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Monocristallo.

Chim. e Fis. - Cristallo omogeneo di dimensioni variabili, ma non inferiori a qualche decimo di millimetro, in cui i piani cristallini hanno lo stesso orientamento. In natura, rappresentano forme monocristalline piriti, galene, quarzi e pietre preziose. Industrialmente, è possibile provvedere alla produzione di m. di particolari sostanze (silicio, germanio, solfuri, seleniuri, arseniuri), i quali vengono poi utilizzati in elettronica e in elettrotecnica, essendo alla base della produzione di tutti i dispositivi attivi (diodi, transistor, circuiti integrati) dell'elettronica dello stato solido. ║ Proprietà dei m.: la maggior parte dei solidi presenti in natura è di tipo policristallino, costituito cioè da molti cristalli (le cui dimensioni possono variare da qualche milionesimo di millimetro fino a un millimetro circa). Questi cristalli (grani cristallini), hanno ciascuno una propria orientazione spaziale, diversa da quella dei vicini e questo fa sì che le proprietà meccaniche, chimiche e fisiche dei policristalli siano rappresentate da una media delle proprietà dei singoli cristalli nelle varie direzioni. I m. invece, a causa della loro anisotropia di struttura, presentano proprietà meccaniche, chimiche e fisiche sensibilmente diverse rispetto a quelle dei corrispondenti materiali policristallini. In un m., infatti, la struttura atomica è regolare e le proprietà del materiale variano con la direzione secondo cui vengono misurate, a causa dell'asimmetria spaziale del legame fra gli atomi, aventi medesima orientazione. In particolare, i fenomeni di scorrimento, conseguenti all'applicazione di forze uguali e contrarie alle estremità di una lamina monocristallina, variano con la direzione di sollecitazione: questo si spiega supponendo che esistano piani reticolari e direzioni preferenziali per lo scorrimento. Analoghe considerazioni valgono per le proprietà elettriche e magnetiche dei m.Metodi per la preparazione di m.: benché la cristallizzazione sia un'operazione assai comune nell'industria chimica, la sua teoria è poco nota, se non in via puramente qualitativa. Si sa, ad esempio, che la cristallizzazione di un materiale allo stato liquido non inizia istantaneamente al di sotto della temperatura di fusione, bensì dopo un sottoraffreddamento che varia caso per caso. Per produrre m. è necessario, anzitutto, disporre di materiale di partenza molto puro, ottenuto con il metodo della fusione a zona o con altre tecniche ugualmente raffinate (fanno eccezione i semiconduttori, quasi sempre drogati con quantità minime di opportune impurità). In presenza di impurità (piccole particelle solide o altro), queste agiscono da centri di nucleazione nel processo di cristallizzazione; in loro assenza, si suppone che nel liquido si formino e si distruggano costantemente dei piccoli aggregati ordinati, a causa di fluttuazioni locali dell'energia libera. Qualcuno di essi, tuttavia, si conserva durante il periodo necessario alla formazione di germi cristallini, il cui numero è proporzionale all'entità del sottoraffreddamento e alla velocità di raffreddamento; la grana cristallina di un materiale può quindi essere controllata, almeno in parte, agendo su quest'ultimo fattore, come viene fatto nel trattamento termico degli acciai. Teoricamente è possibile produrre un m. da un liquido molto puro mediante un lento raffreddamento, in modo che si formi un solo nucleo di cristallizzazione, attorno a cui solidifichi tutto il fuso; in realtà, si creano sempre più nuclei contemporaneamente, il che rende impossibile la preparazione di m. in questo modo. I metodi attualmente utilizzati si riconducono ai seguenti quattro: ricristallizzazione allo stato solido; cristallizzazione da soluzioni; cristallizzazione da fase vapore; cristallizzazione da fuso. 1) Ricristallizzazione in fase solida: determinate lavorazioni meccaniche e deformazioni (ad esempio, laminazione a freddo, trafilatura a freddo, stiramenti) producono in ogni materiale degli orientamenti preferenziali dei cristalli, tanto elevati, in alcuni casi, da consentire la formazione di un materiale quasi policristallino; in questo modo si determina la ricristallizzazione del materiale a partire da pochi centri di nucleazione, in direzioni prescelte, ottenendo un materiale che presenta ampie zone monocristalline. Tale metodo, detto di Carpenter-Elam, viene utilizzato per il ferro, per l'alluminio e per molte leghe metalliche, ma non è applicabile ai semiconduttori. 2) Cristallizzazione da soluzioni: è un metodo abbastanza semplice, anch'esso difficilmente applicabile ai semiconduttori; viene utilizzato per la preparazione, a partire da soluzioni acquose, di numerosi cristalli di sali, aventi notevole interesse pratico per qualche particolare proprietà (piezoelettricità, birifrangenza). Il metodo si basa sulla immersione di un cristallo in una soluzione satura, resa leggermente sovrasatura abbassando la temperatura; tale cristallo si accresce via via a spese del sale contenuto nella soluzione, dando così origine ad un m. Il processo può anche essere reso continuo, riscaldando la soluzione fino a saturazione, e introducendola nella zona di accrescimento del cristallo, mantenuta a una temperatura leggermente inferiore. Con questo metodo sono stati preparati m. di silicio, a partire da una soluzione in stagno fuso (in tal caso il m. resta leggermente drogato); da solventi opportuni sono stati preparati anche m. di semiconduttori del tipo III-V, mentre m. di germanio possono essere preparati da soluzioni in oro o alluminio fusi. 3) Cristallizzazione da fase vapore: si pongono in una camera ad atmosfera controllata delle sottili lamine monocristalline del composto o metallo che si vuole cristallizzare; con l'apporto di nuovi atomi le lamine si accrescono, sempre mantenendo - se le condizioni di lavoro sono opportune - la loro monocristallinità. L'apporto dei nuovi atomi può avvenire in due modi, per decomposizione di composti, oppure sfruttando il principio della parete fredda. Con questa seconda tecnica, adottabile per metalli facilmente sublimabili sotto una pressione opportuna, si pone un blocco di materiale policristallino nella camera in cui si trovano le lamine monocristalline, e lo si riscalda fino a farlo sublimare; gli atomi di metallo allo stato gassoso si depositano quindi sulle lamine, mantenute ad una opportuna temperatura inferiore a quella della camera. La prima tecnica, meno semplice, ma caratterizzata da risultati migliori, si basa invece sulla decomposizione pirolitica, oppure a mezzo di un'atmosfera riducente, di opportuni composti (solitamente organici) del metallo o della lega che si vuol depositare; gli atomi metallici così originati vanno ad accrescere le lamine. Tale metodo presenta lo svantaggio di una velocità di cristallizzazione bassa (al massimo un accrescimento di qualche millimetro per ora), ma consente un facile controllo della drogatura (e della sua uniformità) regolando la fase gassosa; gli spessori ottenibili sono limitati a qualche frazione di millimetro (largamente sufficienti per tutte le applicazioni nel campo elettronico). Inoltre, è possibile produrre lamine piane composte di strati con drogatura completamente diversa (ad esempio, con elementi di tipo p o di tipo n alternati), variando semplicemente il composto che genera gli elementi droganti; questo metodo - detto di accrescimento epitassico - permette quindi di ottenere direttamente delle giunzioni con effetto transistor (giunzioni n-p-n o p-n-p) con strati perfettamente paralleli ed estremamente sottili, fondamentali nell'industria elettronica. 4) Cristallizzazione dal fuso: è il procedimento più diffuso. Quasi tutti i metodi impiegati si rifanno a quello descritto da Czochralski, particolarmente adatto per il silicio e per il germanio: il metallo fuso viene versato in un crogiolo, mantenuto alla temperatura di fusione mediante riscaldamento elettrico a resistenza o a induzione. A contatto con il liquido viene posto un tubo capillare verticale, in cui, per capillarità, sale il fuso, che solidifica a partire dall'alto; controllando la temperatura all'interno del piccolo tubo, inoltre, viene favorito l'accrescimento di un solo germe tra quelli che si sono formati, fino a raggiungere il fuso. A questo punto il tubo viene innalzato, a una velocità opportuna, permettendo la solidificazione del m. a pelo del liquido. Il metodo descritto presenta qualche svantaggio, nonostante la sua semplicità; i principali sono: la disuniformità del m. che si crea, a causa di variazioni locali della temperatura nel crogiolo; la difficoltà di controllo del drogaggio. Gli elementi di drogatura, infatti, vanno aggiunti al fuso, e non è possibile regolarne la distribuzione nel passaggio di stato liquido-solido; il m. che si ottiene ha quindi una diversa concentrazione di elementi droganti lungo la sua lunghezza e una diversa resistività da punto a punto (il profilo di resistività lungo l'asse del m. è il miglior metodo per giudicare la bontà di un m. drogato di semiconduttore). Le disuniformità locali di temperatura possono essere eliminate mantenendo in rotazione il piccolo tubo, cioè il m. estratto, a una velocità di qualche giro per minuto; tale sistema, detto di tiraggio verticale con rotazione, è molto diffuso per m. in cui non sia richiesto un profilo di resistività molto uniforme, oppure per i casi in cui il drogante non ha tendenza a ripartirsi in una delle due fasi. Per attenuare le differenze di drogatura lungo lo sviluppo del m., invece, si aggiungono quantità ben dosate di lega madre, cioè della lega del semiconduttore con l'elemento drogante a quantità nota. Il tubo, inoltre, può essere sostituito con un germe monocristallino tagliato secondo un piano opportuno, ottenendo un m. con la medesima orientazione del germe. Una variante ad entrambi i metodi, detta del crogiolo galleggiante, si ottiene facendo galleggiare un crogiolo che contiene una piccola quantità di fuso, su una massa fusa di volume considerevole; nel crogiolo galleggiante viene posto il m. che funziona da germe e lo si estrae mantenendolo in rotazione. Attraverso un sottile canale, nel crogiolo entra esattamente la quantità di liquido che viene asportata dalla solidificazione, il che consente di controllare il drogaggio; si possono così produrre m. di peso poco inferiore al kilogrammo, di cui almeno il 60-70% ha la resistività compresa nei limiti accettabili per le applicazioni in elettronica. Tale metodo viene applicato in prevalenza al germanio, così come quello detto a polmone fuso, che prevede una zona completamente occupata da fuso, con due vasi alle estremità; in uno di questi si alimenta il materiale policristallino, dall'altro si estrae il m., con la solita tecnica. Un altro sistema utilizzato per il germanio è quello detto della lamina fusa: il crogiolo, riempito con il semiconduttore opportunamente drogato, viene fatto solidificare lentamente a partire dal fondo, fino a che resta una sottile lamina fusa solo in superficie. A questo punto viene immerso il germe monocristallino e si inizia il tiraggio, mantenendo costante lo spessore della lamina mediante lenta fusione del crogiolo, fino ad esaurimento del fuso: si ottengono così lingotti monocristallini del peso di 500÷1.000 g, di cui circa l'80% ha le caratteristiche volute. Un metodo completamente diverso è quello dell'accrescimento dendritico: il crogiolo viene riempito di materiale, portato a fusione, e infine raffreddato fino a una opportuna temperatura, inferiore a quella di fusione, senza che si abbia solidificazione, grazie al fenomeno del sovraraffreddamento. In queste condizioni basta immergere nel liquido un germe monocristallino per innescare il processo di cristallizzazione; estraendo il germe a una velocità opportuna si ottiene un sottile m. della lunghezza voluta (compatibilmente con le difficoltà pratiche e la quantità di fuso usata). Questo metodo presenta, tuttavia, due gravi inconvenienti: in primo luogo, il m. così ottenuto è in realtà costituito dall'accoppiamento di due m. attraverso un piano di geminazione interno; in secondo luogo, la drogatura è molto difficile, a causa dell'elevata velocità di cristallizzazione. I m. prodotti per accrescimento dendritico sono quindi impiegati in applicazioni in cui non è essenziale la perfezione cristallina ed è ammissibile il piano di geminazione, come, ad esempio, in diodi e in sistemi di rettificazione di corrente. Importanti sono, inoltre, i metodi derivati dalla raffinazione a zona; il più semplice di questi è il cosiddetto tiraggio orizzontale a zona o zone levelling. L'apparecchiatura è costituita da un fornetto a induzione tubolare ad atmosfera controllata, in cui si pone un crogiolo di quarzo ricoperto di grafite purissima; nel crogiolo viene posto un lingotto di materiale policristallino di lunghezza opportuna, appuntito ad un estremo che viene messo a contatto con un germe monocristallino. All'esterno del tubo sono avvolte le spire dell'induttore, che è mobile e può fondere solo una ristretta zona di lingotto; la cristallizzazione avviene fondendo la zona di contatto, lingotto-germe, e spostando in seguito la zona fusa (muovendo l'induttore) fino all'altra estremità del lingotto: il lingotto, infatti, ricristallizza punto per punto in forma monocristallina non appena è fuori dalla zona fusa. Tale metodo consente inoltre di drogare il semiconduttore aggiungendo composti contenenti il drogante all'atmosfera del forno, oppure introducendo in piccole cavità poste lungo il lingotto quantità opportune di lega madre. Un metodo simile è quello a zona fusa a tiraggio verticale; l'apparecchiatura è analoga a quella sopra descritta, con la differenza che non vi è crogiolo. Il germe è sostenuto da un morsetto, ed è rivolto verso l'alto; il lingotto policristallino è sostenuto da un altro morsetto, ed è rivolto verso il basso, a contatto con il germe su una superficie. L'operazione inizia con la fusione della zona adiacente a tale superficie, come nel zone levelling, e procede in modo analogo, salvo il fatto che la zona fusa resta fra i due solidi solo per l'azione della tensione superficiale: ciò limita notevolmente la sezione del lingotto che può essere trattato. È possibile controllare il drogaggio, come nel caso del zone levelling, e i risultati sono analoghi o anche superiori. È stato inoltre osservato che da un materiale drogato, sia p che n, è possibile ottenere una drogatura tipo p o tipo n, controllando la velocità di tiraggio: estraendo un m., con brusca variazione di velocità (in modo periodico), si può formare una serie di strati alternativamente drogati di tipo p o di tipo n, o - se si vuole - una serie di giunzioni p-n. Isolando un pezzo di m. di lunghezza opportuna, è allora possibile costruire direttamente una piastrina contenente due giunzioni (una n-p e una p-n o viceversa) e, quindi, un transistor n-p-n o p-n-p: la produzione del transistor, infatti, consiste solo nel montaggio nel suo contenitore e nella saldatura agli strati p e n dei contatti ohmici. ║ Lavorazione dei m.: nell'utilizzazione dei m. per la produzione di dispositivi elettronici, servono in generale piastrine di spessore 0,1÷0,2 mm e di superficie che va da alcuni centimetri quadrati a meno di 1 mm2. Occorre dunque provvedere al taglio in lamine del lingotto monocristallino; tale operazione viene eseguita, dopo inglobamento in opportune resine, mediante una mola diamantata o un filo di tungsteno (in modo simile a quello usato nelle cave di marmo). Il taglio è fatto secondo un piano cristallografico ben definito, quello perpendicolare all'asse del m.; al taglio segue la lappatura, cioè una lucidatura su panno rotante con abrasivo, allo scopo di eliminare lo strato superficiale della lamina distorto nell'operazione precedente. Un successivo attacco chimico elimina le ultime tracce di disturbo, lasciando un piano cristallografico pressoché perfetto sulla lamina che, avendo perso spessore in tutte le operazioni eseguite, è giunta ora allo spessore voluto. A questo punto si può realizzare sulla lamina intera una serie di componenti e poi provvedere al loro distacco mediante lama diamantata o per sfaldatura secondo un piano cristallografico, grazie a un'incisione chimica superficiale resa selettiva mediante un etching-resist di tipo fotografico. In altri casi la suddivisione della lamina in pezzetti può anche essere fatta prima di realizzare le giunzioni che danno i componenti.