Mètrica.
Mètrica. (dal greco metriké téchnē: arte del metro). Complesso delle leggi che regolano la composizione dei versi e delle strofe. ║ Insieme dei metri propri di un'epoca, di un ambiente letterario, di un poeta. • Lett. - Nel significato corrente, la m. è la tecnica della versificazione, cioè il complesso delle norme che regolano la composizione dei versi e delle strofe, comprendente lo studio del ritmo, delle figure metriche che modificano il computo delle sillabe (sinalefe, dialefe, dieresi e sineresi), della cesura, degli accenti, della rima, delle strutture strofiche e delle varie forme di componimento poetico. In senso più lato, è la disciplina che studia le strutture formali che determinano la specificità del verso nella comunicazione poetica. I concetti fondamentali della m., vale a dire la definizione del verso, la distinzione tra verso, metro e ritmo, il significato dell'accento, o ictus, ecc., restano tuttavia ancora problemi aperti, non avendo trovato una determinazione precisa. La questione principale, tuttavia, è rappresentata dalla difficoltà di individuare e definire la specificità del linguaggio poetico rispetto a quello prosastico. Se è vero che la lingua poetica risulta certamente connotata rispetto alla lingua standard anche in virtù della struttura m., è vero altresì che la m. costituisce un tratto distintivo puramente formale, incapace di fornire un criterio di discriminazione incontrovertibile. Già gli antichi (si veda quanto dice Aristotele nella Poetica riguardo alle Storie di Erodoto) erano consapevoli del fatto che la trasposizione metrica di un'opera prosastica non la trasforma ipso facto in poesia; d'altro canto, anche la prosa oratoria o la prosa d'arte non è estranea all'idea di ritmo e, nelle epoche antiche, era regolata da norme che riguardavano soprattutto la chiusa dei periodi (clausole), norme che furono anche più rigidamente applicate nel Medioevo. A dispetto della difficoltà della critica di discriminarne in concreto la differenza, poesia e prosa si pongono, tanto nella coscienza dello scrittore quanto in quella del fruitore, come entità ben distinte fra loro; se anche la "poeticità" non consiste unicamente in fattori grammaticali, tuttavia una delle sue caratteristiche più appariscenti è, almeno nella letteratura tradizionale, la presenza della struttura formale costituita dalla m. Il fatto poi, che la comunicazione poetica non sia mai identica a se stessa, ma rappresenti l'esito complessivo di individualità irripetibili, implica che la m. possa proporsi solo a posteriori il riconoscimento degli elementi comuni, tentando una classificazione delle forme ricorrenti con tutto il rischio di parzialità che questo comporta. Con tali premesse e limitazioni, si può accogliere la definizione di Cremante: "Il termine metro sta a indicare, quale che sia, la ratio, la regola, vale a dire l'unità o il sistema di misura, in rapporto al quale il verso singolo assume la propria fisionomia ritmica convenzionale". Purché si tenga conto di due considerazioni: in primo luogo del fatto che la poesia si presenta come linguaggio altamente formalizzato che può essere decodificato solo a più livelli; in secondo luogo del fatto che, come dice Todorov, la versificazione non funziona indipendentemente dalla significazione: non si può pensare di studiare il verso prescindendo dal suo senso, con la speranza di coglierne meglio le proprietà. La poesia contemporanea, nata dalla dissoluzione delle forme fisse tradizionali, mediante il verso libero è andata elaborando un tipo di versificazione che potremmo chiamare "atonale", dove la componente dinamica obbedisce solo a ragioni semantico-strutturali. Proprio l'evoluzione che la m. tradizionale ha subito nel Novecento, a partire dagli esperimenti carducciani di m. barbara e dalle nuove significazioni impresse ai valori musicali dalla poesia simbolista, ha indotto gli studiosi contemporanei ad approfondire la riflessione sui suoi esiti e a rivedere le norme formulate, spesso acriticamente, per il verso classico. È indubitabile, infatti, che qualsiasi verso, anche quello libero, obbedisca a una sua organizzazione metrica, che va definita con termini propri, magari diversi da quelli tradizionali. Non è naturalmente questa la sede per dar conto di tutte le ipotesi e le riflessioni che la linguistica e la semiotica contemporanee hanno elaborato intorno alla m., dai formalisti russi a oggi. Per limitarsi quindi alle considerazioni tecniche, il metro si ritiene basato su alcuni fatti linguistici presenti in tutte le lingue con maggiore o minore rilevanza, che costituiscono gli elementi combinatori della misura ritmica minima (il piede). Essi sono: la sillaba, intesa come unità fonica costituita da un apice di sonorità intorno al quale possono facoltativamente raggrupparsi uno o più fonemi meno sonori; la quantità, cioè la differenza di durata del fonema; l'accento (accento di intensità o dinamico), costituito da un aumento dell'intensità sonora su una data sillaba (per cui sono distinguibili sillabe accentate o toniche e sillabe atone); il tono (accento musicale o d'intonazione), che consiste nell'aumento delle vibrazioni delle corde vocali, che provocano nell'andamento della lingua parlata curve melodiche caratterizzate da diverse altezze musicali. È quindi possibile individuare almeno quattro tipi di metro (sillabico, quantitativo, accentuale, tonematico), ognuno dei quali è costituito dalla ripetizione di un certo numero di sillabe, quantità, accenti o toni. In altri termini, le regole della m. non possono avere carattere di universalità, ma variano con il variare dei tratti linguistici a cui sono applicate. Si dà così una versificazione sillabica (fondata sul numero delle sillabe, come il verso epico-folclorico serbocroato), una melodica (basata sul numero delle sillabe di un certo tono), una m. quantitativa (basata sulla mora, cioè sul tempo di pronuncia della sillaba più breve: più morae formano il piede) e infine una tonica (definita dall'intensità, come è il verso allitterativo antico germanico). Queste possibilità si combinano contemporaneamente in modo vario, dal momento che il verso, in qualsiasi sistema linguistico, non si fonda solo su uno di questi principi, ma quasi sempre ne contiene più di uno o addirittura tutti e quattro. Per fare un esempio, il verso italiano privilegia come tratti distintivi la sillaba e l'accento, ma contiene anche la quantità e il tono, pur con importanza secondaria. L'accento muta a seconda delle costituenti fonologiche della lingua. ║ M. classica: le m. greca e latina possono dirsi fondamentalmente analoghe, essendo entrambe fondate sul principio della quantità sillabica e sulla regolare alternanza di sillabe lunghe e brevi. La differenza tra le due lingue, tuttavia, ha fatto sì che, nell'adottare i metri greci, i Latini li abbiano interpretati in modo originale, sottoponendoli a leggi spesso diverse da quelle greche. Le lingue greca e latina sono lingue quantitative, basate su un accento di tipo musicale o tonale, mentre l'italiano è una lingua ad accento dinamico o espiratorio, per cui nel tentativo di rimediare alle differenze strutturali fra le due lingue siamo soliti accentuare dinamicamente la sillaba lunga in tempo forte (arsi). Questa pratica moderna di scandire i versi greci e latini accentuando le sillabe in arsi permette di restituire una certa quadratura ritmica al verso antico, ma non corrisponde alla realtà storica. Tali versi infatti, come si è detto, erano fondati sull'alternanza di sillabe lunghe e brevi, e quasi certamente la sillaba in arsi non aveva alcuna particolare intensità dinamica. La scansione m. moderna attribuisce alla poesia quantitativa greco-latina una misura accentuativo-percussiva che certamente le era estranea, giacché implica confusione tra quantità e intensità e costringe il lettore a spostare l'accento tonico delle parole dalla sede naturale ad altra sillaba, a scapito della comprensibilità stessa del testo. ║ M. greca: la questione delle origini storiche della m. greca è assai controversa. Lo studio del verso libero novecentesco ha portato a riconsiderare anche la m. classica facendo giustizia di certe classificazioni inutilmente rigide, le quali del resto non riuscivano a comprendere e spiegare la cellula "piede", se non attraverso il riconoscimento di innumerevoli eccezioni. Già nell'antichità si ebbero varie teorie sulla derivazione dei metri da poche forme originarie. Oggi, si tende a identificare alcune forme metriche libere, con sillabe fisse e sillabe mobili, dalle quali a mano a mano si sono fissati metri ben determinati. La m. greca si distingue in recitativa e lirica. I versi recitativi (l'esametro e il pentametro dell'epos e dell'elegia, il trimetro giambico e il tetrametro trocaico della tragedia e della commedia) erano accompagnati da uno strumento che ne sottolineava il ritmo; i versi lirici (propri della lirica monodica, della lirica corale, delle parti liriche del dramma) erano cantati. Complesso e storicamente differenziato è il rapporto tra m. greca e musica. Dapprima la musica seguì la m., nel senso che il ritmo era imposto dal verso stesso, e la quantità prosodica naturale rimaneva sostanzialmente inalterata; in seguito la musica acquistò maggiore autonomia (dal V sec. a.C.) e prese a sovrapporsi alla m., sì che la quantità delle sillabe del verso recitato poteva essere variata dal canto. La m., fin dall'antichità, analizzò tutti i versi greci, identificando una quantità limitata di unità metriche elementari dette piedi. I versi risultano costituiti da serie di questi piedi, sul fondamento generale del principio dell'equivalenza tra una sillaba lunga e due sillabe brevi. I versi lirici, organizzati in strofe, rappresentano la parte più varia e complessa della m. greca. Caratteri particolari sono rintracciabili nella lirica monodica eolica: il verso è assai regolare quanto a numero di sillabe. Notevole regolarità ha anche la struttura strofica, della quale alcune forme sono divenute famose per l'imitazione dei poeti latini, in particolare Orazio. ║ M. latina: discussa e priva di soluzioni definitive è la questione che verte sulla natura quantitativa o accentuativa del più antico verso latino, il saturnio. Livio Andronico, che usò il saturnio come verso epico per la sua traduzione dell'Iliade di Omero, gli conferì forse la natura quantitativa dell'esametro greco, elaborando in senso colto questo verso che aveva assunto dalla tradizione latina. Analogamente, imitò il trimetro giambico e il tetrametro trocaico del dramma greco. L'adattamento in latino trasformò profondamente questi metri: in tutta la m. latina, infatti, si fanno sentire alcuni fatti linguistici (ad esempio, la maggiore intensità e perciò il diverso significato ritmico dell'accento), che la differenziano dalla greca. Ancora nel teatro plautino la m. latina appare legata alle origini popolari, con una notevole ricchezza di ritmi. Tuttavia, dopo Plauto la polimetria scomparve progressivamente e la letteratura latina si adeguò sempre più strettamente ai modelli greci: Ennio accolse l'esametro come verso epico; la poesia neoterica del I sec. a.C. imitò i poeti ellenistici nel distico elegiaco e nei versi della lirica eolica, usati sia senza vincolo strofico, sia nella forma propria di Saffo e Alceo; Orazio codificò questa m. in forme che divennero definitive nella tradizione letteraria latina. ║ M. romanza: nel Medioevo la m. classica venne obliata, insieme al senso delle opposizioni di quantità sillabica e vocalica proprie del latino classico. Nelle lingue neolatine, e prima ancora nella poesia latina medioevale, il verso accentuativo si sostituì al verso quantitativo. Alla nascita della m. accentuativa è connessa l'origine della rima, non estranea ad alcune forme di poesia antica (in cui veniva denominata omoteleuto), ma sconsigliata dai trattatisti antichi. Al tempo della prima innografia, con Ilario di Poitiers in Gallia e Sant'Ambrogio a Milano (IV sec.), esisteva già largamente presso il popolo il senso accentuativo e si osserva che fra tutti gli inni attribuiti nel Medioevo a Sant'Ambrogio, mentre i pochissimi sicuramente autentici rispettano ancora la m. classica, quelli di fattura posteriore (V e VI sec.) mostrano la compresenza del nuovo principio ritmico e dell'antico. Il Salmo abbecedario (393 circa) di Sant'Agostino, oltre all'assonanza, presenta il nuovo ritmo. I trattatisti ebbero coscienza del fenomeno fino al IV sec., come indica il fatto che contrapponessero al metro letterario il rhythmus volgare, popolare. Beda, che per primo fu consapevole del numerus syllabarum quale nuovo principio informatore, ci indicò il trapasso dagli schemi antichi ai nuovi, laddove osservò che il rhythmus era nobilitato dagli scrittori dotti secondo i metri giambici e trocaici dei classici. Attraverso l'innografia e il canto liturgico, la ritmica entrò a far parte dell'insegnamento ufficiale nelle scuole ecclesiastiche e, al servizio del canto, si arricchì di nuovi tipi ritmici. Nella produzione che va sotto il nome di "poesia goliardica" furono portati a maturità estrema gli elementi del rhythmus: l'accento ritmico, lo schema sillabico, l'assonanza, la rima, la formazione strofica. Con questa ritmica, che si serviva ancora del latino, la più antica versificazione romanza presentò non poche affinità, storicamente confortata dalla continua azione culturale della Chiesa. Nella Chanson de Roland e nel Cantare de mío Cid i versi non sono isosillabici, perciò l'elemento accentuativo ha minor rilievo dell'assonanza, che era il nesso principale della composizione. ║ M. italiana: in Italia, dopo che, sino al XII sec., i componimenti poetici in lingua latina ebbero osservato la m. quantitativa classica, oppure la nuova regolata m. latina ritmica e rimata, ci rimangono, della primissima poesia volgare, componimenti d'incerta m. (i cosiddetti ritmi), che sono oggetto di interpretazione controversa. Tuttavia, la letteratura in volgare della seconda metà del Duecento presenta già forme metriche stabilmente codificate, che successivamente, avallate definitivamente dalla tradizione petrarchesca, costituirono una costante nella poesia italiana fino alle soglie del XX sec. La m. italiana fin dalle sue origini risulta di fatto caratterizzata da alcuni elementi caratteristici: la presenza di pochi versi fondamentali e la scarsa variabilità della struttura dei versi stessi, la ricchezza di forme strofiche (terzina, quartina, sestina, ottava) e di componimenti (ballata, canzone, sonetto, canzonetta, madrigale, serventese, contrasto, rispetto, strambotto), la predilezione accordata all'uso della rima e delle forme chiuse. Alla fine del Duecento l'endecasillabo, verso base della canzone, della terzina e del sonetto, si era affermato come il principale dei versi italiani; lo seguiva, per importanza, il settenario, ad esso simile per struttura e variabilità melodica e con esso destinato ad armonizzarsi naturalmente nella canzone e nel dramma. La canzone, appunto, si impose fin dalla metà del Duecento come la forma tipica dell'alta lirica, mentre la canzone a ballo o ballata acquistò sempre più, dopo l'esperienza lirica dello Stilnovismo, carattere di popolarità, e costituì la forma m. impiegata per la composizione della lauda. Sempre intorno alla metà del Duecento, nell'ambito della scuola siciliana, nacque il sonetto, sorto, originariamente, da una stanza isolata della canzone e subito assurto a strumento metrico della poesia d'arte (tuttavia il sonetto, specie nella forma cosiddetta caudata, è anche il metro tipico della poesia realistica, come sta a testimoniare l'uso che ne fanno, per esempio, Folgore da San Gimignano e Cecco Angiolieri). Tutti questi componimenti, come appare anche dai nomi usati per designarli nel loro complesso e nelle singole parti, furono, in origine, probabilmente musicati, anche se ci sono oscuri i rapporti esistenti tra musica e m. L'endecasillabo è alla base delle altre due grandi strofe che, affermatesi nella prima metà del Trecento nella letteratura d'arte, ebbero grande importanza nella letteratura italiana fino all'Ottocento avanzato, la terzina e l'ottava, i metri impiegati rispettivamente nel poema allegorico e didascalico (la Commedia dantesca) e nel poema cavalleresco (Boiardo, Pulci, Ariosto, Tasso). Naturalmente, la fortuna di una forma metrica è legata al valore intrinseco e al successo delle opere che in quella forma sono state composte, per cui si spiega la diffusione della terza rima, definitivamente consacrata nella nostra tradizione dall'opera di Dante. Al contrario i versi pari, come l'ottonario, il decasillabo e il dodecasillabo, dotati di un andamento ritmico più monotono, sebbene presenti nella lirica delle origini, caddero presto in disuso e furono riesumati solo dall'aspirazione popolare-medievalizzante dell'Ottocento (Manzoni, Berchet, Carducci). Il Quattrocento riprese forme strofiche suscettibili di assumere il tono popolareggiante di cui si compiacquero in questo secolo anche i poeti d'arte. La novità portata dal secolo consistette nei tentativi di creare un più stretto legame fra poesia e musica in componimenti di materia idillico-amorosa. Se l'umanesimo latino adottò la pratica di composizione in una m. quantitativa che non era più sentita come tale, più interessanti appaiono nel Cinquecento i vari tentativi di trasferimento di elementi dalla tecnica della m. latina a quella volgare; un esempio è l'esperimento ariostesco, rimasto peraltro senza seguito, di rendere nelle commedie il senario comico latino con l'endecasillabo sdrucciolo. Guadagnare navigando! Acquisti prodotti e servizi. Guadagnare acquistando online. Con Tasso si iniziò e si affermò nella sfera dell'arte qualche altra profonda pur se meno evidente novità della m.: i versi spezzati che entrano l'uno nell'altro, gli enjambement così cari poi alla poesia moderna e ignoti invece al verso petrarchesco. Il Seicento costituì un momento di reazione alla fissità della tradizione petrarchista anche nell'ambito della m.: l'ode pindarica, che era destinata ad avere influenza anche su Parini e su Foscolo, l'ode oraziana, la canzonetta anacreontica, entrarono in quest'epoca nel patrimonio metrico italiano. Fu privo di grandi novità il Settecento, se si esclude il fallito tentativo di P.I. Martello di introdurre l'alessandrino francese come metro drammatico. Già all'inizio dell'Ottocento apparve invece qualche segno di rinnovamento: tra i metri brevi e cantabili fu introdotto, accanto alla canzonetta, l'inno, che ricevette un timbro più vibrato dagli spiriti politici cui si conformava; con Monti, la comparsa di narrazioni in versi, in terzine, in sciolti (così si chiamano gli endecasillabi liberi dalla costrizione della rima) e in ottave fece da preludio alla narrativa in versi cara al Romanticismo. Quest'ultimo doveva compiere quella che è forse la sua più duratura e coerente innovazione nel campo della m. con Leopardi, che conferì prestigio artistico alla canzone libera. Neppure questa era, tuttavia, staccata dalla tradizione, per la presenza di versi classici, come l'endecasillabo e il settenario, di una sistemazione strofica essa pure arieggiante quella classica, e della rima, sia pure sporadica e libera; ma era profondamente nuova nell'indeterminata libertà che presiedeva all'uso di questi elementi, solo regolata da una necessità interna. Un momento significativo dell'evoluzione del sistema metrico italiano fu l'apparizione delle Odi barbare di Carducci, nelle quali la soppressione della rima e l'ampliamento delle misure tradizionali determinarono la messa in risalto degli effetti ritmici del verso. Anche Pascoli sperimentò nuovi moduli accentuativi, con la creazione di inediti schemi metrici sovrapposti, per così dire, alle forme consuete. Le innovazioni fondamentali nella tradizione m. fra Ottocento e Novecento furono il verso libero (poi continuato dalle parole in libertà) e il poema in prosa. In entrambi i casi si può parlare di importazioni francesi, nate in terreno simbolista a partire dalle Illuminations di Rimbaud. Biforme apparve la m. dannunziana: da una parte, ripropose le forme tradizionali rimate e chiuse, dall'altra fu protesa al verso libero di W. Whitman e dei Francesi. Per quanto riguarda il verso libero, che si affermò con D'Annunzio, si può dire che esso costituì lo sbocco in campo metrico del processo romantico di liberazione del poeta da ogni schema prestabilito e fisso. Con le "parole in libertà" di Marinetti e del Futurismo il verso libero venne, nello stesso tempo, continuato e distrutto: l'eversione sintattico-nominale, la riproduzione fonico-onomatopeica, l'ambizione sinestetica, ecc., diedero luogo a un verso prevalentemente visivo, con risultati peraltro ben più modesti di quelli conseguiti da altri artisti sollecitati dal Futurismo (basti pensare al Dadaismo e al Cubofuturismo russo). Un altro aspetto innovativo fra Ottocento e Novecento fu il mutato rapporto venutosi ad instaurare tra prosa e poesia (perfettamente identificate nei Canti orfici di Campana, secondo il modello rimbaudiano): mentre il gusto simbolista e la poetica del frammentismo accentuarono i valori poetici della prosa, sul versante crepuscolare si assistette a una parallela diminuzione del registro poetico verso quello prosastico. Di qui l'esigenza di un ripensamento complessivo della differenza esistente tra l'una e l'altra, come si diceva all'inizio, con la conseguente messa in discussione di tutta la codificazione m. tradizionale. ║ M. barbara: la m. barbara tenta di riprodurre nel sistema sillabico-accentuativo italiano la poesia classica greco-latina fondata sulla quantità, in modo che al rapporto fra lunghe e brevi corrisponda quello fra toniche e atone. Per esempio, per rendere il distico elegiaco, che è costituito nella m. classica da un esametro e un pentametro, Carducci usò abbinare rispettivamente un novenario e un settenario (per l'esametro) con un doppio settenario piano (per il pentametro), variando notevolmente tale schema metrico a seconda delle esigenze ritmiche. Barbare chiamò Carducci le sue odi perché tali sarebbero suonate alle orecchie degli antichi. Tentativi di m. barbara, per usare la definizione carducciana, erano stati compiuti anche nei secoli precedenti dai poeti italiani, sulla base però di un presupposto diverso, quello che fosse possibile definire sillabe lunghe e brevi anche nella lingua italiana. Il vero iniziatore della m. barbara in questo senso fu Chiabrera, il quale, prendendo come modello la poesia lirica di Orazio, ne imitò innanzitutto le strofe e i ritmi, trasponendoli in italiano mediante la combinazione di vari versi, seguito in ciò da Rolli, Fantoni, Carducci e Pascoli. In un senso ancora più generale, come tentativo di trasporre il verso latino nella m. italiana, si può considerare m. barbara anche la traduzione, operata da Ariosto nelle commedie, del senario giambico del teatro comico latino nell'endecasillabo sdrucciolo italiano. Enciclopedia termini lemmi con iniziale a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w x y z Storia Antica dizionario lemmi a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w x y z Dizionario di Storia Moderna e Contemporanea a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w y z Lemmi Storia Antica Lemmi Storia Moderna e Contemporanea Dizionario Egizio Dizionario di storia antica e medievale Prima Seconda Terza Parte Storia Antica e Medievale Storia Moderna e Contemporanea Dizionario di matematica iniziale: a b c d e f g i k l m n o p q r s t u v z Dizionario faunistico df1 df2 df3 df4 df5 df6 df7 df8 df9 Dizionario di botanica a b c d e f g h i l m n o p q r s t u v z |
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