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Morale.

(dal latino moralis, der. di mos: costume, corrispondente al modello greco ethicós, da ethos). Insieme di regole e consuetudini di comportamento riconosciute come valide e universali da un un gruppo di individui, da una società o da una cultura. Tale complesso normativo si applica ai costumi, cioè all'esistenza pratica, ed è inteso come sistema di riferimento per operare una scelta consapevole, del singolo come della collettività, tra azioni o condotte ugualmente possibili ma appartenenti alle opposte categorie di ciò che è considerato bene e di ciò che è considerato male. ║ Libertà m.: attitudine ad operare in armonia o in contrasto con principi etici ritenuti di valore universale. ║ Senso m.: qualità spirituale che consente ad un soggetto di distinguere il bene dal male e che si ritiene posseduta da un singolo in quanto innata o in quanto acquisita per educazione ed esperienza. ║ Per estens. - Ciò che riguarda lo spirito, in quanto contrapposto a ciò che è materiale (ad esempio, forza m. in opposizione a quella fisica), logico (certezza m. in opposizione a quelle razionale) o intellettuale (scienze m., cioè le discipline umanistiche, in opposizione a quelle fisiche). ║ Insegnamento pratico che si trae da una favola, o da una qualsiasi narrazione, secondo la tradizionale clausola delle favole di Esopo o múthos delói: il racconto insegna che... • Antropol. - Secondo E. Durkheim, le società primitive aventi struttura semplice e ridotta consistenza demografica connettono, secondo modalità sostanzialmente omogenee, la buona o cattiva sorte di uno dei propri membri con la sua condotta m. L'intero cosmo, infatti, viene concepito come soggetto ad un ordinamento m. i cui garanti sono divinità, o comunque esseri soprannaturali, cui si attribuiscono criteri di giustizia simili a quelli sperimentati nel comportamento sociale: secondo una tale concezione, dunque, ad un'infrazione dell'ordine m. stabilito segue una punizione e, viceversa, una punizione può essere causata solo da un'infrazione. • Dir. - Il rapporto esistente tra m. e diritto è questione sempre centrale nella storia del pensiero giuridico. L'essere entrambi, infatti, due ordini paralleli di prescrizioni e norme finalizzate al controllo della condotta sociale e individuale, ha spesso portato alla nascita di conflitti. Ne sono esempi i casi in cui il diritto e la m. diano valutazioni incompatibili o comunque divergenti in relazione ad un medesimo atto o comportamento, ritenendo la m. vietato e punibile ciò che il diritto esige o permette e viceversa. ║ Ente m.: istituzione finalizzata all'offerta di un pubblico servizio, senza fini di lucro. ║ M. professionale: termine indicante l'insieme dei doveri e dei principi di cui si richiede l'assolvimento e l'applicazione da parte dei membri di una determinata professione nell'esercizio della medesima. • Filos. - Filosofia m.: parte della filosofia che ha come oggetto la condotta dell'uomo in relazione alla vita pratica. Essa ha lo scopo di stabilire principi e norme m., attraverso la definizione di giudizi di valore che permettano di distinguere ciò che è bene da ciò che è male. La storia e i contenuti della m., in quanto disciplina distinta nella tradizionale partizione della filosofia da fisica, metafisica e logica, sono correntemente riferiti al termine etica (V.). • Psicol. - Conoscenza m.: secondo la teoria psicoanalitica, consiste nel complesso di norme e valori riconosciuti da un soggetto come m. a livello conscio, e perciò distinti dagli imperativi del Super-Io cui l'individuo corrisponde senza per questo averne piena conoscenza. • Rel. - Doppia m.: locuzione indicante un tratto caratteristico del Luteranesimo. Con essa si registra la contraddizione che può crearsi tra la coscienza interiore del singolo, chiamato a seguire integralmente i dettami della m. da lui stesso adottata, e l'imperativo che il medesimo individuo adegui la propria condotta alle istanze e aspettative del corpo sociale in cui è inserito, per quanto esse possano contrastare con quelle della sua m. ║ Per estens. - L'applicazione, nel giudizio di un atto o di un comportamento, di criteri che variano al variare del soggetto che agisce o dell'ambito in cui agisce. • Teol. - Nell'ambito estremamente vasto che il Cristianesimo affida alla riflessione teologica, si distingue per convenzione un settore "storico-positivo" (cui appartengono le pratiche esegetiche, la filologia biblica, la patrologia, la storia del dogma, ecc.) e un settore "speculativo e sistematico", cui si attribuiscono la teologia dogmatica vera e propria, la mistica e la m. Nata fin dai primi secoli di vita della comunità cristiane, questa disciplina crebbe essenzialmente nei commentari delle Sacre Scritture e raggiunse la sua posizione nel corpus teologico grazie all'opera di Tommaso d'Aquino. Suo oggetto, come già per l'etica, è la vita pratica dell'uomo, suo fine è il riconoscimento di una condotta di vita che sia ordinata al raggiungimento del Bene Supremo, così come ci è stato indicato nella Rivelazione, cioè l'unione con Dio. In relazione ad una condotta, la teologia m. esprime dei giudizi che hanno fra loro un rapporto progressivo: 1) un atto è riconoscibile come pienamente umano quando sia compiuto coscientemente e con il deliberato concorso della volontà; 2) un atto che sia pienamente umano è anche m. quando sia conforme al fine della realizzazione del Regno di Dio nell'anima del cristiano, mentre è immorale quando sia di ostacolo; 3) un atto m. è trascendente in quanto rappresenta un progresso nel cammino di comunione tra il cristiano e Dio; 4) un atto m. è meritorio in quanto "merita" all'uomo la Grazia di Dio che lo sosterrà, in un circolo virtuoso, nel progredire della sua esistenza di figlio di Dio. ║ Sistemi m.: insieme di dottrine, sviluppatesi soprattutto nei secc. XVII e XVIII nell'ambito della casistica gesuitica, il cui fine era quello di consentire al singolo una scelta moralmente giustificabile quando egli fosse in dubbio rispetto alla liceità di un determinato atto. In particolare i sistemi m. miravano, una volta che fossero stabiliti principi di riferimento applicabili universalmente, a sciogliere il nodo dei rapporti tra libero arbitrio e legge. Per il lassismo, in caso di dubbio doveva prevalere sempre il dettato della coscienza. Per il probabilismo, era lecito seguire l'ipotesi della coscienza anche quando risultasse meno probabile di quella proposta dalla legge, purché essa fosse sostenuta da almeno un teologo, cioè da un parere autorevole. Per l'equiprobabilismo, la scelta secondo l'opinione personale era lecita solo se essa risultava ugualmente probabile rispetto a quella della legge (Lex dubia non obligat). Il probabiliorismo, sulla scorta dell'autorità dell'Aquinate, affermava invece che la liceità di un atto era data solo dalla sua conformità alla legge. Quest'ultima poteva essere trasgredita solo nel caso in cui risultasse assai più probabile il dettato della coscienza. Il tutiorismo, specularmente opposto al lassismo, riteneva che quella della legge fosse in ogni caso l'opinione "più sicura" e che perciò dovesse essere seguita in ogni caso, anche a preferenza di opinioni che risultassero assai più probabili. Tale posizione teologica, però, fu condannata dal Sant'Uffizio.