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Pèrsia.

Regione storica dell'Asia sud-occidentale, coincidente, per gli storici antichi, con le regioni che costituivano l'Impero achemenide, il cui nucleo fu l'attuale Iran. Durante il Medioevo, date le condizioni politiche instabili, questo termine non indicò un'entità statale definita, ma piuttosto l'estensione territoriale corrispondente all'Impero sasanide (perciò comprensivo dell'Iran, ma anche dell'Afghanistan e del Belucistan). Gli Arabi insediatisi adattarono il nome originario in Fârs o Fârsistân: per questa ragione, con riferimento allo Stato iranico, in Occidente si utilizzò il nome P. fino al 1935. Da quella data, fu ufficialmente assunto quello di Iran, mentre l'antico Fârs passò a indicare solo una provincia interna del Paese. • Geogr. ed Econ. - V. IRAN. • St. - Preistoria: i pochi dati archeologici in nostro possesso non permettono di tracciare un quadro esaustivo della P. preistorica né sul piano cronologico né territoriale, soprattutto perché le zone interessate da ritrovamenti sono assai distanti fra loro. I reperti più antichi sono comunque databili al Paleolitico e al Mesolitico; in alcune località si può affermare la presenza di culture neolitiche preceramiche (forse dell'VIII-VII millennio a.C.). A partire dal V millennio, nella pianura e in particolare a Sialk, sono state identificate tre fasi protostoriche di civiltà, distinte fra loro dall'evolversi della tecnica ceramica, dall'uso sempre più frequente di mattoni, dall'introduzione del metallo, del tornio e dall'apparizione dei primi sigilli. Alla fine del IV millennio, a Susa si verificò uno iato culturale segnato dal passaggio da un tipo di ceramica policroma ad un altro, rosso, monocromo e analogo a quello proprio del periodo mesopotamico di Uruk IV; Susa evolse anche in seguito sotto l'influsso della Mesopotamia, elaborando una scrittura detta protoelamita (V. ELAM). Per quanto riguarda il III e il II millennio a.C., mentre le civiltà sumero-babilonesi grazie alla scrittura sono per noi indagabili storicamente, la P. ci è poco nota, ad eccezione delle informazioni che riguardano le popolazioni dei distretti di frontiera (Gutei, Cassiti, ecc.) che, esercitando una forte pressione sui Regni delle valli fluviali del Tigri e dell'Eufrate, furono oggetto di descrizione da parte delle fonti babilonesi. Solo l'Elam sviluppò una cultura propria, per la quale si rimanda alla voce specifica. ║ I Medi e la dinastia persiana achemenide: popolazioni indoarie (appartenenti al medesimo ceppo di lingua indoeuropea da cui si erano precedentemente distaccati i gruppi penetrati nelle valli dell'Indo e del Gange) occuparono l'altopiano iranico nel III millennio a.C. o, più probabilmente, nel corso del II millennio. Fra queste erano le stirpi dei Medi e dei Persiani, citate insieme per la prima volta in documenti assiri del IX sec. a.C., e presumibilmente in origine assai legate tra loro. Tale stretta connessione è testimoniata dal fatto che, quando i Medi (V.) furono sostituiti nell'egemonia dall'Impero persiano a partire dal VI sec. a.C., i Persiani continuarono tuttavia a essere indicati dai Greci con il nome di médoi. Inizialmente essi abitarono sedi attigue a quelle mede, nella zona settentrionale dell'altopiano, per poi trasferirsi verso Sud-Ovest, nella regione che i Greci chiamavano Perside e ancora oggi è il Fârsistân, confinante con l'Elam. Divisi in dieci tribù, i Persiani si inserirono nello scacchiere politico vicino-orientale nel VII sec. a.C., quando l'achemenide Ciro I (capo della tribù egemone dei Pasargadi) ottenne il trono, come vassallo del re assiro Assurbanipal III, della provincia elamitica di Anzan. Nel 626 a.C., in seguito alla ribellione contro il dominio assiro guidata dal re medo Ciassarre e dal re di Babilonia Nabopolassar, gli Achemenidi si dichiararono tributari dei Medi, mantenendo così il titolo di re di Anzan anche dopo la caduta dei re di Ninive. Cambise I riuscì a imparentarsi con la famiglia imperiale meda sposando la figlia del re Astiage: da loro nacque Ciro II che, occupato il trono di Anzan nel 557 a.C., nel 549 a.C. spodestò il nonno Astiage e sostituì l'egemonia dei Medi sulla regione con quella del suo popolo. La capitale meda Ecbatana diventò residenza estiva, l'antica città di Pasargade una sorta di località sacra della storia achemenide (dove Ciro stesso volle erigere il proprio monumento funebre) e Persepoli fu costruita per essere capitale del nuovo Stato: le tavolette babilonesi già nel 546 citavano per la prima volta i re di P. I Regni di Lidia, Babilonia ed Egitto, che con i Medi si erano di fatto spartiti i territori del precedente Impero assiro, temendo che i nuovi dominatori intendessero infrangere l'equilibrio raggiunto, pensarono di prevenire le loro mosse, attaccandoli, con l'esercito del re di Lidia Creso, in Cappadocia (560 a.C.). L'esito fu opposto: nel 547 a.C. Ciro conquistò la capitale lidia, Sardi, annettendo tutta l'Asia Minore e ricevendo come tributarie anche le città greche delle coste. In breve poté conquistare anche le province orientali di Sogdiana e Battriana e rivolgersi contro Babilonia (539 a.C.), acquisendo contemporaneamente autorità sui territori di Siria, Fenicia e Palestina che di quella città erano stati tributari. Ciro si dedicò, fino alla morte avvenuta nel 529 a.C., al riassetto interno e amministrativo dell'Impero che già si estendeva dal Mar Egeo alla Battriana, dal Caucaso alla Palestina. Suo figlio Cambise conquistò l'Egitto e la Cirenaica (525 a.C.), disperdendo l'esercito del faraone Psammetico III. In seguito egli progettò di ampliare i propri domini in Africa, inviando un esercito ad attraversare il deserto libico alla conquista di Cartagine, e guidandone un altro verso l'Etiopia. Fallì in tutti e due gli obiettivi, mentre, al contrario, la vasta compagine dell'Impero mostrava segni di disgregazione con rivolte in Elam, Armenia, Media e Babilonia. Cambise morì nel 522 a.C., forse ucciso, senza figli. La successione fu offerta a un membro del ramo cadetto degli Achemenidi, Dario I (522-485 a.C.), che in breve riportò all'obbedienza tutte le popolazioni dell'Impero. Partendo dalle regioni orientali intraprese la conquista dell'alta valle dell'Indo e di tutta la sua riva destra: fu in questa occasione che Scilace di Carandia discese l'Indo fino alla foce e, giunto all'Oceano Indiano, diresse verso Occidente, costeggiò la penisola arabica e toccò l'Egitto passando dal Mar Rosso. Sono utilizzabili come fonti per ricostruire storicamente il Regno di Dario, oltre a quelle greche, le stesse iscrizioni volute dal sovrano, in particolare le epigrafi di Bisutun e di Persepoli. Da queste si ricavano, fra l'altro, elementi assai importanti relativi allo Zoroastrismo, religione adottata dagli Achemenidi. Regioni e popoli sottomessi furono organizzati e ripartiti in 20 satrapie, collegate tra loro da una efficiente rete stradale e governate da satrapi locali, ma saldamente legati al potere centrale del re mediante il controllo operato da una speciale casta di "ispettori". Tentazioni autonomistiche erano inoltre impedite anche dalla dipendenza diretta dal re dei comandanti le guarnigioni locali. Il sistema da una parte assicurava una relativa prosperità alle popolazioni e dall'altra, mediante i tributi e le prestazioni di lavoro obbligatorie, garantiva un gettito economico ingente che sosteneva la vita di corte, la realizzazione di opere pubbliche e soprattutto l'imponente attività edilizia delle residenze di Susa, Ecbatana, Persepoli. A Occidente Dario passò il Bosforo e si assicurò il controllo degli stretti, occupando Tracia e Macedonia: la penetrazione persiana in Europa e l'occupazione dell'Ellesponto allarmò ulteriormente i Greci, che già mal tolleravano l'influenza da quelli esercitata sulle coste ioniche dell'Asia Minore e addirittura su un certo numero di isole quali Samo, Lesbo, Rodi, ecc. Per quanto riguarda le lotte tra le città greche e Dario (e poi suo figlio Serse), note come guerre persiane: V. PERSIANO. Il tentativo di espansione ai danni dei Greci, comunque, fallì sia con Dario (sconfitta di Maratona, 490 a.C.) che morì nel 485 a.C., sia con il suo successore Serse (sconfitta di Salamina, 480 a.C., e di Platea, 479 a.C.) e anzi indebolì il dominio persiano sull'Asia Minore. Morto Serse nel 465 a.C., gli successe Artaserse I: egli si trovò ad affrontare una rivolta in Egitto (459 a.C.), apertamente sostenuta dai Greci che, facendo base a Cipro, schierarono una loro flotta presso il Delta. Tuttavia la lega greca fu battuta, la rivolta sedata (454 a.C.) e Cipro occupata dai Persiani. Nel 450 a.C. i contendenti firmarono un accordo (pace di Callia), secondo il quale i Greci si sarebbero astenuti da interventi a Cipro e in Egitto, mentre i Persiani avrebbero rinunciato alle coste ioniche ellenizzate e a circolare nell'Egeo. Tuttavia, nel 424 a.C. Dario II (successore di Serse II, che aveva regnato brevemente) si avvide che Atene, indebolita dalla guerra contro Sparta, non disponeva di forze sufficienti a impedire che i satrapi di Ionia e Frigia pretendessero tributi dalle colonie elleniche. Ebbe inizio in questa occasione l'ingerenza diretta del re persiano nelle vicende belliche e politiche della Grecia: mediante finanziamenti ora a Sparta ora ad Atene, Artaserse mantenne viva la lunga guerra del Peloponneso, cercando di stabilizzare la propria egemonia sull'Asia ellenica. Egli stesso, d'altra parte, fu costretto a difendersi dal tentativo di usurpazione, a sua volta sostenuto dagli Spartani, da parte di suo fratello Ciro il Giovane: riuscì però a sconfiggerlo nella battaglia di Cunassa (401 a.C.), cui partecipò anche lo storico greco Senofonte. Con la pace di Antalcida (386 a.C.), Atene e Sparta furono costrette ad accettare la sovranità persiana sulle colonie greche dell'Asia Minore, formalmente libere e autonome (anche se costrette ai tributi), fatto salvo il divieto di costituire federazioni. Gli ultimi anni del Regno di Artaserse II, tuttavia, furono segnati da una serie di sommosse in diverse satrapie, a riprova della progressiva perdita di coesione fra le province dell'enorme Impero. ║ Decadenza degli Achemenidi e conquista di Alessandro: Artaserse III salì al trono nel 358 a.C., e la sua azione di governo fu soprattutto indirizzata a sedare rivolte e a stornare minacce esterne, ora con le armi ora con il denaro. Nel medesimo periodo, Filippo II di Macedonia operava in Grecia al fine di raccogliere sotto la sua egemonia le città greche, mirando anche al controllo di quelle d'Asia. Nel 338 a.C. Artaserse fu ucciso e, mentre si consumavano le lotte di palazzo per la successione, Filippo inviò truppe sulle coste ioniche perché facessero da testa di ponte per spedizioni successive. Tuttavia Filippo morì nel 336 a.C., dando agio ai Persiani di scegliere come re Dario III, mentre Alessandro saliva al trono in Macedonia. Mentre quest'ultimo riaffermava la supremazia macedone nella Grecia continentale e in Tracia, i Persiani si prepararono alla guerra. Dopo una serie di scontri isolati e tattici, nel 333 a.C. ad Isso si svolse la battaglia decisiva fra le truppe persiane e quelle di Alessandro che già stavano per penetrare in Siria. Con la vittoria il Macedone dilagò in Fenicia, Palestina, Egitto e, rifiutata la proposta di pace offerta da Dario III, lo sconfisse nuovamente a Gaugamela nel 331 a.C. Susa e Persepoli caddero in mani greche, mentre Dario cercava di organizzare la resistenza in Battriana: tuttavia fu ucciso da una congiura, il cui capo Besso, proclamato re, fu presto battuto. La morte precoce di Alessandro Magno (323 a.C.), non consentì che fosse neanche iniziato un processo di integrazione politico-culturale tra la parte macedone e quella persiana del nuovo Impero e, nel giro di breve tempo, esso fu ripartito tra i diadochi: a Seleuco e ai suoi successori, spettarono la Media e le province orientali. ║ I Seleucidi e i Parti: lo smembramento dell'Impero seleucide ebbe inizio già con il suo eponimo Seleuco, che cedette la Pentapotamide (cioè il Punjab) all'indiano Candragupta Maurya e al governatore di Pergamo la provincia omonima, destinata a diventare uno Stato assai potente dell'Asia Minore. Nel 278 a.C., la Frigia settentrionale cadde nelle mani di popolazioni celtiche, mentre nel 254 a.C. Battriana, Sogdiana e altri territori dell'estremo Est costituirono il Regno indo-greco di Battriana, la cui importanza fu massima per quanto riguarda la penetrazione della cultura greca in Asia; quest'ultimo nel corso dei decenni si scisse in più principati che, nel 126 a.C., furono invasi dagli Sciti. Più a Occidente, nel 248 a.C., la Partia si sollevò ad opera di Arsace, da cui ebbe inizio la dinastia arsacide. I Parti, antica popolazione iranica stanziata nel territorio fra l'Elburz e l'Amu Darya, il Caspio e il deserto centrale, erano già menzionati nelle iscrizioni achemenidi e a quella tradizione si volevano riconnettere direttamente: assoggettarono nel tempo la maggior parte dell'antico Impero persiano (Media, Persia, Mesopotamia, e le regioni dipendenti dalla Battriana), collegando ancora una volta nella storia la valle dell'Indo a quella dell'Eufrate. L'Impero arsacidico (mantenutosi fino al III sec. d.C.) fu per cinque secoli il più vitale e aggressivo avversario orientale prima dei Seleucidi, poi di Roma. Tra i principali sovrani arsacidi ricordiamo: Mitridate I (175-138 a.C. circa), che fu il vero artefice della potenza di quello Stato, annettendo ad esso il Regno greco-battriano; Orode I (57 a.C.- 37 d.C.), vincitore di Crasso a Carre (53 a.C.); Vologese I (51-77 d.C.), che condusse la guerra contro Roma per il controllo dell'Armenia. Artabano V (m. 224), ultimo Arsacide, fronteggiò Caracalla, ma fu sconfitto dal nuovo pretendente sasanide (V. anche PARTI). ║ I Sasanidi: Ardashir fu iniziatore della nuova dinastia, che deve il nome a Sasan, sacerdote a Persepoli di cui era il nipote. Egli, avendo la Perside come base, si ribellò ad Artabano e nel 226 d.C. conquistò la capitale partica Ctesifonte: a poco a poco ridusse in suo potere tutti i territori arsacidi, ad esclusione dell'Armenia. La dinastia sasanide, che riportò in vita numerose tradizioni del periodo achemenide ed in particolare lo Zoroastrismo, ebbe carattere fortemente nazionale. L'Impero ebbe durata di circa quattro secoli, continuando la diuturna lotta già sostenuta dai predecessori contro Roma e, dal V sec. d.C., contro Bisanzio. Per quanto riguarda gli aspetti amministrativi e organizzativi dello Stato e gli eventi ad esso interni, questo periodo ci è abbastanza noto grazie a fonti greche, sire, armene e arabe, oltre che per i resti della letteratura nazionale medio-persiana e i documenti epigrafici. La contesa con Roma, almeno inizialmente, fu tutta concentrata a ottenere il possesso dell'Armenia, da entrambe le parti considerata vitale per la sicurezza dei confini: la conquistò Sapore I nel 241, cercarono di riconquistarla gli imperatori romani Valeriano (fatto prigioniero nel 260) e Aureliano, mentre Diocleziano la contese al sasanide Narses (o Narsete). Fra i successori di quest'ultimo, ebbe un certo rilievo Sapore II, che regnò dal 310 al 379. Combatté, con alterna fortuna, contro Costantino, Costanzo, Giuliano e solo con quest'ultimo riuscì a concludere un accordo che gli riconobbe il possesso dell'Armenia e dell'attuale Georgia. A partire dall'imperatore Bahrâm V (420-38), i confini nord-orientali dell'Impero cominciarono a essere minacciati dalle prime popolazioni turche, gli "unni bianchi", penetrate in Battriana. Furono respinte da Bahrâm, come anche dal suo successore Jazdagart II; entrambe però dovettero fronteggiare anche i Bizantini, che muovevano in aiuto dei cristiani perseguitati in P. Gradatamente, tuttavia, principali avversari dello Stato sasanide divennero i Turchi, dal momento che anche Romani e Bizantini erano occupati a difendere i propri confini. I Sasanidi si adoperarono per una piena restaurazione della tradizione religiosa zoroastriana, facendo del Mazdeismo la religione di Stato, fissando un canone sacro e organizzando una classe sacerdotale, che fu sempre avversa al Cristianesimo e alle nuove eresie dualistiche (Manicheismo, Mazdachismo). Figura di particolare levatura nella dinastia sasanide fu Khusran I Anûsharwân (531-579), contemporaneo e antagonista di Giustiniano: il Paese conobbe durante il suo Regno il più alto grado di potenza politica e di splendore culturale (intrecciandosi le suggestioni provenienti dall'India, dalla Cina e, anche se in grado minore, dalla filosofia e dalla scienza ellenistiche). Questo sovrano e i suoi successori contesero ai Bizantini le province più orientali del loro Impero, arrivando a conquistare Gerusalemme e a minacciare la stessa Bisanzio, avvicinandosi al Bosforo. Tuttavia il contrattacco dell'imperatore d'Oriente Eraclio (628), che avanzò fin nell'interno della P., condusse lo Stato sasanide a una serie di crisi dinastiche, economiche e sociali che lo lasciarono esposto, praticamente indifeso, all'offensiva degli Arabi. Dopo una prima sconfitta nel 634 e una seconda, e definitiva, nel 642, la P. diventò dominio arabo. ║ L'invasione araba: condotta dai primi successori di Maometto, i califfi 'Omar e 'Othman, la conquista araba della P. poté dirsi sostanzialmente compiuta intorno al 650, ad esclusione di alcune zone impervie sul litorale caspico. La religione etnica dei Sasanidi fu scarsamente tollerata dai conquistatori (al di là delle dichiarazioni di principio) e solo presso comunità isolate, che riuscivano a mantenere una parziale autonomia dal potere centrale arabo, il Mazdeismo continuò a essere praticato. Fu durante i primi secoli della dominazione islamica (durante i quali la maggior parte della popolazione si convertì alla nuova religione) che si verificò la migrazione verso l'India di gruppi di fedeli, i cui discendenti costituiscono oggi le comunità Parsi (V.) del Sud dell'India. La P. diventò una provincia dell'Impero omayyade, marca di frontiera per un'ulteriore espansione verso Est e, benché si fosse realizzata una certa fusione tra la civiltà maomettana e le cultura persiana, fu una ribellione scoppiata a metà dell'VIII sec. nel Khorâsân che abbatté i califfi Omayyadi (661-750) e li sostituì con gli Abbasidi (750-1258). Anch'essi erano arabi, ma si appoggiarono a forze militari e civili iraniche e il loro Governo favorì nettamente quella componente dell'Impero. Sotto il dominio abbaside, in P. si formarono alcune autonomie periferiche (Khorâsân e Traxosiana), rette da dinastie minori, che prefigurarono lo sfaldamento nell'Islam del califfato unitario. La più importante fra esse fu l'etnia iranica dei Samanidi (X sec.), con capitale Buchara, che contribuì a un recupero della coscienza nazionale e culturale persiana, sia pure entro il quadro ormai stabile della Nazione e cultura musulmane. Ai Samanidi successero i Gasnavidi (secc. X-XI), Turchi di stirpe ma culturalmente iranizzati, come furono anche i Selgiuchidi (V.), il cui avvento a metà dell'XI sec. agglutinò una realtà politico-territoriale unitaria fra le province orientali del califfato e inaugurò un periodo di grande floridezza economica e culturale nella P. islamizzata. Lo Stato selgiuchide, che presto si divise territorialmente secondo rami autonomi della casata, crollò verso la metà del XII sec., dapprima a causa di dinastie turche minori, poi per la penetrazione mongola. ║ I mongoli: da Gengis Khân a Tamerlano: l'invasione mongola iniziò intorno al 1220, devastando la P. e distruggendo sia le popolazioni sia le città. Anche questi popoli barbari si assimilarono in breve alla superiore civiltà islamica e tanto lo Stato mongolo degli Ilkhân (1256-1349) fondato da Hulagu - che pose termine anche al superstite califfato abbaside di Baghdad - quanto quello dei Timuridi (1369-1494) - successivo alla conquista di Tamerlano che fece della P. una provincia del suo Impero con capitale a Samarcanda - assicurarono alla P. una rinnovata prosperità. Ilkhân e Timuridi furono dunque dinastie musulmane ma culturalmente persiane, di cui si dimenticò presto l'origine barbarica. Ai Timuridi, fra cui ricordiamo in particolare Timur (m. 1405 d.C.), seguirono in P. alcuni anni di anarchia e di frazionamento territoriale (dinastie di origine turca degli Aq Qoyûnli e Qara Qoyûnli). ║ La dominazione turca: la P. fu riunificata, a cavallo tra il XV e il XVI sec., dalla dinastia turca dei Safavidi (1502-1736 ), iniziata da Isma'il. In questo periodo la P. si convertì all'Islamismo di tipo sciita, che aveva sempre goduto di favore presso le popolazioni iraniche, scelto anche in funzione di contrapposizione politica all'Impero ottomano sunnita. Tra i sovrani di maggiore spicco ricordiamo 'Abbas il Grande (1587-1629), durante il cui Regno ebbero luogo numerosi contatti con Stati europei. Nella prima metà del XVIII sec. lo Stato safavide fu travolto da un'invasione afghana, cui si aggiunsero interventi sia ottomani sia russi, volti alla conquista dei territori più occidentali. Il Regno di P. si ricostituì un'altra volta nel 1738 ad opera di un turco sunnita del Khorâsân: Nadir, che riconquistò il Paese agli Afghani. Alla sua morte (1747) seguirono nuove lotte civili e l'affermarsi di una dinastia (degli Zand, 1750-94) che fu a sua volta soppiantata da quella dei Cagiari, sempre di origine turca: essi governarono la P. fino al 1925. Si trattò di un periodo caratterizzato da oppressione interna e attacchi stranieri all'unità territoriale (soprattutto da parte britannica e russa). Durante il Regno di Nâsir ad-dîn Shâh (1848-96), la P. visse una grave condizione sia sul piano economico e interno sia su quello internazionale: tuttavia fu proprio all'inizio del XX sec. che gruppi di intellettuali laici si adoperarono per l'ottenimento di una Costituzione (1906). Durante la prima guerra mondiale tale processo di emancipazione e modernizzazione fu interrotto (nonostante la proclamata neutralità la P. fu infatti invasa da entrambi gli schieramenti belligeranti) per riprendere in seguito. Per la storia del XX sec.: V. IRAN.
L'impero persiano dal VI al V sec. A.C.

L'impero persiano di Alessandro


LINGUA

Le lingue storicamente collegate alla P. appartengono alla famiglia indoeuropea, in particolare al ramo detto indoario o iranico di tale gruppo. Da un punto di vista filologico è necessario distinguere tre grandi fasi. 1) La fase più antica (secc. VII-IV a.C. circa) è attestata dal persiano antico, in iscrizioni cuneiformi di epoca achemenide, sia rupestri sia su tavolette. Esso fu infatti la lingua ufficiale dell'Impero, insieme ad accadico ed elamita, come mostrano le iscrizioni trilingue di Ciro a Pasargade o di Dario a Bisutun, Persepoli e Susa. A questa medesima fase appartenne anche l'avestico, la lingua in cui fu redatto l'Avesta, testo sacro allo Zoroastrismo, a sua volta comprendente il dialetto gathico (cosiddetto perché attestato nelle Gâthâ, le composizioni più antiche), molto vicino al vedico e dunque al momento in cui le popolazioni indoarie si divisero per occupare le rispettive sedi storiche. 2) Una fase intermedia (compresa tra il III sec. a.C. e l'invasione araba del VII sec. d.C.) è testimoniata sia da iscrizioni rupestri sia da documenti letterari di vario genere. La lingua di maggiore rilevanza è il medio persiano o pahlavî, nelle sue varianti nord-occidentali (arsacidico o partico) e sud-occidentali (sasanidico), che si è dimostrato l'anello di congiunzione tra fase antica e moderna. Per quanto riguarda le regioni orientali, sono attestati invece sogdiano e khorezmico, che ebbero evoluzione autonoma. 3) La fase moderna è attestata fin dal X sec., favorita da una promozione sul piano letterario in quanto lingua autoctona da opporre e sostituire all'arabo. Il neopersiano, direttamente connesso al pahlavî, divenne la lingua nazionale dell'Iran, dove è ora detto fârsi, e, scarsamente modificato, di alcune regioni dell'Afghanistan (darsi) e del Tagikistan (tagico). Altre lingue moderne che appartengono a questo gruppo sono: il pashto (parlato nelle zone meridionali dell'Afghanistan), l'osseto (parlato nelle regioni caucasiche), il curdo (parlato dalla popolazione omonima stanziale nel Kurdistan, territorio attualmente spartito tra diversi Stati), ecc. La contiguità fra queste lingue e la civiltà islamica ha fatto sì che esse, pur essendo indoeuropee, fossero scritte con alfabeto arabo e che sul piano lessicale si siano ampiamente arabizzate; ma allo stesso modo ad esse si devono gli elementi iranizzati presenti nelle parlate arabe della regione.

LETTERATURA

La prima opera letteraria persiana nota è l'Avesta (V.), testo sacro dello Zoroastrismo che, nella sua sezione più antica delle Gâthâ (VII a.C.), è possibile far risalire allo stesso Zoroastro. Essenzialmente coevi sono gli Yasht: inni che, a differenza delle altre sezioni del testo, risultano in certa misura contaminati da residui della precedente tradizione iranica, con elementi mitologici, epici e naturalistici che furono ripresi nella produzione di autori posteriori. Le testimonianze letterarie in antico persiano si esauriscono invece nelle iscrizioni achemenidi, abbastanza numerose, il cui valore è tuttavia storico-linguistico più che artistico. Dopo la battaglia di Gaugamela (331 a.C.), la P. conobbe un periodo di ellenizzazione culturale, prima con Alessandro, poi con i Seleucidi e gli Arsacidi. Non ci sono note direttamente opere relative al periodo arsacidico, ma la produzione successiva, coeva all'Impero sasanide, fa supporre uno sviluppo coerente e lineare rispetto a un'attività precedente di epoca arsacide. Sotto i Sasanidi il Mazdeismo fu assunto come religione di Stato e, coerentemente, gran parte della produzione letteraria si orientò a temi e argomenti di carattere sacro, utilizzando per la redazione il medio-persiano o pahlavî. A quest'epoca risale lo Zend: un commentario al testo avestico (più volte tradotto nel medesimo periodo) che, col tempo, fu sentito come inscindibile da esso. Tra i numerosi trattati a carattere enciclopedico, teologici o edificanti, ricordiamo in particolare il Denkart, compreso nel più vasto Bundahishn, che raccolse numerose leggende (secc. III-IX d.C.). Rispetto alla produzione reale, sono poche le opere in pahlavî di argomento profano che ci sono giunte; fra esse ricordiamo: ampi frammenti di codici di diritto privato in vigore in epoca sasanide; manuali sul gioco degli scacchi, epistolari, glossari e due brevi romanzi epico-cavallereschi. L'Ayatkâr i Zarerân narra le imprese del re Vishtâsp e di suo fratello Zarer in difesa della fede zoroastriana; il Kârnamak i Ardashîr i Pâpakân è invece il racconto e la celebrazione delle imprese del fondatore della dinastia sasanide. La letteratura pahlavî continuò per un breve periodo anche dopo la conquista araba, durante una fase di transizione in cui si formò e poi si venne affermando la nuova forma linguistica neopersiana, espressione di forme e tradizioni della P. islamica. La letteratura neopersiana si può dividere, a grandi linee e secondo i momenti storici, in tre grandi periodi: 1) coevo al califfato abbaside (e alle diverse dinastie locali), tra l'VIII e la prima metà del XIII sec.; 2) coevo alla dominazione mongola, tra la seconda metà del XIII sec. e il principio del XV sec.; 3) moderno, dal XV sec. ai giorni nostri. I primi due periodi sono anche definiti come "classici". Per quanto riguarda i generi letterari, invece, possiamo individuare: il lirico-panegiristico (qaside e ghazal), l'epico-romanzesco e didattico (masnavi), le quartine (roba'i), la prosa. Il primo genere letterario che si sviluppò a partire dalla dominazione islamica fu la lirica, fiorita nei secc. IX e X soprattutto grazie alle numerose corti locali. Essa, praticata da un'élite di poeti, ebbe carattere cortigiano e colto e inizialmente cercò di riprodurre in lingua persiana modelli arabi, ma presto raggiunse una propria originalità. Particolarmente curata alla corte dei Samanidi, la lirica passò dal tipo a panegirico (qaside) a una poesia in grado di esprimere concetti filosofici (ad esempio, con il poeta Nâser e Khosraw, 1000 circa) e religiosi (con i mistici Sana'i e Farîd ud Dîn Attar, XIII sec. circa), in cui strofe e versi raggiunsero una grande musicalità. Gradatamente altri temi, oltre a quelli mistico-religiosi, furono introdotti da poeti come Sa'dî (XIII) e Hâfez (XIV sec.): all'amore sacro fu unito quello profano, mentre descrizioni di tipo naturalistico, riflessioni intimistiche e psicologiche, ecc. trovarono spazio nella conchiusa misura metrica del ghazal (costituito da una dozzina di distici). Degni di nota, nel panorama della lirica classica in P., furono anche Zakânî, che compose satire pungenti e scherzose, e Giâmi (vissuto durante il periodo timuride), che compose celebri versi d'amore e di argomento moraleggiante. La produzione di quest'ultimo autore si colloca però in posizione intermedia rispetto al genere epico romanzesco. Il genere epico è caratterizzato dall'uso del metro masnavi (in cui ogni emistichio è rimato con il suo omologo e ogni verso ha rima diversa): benché sia nota una precedente composizione di questo tipo (un trattato di medicina dei primi anni del X sec.), la prima opera masnavi unanimemente riconosciuta è lo Shâhnâme (Il libro dei Re) di Firdûsî (m. 1020 circa), artista vissuto in epoca gasnavide. Egli rivisitò e traspose in versi le traduzioni, che circolavano in prosa neopersiana, dell'epopea nazionale già codificata in testi sasanidi. Risultò da questo lavoro un poema epico dedicato alla P. preislamica che rimase come modello insuperato nella cultura iranica in senso lato. Tra l'epoca di Firdûsî e quella di Giâmi (e cioè dall'XI al XV sec.) si sviluppò, nella letteratura persiana, l'epopea classica: nell'XI sec., As`ad Gurgâni narrò in versi la leggenda di Vīs u Râmîn, di origine partica e d'argomento curiosamente affine a quella bretone di Tristano e Isotta. Romanzi masnavi compose anche il sensibile e raffinato Nizâmî (XII sec.): la sua Khamsa (Quintetto di poemi) formalizzò in un racconto di sapore classico numerose e popolarissime leggende arabe e iraniche, racconti storici e popolari, vicende amorose e introspezioni psicologiche, coagulando tutto in cinque poemi tra loro legati. Nel XIII sec., la forma metrica del masnavi fu utilizzata da altri autori anche in senso didattico o mistico-allegorico, per esempio nel Masnavi ye Ma'navi (Poema spirituale) di Rûmî: un commento al Corano, arricchito da aneddoti, fiabe, leggende, tradizioni relative alle vite di "santi" o a quella del Profeta. L'opera di Rûmî rimase a lungo riferimento normativo per il Sufismo persiano. Tra coloro che furono attivi anche come lirici ghazal, Sa'dî compose due poemi: Bustân (Giardino) in versi, e il Gulistân (Roseto), misto di prosa e versi; Giâmi si ispirò invece a temi della storia sacra. Di particolare interesse, nell'ambito della produzione classica in versi della P. islamica, è l'opera di 'Omar Kayyam, poeta, filosofo e scienziato, cui si attribuisce un ampio corpus di quartine (roba'i), fra i migliori di questo genere. La roba'i è una misura metrica che affiancò quelle già citate, particolarmente adatta a composizioni brevi, chiuse in sé e circolari, epigrammatiche. Poteva assumere quattro forme: litanica, cioè rimata in modo elementare; quadrata, in cui ogni verso esprime un concetto ulteriore; triangolare (classica), in cui i primi due versi introducono il tema trattato, il terzo (non rimato) un contenuto differente e il quarto si ricollega e conclude quello dei primi due; parallela, in cui i versi si legano a coppie per esprimere due concetti diversi. A causa del campo espressivo che la poesia ebbe in P., assai più vasto rispetto a quello occidentale in quanto vi si trattavano anche argomenti didattici, scientifici, religiosi, filosofici, ecc., la prosa fu sentita a lungo come un genere minore. I primi componimenti di epoca classica si ebbero sotto i Samanidi, con modesti adattamenti di opere arabe per lo più di tipo cronachistico. Nei secoli seguenti (secc. XI-XII), si svilupparono la favolistica, spesso di ascendenza indiana, la trattatistica scientifico-astronomica, politica, etica, parenetica, i libri di viaggio, ecc. Durante la dominazione mongola fiorì particolarmente la storiografia: la Storia di Gengis Khân di Giuwaimî, e una ponderosa Storia universale, compilata da Rashid-ad-Dîn Fadl Allâh, sono considerate come i due capolavori di questo ambito. Già nel periodo seguente (XV sec.), tuttavia, la prosa raggiunse il limite estremo di una tendenza (che pure da sempre gli era propria) alla ridondanza e all'artificio. Il XVI sec. segnò in generale un ripiegamento di tutti i generi su modelli e contenuti di estrema ripetitività rispetto al passato classico, cui seguì un altrettanto diffuso decadimento degli stessi, che si protrasse nei secoli successivi. Solo durante il XIX sec., grazie a contatti più stretti con la letteratura occidentale e alla conoscenza di modelli culturali alternativi agli artisti classici della tradizione nazionale, fu molto avvertita la necessità di semplificare tanto la lingua quanto lo stile espressivo della prosa. Ciò fu realizzato in larga parte, durante l'Ottocento, soprattutto a Teheran e in relazione a quei generi letterari che maggiormente si prestavano a questo tipo di evoluzione: diaristica e cronachistica (aiutate anche dalla comparsa nella capitale dei quotidiani) e nel teatro, genere che si era mantenuto più vitale di altri grazie allo stretto contatto con la tradizione popolare. Sullo scorcio di quel secolo e nei primi anni del XX sec., il legame tra cultura e risveglio politico (di cui è un esempio la lotta degli intellettuali per ottenere la Costituzione) ebbe benefici effetti anche in campo letterario, come dimostra lo sviluppo della prosa in genere, del romanzo e della pubblicistica in particolare. Anche la poesia partecipò al rinnovamento di contenuti e/o di forme, molto spesso su influenza delle coeve esperienze romantiche e simboliste europee. Durante il XX sec., tuttavia, le sperimentazioni letterarie, tese a svincolare l'espressione da rigidi canoni stilistici, furono ripetutamente attaccate dagli epigoni della tradizione classica. L'avvento della Repubblica islamica nel 1979, lungi dal liberare energie di cambiamento o genuine capacità di rievocare il passato, ha gravemente nuociuto con la censura al progresso della letteratura.

RELIGIONE

Di religioni propriamente a carattere nazionale o regionale si può parlare, in P., solo per quanto riguarda le epoche antecedenti la conquista araba (VII sec.). Infatti, in seguito, l'islamizzazione della regione fu quasi totale. La fase più antica del pensiero religioso persiano fu di tipo politeista: di essa possiamo ricostruire solo indirettamente alcune caratteristiche. Qualche elemento ci è fornito dalla pars destruens della riforma zoroastriana, che appunto volle opporre una nuova religione a quella tradizionale: da essa ricaviamo l'esistenza di una originale pluralità di dei e di demoni; la pratica di sacrifici cruenti, ecc. Attraverso la comparazione con l'antica religione vedica è inoltre possibile rintracciare caratteri propri del momento indoiranico della religione tradizionale, anteriore cioè alla divisione di quelle popolazioni nelle due diverse sedi storiche iraniche e indiane. Il Vedismo e il sostrato politeista persiano, che affiora nonostante tutto anche nello Zoroastrismo, presentano alcuni elementi comuni, quali: alcune figure divine o comunque numeniche (ad esempio Mitra); elementi rituali (ad esempio il soma vedico corrispondente all'haoma avestico, o la centralità del fuoco nel rito e nel culto), ecc. Lo Zoroastrismo, elaborato ad opera del profeta Zoroastro nel VII sec. a.C. (V. MAZDEISMO), rappresentò la vera e propria religione nazionale e originale della P. ed esercitò una grande influenza anche rispetto alle altre religioni monoteiste, a partire dall'Ebraismo e dallo stesso Islam. Inoltre la sua concezione dualistica dell'universo e della creazione fu alla base anche di alcuni sincretismi religiosi (quali il Mitraismo del mondo greco-romano), del Manicheismo e di numerose dottrine gnostiche orientali.

ARTE

Un linguaggio artistico e figurativo si formò in P. sin dall'età preistorica, sia autonomamente sia accogliendo le suggestioni delle più significative esperienze culturali, del Vicino Oriente prima e dell'Occidente greco e islamico poi. I ritrovamenti ceramici costituiscono le prime testimonianze tanto storiche quanto artistiche della regione. La ceramica decorata di Syalk risale al V-IV millennio a.C., mentre nel III millennio, a Susa, la cultura elamita produsse un tipo originale di vasellame con dipinti zoomorfi stilizzati. Il massimo splendore artistico fu però raggiunto dall'Elam nel XIII sec. a.C., con la costruzione di ziqqurat e la produzione di oggetti fittili in bronzo. Le prime tribù indeuropee si affacciarono sull'altopiano iranico alla fine del II millennio a.C.: del graduale processo di sedentarizzazione, di queste e delle popolazioni che giunsero in seguito, sono testimonianza le necropoli di alcuni centri. A Medi e Persiani, comunque, potrebbero risalire i cosiddetti bronzi del Luristan. Per quanto riguarda l'arte meda: V. MEDI. ║ Periodo achemenide: l'arte del primo Impero persiano ebbe essenzialmente carattere aulico, ruotando unicamente intorno alla figura del sovrano e alla sua azione. Poco ci è rimasto delle arti minori (vasellame, piccoli bronzi, gioielli, armi, ecc.), mentre sono imponenti le testimonianze architettoniche e le decorazioni a bassorilievo. I monumenti achemenidi, pur denunciando evidenti legami con quelli vicini (soprattutto mesopotamici, babilonesi ed egizi, ma anche elamitici e di Urartu), furono il prodotto di un sincretismo tanto coerente da sortire opere di indubbia originalità. Il tipo del palazzo fortificato ebbe il suo primo esempio noto a Masgid-i-Sulayman: gli elementi caratteristici di questa costruzione sono oggi riscontrabili in tutte le sedi archeologiche achemenidi. Essi sono: mura di cinta; scalinate monumentali; ampia terrazza artificiale sopraelevata su cui sorge la residenza reale, articolata secondo lo schema delle tre porte monumentali; apadâna, o sala delle udienze, ipostila. Le grandi sale di questi palazzi, infatti, mostravano quale elemento essenziale la colonna, che poteva essere: in legno su base di pietra o interamente di pietra, parzialmente o completamente decorata, con fusto molto alto e slanciato, talvolta assai sottile, e capitello in pietra, figurato con immagini zoomorfe (per lo più di toro o di cavallo), su cui poggiava la trabeazione. Il numero delle colonne, poi, tendeva ad aumentare in relazione all'ampliarsi della sala stessa, per ottenere un effetto ottico di dissoluzione delle pareti laterali. Ricorrenti, e di particolare riuscita nel complesso di Persepoli, erano poi il gioco coloristico dell'alternanza di materiali bianchi e neri, le immagini monumentali scolpite a incorniciare i grandi portali e le decorazioni a bassorilievo, talvolta realizzate con mattonelle smaltate policrome. L'elevazione della terrazza su cui sorgevano i complessi e l'impostazione assiale sempre più accentuata di essi, in funzione della visione frontale, contribuivano efficacemente alla celebrazione del potere regio (V. anche PASARGADE, PERSEPOLI E SUSA). Per quanto riguarda gli edifici religiosi degli Achemenidi, gli esempi a noi noti consistono in una sorta di torre, a camera unica e senza finestre, il cui scopo era la custodia del "fuoco perenne". I monumenti funerari ebbero carattere ipogeo, in dipendenza sia dalla tradizione meda sia, e forse in modo più rilevante, da quella egizia, come dimostrano le tombe rupestri di Naqs-i-Rustam, le cui facciate riportano decorazioni a bassorilievo tipiche anche dei palazzi reali. In questa località furono sepolti Dario, Serse, Artaserse e Dario II. La tomba di Ciro a Pasargade, invece, ha una struttura singolare: è una semplice costruzione, coperta da un doppio tetto a spiovente, che si innalza su un basamento sopraelevato cui si accede mediante sei gradini di altezza decrescente. Essa rispecchiava, probabilmente, un tipo caratteristico di abitazione delle popolazioni iraniche. La scultura, in età achemenide, ebbe in prevalenza carattere celebrativo e decorativo, come si evince dai bassorilievi, di grande raffinatezza e precisione, che adornano le scalinate e le facciate dei palazzi, ritraendo i dignitari di ogni Nazione che portano i propri omaggi al "grande re". Anche se è probabile una qualche influenza dell'arte greca, è molto evidente in questo ambito la derivazione da quella assira, in particolare per le immagini di tori, geni alati e teratomachie. ║ Periodo partico: con la conquista di Alessandro e la successiva dominazione seleucide, anche l'arte fu soggetta a ingerenze massicce e si verificò una sostanziale ellenizzazione, a livello sia architettonico sia plastico-figurativo. Ciò non impedì la sopravvivenza di moduli ed elementi schiettamente iranici e di derivazione achemenide (riconoscibili nel tempio di Kangavar, o nelle statue bronzee di Shami), che in seguito resero possibile l'evolversi dell'arte partica in senso stretto. I sovrani arsacidi, che si sostituirono ai Seleucidi, innestarono sulla tradizione persiana precedente elementi propri delle province più esterne del rinato Impero. I Parti eressero edifici di natura difensiva con torri a pianta rettangolare o circolare (a Durnali) e costruirono città che, da tali fortezze, mutuarono la pianta circolare (Nisa - la futura Ctesifonte -, Merv, Hatra, ecc.), a sua volta ereditata dalla tradizionale disposizione delle tende negli accampamenti ai tempi dell'antico nomadismo. Da un punto di vista architettonico, in questo periodo si rileva una sostanziale sostituzione della copertura a soffitto o a terrazza degli edifici con quella a volta (a botte o a cupola). Creazione originale dell'architettura partica fu anche l'ivan: una sala con soffitto a volta e totalmente aperta sul lato frontale (nel palazzo di Assur, su un cortile interno quadrangolare si aprivano quattro ivan). All'evoluzione della facciata come elemento frontale essenzialmente decorativo si deve anche l'uso sistematico di stucco e pittura. Per quanto riguarda l'ambito figurativo, si rilevano (soprattutto nei reperti scultorei di Palmira, secc. II-III d.C.) elementi convenzionali e frutto di astrazioni canonizzate, che provano una grande attenzione per la resa dei particolari, ancorché non in senso realistico. La predilezione per la frontalità della figura e il valore descrittivo della linea conferirono alle opere dei Parti un carattere peculiarmente ieratico e alieno da qualsiasi naturalismo. Ricordiamo anche la produzione di ceramiche smaltate nel caratteristico verde e verde-azzurro e di mosaici pavimentali figurati (Urfa). Da questi ultimi, e dalle pitture rinvenute a Dura Europos, è possibile ricostruire scene proprie del repertorio eroico e epico contemporaneo. ║ Periodo sasanide: l'avvento della dinastia sasanide, che fu la più "iranica" della storia persiana, comportò una rinascita di carattere nazionale anche nell'arte. Pur rifacendosi espressamente al periodo achemenide, i Sasanidi vi convogliarono elementi sia orientali sia occidentali. La forte crescita urbanistica (per cui vennero fondate città o ricostruite le antiche) portò a nuove modalità di copertura degli edifici, a volta o a parabola, o a tipiche cupole su ambienti quadrati sorrette da trombe angolari. Il materiale da costruzione di gran lunga prediletto furono i mattoni, spesso ricoperti da piastrelle smaltate per le decorazioni, per lo più a motivi floreali o geometrici. Nei palazzi, l'ivan diventò il vestibolo monumentale che precedeva la sala vera e propria, mentre gli edifici (Firuzâbâd, Bishapur, ecc.) acquisirono una attenta simmetria nella disposizione degli ambienti. Templi e monumenti religiosi in genere non mostrano innovazioni rispetto a quelli antichi, mentre ai Sasanidi si deve la realizzazione di svariate opere pubbliche, quali strade e ponti (Sustar, Dizful). Anche i rilievi monumentali rupestri, più frequenti nel Fars e spesso eseguiti accanto a quelli achemenidi, si ricollegavano nei modi alla tradizione nazionale, raffigurandone anche le scene. Le arti minori (ceramica, toreutica, tessitura) produssero oggetti di grande valore e bellezza: coppe e piatti d'argento, sigilli, cammei, sete preziose riccamente figurate. ║ Periodo islamico: la conquista araba non determinò una vera rottura con il passato, dal momento che gran parte del patrimonio, anche iconografico, nazionale poté essere conservato se non per il proprio significato reale o simbolico, almeno per quello decorativo. La continuità fu particolarmente evidente, almeno fino all'XI sec., nelle arti minori. Dell'epoca omayyade ci resta ben poco, mentre è possibile identificare uno stile "ufficiale" abbaside (parte antica della moschea maggiore di Isfahan), che inaugurò l'uso dell'ivan nella moschea. In età selgiuchide (secc. XI-XIII) si completò l'evoluzione dal tipo a sala ipostila a quello a madrasa: fatta eccezione per l'evoluzione delle decorazioni e della cupola, quest'ultimo rimase in auge nei templi islamici fino al XIX sec.; ad essi furono inoltre affiancati i primi minareti (Damgham, Isfahan, ecc.). I mausolei e i monumenti funebri evolsero o nel modello a torre o in quello a cupola su base quadrata (qubba). La decorazione parietale si arricchì della tecnica a ceramica smaltata con invetriature metalliche. La miniatura, curata a Baghdad fin dal XII sec., produsse anche in P. particolari scuole pittoriche: la perizia dei ceramisti persiani raggiunse l'apice fra il XII e XIII sec. con Rayy e Kâshân. Probabilmente in questo periodo ebbe inizio anche l'artigianato dei tappeti (che nel XV sec. elaborò il modello classico a cartella, con motivi ornamentali disposti simmetricamente rispetto al medaglione del centro). Sotto i Mongoli e i Timuridi, la produzione artistica non subì variazioni sostanziali, anche se, soprattutto l'architettura, indulse al monumentale e al grandioso: la cupola si arricchì del tipo a bulbo, su alto tamburo, e nei mausolei si sviluppò la tendenza alla monumentalità. Il mosaico di ceramica raggiunse nuova perfezione negli edifici di Tabriz, Mashhad e Samarcanda. Significativo incremento acquisì l'industria delle armi ageminate, mentre la produzione della ceramica subì un arresto a causa della diffusione dei prodotti cinesi. Anche sotto la dinastia savafide l'attività architettonica e urbanistica fu particolarmente vivace: in ambito cultuale, le moschee più importanti furono quella Reale e quella di Shaykh Lutf Allah, a Isfahan. L'edilizia palaziale, invece, rispecchiò da una parte una concezione di ascendenza nomadica dell'abitazione (il palazzo veniva diviso in più padiglioni tra loro separati secondo funzioni disaggregate), dall'altra fu esito di una maggiore sensibilità urbanistica, collegando gli edifici tra loro all'interno di giardini e parchi e mediante ampie piazze. La città di Tabriz ebbe fama mondiale come centro calligrafico, di illustrazione dei Corani e della rilegatura. A partire dal XVIII sec. l'arte persiana decadde in tutti i campi, perdendo la propria ispirazione originale e accusando eccessivamente l'influsso occidentale.