PARIGI TRA DUE SECOLI
Fra Otto e
Novecento Parigi č tra i primissimi centri musicali nel mondo, non solo
per l'attività ivi svolta dai Francesi, ma anche per quella di immigrati
che contribuiscono a formarvi un clima di internazionalismo. Questa particolare
vivacità della capitale francese č il frutto di quella consapevole
rinascita della musica strumentale (coltivata prima solo dal coraggioso Berlioz
e sporadicamente da Gounod e da Bizet), che viene attuata negli anni Settanta
per iniziativa di Camille Saint-Saëns (1835-1921), sotto il motto «Ars
gallica» nel quale si riconosce la neo fondata Société
nationale de musique. A Saint-Saëns si devono cinque concerti per
pianoforte, tre sinfonie, l'opera Sansone e Dalila, nonché una buona
produzione cameristica, nella quale spicca il notissimo Carnevale degli
animali.
Importante anche l'attività di César Franck
(1822-1890), impregnato del culto di Bach e autore di molta musica da camera (il
Quartetto per archi č un capolavoro). Suo esatto contraltare, Emmanuel
Chabrier (1841-1894) del quale ricordiamo España per orchestra, ed una
divertente produzione pianistica.
Tra le scuole musicali che affiancano il
Conservatorio, troviamo la Schola cantorum, che, nata per favorire il recupero
del gregoriano e dell'antica polifonia, conosce sotto la direzione di Vincent
d'Indy (1851-1931) un periodo di grande splendore.
Allievo di
Saint-Saëns č invece Gabriel Fauré (1845-1924), dal carattere
riservato e dall'espressione raffinata e intima. Musicista meticoloso (impiega
sette anni per scrivere l'opera Pénélope), cura molto il
particolare e la chiarezza dello strumentale, crea musica religiosa
assolutamente priva di retorica.
Uguale chiarezza, unita a un preciso senso
del colore, si trova nelle opere di Paul Dukas (1865-1935), cui si deve il
notissimo Apprendista stregone (1897), su una ballata di Goethe. Ma la figura
che emerge fra tutti č quella di Claude Debussy.
A Parigi, avendo
come punto di riferimento lo scrittore Jean Cocteau, autore tra l'altro del
libretto Il gallo e l'arlecchino in cui fa esplicita professione di
antiromanticismo, diversi musicisti si ribellano all'idea di scrivere musica da
ascoltarsi «con la testa fra le mani».
Erik Satie (1866-1925)
č il primo a muoversi deciso in questa direzione. Vive ad Arcueil, un
sobborgo industriale di Parigi, dove si reca sempre a piedi; scrive un balletto,
utilizza spunti derivati dalle musiche del circo e del music-hall e introduce
rumori quali quelli prodotti dalla macchina per scrivere e dal motore
d'aeroplano; ricerca lo scandalo e la provocazione, arriva a proporre una musica
destinata a fare unicamente da sfondo, da tappezzeria ad altri eventi; la qual
cosa non gli impedisce poi di scrivere un serissimo e ascetico Socrate per voce
e piccola orchestra.
Satie č il vero ispiratore di quel gruppo di
musicisti passato alla storia come Les Six ossia «I Sei». I più
importanti: Arthur Honegger (1892-1955), cui si deve una delle più belle
partiture ispirate alla «musica delle macchine»: Pacific 231 (1923),
interpretazione sinfonica della corsa di una locomotiva, e Darius Milhaud
(1892-1974) della cui produzione torrenziale ricordiamo Macchine agricole,
Catalogo di fiori, dove mette in musica dei veri e propri cataloghi. Tra le
opere di maggior impegno: Il bue sul tetto (1920), influenzato dalla musica
popolare brasiliana e La creazione del mondo (1923) contenente spunti di
derivazione jazzistica.
CLAUDE DEBUSSY
Claude Debussy (1862-1918) č uno di
quei musicisti dopo i quali «la musica non č più la stessa di
prima». Precoce pianista, insofferente della tradizione accademica,
polemico nei riguardi dell'opera francese, č il primo musicista dei tempi
moderni che prende le distanze dal pubblico, che dubita dell'importanza del
successo e, pur compiacendosi della notorietà, ostenta distacco dalle
istituzioni. Il Preludio al pomeriggio di un fauno (1894), ispirato a una poesia
di Mallarmé e i tre Notturni (1899), sono le opere strumentali più
importanti del suo primo periodo, nel quale č evidente l'intenzione di
realizzare un impressionismo sonoro analogo a quello pittorico. Debussy evita le
successioni armoniche romantiche e realizza in orchestra pulviscoli di suoni. Le
linee melodiche sono morbide e non simmetriche; le scale musicali superano la
disposizione dei suoni del sistema maggiore-minore, ispirandosi anche a modelli
di derivazione orientale (scale esatonali, pentafoniche).
Nell'opera
Pelléas et Melisande (1902), queste tecniche compositive evidenziano il
carattere decadente della poesia di Maeterlinck. Il mare, tre schizzi sinfonici,
Images per orchestra, contengono zone di costruzione più solida, che nel
balletto Jeux, danno luogo a strutture ritmicamente molto elaborate. Importante
anche la produzione pianistica, dove accanto alla ricerca di nuovi timbri e
sonorità impressioniste, si coglie un ritorno all'estetica francese
preclassica.
MAURICE RAVEL
Maurice Ravel (1875-1937) č l'altro
grande nome della musica francese di questo periodo, metodico e ordinato, anche
nella vita, tanto quanto Debussy č irregolare. Il suo colorismo
orchestrale, la fantasiosa scrittura pianistica (che precede in parte quella di
Debussy), sono sempre calate in una sensibilità che tende a privilegiare
la chiarezza del disegno, l'emergere della linea, la pulsazione ritmica: esempio
limite č il famoso Boléro (1928), dove alla costanza di ritmo e
melodia, si contrappone una grande varietà di orchestrazione. Qui, come
nella Sonata per violino e pianoforte e nei due concerti per pianoforte e
orchestra (1931) compaiono inflessioni melodiche derivate dalla scala del blues.
Deliziose due piccole opere: L'heure espagnole (1907) e L'enfant et les
sortilčges (1925), da accostare alla raccolta Ma mčre l'oye (per
pianoforte). Per i balletti di Diaghilev scrive Daphnis et Chloé e La
valse, rievocazioni del valzer viennese non priva di ironia. Questo aspetto,
oltre all'asciuttezza di certe opere da camera, dimostra l'adesione di Ravel
all'estetica di Stravinskij.
IGOR STRAVINSKIJ
Di origine russa, Stravinskij (1882-1971),
nelle sue prime opere, assorbe quel tipico senso del colore orchestrale, quel
gusto orientalista che era caratteristico del suo maestro Rimskij-Korsakov.
Scherzo fantastico e Fuochi d'artificio, uditi da Sergej Diaghilev, gli
procurano la commissione di una serie di lavori che vengono rappresentati a
Parigi dalla Compagnia dei balletti russi.
L'uccello di fuoco (1910),
Petruska (1911), La sagra della primavera (1913) scatenano entusiasmi e
polemiche.
L'uso di timbri orchestrali violenti e netti, ha fatto
paragonare queste musiche ai contemporanei pittori fauves. E, in effetti, una
forza selvaggia percorre molte pagine della Sagra, rievocazione del mondo della
Russia pagana e dove i modi della musica popolare slava sono utilizzati in modo
nuovo e personalissimo.
Nel periodo bellico, Stravinskij scrive per piccoli
gruppi due lavori teatrali, dove vengono utilizzate anche suggestioni tratte
dalla musica di consumo come il tango o il ragtime.
Quest'atteggiamento
antiromantico, approda ad un atteggiamento neoclassico oggettivo: la musica
č espressione solo di se stessa, senza alcun riferimento ad altre
realtà; temi di musiche passate, spesso deformati, vengono trattati con
ironia, ma anche con malcelato rimpianto; ricordiamo Pulcinella, su musiche (non
tutte autentiche) di Pergolesi (1920) e La carriera di un libertino (1951) che
recupera forme settecentesche. Vanno ricordate ancora Les Noces (terminate nel
1923) per voci, 4 pianoforti e percussione, intrise di espressività
popolare slava, e Sinfonia di Salmi (1930) opera dove atteggiamenti neoclassici
si uniscono al recupero di una religiosità severa e
arcaica.
Stabilitosi negli Stati Uniti all'epoca della seconda guerra
mondiale, Stravinskij scrive l'Ebony Concerto (1945) per l'orchestra jazz di
Woody Herman. Nell'ultimo periodo della sua attività, utilizza a suo modo
il metodo dodecafonico per realizzare polifonie religiose rigorosamente
strutturate.
Igor Stravinskij
IL NOVECENTO TEDESCO
In Germania e in Austria si verifica una
progressiva e radicale svolta linguistica le cui conseguenze sono tutt'oggi ben
avvertibili. Qui attecchiscono meglio che altrove germi di novità portati
anche da compositori non tedeschi come Ferruccio Busoni (1866-1924),
appassionato sostenitore di una nuova classicità fondata su nuovi modi
linguistici e su un teatro antiromantico e Aleksander Skrjabin (1872-1915),
moscovita di nascita, ma vissuto a lungo a Parigi e a Bruxelles, pianista di
fama mondiale, che ignora le tematiche nazionali russe; tipico rappresentante
del Decadentismo, sogna accostamenti di suoni, profumi, luci e colori. Nella sua
musica viene distrutto il senso classico delle concatenazioni
armonico-melodiche. Per pianoforte scrive Studi e Sonate, che rappresentano
l'equivalente musicale dei fantasiosi arabeschi dell'art nouveau. Nel poema
sinfonico Prometeo giunge a prescrivere accanto al normale pianoforte, una
tastiera luminosa, alle note della quale vengono associati colori diversi.
Un'analisi del Prometeo compare nell'almanacco Der Blaue Reiter («Il
cavaliere azzurro», 1912), vero manifesto dell'espressionismo tedesco. Esso
include tre composizioni di Schönberg, Berg e Webern, la triade che si usa
indicare come «Scuola di Vienna».
Nel periodo successivo alla
prima guerra mondiale, in un clima culturale di reazione ai personalismi
dell'espressionismo, vien ricercata una «nuova oggettività»; in
architettura questa tendenza č rappresentata dalla scuola chiamata
Bauhaus. In campo musicale Paul Hindemith (1895-1963) rappresenta bene il
passaggio da un clima espressionista ad uno più oggettivo.
La
«musica d'uso» fu uno dei suoi campi d'azione: l'idea era quella di
utilizzare le forme della musica di consumo, per costruire lavori di buon
artigianato utilizzabili da dilettanti e da studenti. La Kammermusik n. 1 (1922)
e la Suite «1922» per pianoforte, mostrano invece un impegno
compositivo che travolge (o stravolge) gli spunti legati alla musica di consumo
e al jazz che vi compaiono come pretesti.
Hindemith, che fu anche
polemista, didatta, strumentista, organizzatore formidabile, all'epoca della
seconda guerra emigrò negli Stati Uniti d'America, dove il suo stile
diventa più morbido. Nell'ottica «oggettiva» rientra invece un
riuscito lavoro pianistico: Ludus tonalis (1942) con il suo programmatico
riferimento al Bach del Clavicembalo ben temperato.
Kurt Weill (1900-1950)
di Dessau ma anch'egli in seguito emigrato negli USA, collaboratore di Bertolt
Brecht, utilizza nelle musiche per i drammi di quest'ultimo i modi delle canzoni
da cabaret, introducendovi però acidità e tensioni atte a
denunciare l'ipocrisia e le falsità del mondo borghese da cui provengono
i modelli.
ARNOLD SCHÖNBERG
Schönberg (1874-1951) č una
delle figure più importanti della musica del Novecento. Inizia la sua
attività nel segno del tardoromanticismo. Dopo un primo periodo di
attività a Berlino, ritorna a Vienna dove rimane fino al 1911, anno della
pubblicazione del Manuale di armonia in cui mette a frutto la sua esperienza di
insegnante e di compositore insieme.
La Sinfonia da camera per quindici
strumenti (1906) mostra pienamente sia la tendenza alla concentrazione
espressiva in forme musicali di dimensioni ridotte, sia l'allontanamento deciso
dall'armonia romantica.
L'attesa (1909) e La mano felice (1908-1913)
portano in scena le angosce dell'uomo moderno, che Freud sta proprio nello
stesso periodo scientificamente indagando; un'invenzione continua di motivi
musicali, un gioco di timbri mutevolissimo, una vocalità che tende spesso
all'urlo, una scena pervasa di luci e colori lividi, verdi, gialli, rossi, sono
i caratteri dell'espressionismo musicale che qui si afferma.
Sul piano
puramente orchestrale alcuni di questi caratteri si ritrovano nei Cinque pezzi
per orchestra (1909), mentre alcuni brani del Pierrot lunaire (1912) per voce e
cinque strumentisti, ripropongono una scrittura contrappuntistica che si
rifà a tecniche del Rinascimento, reinventate in un contesto stralunato.
Segue una pausa compositiva che coincide con la prima guerra mondiale.
Nel
1918 troviamo Schönberg a Vienna, attivo quale organizzatore di una
Società di concerti privata. Nel clima di «nuova
oggettività» istauratosi nel dopoguerra, matura frattanto quel
«metodo per comporre con dodici suoni che sono soltanto in relazione fra
loro», noto più comunemente come dodecafonia, che risponde ad una
sentita esigenza di Schönberg di ordine e razionalità nel comporre.
L'emancipazione della dissonanza riceve una sanzione definitiva, assieme alla
sicurezza di non doversi in alcun modo compromettere con strutture
melodico-armoniche del passato.
Tutta la composizione deriva da una serie
di dodici note tutte diverse fra loro (i dodici suoni della scala cromatica) che
Schönberg concepisce però come tema, e che combina in vario modo; la
serie funziona un po' come il materiale da costruzione di un edificio:
praticamente non percepibile all'ascolto senza guida, non č tuttavia
indifferente alle caratteristiche dell'opera finita. Schönberg, recuperando
senza timore le forme tradizionali, provoca nella sua musica cortocircuiti da
brivido: la Suite op. 25 per pianoforte, le Variazioni per orchestra op. 31
(1928), l'opera Mosé e Aronne sono i principali lavori scritti
utilizzando questo metodo, impiegato in seguito da un enorme numero di
compositori, con tutte le varianti personali possibili.
Dopo l'avvento del
nazismo Schönberg si trasferisce negli Stati Uniti dove scrive un Concerto
per pianoforte (1942) ed uno per violino (1936), riuscendo infine a piegare la
tecnica da lui creata all'espressione di contenuti etici connessi col tema della
libertà (Ode a Napoleone, 1942) e con quello del dramma ebraico (Un
sopravvissuto da Varsavia, 1947).
ALBAN BERG
Viennese, allievo di Schönberg a
partire dal 1904, Berg (1885-1935) esordisce con una raccolta di Lieder,
più tardi orchestrati e pubblicati, la sua opera prima č tuttavia
una Sonata per pianoforte in un solo movimento (1908). Tra le opere del periodo
espressionista ricordiamo l'opera Wozzeck (1914-1922).
Temperamento
essenzialmente drammatico, anche dopo aver adottato il metodo dodecafonico,
conserva nei confronti di esso una assoluta libertà, appunto per l'intima
necessità di mescolare sonorità diverse da contrapporre e
alternare, in funzione espressiva. Il Concerto da camera (1925) č la sua
opera più schönberghiana. L'opera incompiuta Lulu, emotivamente meno
coinvolgente del Wozzeck, usa una tecnica di montaggio quasi cinematografica,
inglobando anche ritmi e sonorità derivati dalla musica d'uso nel
circo.
ANTON WEBER
Viennese, Weber (1883-1945), dopo i primi
lavori ancora di ascendenza tardoromantica, mostra quella tendenza alla
concisione che caratterizzerà tutta la sua opera: i Sei pezzi per
orchestra (1909), le Sei bagatelle per quartetto d'archi (1911-1913), i Cinque
pezzi per orchestra (1913) ne sono i migliori esempi. La ricerca sul timbro,
sulle piccole cellule melodiche, l'uso bilanciato dei suoni e dei silenzi,
portano ad una espressività controllata ed intensa, quella che racchiude
«un romanzo in un sospiro» come ebbe a dire Schönberg.
Nelle
opere del dopoguerra, adottato il metodo seriale, Webern giunge ad una scrittura
polifonica radicale; ricordiamo Il Trio per archi (1927), le Variazioni per
pianoforte (1936), la Seconda Cantata (1943).
In tempi sempre molto
limitati, il discorso musicale procede per linee molto spezzettate ma sempre
rigorosamente organizzate a partire da piccole cellule; si hanno delle vere
«costellazioni sonore» dove i modi d'attacco strumentali, i timbri, le
durate, le intensità vengono attentamente calibrati: puntillismo viene
definita questa tecnica compositiva alla quale si ispireranno i compositori
degli anni Cinquanta, detti appunto postweberniani.
CARL ORFF
Tedesco di Monaco di Baviera, Orff
(1895-1982) tenta una via lontana da imitazioni romantiche ma anche dai
radicalismi della «musica degenerata», una via ad una musica accetta
al regime nazionalsocialista di Hitler.
Il prodotto migliore č
Carmina Burana, su testi medioevali dei clerici vagantes, musicati in uno stile
molto ritmico e melodicamente semplice (1937); nell'ambito della musica d'uso
č autore dello Schulwerk, vasta raccolta di brani per ragazzi, basata
sulla musica attiva e tuttora in uso nell'insegnamento musicale in Germania e
fuori.
IL NOVECENTO NEL RESTO D'EUROPA
Fecondi sviluppi ha, sulla scia delle
ottocentesche scuole nazionali, la musica in alcuni Paesi estranei all'area
austro-tedesca.
In Ungheria Zoltán Kodály (1882-1967) e
Béla Bartòk effettuano una ricerca scientifica sul canto contadino
ungherese, registrando e pubblicando un'enorme quantità di canti e danze
e dando inizio alla moderna etnomusicologia. La musica di Kodály appare
più legata alla tradizione, mentre quella di Bartòk č
più originale.
In Polonia la figura più importante č
quella di Karol Szymanowski (1882-1937); di formazione tedesca, più tardi
accoglie nella sua opera influssi di Debussy e di Skrjabin. L'affascinante
lavoro teatrale Re Ruggero (1926) deve qualcosa alle suggestioni dei suoi viaggi
nel Sud italiano. La conoscenza del canto popolare č evidente in opere
come le Mazurche per pianoforte e lo Stabat Mater (1926).
In
Cecoslovacchia, Leós Janácek (1854-1928), moravo, elabora, a
partire da studi sul linguaggio e sulla musica popolare del suo Paese, una
maniera compositiva personalissima, basata sulla ripetizione di piccoli
frammenti utilizzati come moduli che organizzano brevi periodi musicali spesso
ritornellati come accade nelle danze popolari. Fiducioso nei valori della
cultura contadina e polemico nei confronti del mondo borghese, sviluppa questi
temi in una serie di lavori teatrali tra cui ricordiamo Da una casa di morti
(1924, da Dostojevskij). Scrisse anche molte opere strumentali.
La musica
inglese si inserisce nel movimento internazionale per merito di Benjamin Britten
(1913-1976), compositore eclettico che rifonde nella sua personalità
esperienze che partono da Händel; talento precoce di pianista e
compositore, č noto in particolare per i lavori teatrali Peter Grimes
(1945) e Il giro di vite (1954).
Nel particolare clima della Russia
sovietica, tra realismo socialista e libera creatività, si svolge l'opera
di due compositori-pianisti di grande rilievo: Prokofev e Sostakovic.
Il
problema del rapporto tra realismo socialista e libera creatività si fa
più acuto nel caso di Dmitrij Sostakovic (1906-1975). Insignito dei
massimi riconoscimenti sovietici fu contemporaneamente sottoposto ad attacchi
feroci, come quello del 1936 dopo il successo dell'opera Lady Macbeth del
distretto di Mzensk, ispirato direttamente da Stalin.
Tra le sinfonie (sono
15 in tutto), emerge la n. 7 «di Leningrado» concepita sotto
l'impressione dell'invasione nazista e della successiva liberazione della
città. Con il vitalismo di una parte della sua opera, contrasta
l'abbandonarsi alla più cupa desolazione, quasi il compositore fosse
attanagliato dall'impossibilità a continuare il suo lavoro.
In
Italia il trionfo del melodramma, perdurante anche durante i primi anni del
secolo, aveva relegato in secondo piano la produzione e l'esecuzione sia della
musica strumentale, sia delle opere teatrali d'oltralpe. Dal punto di vista
compositivo, le uniche velleitarie esperienze d'avanguardia in Italia nascono
nell'ambito del movimento futurista ma né Francesco Balilla Pratella
(1880-1955) né Luigi Russolo (1885-1947), ideatore dell'intonarumori,
approdano a risultati artisticamente validi. Non si forma una «Scuola
nazionale»: i musicisti colti non hanno orecchie per la musica popolare;
quando spunti popolari vengono inseriti in composizioni scritte, ci si ferma al
popolaresco, allo strapaese più banale.
Musicisti tra i pochissimi
che pionieristicamente compiono ricerche etnomusicali, come Leone Sinigaglia
(1868-1944) per il Piemonte e lo stesso Balilla Pratella per l'Emilia-Romagna,
non hanno personalità sufficiente come compositori. La rinascita della
produzione strumentale in Italia e la reazione all'opera verista, si affidano
invece ai modelli forniti dal canto gregoriano e dalla produzione strumentale
rinascimentale e barocca. Questo vale principalmente per due dei musicisti della
cosiddetta «Generazione dell'Ottanta»: Gianfrancesco Malipiero
(1882-1973) e Ildebrando Pizzetti (1880-1968).
Ottorino Respighi vi unisce
uno spiccato senso del colore di ascendenza orientalista, come si può
notare nei suoi poemi sinfonici Le fontane di Roma (1916), Ipini di Roma (1924)
e Feste romane (1928), che sono le sue opere ancor oggi più vive. Diverso
il discorso per Alfredo Casella (1883-1947), pianista, compositore e
organizzatore musicale importantissimo nel panorama italiano, che si avvantaggia
di una formazione parigina durata dal 1896 al 1915, che cercò di
realizzare, come egli stesso ebbe a dire, uno stile strettamente italiano, ma
anche di valore internazionale.
La «Generazione dell'Ottanta»
(che si trovò ad agire nel non facile clima del ventennio fascista)
č stata il punto di partenza per compositori che hanno recuperato,
secondo un'ottica italiana, una piena attualità alla produzione musicale
del nostro Paese come Luigi Dallapiccola (1904-1975), di cui ricordiamo i Canti
di prigionia (1941) e Ulisse (1967), e Goffredo Petrassi (1904-2003) con
Coro di morti (1941), la serie degli otto Concerti per orchestra e i divertenti
Nonsense.
BÉLA BARTÒK
Utilizzando le scale, i ritmi (ora ben
scanditi, ora sciolti da una precisa accentuazione), i tempi irregolari della
musica contadina, rimasta per lunghissimo tempo senza contatti con la
contemporanea musica colta, Bartòk (1881-1945) elabora un linguaggio
originalissimo, che, pur facendo i conti con quello di uno Schönberg o di
uno Stravinskij, ne resta lontano proprio per le differenti radici culturali.
Tra le opere maggiori: Allegro barbaro (1911), All'aria aperta (1926) tutte per
pianoforte; Il mandarino meraviglioso (1919), pantomima teatrale; Il castello
del Principe Barbablù, opera in un atto (1918); sei quartetti per archi;
tre concerti per pianoforte e orchestra, l'ultimo dei quali incompiuto e scritto
negli Stati Uniti d'America dove Bartòk era emigrato a seguito
dell'affermarsi del nazismo nel proprio Paese.
MANUEL DE FALLA
La Spagna ha un compositore di livello
internazionale in Manuel de Falla (1876-1946). Rivelatosi nel 1905 con l'opera
in un atto La vida breve, Falla entra in contatto con l'ambiente parigino
soggiornando nella capitale francese dal 1907 allo scoppio della guerra: l'opera
più notevole di questo periodo, ricca di suggestioni impressioniste
č Notti nei giardini di Spagna per pianoforte e orchestra. Tornato in
patria utilizza i modi del folklore andaluso per scrivere i due balletti L'amore
stregone (1915) e Il cappello a tre punte (1918-1919) molto più lineari
nell'invenzione e nell'orchestrazione. Nelle opere successive si avverte un
progressivo prosciugarsi del suo stile. Dopo l'avvento di Franco, emigra in Sud
America, dove muore lasciando incompiuta l'opera Atlantida.
SERGHEJ PROKOFEV
Ucraino, dopo gli studi al Conservatorio di
Pietroburgo, Prokofev (1891-1953) coglie successi straordinari tra Parigi con
una serie di pezzi scritti su sollecitazione di Diaghilev e gli Stati Uniti
d'America, dove esce L'amore delle tre melarance. Al periodo occidentale della
produzione appartengono anche le prime quattro sinfonie e i cinque concerti per
pianoforte, nonché la più significativa musica pianistica. Tornato
in patria nel 1932, scrive il suo lavoro teatrale migliore, L'angelo di fuoco.
Pur impegnandosi in una serie di opere ricche di comunicativa (la notissima
Pierino e il lupo, lavoro di carattere didattico; le musiche per i film di
Ejzenstein Aleksandr Nevskij e Ivan il terribile) incappa nelle censure di
Zdanov (1948); ripiega allora su opere celebrative del regime.
MUSICHE D'OLTRE OCEANO
Molti compositori europei negli anni Trenta
erano emigrati negli Stati Uniti d'America, dove avevano trovato una solida rete
di diffusione culturale, scuole e istituzioni concertistiche e teatri di alto
livello. Giovani compositori americani, a partire dagli anni Venti avevano
compiuto il viaggio in senso opposto con meta Parigi, per studiare alla scuola
musicale istituita per gli americani. Ma i compositori più interessanti
non rientrano in questo itinerario artistico.
Charles Edward Ives
(1874-1954), č stato singolare figura di musicista-assicuratore, che,
appunto per garantire la propria indipendenza, fu un «compositore della
domenica» geniale ed originalissimo. Di formazione accademica americana,
alterna nella sua opera momenti di sperimentalismo totale a libere e fittamente
intersecate citazioni musicali di canti popolari, spiritual, inni, marce
bandistiche, suoni di campane, ricordi d'infanzia montati in sorprendenti
combinazioni sonore. Ives scrisse tutti i suoi migliori lavori prima degli anni
Venti, ma la sua musica rimase a lungo fuori dei circuiti ufficiali.
Del
tutto diverso il caso di George Gershwin (1898-1937), autore di alcune delle
più belle canzoni del repertorio americano. Attirato da forme
impegnative, aspirante allievo di Ravel da cui non ottenne una sola lezione,
compagno di partite a tennis di Schönberg cui lo accomunava questa sola
passione sportiva, riuscì nella Rapsody in Blue (1924) e in An American
in Paris (1928) a scrivere due opere di duraturo successo, inserendo melodie e
timbri strumentali di derivazione jazzistica all'interno di forme colte
occidentali; ugualmente felici e ancor più ambiziosi il Concerto in fa
per pianoforte e orchestra (1925) e l'opera Porgy and Bess (1935).
Lo
sperimentalismo rimane comunque il tratto più caratteristico e di maggior
interesse della musica statunitense, l'affermazione di una libertà
creativa lontana dall'insegnamento europeo. Ad esempio Henry D. Cowell
(1897-1965) compie sul pianoforte una ricerca di nuovi timbri e aggregati,
facendo suonare l'esecutore direttamente sulla cordiera senza uso dei tasti, o
scrivendo dei «grappoli» (cluster) di suoni da eseguire col pugno o
addirittura con tutto l'avambraccio, valicando così il confine tra suono
e rumore.
Altro compositore sperimentale fu il franco-americano Edgar
Varčse (1883-1965), che interpreta con la sua musica le nevrosi delle
moderne metropoli (Hyperprism, Intégrales, Octandre), facendo spazio alla
percussione fino a comporre uno storico pezzo affidato unicamente a strumenti a
percussione più il pianoforte (Ionisation, 1931). In una seconda fase
della sua attività, Varčse scrisse, dopo lungo silenzio, musica
elettronica, realizzando negli anni Cinquanta Déserts e Počme
électronique.
Tra i musicisti dell'America Latina č da
ricordare Heitor Villa-Lobos (1887-1959), affermatosi a Parigi negli anni Venti,
e poi di nuovo attivo in patria anche come organizzatore musicale che in due
serie di composizioni Chôros e Bachianas brasileiras, rielabora spunti
popolareschi contaminati nel secondo gruppo da uno spirito neobarocco di ritorno
a Bach.
CRONACHE DEL DOPOGUERRA
Una delle caratteristiche più
evidenti della musica (e in genere dell'arte) del secondo dopoguerra, č
la velocità del suo sviluppo, che brucia tendenze creative che nel
passato avrebbero richiesto decenni per svilupparsi compiutamente. Dal momento
poi che la creatività musicale tende a seguire le linee di «un non
linguaggio», diminuiscono sempre più le possibilità di
comunicazione tra musicista e pubblico; il che, unito al fenomeno della
proliferazione dei compositori a livello mondiale, produce il curioso fenomeno
della crescita della produzione musicale unito al parallelo diminuire della
domanda di essa; le società e gli enti di produzione musicale non
programmano la produzione contemporanea che, meno che mai, viene conosciuta
attraverso i canali dei mezzi di comunicazione di massa (per definizione
allergici a tale compito).
Si esigono strumentisti sempre più
preparati, iperprofessionali, il che da un lato stimola gli esecutori migliori a
sviluppare nuove tecniche ma, dall'altro, impedisce di fatto la prosecuzione di
quell'attività dilettantistica attraverso la quale una buona fetta di
pubblico si avvicinava alla musica attivamente; parallelamente cresce sempre di
più il divario tra musica di consumo e musica d'arte. Una produzione
musicale che vorrebbe esprimere le ansie e le crisi dell'uomo d'oggi, che usa i
mezzi tecnici più avanzati, si chiude in se stessa, immagine perfetta di
quel «manoscritto in una bottiglia» che il filosofo e musicologo
Theodor W. Adorno vedeva in essa nella sua Filosofia della nuova musica
(1959).
Neue Musik si disse la musica del periodo
«postweberniano» che ebbe come polo di sviluppo la «Scuola di
Darmstadt» dal nome della città tedesca dove, a partire dalla fine
degli anni Quaranta, vennero elaborandosi le proposte più rigorose di
nuove strutture musicali che dovevano sostituirsi a quelle corrose dal tempo. Vi
insegnarono all'epoca René Leibowitz, apostolo di Schönberg e della
sua scuola e il francese Olivier Messiaen (1908-1992), personalità tra
le più complesse della musica contemporanea. Compositore e organista
Messiaen ha una vera passione per l'ornitologia: i canti degli uccelli, raccolti
e registrati a decine, sono ricreati, sovrapposti e intersecati in diversi
lavori orchestrali e pianistici. In relazione alla Scuola di Darmstadt, la sua
composizione più interessante č senza dubbio Mode de valeurs et
d'intensités (1949) per pianoforte, dove vengono organizzati, in un
momento precedente a quello compositivo vero e proprio, oltre alle altezze,
anche le intensità, le durate, i modi d'attacco dei suoni utilizzati
nella composizione; queste successioni vengono poi impiegate liberamente dal
musicista. A partire da questo pezzo Pierre Boulez (n. 1925), importante figura
di compositore, direttore e saggista, scrive il primo libro delle Structures per
2 pianoforti (1952, poi rivisto), dove altezze, durate, modi d'attacco e
intensità del suono sono trattate tutte come serie che vengono a
intersecarsi nel corso della composizione. Si parla allora di
«serialità integrale». Ciò che giunge all'ascoltare
č una variabilità continua del discorso musicale, in cui a stento
o per nulla si riconosce un prima e un dopo, in una continua frustrazione della
memoria: la non ripetizione diventa norma.
Anche Karlheinz Stockhausen
(n. 1928), scrive secondo principi analoghi, ma lasciandosi un po' andare a
immagini sonore più incisive, con Kreuzspiel (1951) e Kontra-Punkte
(1952), dove nel titolo stesso compare l'idea di contrastare la scrittura
puntillista con un'altra più densa, caratterizzata da gruppi sonori molto
movimentati.
Strutture musicali rigorosamente organizzate si trovano in
lavori dell'epoca di Luigi Nono (1924-1990), di Franco Donatoni e, oltre
oceano, di Milton Babbitt. Ma una maggior flessibilità, una certa
piacevolezza all'ascolto si nota poi già nel Matteau sans Maître
(1955) e nelle due Improvisation sur Mallarmé (1958) di Boulez, poi
confluite nella vasta Pli selon pli, per orchestra (1957-1962).
Ad un uso
più libero della serialità, si accompagna la comparsa dell'alea,
ossia l'«indeterminazione». Nella musica aleatoria, il compositore non
prevede tutto quanto accadrà all'esecuzione: Stockhausen e Boulez ne
danno i primi esempi europei. Qui l'alea č ancora molto controllata, ma
in seguito, le parti indeterminate saranno più estese, e ciò sotto
l'influenza di un «non compositore» (così lo aveva definito
Schönberg) americano di nome John Cage (1912-1992).
Spirito burlone e
anticonformista, Cage aveva fin dal 1938 osato utilizzare il pianoforte,
così carico di memorie romantiche, come uno strumento a percussione,
introducendo tra le corde, viti, bulloni, pezzi di gomma e di vetro,
modificandone radicalmente il timbro. L'esperimento ebbe successo; dal vecchio
strumento uscirono sonorità inedite, vagamente apparentate con quelle
della musica indonesiana. L'incontro col buddismo Zen, genera in Cage una
tendenza ad una scrittura sempre più rilassata e libera nei confronti
dell'interprete: l'alea tende a farsi sempre più massiccia, il silenzio
sempre più prevale sul suono fino ad essere totale, popolato solo dai
rumori del pubblico e dai gesti dell'esecutore. L'intento provocatorio di questa
«non musica» č evidente, ed č da inquadrare in
un'America oppressa dal senatore McCarthy coi suoi furori reazionari.
Di
passaggio, citiamo due compositori, Morton Feldman e Christian Wolff, che hanno
proseguito l'esperienza di Cage in musiche piene di silenzi, di accordi isolati
(anche consonanti secondo la tradizione, ma non più legati fra loro) e di
pianissimi, e le musiche ripetitive dei «minimalisti» dove pop music e
incantamenti tipo Zen a stelle e strisce si danno la mano. In Europa, Cage
dà scandalo; l'alea e l'improvvisazione entrano a far parte del
vocabolario di compositori europei, quali Bruno Maderna, Franco Donatoni e dello
stesso Stockhausen, nonché dell'argentino Mauricio Kagel (attivo
però da un certo punto in Germania) e di una nutrita schiera di
compositori giapponesi che uniscono le tecniche occidentali al recupero della
loro tradizione musicale.
Lo svuotarsi progressivo della
musica-in-sé realizzata nella partitura scritta, porta i compositori a
lavorare sul gesto che produrrà (o no) il suono: Cage raccomanda di
scrivere ciò che si deve fare, non ciò che si ascolterà
(«scrittura d'azione»); la gestualità in musica provoca di
conseguenza una nuova notazione, talvolta elaborata in senso propriamente di
raffigurazione come accade nelle raffinate scritture di Sylvano Bussotti (n. 1931).
Esempi divertenti di gestualità si trovano in composizioni di
Kagel e di Paolo Castaldi (n. 1930); sia l'uno che l'altro utilizzano
spesso brani di autori del passato denaturati e trasformati, ampliando il senso
di gesto a fatto musicale vero e proprio e recuperando a tratti un senso di
neotonalismo curioso.
Anche Luciano Berio (1925-2003) si muove fin
dall'inizio molto liberamente utilizzando tecniche compositive e materiali molto
diversificati in lavori come Folksongs (1964), Sinfonia (1968), Accordo per
quattro gruppi di bande (1980), esibendo notevolissime conoscenze tecniche per
scrivere 9 Sequenze destinate a diversi strumenti e (una di esse) alla
voce.
Il teatro vero e proprio come luogo dove il gesto emerge con
naturalezza, ma si carica di nuovi significati, viene coltivato da Kagel,
Bussotti, nonché da compositori come Luigi Nono (Intolleranza 1960, Al
gran sole carico d'amore, Prometeo) e Giacomo Manzoni (La sentenza, Atomtod, Per
Massimiliano Robespierre) nelle cui mani esso diventa momento di intenso impegno
politico, drammaticamente teso ad una comunicazione popolare cui la
serietà stessa del lavoro artigianale toglie in partenza una qualche
possibilità di realizzarsi.
Alcuni compositori la cui produzione si
situa fra la seconda metà degli anni Settanta e gli anni Ottanta, si
tengono lontani sia dalle concezioni strutturalistiche che dall'elettronica
(nonché da concezioni mistico-planetarie quali quelle del più
recente Stockhausen), recuperando un modo di far musica nel quale spesso si
insinuano riappropriazioni della musica del passato filtrata nei loro
alambicchi.
Salvatore Sciarrino (n. 1947) presenta una poetica già
suggerita dai titoli: Clair de lune, D'un faune, All'aure in una lontananza,
Vanitas (coi suoi echi chopiniani), Allegoria della notte (con le rimembranze di
Mendelssohn).
Alfred Snitke (n. 1934), russo-tedesco, si rifà
talvolta ai modi di Haydn; Peter Maxwell Davies (n. 1934) rimedita
addirittura tecniche rinascimentali. Questa «poetica dei ritorni» si
accompagna in altri casi a volute semplificazioni di scrittura, alla ricerca di
una comunicazione perduta, spesso attraverso contaminazioni non sempre
felici.
Secondo un'interpretazione corrente anche il riflusso, ossia il
disimpegno, avrebbe la sua musica: ricordiamo Wolfgang Rihm (n. 1952) in
Germania e in Italia Lorenzo Ferrero (n. 1951) e Fabio Vacchi (n. 1949) tutti
autori anche di produzioni teatrali. Per essi sono stati coniati
termini di «Nuova semplicità» e «neoromanticismo»:
come sempre si tratta (quando c'č) di nuova creatività, in
un'epoca come la presente quanto mai favorevole alle contaminazioni, al
pluralismo culturale.
MUSICA ELETTRONICA
Un importante campo di sviluppo della musica
contemporanea č stato quello della musica elettronica. Centri principali
di essa sono stati Parigi (Počme électronique di Varčse;
Orient-Occident di Xenakis), Colonia con Stockhausen, Milano con Berio e Maderna
nati tutti negli anni Cinquanta. Oggi nuovi sviluppi dell'elettronica si sono
avuti con il live-electronic, dove i suoni vengono elaborati in diretta, e la
computermusic. Alcuni compositori scriveranno per strumenti tradizionali
trattando però l'orchestra in maniera tale da farne uscire
sonorità che ricordano per certi aspetti quelle dell'elettronica; ne
deriveranno lavori ricchi di comunicativa, molto lontani
dall'incomunicabilità del periodo postweberniano.
Ricordiamo Iannis
Xenakis (1922-2001) architetto greco, la cui musica si caratterizza per la
presenza di nebulose di suoni in movimento ed ampi glissandi incrociati degli
archi.
György Ligeti (n. 1923) ungherese, ha pagine che brulicano di
polifonie intricate nelle quali ogni strumento (anche gli archi) puň
eseguire parti diverse.
Krzysztof Penderecki (n. 1933) punta maggiormente
sugli effetti drammatici e di colore di statiche fasce sonore formate dalle
vibrazioni di blocchi di suoni contigui.