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Moralismo.

Tendenza a giudicare persone, cose, avvenimenti attribuendo prevalente o esclusiva importanza a considerazioni morali. ║ Esasperazione di concetti morali. ║ Enunciazione astratta di principi morali, elevati in teoria ma sterili nella pratica, incapaci di condurre ad azioni concrete ad essi coerenti. Pertanto, nelle sue forme più consuete, il termine m. è inteso come surrogato di morale (V.) e indica l'atteggiamento di chi si erge a giudice delle azioni altrui o di chi si conforma alle norme morali per calcolo e convenienza o, comunque, di chi segue tali norme con pignoleria, ma assumendone più la forma che la sostanza. • Filos. - Una dottrina che ponga il primato dell'azione morale su ogni altra attività, valore o interesse umano, si definisce, in ambito filosofico, come m. Il termine ebbe le sue prime applicazioni in relazione al cosiddetto m. kantiano, dal momento che in esso veniva affermata la prevalenza della ragion pratica su quella teoretica (V. KANT, IMMANUEL) e subordinata ogni attività umana all'assolvimento del dovere morale, il cui riconoscimento sarebbe proprio l'oggetto precipuo della ragion pratica. J.G. Fichte stesso definì il suo sistema come m. puro (in Dottrina della scienza, 1801) in quanto, proponendosi di completare il "sistema della ragione" di Kant, pose la legge dell'azione umana, cioè la moralità, come principio esplicativo del reale. Tale atteggiamento speculativo fu duramente criticato da Hegel, che accusò sia Fichte sia Kant di fondare la realtà sul m. del dover essere, definendo il loro pensiero come idealismo moralistico, il cui difetto consisterebbe nella impossibilità di generare una reale operosità del soggetto nella storia. ║ M. umanistico: concezione filosofica che, ammettendo l'autorità di una norma morale che regoli l'arbitrio individuale, ritiene che l'uomo in quanto essere sociale e morale debba uniformare la propria azione al dovere. ║ M. assoluto: concezione morale elaborata da Abelardo, per la quale la moralità di un atto non è data solo dalla sua aderenza esteriore ad una norma, ma anche dalla coscienza e dall'intenzione del soggetto, di modo che un atto è moralmente retto solo quando sia inteso e voluto come tale.