposto:
nel 547 a.C. Ciro conquistò la capitale lidia, Sardi, annettendo tutta
l'Asia Minore e ricevendo come tributarie anche le città greche delle
coste. In breve poté conquistare anche le province orientali di Sogdiana
e Battriana e rivolgersi contro Babilonia (539 a.C.), acquisendo
contemporaneamente autorità sui territori di Siria, Fenicia e Palestina
che di quella città erano stati tributari. Ciro si dedicò, fino
alla morte avvenuta nel 529 a.C., al riassetto interno e amministrativo
dell'Impero che già si estendeva dal Mar Egeo alla Battriana, dal Caucaso
alla Palestina. Suo figlio Cambise conquistò l'Egitto e la Cirenaica (525
a.C.), disperdendo l'esercito del faraone Psammetico III. In seguito egli
progettò di ampliare i propri domini in Africa, inviando un esercito ad
attraversare il deserto libico alla conquista di Cartagine, e guidandone un
altro verso l'Etiopia. Fallì in tutti e due gli obiettivi, mentre, al
contrario, la vasta compagine dell'Impero mostrava segni di disgregazione con
rivolte in Elam, Armenia, Media e Babilonia. Cambise morì nel 522 a.C.,
forse ucciso, senza figli. La successione fu offerta a un membro del ramo
cadetto degli Achemenidi, Dario I (522-485 a.C.), che in breve riportò
all'obbedienza tutte le popolazioni dell'Impero. Partendo dalle regioni
orientali intraprese la conquista dell'alta valle dell'Indo e di tutta la sua
riva destra: fu in questa occasione che Scilace di Carandia discese l'Indo fino
alla foce e, giunto all'Oceano Indiano, diresse verso Occidente,
costeggiò la penisola arabica e toccò l'Egitto passando dal Mar
Rosso. Sono utilizzabili come fonti per ricostruire storicamente il Regno di
Dario, oltre a quelle greche, le stesse iscrizioni volute dal sovrano, in
particolare le epigrafi di Bisutun e di Persepoli. Da queste si ricavano, fra
l'altro, elementi assai importanti relativi allo Zoroastrismo, religione
adottata dagli Achemenidi. Regioni e popoli sottomessi furono organizzati e
ripartiti in 20 satrapie, collegate tra loro da una efficiente rete stradale e
governate da satrapi locali, ma saldamente legati al potere centrale del re
mediante il controllo operato da una speciale casta di "ispettori". Tentazioni
autonomistiche erano inoltre impedite anche dalla dipendenza diretta dal re dei
comandanti le guarnigioni locali. Il sistema da una parte assicurava una
relativa prosperità alle popolazioni e dall'altra, mediante i tributi e
le prestazioni di lavoro obbligatorie, garantiva un gettito economico ingente
che sosteneva la vita di corte, la realizzazione di opere pubbliche e
soprattutto l'imponente attività edilizia delle residenze di Susa,
Ecbatana, Persepoli. A Occidente Dario passò il Bosforo e si
assicurò il controllo degli stretti, occupando Tracia e Macedonia: la
penetrazione persiana in Europa e l'occupazione dell'Ellesponto allarmò
ulteriormente i Greci, che già mal tolleravano l'influenza da quelli
esercitata sulle coste ioniche dell'Asia Minore e addirittura su un certo numero
di isole quali Samo, Lesbo, Rodi, ecc. Per quanto riguarda le lotte tra le
città greche e Dario (e poi suo figlio Serse), note come
guerre
persiane: V. PERSIANO. Il tentativo di
espansione ai danni dei Greci, comunque, fallì sia con Dario (sconfitta
di Maratona, 490 a.C.) che morì nel 485 a.C., sia con il suo successore
Serse (sconfitta di Salamina, 480 a.C., e di Platea, 479 a.C.) e anzi
indebolì il dominio persiano sull'Asia Minore. Morto Serse nel 465 a.C.,
gli successe Artaserse I: egli si trovò ad affrontare una rivolta in
Egitto (459 a.C.), apertamente sostenuta dai Greci che, facendo base a Cipro,
schierarono una loro flotta presso il Delta. Tuttavia la lega greca fu battuta,
la rivolta sedata (454 a.C.) e Cipro occupata dai Persiani. Nel 450 a.C. i
contendenti firmarono un accordo (pace di Callia), secondo il quale i Greci si
sarebbero astenuti da interventi a Cipro e in Egitto, mentre i Persiani
avrebbero rinunciato alle coste ioniche ellenizzate e a circolare nell'Egeo.
Tuttavia, nel 424 a.C. Dario II (successore di Serse II, che aveva regnato
brevemente) si avvide che Atene, indebolita dalla guerra contro Sparta, non
disponeva di forze sufficienti a impedire che i satrapi di Ionia e Frigia
pretendessero tributi dalle colonie elleniche. Ebbe inizio in questa occasione
l'ingerenza diretta del re persiano nelle vicende belliche e politiche della
Grecia: mediante finanziamenti ora a Sparta ora ad Atene, Artaserse mantenne
viva la lunga guerra del Peloponneso, cercando di stabilizzare la propria
egemonia sull'Asia ellenica. Egli stesso, d'altra parte, fu costretto a
difendersi dal tentativo di usurpazione, a sua volta sostenuto dagli Spartani,
da parte di suo fratello Ciro il Giovane: riuscì però a
sconfiggerlo nella battaglia di Cunassa (401 a.C.), cui partecipò anche
lo storico greco Senofonte. Con la pace di Antalcida (386 a.C.), Atene e Sparta
furono costrette ad accettare la sovranità persiana sulle colonie greche
dell'Asia Minore, formalmente libere e autonome (anche se costrette ai tributi),
fatto salvo il divieto di costituire federazioni. Gli ultimi anni del Regno di
Artaserse II, tuttavia, furono segnati da una serie di sommosse in diverse
satrapie, a riprova della progressiva perdita di coesione fra le province
dell'enorme Impero. ║
Decadenza degli Achemenidi e conquista di
Alessandro: Artaserse III salì al trono nel 358 a.C., e la sua azione
di governo fu soprattutto indirizzata a sedare rivolte e a stornare minacce
esterne, ora con le armi ora con il denaro. Nel medesimo periodo, Filippo II di
Macedonia operava in Grecia al fine di raccogliere sotto la sua egemonia le
città greche, mirando anche al controllo di quelle d'Asia. Nel 338 a.C.
Artaserse fu ucciso e, mentre si consumavano le lotte di palazzo per la
successione, Filippo inviò truppe sulle coste ioniche perché
facessero da testa di ponte per spedizioni successive. Tuttavia Filippo
morì nel 336 a.C., dando agio ai Persiani di scegliere come re Dario III,
mentre Alessandro saliva al trono in Macedonia. Mentre quest'ultimo riaffermava
la supremazia macedone nella Grecia continentale e in Tracia, i Persiani si
prepararono alla guerra. Dopo una serie di scontri isolati e tattici, nel 333
a.C. ad Isso si svolse la battaglia decisiva fra le truppe persiane e quelle di
Alessandro che già stavano per penetrare in Siria. Con la vittoria il
Macedone dilagò in Fenicia, Palestina, Egitto e, rifiutata la proposta di
pace offerta da Dario III, lo sconfisse nuovamente a Gaugamela nel 331 a.C. Susa
e Persepoli caddero in mani greche, mentre Dario cercava di organizzare la
resistenza in Battriana: tuttavia fu ucciso da una congiura, il cui capo Besso,
proclamato re, fu presto battuto. La morte precoce di Alessandro Magno (323
a.C.), non consentì che fosse neanche iniziato un processo di
integrazione politico-culturale tra la parte macedone e quella persiana del
nuovo Impero e, nel giro di breve tempo, esso fu ripartito tra i diadochi: a
Seleuco e ai suoi successori, spettarono la Media e le province orientali.
║
I Seleucidi e i Parti: lo smembramento dell'Impero seleucide ebbe
inizio già con il suo eponimo Seleuco, che cedette la Pentapotamide
(cioè il Punjab) all'indiano Candragupta Maurya e al governatore di
Pergamo la provincia omonima, destinata a diventare uno Stato assai potente
dell'Asia Minore. Nel 278 a.C., la Frigia settentrionale cadde nelle mani di
popolazioni celtiche, mentre nel 254 a.C. Battriana, Sogdiana e altri territori
dell'estremo Est costituirono il Regno indo-greco di Battriana, la cui
importanza fu massima per quanto riguarda la penetrazione della cultura greca in
Asia; quest'ultimo nel corso dei decenni si scisse in più principati che,
nel 126 a.C., furono invasi dagli Sciti. Più a Occidente, nel 248 a.C.,
la Partia si sollevò ad opera di Arsace, da cui ebbe inizio la dinastia
arsacide. I Parti, antica popolazione iranica stanziata nel territorio fra
l'Elburz e l'Amu Darya, il Caspio e il deserto centrale, erano già
menzionati nelle iscrizioni achemenidi e a quella tradizione si volevano
riconnettere direttamente: assoggettarono nel tempo la maggior parte dell'antico
Impero persiano (Media, Persia, Mesopotamia, e le regioni dipendenti dalla
Battriana), collegando ancora una volta nella storia la valle dell'Indo a quella
dell'Eufrate. L'Impero arsacidico (mantenutosi fino al III sec. d.C.) fu per
cinque secoli il più vitale e aggressivo avversario orientale prima dei
Seleucidi, poi di Roma. Tra i principali sovrani arsacidi ricordiamo: Mitridate
I (175-138 a.C. circa), che fu il vero artefice della potenza di quello Stato,
annettendo ad esso il Regno greco-battriano; Orode I (57 a.C.- 37 d.C.),
vincitore di Crasso a Carre (53 a.C.); Vologese I (51-77 d.C.), che condusse la
guerra contro Roma per il controllo dell'Armenia. Artabano V (m. 224), ultimo
Arsacide, fronteggiò Caracalla, ma fu sconfitto dal nuovo pretendente
sasanide (V. anche
PARTI). ║
I Sasanidi: Ardashir fu
iniziatore della nuova dinastia, che deve il nome a
Sasan, sacerdote a
Persepoli di cui era il nipote. Egli, avendo la Perside come base, si
ribellò ad Artabano e nel 226 d.C. conquistò la capitale partica
Ctesifonte: a poco a poco ridusse in suo potere tutti i territori arsacidi, ad
esclusione dell'Armenia. La dinastia sasanide, che riportò in vita
numerose tradizioni del periodo achemenide ed in particolare lo Zoroastrismo,
ebbe carattere fortemente nazionale. L'Impero ebbe durata di circa quattro
secoli, continuando la diuturna lotta già sostenuta dai predecessori
contro Roma e, dal V sec. d.C., contro Bisanzio. Per quanto riguarda gli aspetti
amministrativi e organizzativi dello Stato e gli eventi ad esso interni, questo
periodo ci è abbastanza noto grazie a fonti greche, sire, armene e arabe,
oltre che per i resti della letteratura nazionale medio-persiana e i documenti
epigrafici. La contesa con Roma, almeno inizialmente, fu tutta concentrata a
ottenere il possesso dell'Armenia, da entrambe le parti considerata vitale per
la sicurezza dei confini: la conquistò Sapore I nel 241, cercarono di
riconquistarla gli imperatori romani Valeriano (fatto prigioniero nel 260) e
Aureliano, mentre Diocleziano la contese al sasanide Narses (o Narsete). Fra i
successori di quest'ultimo, ebbe un certo rilievo Sapore II, che regnò
dal 310 al 379. Combatté, con alterna fortuna, contro Costantino,
Costanzo, Giuliano e solo con quest'ultimo riuscì a concludere un accordo
che gli riconobbe il possesso dell'Armenia e dell'attuale Georgia. A partire
dall'imperatore Bahrâm V (420-38), i confini nord-orientali dell'Impero
cominciarono a essere minacciati dalle prime popolazioni turche, gli "unni
bianchi", penetrate in Battriana. Furono respinte da Bahrâm, come anche
dal suo successore Jazdagart II; entrambe però dovettero fronteggiare
anche i Bizantini, che muovevano in aiuto dei cristiani perseguitati in
P. Gradatamente, tuttavia, principali avversari dello Stato sasanide
divennero i Turchi, dal momento che anche Romani e Bizantini erano occupati a
difendere i propri confini. I Sasanidi si adoperarono per una piena
restaurazione della tradizione religiosa zoroastriana, facendo del Mazdeismo la
religione di Stato, fissando un canone sacro e organizzando una classe
sacerdotale, che fu sempre avversa al Cristianesimo e alle nuove eresie
dualistiche (Manicheismo, Mazdachismo). Figura di particolare levatura nella
dinastia sasanide fu Khusran I Anûsharwân (531-579), contemporaneo e
antagonista di Giustiniano: il Paese conobbe durante il suo Regno il più
alto grado di potenza politica e di splendore culturale (intrecciandosi le
suggestioni provenienti dall'India, dalla Cina e, anche se in grado minore,
dalla filosofia e dalla scienza ellenistiche). Questo sovrano e i suoi
successori contesero ai Bizantini le province più orientali del loro
Impero, arrivando a conquistare Gerusalemme e a minacciare la stessa Bisanzio,
avvicinandosi al Bosforo. Tuttavia il contrattacco dell'imperatore d'Oriente
Eraclio (628), che avanzò fin nell'interno della
P., condusse lo
Stato sasanide a una serie di crisi dinastiche, economiche e sociali che lo
lasciarono esposto, praticamente indifeso, all'offensiva degli Arabi. Dopo una
prima sconfitta nel 634 e una seconda, e definitiva, nel 642, la
P.
diventò dominio arabo. ║
L'invasione araba: condotta dai
primi successori di Maometto, i califfi
'Omar e
'Othman, la
conquista araba della
P. poté dirsi sostanzialmente compiuta
intorno al 650, ad esclusione di alcune zone impervie sul litorale caspico. La
religione etnica dei Sasanidi fu scarsamente tollerata dai conquistatori (al di
là delle dichiarazioni di principio) e solo presso comunità
isolate, che riuscivano a mantenere una parziale autonomia dal potere centrale
arabo, il Mazdeismo continuò a essere praticato. Fu durante i primi
secoli della dominazione islamica (durante i quali la maggior parte della
popolazione si convertì alla nuova religione) che si verificò la
migrazione verso l'India di gruppi di fedeli, i cui discendenti costituiscono
oggi le comunità
Parsi (V.) del Sud
dell'India. La
P. diventò una provincia dell'Impero omayyade,
marca di frontiera per un'ulteriore espansione verso Est e, benché si
fosse realizzata una certa fusione tra la civiltà maomettana e le cultura
persiana, fu una ribellione scoppiata a metà dell'VIII sec. nel
Khorâsân che abbatté i califfi Omayyadi (661-750) e li
sostituì con gli Abbasidi (750-1258). Anch'essi erano arabi, ma si
appoggiarono a forze militari e civili iraniche e il loro Governo favorì
nettamente quella componente dell'Impero. Sotto il dominio abbaside, in
P. si formarono alcune autonomie periferiche (Khorâsân e
Traxosiana), rette da dinastie minori, che prefigurarono lo sfaldamento
nell'Islam del califfato unitario. La più importante fra esse fu l'etnia
iranica dei Samanidi (X sec.), con capitale Buchara, che contribuì a un
recupero della coscienza nazionale e culturale persiana, sia pure entro il
quadro ormai stabile della Nazione e cultura musulmane. Ai Samanidi successero i
Gasnavidi (secc. X-XI), Turchi di stirpe ma culturalmente iranizzati, come
furono anche i Selgiuchidi (V.), il cui avvento a
metà dell'XI sec. agglutinò una realtà
politico-territoriale unitaria fra le province orientali del califfato e
inaugurò un periodo di grande floridezza economica e culturale nella
P. islamizzata. Lo Stato selgiuchide, che presto si divise
territorialmente secondo rami autonomi della casata, crollò verso la
metà del XII sec., dapprima a causa di dinastie turche minori, poi per la
penetrazione mongola. ║
I mongoli: da Gengis Khân a
Tamerlano: l'invasione mongola iniziò intorno al 1220, devastando la
P. e distruggendo sia le popolazioni sia le città. Anche questi
popoli barbari si assimilarono in breve alla superiore civiltà islamica e
tanto lo Stato mongolo degli Ilkhân (1256-1349) fondato da Hulagu - che
pose termine anche al superstite califfato abbaside di Baghdad - quanto quello
dei Timuridi (1369-1494) - successivo alla conquista di Tamerlano che fece della
P. una provincia del suo Impero con capitale a Samarcanda - assicurarono
alla
P. una rinnovata prosperità. Ilkhân e Timuridi furono
dunque dinastie musulmane ma culturalmente persiane, di cui si dimenticò
presto l'origine barbarica. Ai Timuridi, fra cui ricordiamo in particolare Timur
(m. 1405 d.C.), seguirono in
P. alcuni anni di anarchia e di
frazionamento territoriale (dinastie di origine turca degli Aq Qoyûnli e
Qara Qoyûnli). ║
La dominazione turca: la
P. fu
riunificata, a cavallo tra il XV e il XVI sec., dalla dinastia turca dei
Safavidi (1502-1736 ), iniziata da Isma'il. In questo periodo la
P. si
convertì all'Islamismo di tipo sciita, che aveva sempre goduto di favore
presso le popolazioni iraniche, scelto anche in funzione di contrapposizione
politica all'Impero ottomano sunnita. Tra i sovrani di maggiore spicco
ricordiamo 'Abbas il Grande (1587-1629), durante il cui Regno ebbero luogo
numerosi contatti con Stati europei. Nella prima metà del XVIII sec. lo
Stato safavide fu travolto da un'invasione afghana, cui si aggiunsero interventi
sia ottomani sia russi, volti alla conquista dei territori più
occidentali. Il Regno di
P. si ricostituì un'altra volta nel 1738
ad opera di un turco sunnita del Khorâsân: Nadir, che
riconquistò il Paese agli Afghani. Alla sua morte (1747) seguirono nuove
lotte civili e l'affermarsi di una dinastia (degli Zand, 1750-94) che fu a sua
volta soppiantata da quella dei Cagiari, sempre di origine turca: essi
governarono la
P. fino al 1925. Si trattò di un periodo
caratterizzato da oppressione interna e attacchi stranieri all'unità
territoriale (soprattutto da parte britannica e russa). Durante il Regno di
Nâsir ad-dîn Shâh (1848-96), la
P. visse una grave
condizione sia sul piano economico e interno sia su quello internazionale:
tuttavia fu proprio all'inizio del XX sec. che gruppi di intellettuali laici si
adoperarono per l'ottenimento di una Costituzione (1906). Durante la prima
guerra mondiale tale processo di emancipazione e modernizzazione fu interrotto
(nonostante la proclamata neutralità la
P. fu infatti invasa da
entrambi gli schieramenti belligeranti) per riprendere in seguito. Per la storia
del XX sec.: V. IRAN.
L'impero persiano dal VI al V sec. A.C.
L'impero persiano di Alessandro
LINGUA
Le lingue storicamente collegate alla
P. appartengono alla famiglia indoeuropea, in
particolare al ramo detto indoario o iranico di tale gruppo. Da un punto di
vista filologico è necessario distinguere tre grandi fasi. 1) La fase
più antica (secc. VII-IV a.C. circa) è attestata dal
persiano
antico, in iscrizioni cuneiformi di epoca achemenide, sia rupestri sia su
tavolette. Esso fu infatti la lingua ufficiale dell'Impero, insieme ad accadico
ed elamita, come mostrano le iscrizioni trilingue di Ciro a Pasargade o di Dario
a Bisutun, Persepoli e Susa. A questa medesima fase appartenne anche
l'
avestico, la lingua in cui fu redatto l'
Avesta, testo sacro allo
Zoroastrismo, a sua volta comprendente il dialetto
gathico (cosiddetto
perché attestato nelle
Gâthâ, le composizioni
più antiche), molto vicino al vedico e dunque al momento in cui le
popolazioni indoarie si divisero per occupare le rispettive sedi storiche. 2)
Una fase intermedia (compresa tra il III sec. a.C. e l'invasione araba del VII
sec. d.C.) è testimoniata sia da iscrizioni rupestri sia da documenti
letterari di vario genere. La lingua di maggiore rilevanza è il
medio
persiano o
pahlavî, nelle sue varianti nord-occidentali
(arsacidico o partico) e sud-occidentali (sasanidico), che si è
dimostrato l'anello di congiunzione tra fase antica e moderna. Per quanto
riguarda le regioni orientali, sono attestati invece
sogdiano e
khorezmico, che ebbero evoluzione autonoma. 3) La fase moderna è
attestata fin dal X sec., favorita da una promozione sul piano letterario in
quanto lingua autoctona da opporre e sostituire all'arabo. Il
neopersiano, direttamente connesso al
pahlavî, divenne la
lingua nazionale dell'Iran, dove è ora detto
fârsi, e,
scarsamente modificato, di alcune regioni dell'Afghanistan (
darsi) e del
Tagikistan (
tagico). Altre lingue moderne che appartengono a questo
gruppo sono: il
pashto (parlato nelle zone meridionali dell'Afghanistan),
l'
osseto (parlato nelle regioni caucasiche), il
curdo (parlato
dalla popolazione omonima stanziale nel Kurdistan, territorio attualmente
spartito tra diversi Stati), ecc. La contiguità fra queste lingue e la
civiltà islamica ha fatto sì che esse, pur essendo indoeuropee,
fossero scritte con alfabeto arabo e che sul piano lessicale si siano ampiamente
arabizzate; ma allo stesso modo ad esse si devono gli elementi iranizzati
presenti nelle parlate arabe della regione.
LETTERATURALa prima opera
letteraria persiana nota è l'
Avesta
(V.), testo sacro dello Zoroastrismo che, nella
sua sezione più antica delle
Gâthâ (VII a.C.),
è possibile far risalire allo stesso Zoroastro. Essenzialmente coevi sono
gli
Yasht: inni che, a differenza delle altre sezioni del testo,
risultano in certa misura contaminati da residui della precedente tradizione
iranica, con elementi mitologici, epici e naturalistici che furono ripresi nella
produzione di autori posteriori. Le testimonianze letterarie in antico persiano
si esauriscono invece nelle iscrizioni achemenidi, abbastanza numerose, il cui
valore è tuttavia storico-linguistico più che artistico. Dopo la
battaglia di Gaugamela (331 a.C.), la
P. conobbe un periodo di
ellenizzazione culturale, prima con Alessandro, poi con i Seleucidi e gli
Arsacidi. Non ci sono note direttamente opere relative al periodo arsacidico, ma
la produzione successiva, coeva all'Impero sasanide, fa supporre uno sviluppo
coerente e lineare rispetto a un'attività precedente di epoca arsacide.
Sotto i Sasanidi il Mazdeismo fu assunto come religione di Stato e,
coerentemente, gran parte della produzione letteraria si orientò a temi e
argomenti di carattere sacro, utilizzando per la redazione il medio-persiano o
pahlavî. A quest'epoca risale lo
Zend: un commentario al testo
avestico (più volte tradotto nel medesimo periodo) che, col tempo, fu
sentito come inscindibile da esso. Tra i numerosi trattati a carattere
enciclopedico, teologici o edificanti, ricordiamo in particolare il
Denkart, compreso nel più vasto
Bundahishn, che raccolse
numerose leggende (secc. III-IX d.C.). Rispetto alla produzione reale, sono
poche le opere in pahlavî di argomento profano che ci sono giunte; fra
esse ricordiamo: ampi frammenti di codici di diritto privato in vigore in epoca
sasanide; manuali sul gioco degli scacchi, epistolari, glossari e due brevi
romanzi epico-cavallereschi. L'
Ayatkâr i Zarerân narra le
imprese del re Vishtâsp e di suo fratello Zarer in difesa della fede
zoroastriana; il
Kârnamak i Ardashîr i Pâpakân
è invece il racconto e la celebrazione delle imprese del fondatore della
dinastia sasanide. La letteratura pahlavî continuò per un breve
periodo anche dopo la conquista araba, durante una fase di transizione in cui si
formò e poi si venne affermando la nuova forma linguistica neopersiana,
espressione di forme e tradizioni della
P. islamica. La letteratura
neopersiana si può dividere, a grandi linee e secondo i momenti storici,
in tre grandi periodi: 1) coevo al califfato abbaside (e alle diverse dinastie
locali), tra l'VIII e la prima metà del XIII sec.; 2) coevo alla
dominazione mongola, tra la seconda metà del XIII sec. e il principio del
XV sec.; 3) moderno, dal XV sec. ai giorni nostri. I primi due periodi sono
anche definiti come "classici". Per quanto riguarda i generi letterari, invece,
possiamo individuare: il lirico-panegiristico (
qaside e
ghazal),
l'epico-romanzesco e didattico (
masnavi), le quartine (
roba'i), la
prosa. Il primo genere letterario che si sviluppò a partire dalla
dominazione islamica fu la lirica, fiorita nei secc. IX e X soprattutto grazie
alle numerose corti locali. Essa, praticata da un'élite di poeti, ebbe
carattere cortigiano e colto e inizialmente cercò di riprodurre in lingua
persiana modelli arabi, ma presto raggiunse una propria originalità.
Particolarmente curata alla corte dei Samanidi, la lirica passò dal tipo
a panegirico (
qaside) a una poesia in grado di esprimere concetti
filosofici (ad esempio, con il poeta Nâser e Khosraw, 1000 circa) e
religiosi (con i mistici Sana'i e Farîd ud Dîn Attar, XIII sec.
circa), in cui strofe e versi raggiunsero una grande musicalità.
Gradatamente altri temi, oltre a quelli mistico-religiosi, furono introdotti da
poeti come Sa'dî (XIII) e Hâfez (XIV sec.): all'amore sacro fu unito
quello profano, mentre descrizioni di tipo naturalistico, riflessioni
intimistiche e psicologiche, ecc. trovarono spazio nella conchiusa misura
metrica del
ghazal (costituito da una dozzina di distici). Degni di nota,
nel panorama della lirica classica in
P., furono anche
Zakânî, che compose satire pungenti e scherzose, e Giâmi
(vissuto durante il periodo timuride), che compose celebri versi d'amore e di
argomento moraleggiante. La produzione di quest'ultimo autore si colloca
però in posizione intermedia rispetto al genere epico romanzesco. Il
genere epico è caratterizzato dall'uso del metro
masnavi (in cui
ogni emistichio è rimato con il suo omologo e ogni verso ha rima
diversa): benché sia nota una precedente composizione di questo tipo (un
trattato di medicina dei primi anni del X sec.), la prima opera masnavi
unanimemente riconosciuta è lo
Shâhnâme (Il libro dei
Re) di Firdûsî (m. 1020 circa), artista vissuto in epoca gasnavide.
Egli rivisitò e traspose in versi le traduzioni, che circolavano in prosa
neopersiana, dell'epopea nazionale già codificata in testi sasanidi.
Risultò da questo lavoro un poema epico dedicato alla
P.
preislamica che rimase come modello insuperato nella cultura iranica in senso
lato. Tra l'epoca di Firdûsî e quella di Giâmi (e cioè
dall'XI al XV sec.) si sviluppò, nella letteratura persiana, l'epopea
classica: nell'XI sec., As`ad Gurgâni narrò in versi la leggenda di
Vīs u Râmîn, di origine partica e d'argomento curiosamente
affine a quella bretone di Tristano e Isotta. Romanzi masnavi compose anche il
sensibile e raffinato Nizâmî (XII sec.): la sua
Khamsa
(Quintetto di poemi) formalizzò in un racconto di sapore classico
numerose e popolarissime leggende arabe e iraniche, racconti storici e popolari,
vicende amorose e introspezioni psicologiche, coagulando tutto in cinque poemi
tra loro legati. Nel XIII sec., la forma metrica del masnavi fu utilizzata da
altri autori anche in senso didattico o mistico-allegorico, per esempio nel
Masnavi ye Ma'navi (Poema spirituale) di Rûmî: un commento al
Corano, arricchito da aneddoti, fiabe, leggende, tradizioni relative alle vite
di "santi" o a quella del Profeta. L'opera di Rûmî rimase a lungo
riferimento normativo per il Sufismo persiano. Tra coloro che furono attivi
anche come lirici
ghazal, Sa'dî compose due poemi:
Bustân (Giardino) in versi, e il
Gulistân (Roseto),
misto di prosa e versi; Giâmi si ispirò invece a temi della storia
sacra. Di particolare interesse, nell'ambito della produzione classica in versi
della
P. islamica, è l'opera di 'Omar Kayyam, poeta, filosofo e
scienziato, cui si attribuisce un ampio
corpus di quartine
(
roba'i), fra i migliori di questo genere. La
roba'i è una
misura metrica che affiancò quelle già citate, particolarmente
adatta a composizioni brevi, chiuse in sé e circolari, epigrammatiche.
Poteva assumere quattro forme: litanica, cioè rimata in modo elementare;
quadrata, in cui ogni verso esprime un concetto ulteriore; triangolare
(classica), in cui i primi due versi introducono il tema trattato, il terzo (non
rimato) un contenuto differente e il quarto si ricollega e conclude quello dei
primi due; parallela, in cui i versi si legano a coppie per esprimere due
concetti diversi. A causa del campo espressivo che la poesia ebbe in
P.,
assai più vasto rispetto a quello occidentale in quanto vi si trattavano
anche argomenti didattici, scientifici, religiosi, filosofici, ecc., la prosa fu
sentita a lungo come un genere minore. I primi componimenti di epoca classica si
ebbero sotto i Samanidi, con modesti adattamenti di opere arabe per lo
più di tipo cronachistico. Nei secoli seguenti (secc. XI-XII), si
svilupparono la favolistica, spesso di ascendenza indiana, la trattatistica
scientifico-astronomica, politica, etica, parenetica, i libri di viaggio, ecc.
Durante la dominazione mongola fiorì particolarmente la storiografia: la
Storia di Gengis Khân di Giuwaimî, e una ponderosa
Storia
universale, compilata da Rashid-ad-Dîn Fadl Allâh, sono
considerate come i due capolavori di questo ambito. Già nel periodo
seguente (XV sec.), tuttavia, la prosa raggiunse il limite estremo di una
tendenza (che pure da sempre gli era propria) alla ridondanza e all'artificio.
Il XVI sec. segnò in generale un ripiegamento di tutti i generi su
modelli e contenuti di estrema ripetitività rispetto al passato classico,
cui seguì un altrettanto diffuso decadimento degli stessi, che si
protrasse nei secoli successivi. Solo durante il XIX sec., grazie a contatti
più stretti con la letteratura occidentale e alla conoscenza di modelli
culturali alternativi agli artisti classici della tradizione nazionale, fu molto
avvertita la necessità di semplificare tanto la lingua quanto lo stile
espressivo della prosa. Ciò fu realizzato in larga parte, durante
l'Ottocento, soprattutto a Teheran e in relazione a quei generi letterari che
maggiormente si prestavano a questo tipo di evoluzione: diaristica e
cronachistica (aiutate anche dalla comparsa nella capitale dei quotidiani) e nel
teatro, genere che si era mantenuto più vitale di altri grazie allo
stretto contatto con la tradizione popolare. Sullo scorcio di quel secolo e nei
primi anni del XX sec., il legame tra cultura e risveglio politico (di cui
è un esempio la lotta degli intellettuali per ottenere la Costituzione)
ebbe benefici effetti anche in campo letterario, come dimostra lo sviluppo della
prosa in genere, del romanzo e della pubblicistica in particolare. Anche la
poesia partecipò al rinnovamento di contenuti e/o di forme, molto spesso
su influenza delle coeve esperienze romantiche e simboliste europee. Durante il
XX sec., tuttavia, le sperimentazioni letterarie, tese a svincolare
l'espressione da rigidi canoni stilistici, furono ripetutamente attaccate dagli
epigoni della tradizione classica. L'avvento della Repubblica islamica nel 1979,
lungi dal liberare energie di cambiamento o genuine capacità di rievocare
il passato, ha gravemente nuociuto con la censura al progresso della
letteratura.
RELIGIONEDi
religioni propriamente a carattere nazionale o regionale si può parlare,
in
P., solo per quanto riguarda le epoche antecedenti la conquista araba
(VII sec.). Infatti, in seguito, l'islamizzazione della regione fu quasi totale.
La fase più antica del pensiero religioso persiano fu di tipo politeista:
di essa possiamo ricostruire solo indirettamente alcune caratteristiche. Qualche
elemento ci è fornito dalla
pars destruens della riforma
zoroastriana, che appunto volle opporre una nuova religione a quella
tradizionale: da essa ricaviamo l'esistenza di una originale pluralità di
dei e di demoni; la pratica di sacrifici cruenti, ecc. Attraverso la
comparazione con l'antica religione vedica è inoltre possibile
rintracciare caratteri propri del momento indoiranico della religione
tradizionale, anteriore cioè alla divisione di quelle popolazioni nelle
due diverse sedi storiche iraniche e indiane. Il Vedismo e il sostrato
politeista persiano, che affiora nonostante tutto anche nello Zoroastrismo,
presentano alcuni elementi comuni, quali: alcune figure divine o comunque
numeniche (ad esempio Mitra); elementi rituali (ad esempio il
soma vedico
corrispondente all'
haoma avestico, o la centralità del fuoco nel
rito e nel culto), ecc. Lo Zoroastrismo, elaborato ad opera del profeta
Zoroastro nel VII sec. a.C. (V. MAZDEISMO),
rappresentò la vera e propria religione nazionale e originale della
P. ed esercitò una grande influenza anche rispetto alle altre
religioni monoteiste, a partire dall'Ebraismo e dallo stesso Islam. Inoltre la
sua concezione dualistica dell'universo e della creazione fu alla base anche di
alcuni sincretismi religiosi (quali il Mitraismo del mondo greco-romano), del
Manicheismo e di numerose dottrine gnostiche orientali.
ARTE Un linguaggio
artistico e figurativo si formò in
P. sin dall'età
preistorica, sia autonomamente sia accogliendo le suggestioni delle più
significative esperienze culturali, del Vicino Oriente prima e dell'Occidente
greco e islamico poi. I ritrovamenti ceramici costituiscono le prime
testimonianze tanto storiche quanto artistiche della regione. La ceramica
decorata di Syalk risale al V-IV millennio a.C., mentre nel III millennio, a
Susa, la cultura elamita produsse un tipo originale di vasellame con dipinti
zoomorfi stilizzati. Il massimo splendore artistico fu però raggiunto
dall'Elam nel XIII sec. a.C., con la costruzione di
ziqqurat e la
produzione di oggetti fittili in bronzo. Le prime tribù indeuropee si
affacciarono sull'altopiano iranico alla fine del II millennio a.C.: del
graduale processo di sedentarizzazione, di queste e delle popolazioni che
giunsero in seguito, sono testimonianza le necropoli di alcuni centri. A Medi e
Persiani, comunque, potrebbero risalire i cosiddetti bronzi del Luristan. Per
quanto riguarda l'arte meda: V. MEDI. ║
Periodo achemenide: l'arte del primo Impero persiano ebbe essenzialmente
carattere aulico, ruotando unicamente intorno alla figura del sovrano e alla sua
azione. Poco ci è rimasto delle arti minori (vasellame, piccoli bronzi,
gioielli, armi, ecc.), mentre sono imponenti le testimonianze architettoniche e
le decorazioni a bassorilievo. I monumenti achemenidi, pur denunciando evidenti
legami con quelli vicini (soprattutto mesopotamici, babilonesi ed egizi, ma
anche elamitici e di Urartu), furono il prodotto di un sincretismo tanto
coerente da sortire opere di indubbia originalità. Il tipo del palazzo
fortificato ebbe il suo primo esempio noto a Masgid-i-Sulayman: gli elementi
caratteristici di questa costruzione sono oggi riscontrabili in tutte le sedi
archeologiche achemenidi. Essi sono: mura di cinta; scalinate monumentali; ampia
terrazza artificiale sopraelevata su cui sorge la residenza reale, articolata
secondo lo schema delle tre porte monumentali;
apadâna, o sala
delle udienze, ipostila. Le grandi sale di questi palazzi, infatti, mostravano
quale elemento essenziale la colonna, che poteva essere: in legno su base di
pietra o interamente di pietra, parzialmente o completamente decorata, con fusto
molto alto e slanciato, talvolta assai sottile, e capitello in pietra, figurato
con immagini zoomorfe (per lo più di toro o di cavallo), su cui poggiava
la trabeazione. Il numero delle colonne, poi, tendeva ad aumentare in relazione
all'ampliarsi della sala stessa, per ottenere un effetto ottico di dissoluzione
delle pareti laterali. Ricorrenti, e di particolare riuscita nel complesso di
Persepoli, erano poi il gioco coloristico dell'alternanza di materiali bianchi e
neri, le immagini monumentali scolpite a incorniciare i grandi portali e le
decorazioni a bassorilievo, talvolta realizzate con mattonelle smaltate
policrome. L'elevazione della terrazza su cui sorgevano i complessi e
l'impostazione assiale sempre più accentuata di essi, in funzione della
visione frontale, contribuivano efficacemente alla celebrazione del potere regio
(V. anche PASARGADE,
PERSEPOLI E SUSA). Per quanto riguarda gli edifici religiosi degli
Achemenidi, gli esempi a noi noti consistono in una sorta di torre, a camera
unica e senza finestre, il cui scopo era la custodia del "fuoco perenne". I
monumenti funerari ebbero carattere ipogeo, in dipendenza sia dalla tradizione
meda sia, e forse in modo più rilevante, da quella egizia, come
dimostrano le tombe rupestri di Naqs-i-Rustam, le cui facciate riportano
decorazioni a bassorilievo tipiche anche dei palazzi reali. In questa
località furono sepolti Dario, Serse, Artaserse e Dario II. La tomba di
Ciro a Pasargade, invece, ha una struttura singolare: è una semplice
costruzione, coperta da un doppio tetto a spiovente, che si innalza su un
basamento sopraelevato cui si accede mediante sei gradini di altezza
decrescente. Essa rispecchiava, probabilmente, un tipo caratteristico di
abitazione delle popolazioni iraniche. La scultura, in età achemenide,
ebbe in prevalenza carattere celebrativo e decorativo, come si evince dai
bassorilievi, di grande raffinatezza e precisione, che adornano le scalinate e
le facciate dei palazzi, ritraendo i dignitari di ogni Nazione che portano i
propri omaggi al "grande re". Anche se è probabile una qualche influenza
dell'arte greca, è molto evidente in questo ambito la derivazione da
quella assira, in particolare per le immagini di tori, geni alati e
teratomachie. ║
Periodo partico: con la conquista di Alessandro e
la successiva dominazione seleucide, anche l'arte fu soggetta a ingerenze
massicce e si verificò una sostanziale ellenizzazione, a livello sia
architettonico sia plastico-figurativo. Ciò non impedì la
sopravvivenza di moduli ed elementi schiettamente iranici e di derivazione
achemenide (riconoscibili nel tempio di Kangavar, o nelle statue bronzee di
Shami), che in seguito resero possibile l'evolversi dell'arte partica in senso
stretto. I sovrani arsacidi, che si sostituirono ai Seleucidi, innestarono sulla
tradizione persiana precedente elementi propri delle province più esterne
del rinato Impero. I Parti eressero edifici di natura difensiva con torri a
pianta rettangolare o circolare (a Durnali) e costruirono città che, da
tali fortezze, mutuarono la pianta circolare (Nisa - la futura Ctesifonte -,
Merv, Hatra, ecc.), a sua volta ereditata dalla tradizionale disposizione delle
tende negli accampamenti ai tempi dell'antico nomadismo. Da un punto di vista
architettonico, in questo periodo si rileva una sostanziale sostituzione della
copertura a soffitto o a terrazza degli edifici con quella a volta (a botte o a
cupola). Creazione originale dell'architettura partica fu anche l'
ivan:
una sala con soffitto a volta e totalmente aperta sul lato frontale (nel palazzo
di Assur, su un cortile interno quadrangolare si aprivano quattro
ivan).
All'evoluzione della facciata come elemento frontale essenzialmente decorativo
si deve anche l'uso sistematico di stucco e pittura. Per quanto riguarda
l'ambito figurativo, si rilevano (soprattutto nei reperti scultorei di Palmira,
secc. II-III d.C.) elementi convenzionali e frutto di astrazioni canonizzate,
che provano una grande attenzione per la resa dei particolari, ancorché
non in senso realistico. La predilezione per la frontalità della figura e
il valore descrittivo della linea conferirono alle opere dei Parti un carattere
peculiarmente ieratico e alieno da qualsiasi naturalismo. Ricordiamo anche la
produzione di ceramiche smaltate nel caratteristico verde e verde-azzurro e di
mosaici pavimentali figurati (Urfa). Da questi ultimi, e dalle pitture rinvenute
a Dura Europos, è possibile ricostruire scene proprie del repertorio
eroico e epico contemporaneo. ║
Periodo sasanide: l'avvento della
dinastia sasanide, che fu la più "iranica" della storia persiana,
comportò una rinascita di carattere nazionale anche nell'arte. Pur
rifacendosi espressamente al periodo achemenide, i Sasanidi vi convogliarono
elementi sia orientali sia occidentali. La forte crescita urbanistica (per cui
vennero fondate città o ricostruite le antiche) portò a nuove
modalità di copertura degli edifici, a volta o a parabola, o a tipiche
cupole su ambienti quadrati sorrette da trombe angolari. Il materiale da
costruzione di gran lunga prediletto furono i mattoni, spesso ricoperti da
piastrelle smaltate per le decorazioni, per lo più a motivi floreali o
geometrici. Nei palazzi, l'
ivan diventò il vestibolo monumentale
che precedeva la sala vera e propria, mentre gli edifici (Firuzâbâd,
Bishapur, ecc.) acquisirono una attenta simmetria nella disposizione degli
ambienti. Templi e monumenti religiosi in genere non mostrano innovazioni
rispetto a quelli antichi, mentre ai Sasanidi si deve la realizzazione di
svariate opere pubbliche, quali strade e ponti (Sustar, Dizful). Anche i rilievi
monumentali rupestri, più frequenti nel Fars e spesso eseguiti accanto a
quelli achemenidi, si ricollegavano nei modi alla tradizione nazionale,
raffigurandone anche le scene. Le arti minori (ceramica, toreutica, tessitura)
produssero oggetti di grande valore e bellezza: coppe e piatti d'argento,
sigilli, cammei, sete preziose riccamente figurate. ║
Periodo
islamico: la conquista araba non determinò una vera rottura con il
passato, dal momento che gran parte del patrimonio, anche iconografico,
nazionale poté essere conservato se non per il proprio significato reale
o simbolico, almeno per quello decorativo. La continuità fu
particolarmente evidente, almeno fino all'XI sec., nelle arti minori. Dell'epoca
omayyade ci resta ben poco, mentre è possibile identificare uno stile
"ufficiale" abbaside (parte antica della moschea maggiore di Isfahan), che
inaugurò l'uso dell'
ivan nella moschea. In età selgiuchide
(secc. XI-XIII) si completò l'evoluzione dal tipo a sala ipostila a
quello a madrasa: fatta eccezione per l'evoluzione delle decorazioni e della
cupola, quest'ultimo rimase in auge nei templi islamici fino al XIX sec.; ad
essi furono inoltre affiancati i primi minareti (Damgham, Isfahan, ecc.). I
mausolei e i monumenti funebri evolsero o nel modello a torre o in quello a
cupola su base quadrata (
qubba). La decorazione parietale si
arricchì della tecnica a ceramica smaltata con invetriature metalliche.
La miniatura, curata a Baghdad fin dal XII sec., produsse anche in
P.
particolari scuole pittoriche: la perizia dei ceramisti persiani raggiunse
l'apice fra il XII e XIII sec. con Rayy e Kâshân. Probabilmente in
questo periodo ebbe inizio anche l'artigianato dei tappeti (che nel XV sec.
elaborò il modello classico a cartella, con motivi ornamentali disposti
simmetricamente rispetto al medaglione del centro). Sotto i Mongoli e i
Timuridi, la produzione artistica non subì variazioni sostanziali, anche
se, soprattutto l'architettura, indulse al monumentale e al grandioso: la cupola
si arricchì del tipo a bulbo, su alto tamburo, e nei mausolei si
sviluppò la tendenza alla monumentalità. Il mosaico di ceramica
raggiunse nuova perfezione negli edifici di Tabriz, Mashhad e Samarcanda.
Significativo incremento acquisì l'industria delle armi ageminate, mentre
la produzione della ceramica subì un arresto a causa della diffusione dei
prodotti cinesi. Anche sotto la dinastia savafide l'attività
architettonica e urbanistica fu particolarmente vivace: in ambito cultuale, le
moschee più importanti furono quella Reale e quella di Shaykh Lutf Allah,
a Isfahan. L'edilizia palaziale, invece, rispecchiò da una parte una
concezione di ascendenza nomadica dell'abitazione (il palazzo veniva diviso in
più padiglioni tra loro separati secondo funzioni disaggregate),
dall'altra fu esito di una maggiore sensibilità urbanistica, collegando
gli edifici tra loro all'interno di giardini e parchi e mediante ampie piazze.
La città di Tabriz ebbe fama mondiale come centro calligrafico, di
illustrazione dei Corani e della rilegatura. A partire dal XVIII sec. l'arte
persiana decadde in tutti i campi, perdendo la propria ispirazione originale e
accusando eccessivamente l'influsso occidentale.