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ITINERARI - PAROLE E IMMAGINI - LA MUSICA - IL XX SECOLO

PARIGI TRA DUE SECOLI

Fra Otto e Novecento Parigi č tra i primissimi centri musicali nel mondo, non solo per l'attività ivi svolta dai Francesi, ma anche per quella di immigrati che contribuiscono a formarvi un clima di internazionalismo. Questa particolare vivacità della capitale francese č il frutto di quella consapevole rinascita della musica strumentale (coltivata prima solo dal coraggioso Berlioz e sporadicamente da Gounod e da Bizet), che viene attuata negli anni Settanta per iniziativa di Camille Saint-Saëns (1835-1921), sotto il motto «Ars gallica» nel quale si riconosce la neo fondata Société nationale de musique. A Saint-Saëns si devono cinque concerti per pianoforte, tre sinfonie, l'opera Sansone e Dalila, nonché una buona produzione cameristica, nella quale spicca il notissimo Carnevale degli animali.
Importante anche l'attività di César Franck (1822-1890), impregnato del culto di Bach e autore di molta musica da camera (il Quartetto per archi č un capolavoro). Suo esatto contraltare, Emmanuel Chabrier (1841-1894) del quale ricordiamo España per orchestra, ed una divertente produzione pianistica.
Tra le scuole musicali che affiancano il Conservatorio, troviamo la Schola cantorum, che, nata per favorire il recupero del gregoriano e dell'antica polifonia, conosce sotto la direzione di Vincent d'Indy (1851-1931) un periodo di grande splendore.
Allievo di Saint-Saëns č invece Gabriel Fauré (1845-1924), dal carattere riservato e dall'espressione raffinata e intima. Musicista meticoloso (impiega sette anni per scrivere l'opera Pénélope), cura molto il particolare e la chiarezza dello strumentale, crea musica religiosa assolutamente priva di retorica.
Uguale chiarezza, unita a un preciso senso del colore, si trova nelle opere di Paul Dukas (1865-1935), cui si deve il notissimo Apprendista stregone (1897), su una ballata di Goethe. Ma la figura che emerge fra tutti č quella di Claude Debussy.
A Parigi, avendo come punto di riferimento lo scrittore Jean Cocteau, autore tra l'altro del libretto Il gallo e l'arlecchino in cui fa esplicita professione di antiromanticismo, diversi musicisti si ribellano all'idea di scrivere musica da ascoltarsi «con la testa fra le mani».
Erik Satie (1866-1925) č il primo a muoversi deciso in questa direzione. Vive ad Arcueil, un sobborgo industriale di Parigi, dove si reca sempre a piedi; scrive un balletto, utilizza spunti derivati dalle musiche del circo e del music-hall e introduce rumori quali quelli prodotti dalla macchina per scrivere e dal motore d'aeroplano; ricerca lo scandalo e la provocazione, arriva a proporre una musica destinata a fare unicamente da sfondo, da tappezzeria ad altri eventi; la qual cosa non gli impedisce poi di scrivere un serissimo e ascetico Socrate per voce e piccola orchestra.
Satie č il vero ispiratore di quel gruppo di musicisti passato alla storia come Les Six ossia «I Sei». I più importanti: Arthur Honegger (1892-1955), cui si deve una delle più belle partiture ispirate alla «musica delle macchine»: Pacific 231 (1923), interpretazione sinfonica della corsa di una locomotiva, e Darius Milhaud (1892-1974) della cui produzione torrenziale ricordiamo Macchine agricole, Catalogo di fiori, dove mette in musica dei veri e propri cataloghi. Tra le opere di maggior impegno: Il bue sul tetto (1920), influenzato dalla musica popolare brasiliana e La creazione del mondo (1923) contenente spunti di derivazione jazzistica.

CLAUDE DEBUSSY

Claude Debussy (1862-1918) č uno di quei musicisti dopo i quali «la musica non č più la stessa di prima». Precoce pianista, insofferente della tradizione accademica, polemico nei riguardi dell'opera francese, č il primo musicista dei tempi moderni che prende le distanze dal pubblico, che dubita dell'importanza del successo e, pur compiacendosi della notorietà, ostenta distacco dalle istituzioni. Il Preludio al pomeriggio di un fauno (1894), ispirato a una poesia di Mallarmé e i tre Notturni (1899), sono le opere strumentali più importanti del suo primo periodo, nel quale č evidente l'intenzione di realizzare un impressionismo sonoro analogo a quello pittorico. Debussy evita le successioni armoniche romantiche e realizza in orchestra pulviscoli di suoni. Le linee melodiche sono morbide e non simmetriche; le scale musicali superano la disposizione dei suoni del sistema maggiore-minore, ispirandosi anche a modelli di derivazione orientale (scale esatonali, pentafoniche).
Nell'opera Pelléas et Melisande (1902), queste tecniche compositive evidenziano il carattere decadente della poesia di Maeterlinck. Il mare, tre schizzi sinfonici, Images per orchestra, contengono zone di costruzione più solida, che nel balletto Jeux, danno luogo a strutture ritmicamente molto elaborate. Importante anche la produzione pianistica, dove accanto alla ricerca di nuovi timbri e sonorità impressioniste, si coglie un ritorno all'estetica francese preclassica.

MAURICE RAVEL

Maurice Ravel (1875-1937) č l'altro grande nome della musica francese di questo periodo, metodico e ordinato, anche nella vita, tanto quanto Debussy č irregolare. Il suo colorismo orchestrale, la fantasiosa scrittura pianistica (che precede in parte quella di Debussy), sono sempre calate in una sensibilità che tende a privilegiare la chiarezza del disegno, l'emergere della linea, la pulsazione ritmica: esempio limite č il famoso Boléro (1928), dove alla costanza di ritmo e melodia, si contrappone una grande varietà di orchestrazione. Qui, come nella Sonata per violino e pianoforte e nei due concerti per pianoforte e orchestra (1931) compaiono inflessioni melodiche derivate dalla scala del blues. Deliziose due piccole opere: L'heure espagnole (1907) e L'enfant et les sortilčges (1925), da accostare alla raccolta Ma mčre l'oye (per pianoforte). Per i balletti di Diaghilev scrive Daphnis et Chloé e La valse, rievocazioni del valzer viennese non priva di ironia. Questo aspetto, oltre all'asciuttezza di certe opere da camera, dimostra l'adesione di Ravel all'estetica di Stravinskij.

IGOR STRAVINSKIJ

Di origine russa, Stravinskij (1882-1971), nelle sue prime opere, assorbe quel tipico senso del colore orchestrale, quel gusto orientalista che era caratteristico del suo maestro Rimskij-Korsakov. Scherzo fantastico e Fuochi d'artificio, uditi da Sergej Diaghilev, gli procurano la commissione di una serie di lavori che vengono rappresentati a Parigi dalla Compagnia dei balletti russi.
L'uccello di fuoco (1910), Petruska (1911), La sagra della primavera (1913) scatenano entusiasmi e polemiche.
L'uso di timbri orchestrali violenti e netti, ha fatto paragonare queste musiche ai contemporanei pittori fauves. E, in effetti, una forza selvaggia percorre molte pagine della Sagra, rievocazione del mondo della Russia pagana e dove i modi della musica popolare slava sono utilizzati in modo nuovo e personalissimo.
Nel periodo bellico, Stravinskij scrive per piccoli gruppi due lavori teatrali, dove vengono utilizzate anche suggestioni tratte dalla musica di consumo come il tango o il ragtime.
Quest'atteggiamento antiromantico, approda ad un atteggiamento neoclassico oggettivo: la musica č espressione solo di se stessa, senza alcun riferimento ad altre realtà; temi di musiche passate, spesso deformati, vengono trattati con ironia, ma anche con malcelato rimpianto; ricordiamo Pulcinella, su musiche (non tutte autentiche) di Pergolesi (1920) e La carriera di un libertino (1951) che recupera forme settecentesche. Vanno ricordate ancora Les Noces (terminate nel 1923) per voci, 4 pianoforti e percussione, intrise di espressività popolare slava, e Sinfonia di Salmi (1930) opera dove atteggiamenti neoclassici si uniscono al recupero di una religiosità severa e arcaica.
Stabilitosi negli Stati Uniti all'epoca della seconda guerra mondiale, Stravinskij scrive l'Ebony Concerto (1945) per l'orchestra jazz di Woody Herman. Nell'ultimo periodo della sua attività, utilizza a suo modo il metodo dodecafonico per realizzare polifonie religiose rigorosamente strutturate.
Igor Stravinskij


IL NOVECENTO TEDESCO

In Germania e in Austria si verifica una progressiva e radicale svolta linguistica le cui conseguenze sono tutt'oggi ben avvertibili. Qui attecchiscono meglio che altrove germi di novità portati anche da compositori non tedeschi come Ferruccio Busoni (1866-1924), appassionato sostenitore di una nuova classicità fondata su nuovi modi linguistici e su un teatro antiromantico e Aleksander Skrjabin (1872-1915), moscovita di nascita, ma vissuto a lungo a Parigi e a Bruxelles, pianista di fama mondiale, che ignora le tematiche nazionali russe; tipico rappresentante del Decadentismo, sogna accostamenti di suoni, profumi, luci e colori. Nella sua musica viene distrutto il senso classico delle concatenazioni armonico-melodiche. Per pianoforte scrive Studi e Sonate, che rappresentano l'equivalente musicale dei fantasiosi arabeschi dell'art nouveau. Nel poema sinfonico Prometeo giunge a prescrivere accanto al normale pianoforte, una tastiera luminosa, alle note della quale vengono associati colori diversi. Un'analisi del Prometeo compare nell'almanacco Der Blaue Reiter («Il cavaliere azzurro», 1912), vero manifesto dell'espressionismo tedesco. Esso include tre composizioni di Schönberg, Berg e Webern, la triade che si usa indicare come «Scuola di Vienna».
Nel periodo successivo alla prima guerra mondiale, in un clima culturale di reazione ai personalismi dell'espressionismo, vien ricercata una «nuova oggettività»; in architettura questa tendenza č rappresentata dalla scuola chiamata Bauhaus. In campo musicale Paul Hindemith (1895-1963) rappresenta bene il passaggio da un clima espressionista ad uno più oggettivo.
La «musica d'uso» fu uno dei suoi campi d'azione: l'idea era quella di utilizzare le forme della musica di consumo, per costruire lavori di buon artigianato utilizzabili da dilettanti e da studenti. La Kammermusik n. 1 (1922) e la Suite «1922» per pianoforte, mostrano invece un impegno compositivo che travolge (o stravolge) gli spunti legati alla musica di consumo e al jazz che vi compaiono come pretesti.
Hindemith, che fu anche polemista, didatta, strumentista, organizzatore formidabile, all'epoca della seconda guerra emigrò negli Stati Uniti d'America, dove il suo stile diventa più morbido. Nell'ottica «oggettiva» rientra invece un riuscito lavoro pianistico: Ludus tonalis (1942) con il suo programmatico riferimento al Bach del Clavicembalo ben temperato.
Kurt Weill (1900-1950) di Dessau ma anch'egli in seguito emigrato negli USA, collaboratore di Bertolt Brecht, utilizza nelle musiche per i drammi di quest'ultimo i modi delle canzoni da cabaret, introducendovi però acidità e tensioni atte a denunciare l'ipocrisia e le falsità del mondo borghese da cui provengono i modelli.

ARNOLD SCHÖNBERG

Schönberg (1874-1951) č una delle figure più importanti della musica del Novecento. Inizia la sua attività nel segno del tardoromanticismo. Dopo un primo periodo di attività a Berlino, ritorna a Vienna dove rimane fino al 1911, anno della pubblicazione del Manuale di armonia in cui mette a frutto la sua esperienza di insegnante e di compositore insieme.
La Sinfonia da camera per quindici strumenti (1906) mostra pienamente sia la tendenza alla concentrazione espressiva in forme musicali di dimensioni ridotte, sia l'allontanamento deciso dall'armonia romantica.
L'attesa (1909) e La mano felice (1908-1913) portano in scena le angosce dell'uomo moderno, che Freud sta proprio nello stesso periodo scientificamente indagando; un'invenzione continua di motivi musicali, un gioco di timbri mutevolissimo, una vocalità che tende spesso all'urlo, una scena pervasa di luci e colori lividi, verdi, gialli, rossi, sono i caratteri dell'espressionismo musicale che qui si afferma.
Sul piano puramente orchestrale alcuni di questi caratteri si ritrovano nei Cinque pezzi per orchestra (1909), mentre alcuni brani del Pierrot lunaire (1912) per voce e cinque strumentisti, ripropongono una scrittura contrappuntistica che si rifà a tecniche del Rinascimento, reinventate in un contesto stralunato. Segue una pausa compositiva che coincide con la prima guerra mondiale.
Nel 1918 troviamo Schönberg a Vienna, attivo quale organizzatore di una Società di concerti privata. Nel clima di «nuova oggettività» istauratosi nel dopoguerra, matura frattanto quel «metodo per comporre con dodici suoni che sono soltanto in relazione fra loro», noto più comunemente come dodecafonia, che risponde ad una sentita esigenza di Schönberg di ordine e razionalità nel comporre. L'emancipazione della dissonanza riceve una sanzione definitiva, assieme alla sicurezza di non doversi in alcun modo compromettere con strutture melodico-armoniche del passato.
Tutta la composizione deriva da una serie di dodici note tutte diverse fra loro (i dodici suoni della scala cromatica) che Schönberg concepisce però come tema, e che combina in vario modo; la serie funziona un po' come il materiale da costruzione di un edificio: praticamente non percepibile all'ascolto senza guida, non č tuttavia indifferente alle caratteristiche dell'opera finita. Schönberg, recuperando senza timore le forme tradizionali, provoca nella sua musica cortocircuiti da brivido: la Suite op. 25 per pianoforte, le Variazioni per orchestra op. 31 (1928), l'opera Mosé e Aronne sono i principali lavori scritti utilizzando questo metodo, impiegato in seguito da un enorme numero di compositori, con tutte le varianti personali possibili.
Dopo l'avvento del nazismo Schönberg si trasferisce negli Stati Uniti dove scrive un Concerto per pianoforte (1942) ed uno per violino (1936), riuscendo infine a piegare la tecnica da lui creata all'espressione di contenuti etici connessi col tema della libertà (Ode a Napoleone, 1942) e con quello del dramma ebraico (Un sopravvissuto da Varsavia, 1947).

ALBAN BERG

Viennese, allievo di Schönberg a partire dal 1904, Berg (1885-1935) esordisce con una raccolta di Lieder, più tardi orchestrati e pubblicati, la sua opera prima č tuttavia una Sonata per pianoforte in un solo movimento (1908). Tra le opere del periodo espressionista ricordiamo l'opera Wozzeck (1914-1922).
Temperamento essenzialmente drammatico, anche dopo aver adottato il metodo dodecafonico, conserva nei confronti di esso una assoluta libertà, appunto per l'intima necessità di mescolare sonorità diverse da contrapporre e alternare, in funzione espressiva. Il Concerto da camera (1925) č la sua opera più schönberghiana. L'opera incompiuta Lulu, emotivamente meno coinvolgente del Wozzeck, usa una tecnica di montaggio quasi cinematografica, inglobando anche ritmi e sonorità derivati dalla musica d'uso nel circo.

ANTON WEBER

Viennese, Weber (1883-1945), dopo i primi lavori ancora di ascendenza tardoromantica, mostra quella tendenza alla concisione che caratterizzerà tutta la sua opera: i Sei pezzi per orchestra (1909), le Sei bagatelle per quartetto d'archi (1911-1913), i Cinque pezzi per orchestra (1913) ne sono i migliori esempi. La ricerca sul timbro, sulle piccole cellule melodiche, l'uso bilanciato dei suoni e dei silenzi, portano ad una espressività controllata ed intensa, quella che racchiude «un romanzo in un sospiro» come ebbe a dire Schönberg.
Nelle opere del dopoguerra, adottato il metodo seriale, Webern giunge ad una scrittura polifonica radicale; ricordiamo Il Trio per archi (1927), le Variazioni per pianoforte (1936), la Seconda Cantata (1943).
In tempi sempre molto limitati, il discorso musicale procede per linee molto spezzettate ma sempre rigorosamente organizzate a partire da piccole cellule; si hanno delle vere «costellazioni sonore» dove i modi d'attacco strumentali, i timbri, le durate, le intensità vengono attentamente calibrati: puntillismo viene definita questa tecnica compositiva alla quale si ispireranno i compositori degli anni Cinquanta, detti appunto postweberniani.

CARL ORFF

Tedesco di Monaco di Baviera, Orff (1895-1982) tenta una via lontana da imitazioni romantiche ma anche dai radicalismi della «musica degenerata», una via ad una musica accetta al regime nazionalsocialista di Hitler.
Il prodotto migliore č Carmina Burana, su testi medioevali dei clerici vagantes, musicati in uno stile molto ritmico e melodicamente semplice (1937); nell'ambito della musica d'uso č autore dello Schulwerk, vasta raccolta di brani per ragazzi, basata sulla musica attiva e tuttora in uso nell'insegnamento musicale in Germania e fuori.

IL NOVECENTO NEL RESTO D'EUROPA

Fecondi sviluppi ha, sulla scia delle ottocentesche scuole nazionali, la musica in alcuni Paesi estranei all'area austro-tedesca.
In Ungheria Zoltán Kodály (1882-1967) e Béla Bartòk effettuano una ricerca scientifica sul canto contadino ungherese, registrando e pubblicando un'enorme quantità di canti e danze e dando inizio alla moderna etnomusicologia. La musica di Kodály appare più legata alla tradizione, mentre quella di Bartòk č più originale.
In Polonia la figura più importante č quella di Karol Szymanowski (1882-1937); di formazione tedesca, più tardi accoglie nella sua opera influssi di Debussy e di Skrjabin. L'affascinante lavoro teatrale Re Ruggero (1926) deve qualcosa alle suggestioni dei suoi viaggi nel Sud italiano. La conoscenza del canto popolare č evidente in opere come le Mazurche per pianoforte e lo Stabat Mater (1926).
In Cecoslovacchia, Leós Janácek (1854-1928), moravo, elabora, a partire da studi sul linguaggio e sulla musica popolare del suo Paese, una maniera compositiva personalissima, basata sulla ripetizione di piccoli frammenti utilizzati come moduli che organizzano brevi periodi musicali spesso ritornellati come accade nelle danze popolari. Fiducioso nei valori della cultura contadina e polemico nei confronti del mondo borghese, sviluppa questi temi in una serie di lavori teatrali tra cui ricordiamo Da una casa di morti (1924, da Dostojevskij). Scrisse anche molte opere strumentali.
La musica inglese si inserisce nel movimento internazionale per merito di Benjamin Britten (1913-1976), compositore eclettico che rifonde nella sua personalità esperienze che partono da Händel; talento precoce di pianista e compositore, č noto in particolare per i lavori teatrali Peter Grimes (1945) e Il giro di vite (1954).
Nel particolare clima della Russia sovietica, tra realismo socialista e libera creatività, si svolge l'opera di due compositori-pianisti di grande rilievo: Prokofev e Sostakovic.
Il problema del rapporto tra realismo socialista e libera creatività si fa più acuto nel caso di Dmitrij Sostakovic (1906-1975). Insignito dei massimi riconoscimenti sovietici fu contemporaneamente sottoposto ad attacchi feroci, come quello del 1936 dopo il successo dell'opera Lady Macbeth del distretto di Mzensk, ispirato direttamente da Stalin.
Tra le sinfonie (sono 15 in tutto), emerge la n. 7 «di Leningrado» concepita sotto l'impressione dell'invasione nazista e della successiva liberazione della città. Con il vitalismo di una parte della sua opera, contrasta l'abbandonarsi alla più cupa desolazione, quasi il compositore fosse attanagliato dall'impossibilità a continuare il suo lavoro.
In Italia il trionfo del melodramma, perdurante anche durante i primi anni del secolo, aveva relegato in secondo piano la produzione e l'esecuzione sia della musica strumentale, sia delle opere teatrali d'oltralpe. Dal punto di vista compositivo, le uniche velleitarie esperienze d'avanguardia in Italia nascono nell'ambito del movimento futurista ma né Francesco Balilla Pratella (1880-1955) né Luigi Russolo (1885-1947), ideatore dell'intonarumori, approdano a risultati artisticamente validi. Non si forma una «Scuola nazionale»: i musicisti colti non hanno orecchie per la musica popolare; quando spunti popolari vengono inseriti in composizioni scritte, ci si ferma al popolaresco, allo strapaese più banale.
Musicisti tra i pochissimi che pionieristicamente compiono ricerche etnomusicali, come Leone Sinigaglia (1868-1944) per il Piemonte e lo stesso Balilla Pratella per l'Emilia-Romagna, non hanno personalità sufficiente come compositori. La rinascita della produzione strumentale in Italia e la reazione all'opera verista, si affidano invece ai modelli forniti dal canto gregoriano e dalla produzione strumentale rinascimentale e barocca. Questo vale principalmente per due dei musicisti della cosiddetta «Generazione dell'Ottanta»: Gianfrancesco Malipiero (1882-1973) e Ildebrando Pizzetti (1880-1968).
Ottorino Respighi vi unisce uno spiccato senso del colore di ascendenza orientalista, come si può notare nei suoi poemi sinfonici Le fontane di Roma (1916), Ipini di Roma (1924) e Feste romane (1928), che sono le sue opere ancor oggi più vive. Diverso il discorso per Alfredo Casella (1883-1947), pianista, compositore e organizzatore musicale importantissimo nel panorama italiano, che si avvantaggia di una formazione parigina durata dal 1896 al 1915, che cercò di realizzare, come egli stesso ebbe a dire, uno stile strettamente italiano, ma anche di valore internazionale.
La «Generazione dell'Ottanta» (che si trovò ad agire nel non facile clima del ventennio fascista) č stata il punto di partenza per compositori che hanno recuperato, secondo un'ottica italiana, una piena attualità alla produzione musicale del nostro Paese come Luigi Dallapiccola (1904-1975), di cui ricordiamo i Canti di prigionia (1941) e Ulisse (1967), e Goffredo Petrassi (1904-2003) con Coro di morti (1941), la serie degli otto Concerti per orchestra e i divertenti Nonsense.

BÉLA BARTÒK

Utilizzando le scale, i ritmi (ora ben scanditi, ora sciolti da una precisa accentuazione), i tempi irregolari della musica contadina, rimasta per lunghissimo tempo senza contatti con la contemporanea musica colta, Bartòk (1881-1945) elabora un linguaggio originalissimo, che, pur facendo i conti con quello di uno Schönberg o di uno Stravinskij, ne resta lontano proprio per le differenti radici culturali. Tra le opere maggiori: Allegro barbaro (1911), All'aria aperta (1926) tutte per pianoforte; Il mandarino meraviglioso (1919), pantomima teatrale; Il castello del Principe Barbablù, opera in un atto (1918); sei quartetti per archi; tre concerti per pianoforte e orchestra, l'ultimo dei quali incompiuto e scritto negli Stati Uniti d'America dove Bartòk era emigrato a seguito dell'affermarsi del nazismo nel proprio Paese.

MANUEL DE FALLA

La Spagna ha un compositore di livello internazionale in Manuel de Falla (1876-1946). Rivelatosi nel 1905 con l'opera in un atto La vida breve, Falla entra in contatto con l'ambiente parigino soggiornando nella capitale francese dal 1907 allo scoppio della guerra: l'opera più notevole di questo periodo, ricca di suggestioni impressioniste č Notti nei giardini di Spagna per pianoforte e orchestra. Tornato in patria utilizza i modi del folklore andaluso per scrivere i due balletti L'amore stregone (1915) e Il cappello a tre punte (1918-1919) molto più lineari nell'invenzione e nell'orchestrazione. Nelle opere successive si avverte un progressivo prosciugarsi del suo stile. Dopo l'avvento di Franco, emigra in Sud America, dove muore lasciando incompiuta l'opera Atlantida.

SERGHEJ PROKOFEV

Ucraino, dopo gli studi al Conservatorio di Pietroburgo, Prokofev (1891-1953) coglie successi straordinari tra Parigi con una serie di pezzi scritti su sollecitazione di Diaghilev e gli Stati Uniti d'America, dove esce L'amore delle tre melarance. Al periodo occidentale della produzione appartengono anche le prime quattro sinfonie e i cinque concerti per pianoforte, nonché la più significativa musica pianistica. Tornato in patria nel 1932, scrive il suo lavoro teatrale migliore, L'angelo di fuoco. Pur impegnandosi in una serie di opere ricche di comunicativa (la notissima Pierino e il lupo, lavoro di carattere didattico; le musiche per i film di Ejzenstein Aleksandr Nevskij e Ivan il terribile) incappa nelle censure di Zdanov (1948); ripiega allora su opere celebrative del regime.

MUSICHE D'OLTRE OCEANO

Molti compositori europei negli anni Trenta erano emigrati negli Stati Uniti d'America, dove avevano trovato una solida rete di diffusione culturale, scuole e istituzioni concertistiche e teatri di alto livello. Giovani compositori americani, a partire dagli anni Venti avevano compiuto il viaggio in senso opposto con meta Parigi, per studiare alla scuola musicale istituita per gli americani. Ma i compositori più interessanti non rientrano in questo itinerario artistico.
Charles Edward Ives (1874-1954), č stato singolare figura di musicista-assicuratore, che, appunto per garantire la propria indipendenza, fu un «compositore della domenica» geniale ed originalissimo. Di formazione accademica americana, alterna nella sua opera momenti di sperimentalismo totale a libere e fittamente intersecate citazioni musicali di canti popolari, spiritual, inni, marce bandistiche, suoni di campane, ricordi d'infanzia montati in sorprendenti combinazioni sonore. Ives scrisse tutti i suoi migliori lavori prima degli anni Venti, ma la sua musica rimase a lungo fuori dei circuiti ufficiali.
Del tutto diverso il caso di George Gershwin (1898-1937), autore di alcune delle più belle canzoni del repertorio americano. Attirato da forme impegnative, aspirante allievo di Ravel da cui non ottenne una sola lezione, compagno di partite a tennis di Schönberg cui lo accomunava questa sola passione sportiva, riuscì nella Rapsody in Blue (1924) e in An American in Paris (1928) a scrivere due opere di duraturo successo, inserendo melodie e timbri strumentali di derivazione jazzistica all'interno di forme colte occidentali; ugualmente felici e ancor più ambiziosi il Concerto in fa per pianoforte e orchestra (1925) e l'opera Porgy and Bess (1935).
Lo sperimentalismo rimane comunque il tratto più caratteristico e di maggior interesse della musica statunitense, l'affermazione di una libertà creativa lontana dall'insegnamento europeo. Ad esempio Henry D. Cowell (1897-1965) compie sul pianoforte una ricerca di nuovi timbri e aggregati, facendo suonare l'esecutore direttamente sulla cordiera senza uso dei tasti, o scrivendo dei «grappoli» (cluster) di suoni da eseguire col pugno o addirittura con tutto l'avambraccio, valicando così il confine tra suono e rumore.
Altro compositore sperimentale fu il franco-americano Edgar Varčse (1883-1965), che interpreta con la sua musica le nevrosi delle moderne metropoli (Hyperprism, Intégrales, Octandre), facendo spazio alla percussione fino a comporre uno storico pezzo affidato unicamente a strumenti a percussione più il pianoforte (Ionisation, 1931). In una seconda fase della sua attività, Varčse scrisse, dopo lungo silenzio, musica elettronica, realizzando negli anni Cinquanta Déserts e Počme électronique.
Tra i musicisti dell'America Latina č da ricordare Heitor Villa-Lobos (1887-1959), affermatosi a Parigi negli anni Venti, e poi di nuovo attivo in patria anche come organizzatore musicale che in due serie di composizioni Chôros e Bachianas brasileiras, rielabora spunti popolareschi contaminati nel secondo gruppo da uno spirito neobarocco di ritorno a Bach.

CRONACHE DEL DOPOGUERRA

Una delle caratteristiche più evidenti della musica (e in genere dell'arte) del secondo dopoguerra, č la velocità del suo sviluppo, che brucia tendenze creative che nel passato avrebbero richiesto decenni per svilupparsi compiutamente. Dal momento poi che la creatività musicale tende a seguire le linee di «un non linguaggio», diminuiscono sempre più le possibilità di comunicazione tra musicista e pubblico; il che, unito al fenomeno della proliferazione dei compositori a livello mondiale, produce il curioso fenomeno della crescita della produzione musicale unito al parallelo diminuire della domanda di essa; le società e gli enti di produzione musicale non programmano la produzione contemporanea che, meno che mai, viene conosciuta attraverso i canali dei mezzi di comunicazione di massa (per definizione allergici a tale compito).
Si esigono strumentisti sempre più preparati, iperprofessionali, il che da un lato stimola gli esecutori migliori a sviluppare nuove tecniche ma, dall'altro, impedisce di fatto la prosecuzione di quell'attività dilettantistica attraverso la quale una buona fetta di pubblico si avvicinava alla musica attivamente; parallelamente cresce sempre di più il divario tra musica di consumo e musica d'arte. Una produzione musicale che vorrebbe esprimere le ansie e le crisi dell'uomo d'oggi, che usa i mezzi tecnici più avanzati, si chiude in se stessa, immagine perfetta di quel «manoscritto in una bottiglia» che il filosofo e musicologo Theodor W. Adorno vedeva in essa nella sua Filosofia della nuova musica (1959).
Neue Musik si disse la musica del periodo «postweberniano» che ebbe come polo di sviluppo la «Scuola di Darmstadt» dal nome della città tedesca dove, a partire dalla fine degli anni Quaranta, vennero elaborandosi le proposte più rigorose di nuove strutture musicali che dovevano sostituirsi a quelle corrose dal tempo. Vi insegnarono all'epoca René Leibowitz, apostolo di Schönberg e della sua scuola e il francese Olivier Messiaen (1908-1992), personalità tra le più complesse della musica contemporanea. Compositore e organista Messiaen ha una vera passione per l'ornitologia: i canti degli uccelli, raccolti e registrati a decine, sono ricreati, sovrapposti e intersecati in diversi lavori orchestrali e pianistici. In relazione alla Scuola di Darmstadt, la sua composizione più interessante č senza dubbio Mode de valeurs et d'intensités (1949) per pianoforte, dove vengono organizzati, in un momento precedente a quello compositivo vero e proprio, oltre alle altezze, anche le intensità, le durate, i modi d'attacco dei suoni utilizzati nella composizione; queste successioni vengono poi impiegate liberamente dal musicista. A partire da questo pezzo Pierre Boulez (n. 1925), importante figura di compositore, direttore e saggista, scrive il primo libro delle Structures per 2 pianoforti (1952, poi rivisto), dove altezze, durate, modi d'attacco e intensità del suono sono trattate tutte come serie che vengono a intersecarsi nel corso della composizione. Si parla allora di «serialità integrale». Ciò che giunge all'ascoltare č una variabilità continua del discorso musicale, in cui a stento o per nulla si riconosce un prima e un dopo, in una continua frustrazione della memoria: la non ripetizione diventa norma.
Anche Karlheinz Stockhausen (n. 1928), scrive secondo principi analoghi, ma lasciandosi un po' andare a immagini sonore più incisive, con Kreuzspiel (1951) e Kontra-Punkte (1952), dove nel titolo stesso compare l'idea di contrastare la scrittura puntillista con un'altra più densa, caratterizzata da gruppi sonori molto movimentati.
Strutture musicali rigorosamente organizzate si trovano in lavori dell'epoca di Luigi Nono (1924-1990), di Franco Donatoni e, oltre oceano, di Milton Babbitt. Ma una maggior flessibilità, una certa piacevolezza all'ascolto si nota poi già nel Matteau sans Maître (1955) e nelle due Improvisation sur Mallarmé (1958) di Boulez, poi confluite nella vasta Pli selon pli, per orchestra (1957-1962).
Ad un uso più libero della serialità, si accompagna la comparsa dell'alea, ossia l'«indeterminazione». Nella musica aleatoria, il compositore non prevede tutto quanto accadrà all'esecuzione: Stockhausen e Boulez ne danno i primi esempi europei. Qui l'alea č ancora molto controllata, ma in seguito, le parti indeterminate saranno più estese, e ciò sotto l'influenza di un «non compositore» (così lo aveva definito Schönberg) americano di nome John Cage (1912-1992).
Spirito burlone e anticonformista, Cage aveva fin dal 1938 osato utilizzare il pianoforte, così carico di memorie romantiche, come uno strumento a percussione, introducendo tra le corde, viti, bulloni, pezzi di gomma e di vetro, modificandone radicalmente il timbro. L'esperimento ebbe successo; dal vecchio strumento uscirono sonorità inedite, vagamente apparentate con quelle della musica indonesiana. L'incontro col buddismo Zen, genera in Cage una tendenza ad una scrittura sempre più rilassata e libera nei confronti dell'interprete: l'alea tende a farsi sempre più massiccia, il silenzio sempre più prevale sul suono fino ad essere totale, popolato solo dai rumori del pubblico e dai gesti dell'esecutore. L'intento provocatorio di questa «non musica» č evidente, ed č da inquadrare in un'America oppressa dal senatore McCarthy coi suoi furori reazionari.
Di passaggio, citiamo due compositori, Morton Feldman e Christian Wolff, che hanno proseguito l'esperienza di Cage in musiche piene di silenzi, di accordi isolati (anche consonanti secondo la tradizione, ma non più legati fra loro) e di pianissimi, e le musiche ripetitive dei «minimalisti» dove pop music e incantamenti tipo Zen a stelle e strisce si danno la mano. In Europa, Cage dà scandalo; l'alea e l'improvvisazione entrano a far parte del vocabolario di compositori europei, quali Bruno Maderna, Franco Donatoni e dello stesso Stockhausen, nonché dell'argentino Mauricio Kagel (attivo però da un certo punto in Germania) e di una nutrita schiera di compositori giapponesi che uniscono le tecniche occidentali al recupero della loro tradizione musicale.
Lo svuotarsi progressivo della musica-in-sé realizzata nella partitura scritta, porta i compositori a lavorare sul gesto che produrrà (o no) il suono: Cage raccomanda di scrivere ciò che si deve fare, non ciò che si ascolterà («scrittura d'azione»); la gestualità in musica provoca di conseguenza una nuova notazione, talvolta elaborata in senso propriamente di raffigurazione come accade nelle raffinate scritture di Sylvano Bussotti (n. 1931). Esempi divertenti di gestualità si trovano in composizioni di Kagel e di Paolo Castaldi (n. 1930); sia l'uno che l'altro utilizzano spesso brani di autori del passato denaturati e trasformati, ampliando il senso di gesto a fatto musicale vero e proprio e recuperando a tratti un senso di neotonalismo curioso.
Anche Luciano Berio (1925-2003) si muove fin dall'inizio molto liberamente utilizzando tecniche compositive e materiali molto diversificati in lavori come Folksongs (1964), Sinfonia (1968), Accordo per quattro gruppi di bande (1980), esibendo notevolissime conoscenze tecniche per scrivere 9 Sequenze destinate a diversi strumenti e (una di esse) alla voce.
Il teatro vero e proprio come luogo dove il gesto emerge con naturalezza, ma si carica di nuovi significati, viene coltivato da Kagel, Bussotti, nonché da compositori come Luigi Nono (Intolleranza 1960, Al gran sole carico d'amore, Prometeo) e Giacomo Manzoni (La sentenza, Atomtod, Per Massimiliano Robespierre) nelle cui mani esso diventa momento di intenso impegno politico, drammaticamente teso ad una comunicazione popolare cui la serietà stessa del lavoro artigianale toglie in partenza una qualche possibilità di realizzarsi.
Alcuni compositori la cui produzione si situa fra la seconda metà degli anni Settanta e gli anni Ottanta, si tengono lontani sia dalle concezioni strutturalistiche che dall'elettronica (nonché da concezioni mistico-planetarie quali quelle del più recente Stockhausen), recuperando un modo di far musica nel quale spesso si insinuano riappropriazioni della musica del passato filtrata nei loro alambicchi.
Salvatore Sciarrino (n. 1947) presenta una poetica già suggerita dai titoli: Clair de lune, D'un faune, All'aure in una lontananza, Vanitas (coi suoi echi chopiniani), Allegoria della notte (con le rimembranze di Mendelssohn).
Alfred Snitke (n. 1934), russo-tedesco, si rifà talvolta ai modi di Haydn; Peter Maxwell Davies (n. 1934) rimedita addirittura tecniche rinascimentali. Questa «poetica dei ritorni» si accompagna in altri casi a volute semplificazioni di scrittura, alla ricerca di una comunicazione perduta, spesso attraverso contaminazioni non sempre felici.
Secondo un'interpretazione corrente anche il riflusso, ossia il disimpegno, avrebbe la sua musica: ricordiamo Wolfgang Rihm (n. 1952) in Germania e in Italia Lorenzo Ferrero (n. 1951) e Fabio Vacchi (n. 1949) tutti autori anche di produzioni teatrali. Per essi sono stati coniati termini di «Nuova semplicità» e «neoromanticismo»: come sempre si tratta (quando c'č) di nuova creatività, in un'epoca come la presente quanto mai favorevole alle contaminazioni, al pluralismo culturale.

MUSICA ELETTRONICA

Un importante campo di sviluppo della musica contemporanea č stato quello della musica elettronica. Centri principali di essa sono stati Parigi (Počme électronique di Varčse; Orient-Occident di Xenakis), Colonia con Stockhausen, Milano con Berio e Maderna nati tutti negli anni Cinquanta. Oggi nuovi sviluppi dell'elettronica si sono avuti con il live-electronic, dove i suoni vengono elaborati in diretta, e la computermusic. Alcuni compositori scriveranno per strumenti tradizionali trattando però l'orchestra in maniera tale da farne uscire sonorità che ricordano per certi aspetti quelle dell'elettronica; ne deriveranno lavori ricchi di comunicativa, molto lontani dall'incomunicabilità del periodo postweberniano.
Ricordiamo Iannis Xenakis (1922-2001) architetto greco, la cui musica si caratterizza per la presenza di nebulose di suoni in movimento ed ampi glissandi incrociati degli archi.
György Ligeti (n. 1923) ungherese, ha pagine che brulicano di polifonie intricate nelle quali ogni strumento (anche gli archi) puň eseguire parti diverse.
Krzysztof Penderecki (n. 1933) punta maggiormente sugli effetti drammatici e di colore di statiche fasce sonore formate dalle vibrazioni di blocchi di suoni contigui.