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Moschea.

(dall'arabo masgid: luogo di adorazione). Edificio per il culto della religione islamica, nel quale si svolge la preghiera. In origine il tempio non fu destinato esclusivamente ad atti di culto, ma venne adibito anche a luogo di istruzione religiosa; inoltre, gli furono attribuite anche le stesse funzioni che in epoca preislamica aveva avuto il majlìs, sorta di Parlamento (di cui la m. mantenne il carattere di sacralità e di inviolabilità) in cui si discuteva e si deliberava su ogni problema riguardante la vita pubblica della comunità. La struttura architettonica della m., che una lunga tradizione voleva ispirata alla casa di Maometto a Medina, dove il profeta era solito radunare i neofiti, fu in origine estremamente elementare: dalla semplice delimitazione sul terreno tramite fascine o per mezzo di un fossato si arrivò alla copertura, dapprima con tronchi di palma e in un secondo tempo con un tetto piatto. Le uniche esigenze da rispettare erano di tipo pratico e le richieste liturgiche si limitavano all'orientamento della preghiera, rigorosamente verso La Mecca (qibla), direzione indicata nelle prime m. da una spada conficcata in terra e, dall'VIII sec., da una sorta di nicchia (mihrāb). Il mihrāb gradatamente si sviluppò in una costruzione rettangolare, composta di un cortile aperto (sahn) e circondato da portici, e di una piccola sala, che con l'evoluzione architettonica della m. assunse valori artistici ed estetici autonomi. Come dimostrò nel 1966 lo studioso Monneret, la prima m. fu eretta da pagani nel 670 (m. di Kufa). Le gami (m. madri) per la preghiera comune del venerdì, ma in molti casi anche le semplici m., sono dotate anche del minbar, il pulpito dal quale l'uléma legge il Corano e si rivolge ai fedeli; spesso dispongono anche della maqsura, la loggia per il sovrano isolata da una grata dal resto della comunità e a cui si può accedere tramite un colonnato, e del dikka, una sorta di palco dal quale viene diretta la preghiera comune. Il classico minareto (mimar) fu introdotto nei secc. VII-VIII, piuttosto per ragioni di rappresentanza e celebrative (l'alta torre simbolicamente alludeva alla vittoria dell'Islam) che per reali esigenze di culto; oggi costituisce un elemento inconfondibile e caratteristico e ha assunto un preciso scopo pratico, poiché vi sale il muezzin cinque volte al giorno per richiamare i fedeli alla preghiera. Nel corso dei secoli gli schemi planimetrici e architettonici delle m. sono stati numerosi e, soprattutto, hanno conosciuto adattamenti e variazioni, talvolta notevoli, di natura soprattutto locale (le m. dell'Anatolia, quelle cinesi, quelle dell'area indiana). Si possono comunque identificare tre schemi principali. Il più antico e più diffuso è lo schema della m. a cortile, con una sala per la preghiera orientata verso la Mecca (con tre o quattro file di colonne parallele alla qibla) e situata sul lato opposto all'ingresso. La famosa grande m. di Damasco (come altre m. omayyadi) rappresenta una variante di questo schema, poiché fu realizzata con una navata che attraversa tutto l'ambiente, disposta sull'asse della mihrab e sormontata da una cupola: si tratta dello schema con dispositivo a T che ebbe grande successo nel Maghreb. Un secondo schema è quello della cosiddetta m. a chiosco, realizzata su modelli irano-sasanidi: un vasto ambiente quadrato è circondato da una galleria coperta da volte a botte e sormontato da una grande cupola sostenuta da ampi archi, i quali poggiano a loro volta su pilastri. A partire dall'XI sec. infine si diffuse (e dalla Persia arrivò anche in Egitto, pur se con qualche modificazione) la cosiddetta madrāsa, costituita essenzialmente da quattro ambienti limitati da muri (īwān) su tre lati e completamente aperti sul quarto con copertura voltata. A partire dal Cinquecento l'architettura delle m., almeno nei territori che vanno dalla Spagna alla Mesopotamia, ha subito una lunga fase d'arresto, senza offrire più costruzioni originali e ripetendo in sostanza gli schemi tradizionali.
La Grande Moschea a Herat

Kampala: la moschea