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Moneta.

(dal latino moneta, attributo di Giunone, nel cui tempio sul Campidoglio si trovava la zecca di Roma). Disco metallico coniato (V. CONIAZIONE), avente titolo, lega, valore e peso stabilito. ║ In senso lato, tutto ciò che, in un dato ambito geografico e in un dato periodo storico viene accettato come mezzo intermediario di scambio e di pagamento o quale unità di misura comune di valore. Natura e caratteristiche della m. possono essere indicate per convenzione sociale (merce-m.) o norme giuridiche. ║ M. di conto: quella non realmente coniata né emessa, ma considerata unità di misura di un sistema monetario, per il calcolo dei valori. Ne è un esempio la sterlina di conto, corrispondente a 7,988 g di oro a 22 carati. ║ M. legale: nei Paesi ad economia monetaria, si intende sia quella metallica sia quella cartacea emessa dall'istituto di Stato, comprendente anche la m. divisionaria o sussidiaria costituita da frazioni o sottomultipli dell'unità monetaria. ║ M. privata: nei Paesi ad economia monetaria, è rappresentata da assegni, traveller's cheques, carte di credito, cambiali. Viene definita anche m. creditizia, bancaria o scritturale, in quanto non corrisponde fisicamente ad una m. reale ma ne è solo il segno. ║ M. unica o Euro: V. UNIONE ECONOMICA E MONETARIA. • Econ. - Anticamente il metodo più semplice per effettuare gli scambi era il baratto, ossia la permuta di un bene con un altro o lo scambio di merci. Ci si avvicinò a una concezione monetaria quando lo scambio tra due beni non fu più diretto, ma si realizzò attraverso la mediazione di un terzo bene, che ebbe in pratica la funzione di rendere omogenei beni di valore diverso. Nelle varie epoche storiche e nelle diverse civiltà furono assai eterogenei i beni utilizzati come intermediari. Come mostra l'etimologia del termine latino che indicava la m. (da pecunia, der. di pecus: bestiame, pecora), il bestiame fu uno dei primi mezzi di scambio cui venne attribuito un valore intrinseco. A conferire carattere di m. ad un dato bene non era tanto la sua intrinseca utilità, quanto l'alta probabilità di una sua generale accettazione. Se funzione immediata attribuita alla merce-m. fu quella di servire come mezzo di pagamento, presto si impose anche la sua natura di riserva di valore, dal momento che tra uno scambio e l'altro essa veniva temporaneamente trattenuta da uno degli attori dello scambio in attesa di uno scambio successivo. Per questo motivo cominciarono a prevalere, come merci-m., quelle che possedevano caratteristiche di indeperibilità. Presto i metalli, in virtù del loro pregio, maneggevolezza, non deperibilità e agevole divisibilità (potevano essere scambiati in pepite, in polvere, in frammenti, o fusi in lingotti, tegole, placche di cui il sovrano poteva garantire peso e lega mediante la coniazione di una effigie su ciascuna faccia), si dimostrarono il bene ideale a svolgere la funzione di mezzo di pagamento, di intermediario in base a una convenzione universalmente accettata. Da stratagemma mercantile per facilitare gli scambi, la m. diventò monopolio statale, direttamente coniata e gestita dai Governi. La circolazione di m., se circoscritta solo ad aree interne ad un determinato Stato, permise ai regnanti di introdurre pezzi metallici di peso inferiore rispetto a quello che sarebbe stato necessario per raggiungere il valore loro attribuito legalmente, ottenendo così un guadagno reale per le zecche governative. Al valore intrinseco del metallo prezioso, cioè, si andava sostituendo il suo valore legale, ovvero il potere d'acquisto di un dato pezzo era sancito dalla legge e dalla consuetudine e non dal suo peso reale. Ai mercati esteri, invece, venivano destinati pezzi metallici il cui valore commerciale corrispondeva a quello loro attribuito dal peso effettivo. La possibilità di scollamento tra valore reale e valore legale o convenzionale di una m. funzionò anche come appiglio logico per passare, in determinate situazioni, dalla m. fisica (consistente in un disco di metallo coniato per la necessità degli scambi), alla carta-m., che introduceva oltre alla m.-merce o m.-pegno, la m.-segno. In presenza di tesaurizzazioni cospicue di m. metallica, infatti, si introdussero documenti cartacei rappresentativi di un certo quantitativo di metalli preziosi che, per maggiore sicurezza e comodità, venivano depositati presso figure di fiducia (mercanti, orefici, ecc.) i quali rilasciavano tali attestati di deposito. Questi documenti, che permettevano la pronta riconsegna al detentore del proprio metallo prezioso, potevano a loro volta essere utilizzati come mezzo di pagamento con potere d'acquisto pari a quello del metallo che rappresentavano. Su queste basi prese avvio l'economia bancaria, che si sviluppò enormemente quando il banchiere si rese conto della possibilità di mantenere solo una riserva parziale, per far fronte alle eventuali richieste di conversione in metallo degli attestati da lui rilasciati, mentre parte dello stesso metallo affidato in custodia poteva essere destinata a prestiti. In pratica, rispetto ad una data quantità di metallo prezioso depositato il banchiere emetteva un segno bancario che manteneva al detentore l'originaria liquidità e potere di spesa, mentre la medesima quantità veniva data a prestito attribuendo ad un altro soggetto la liquidità corrispondente. Si creava così una doppia circolazione di m. che dava al sistema bancario la capacità di fatto di creare mezzi monetari. ║ Sistemi monetari: alla base di ogni sistema monetario è l'unità monetaria, che prevede multipli e sottomultipli. I due principali sistemi-base storicamente rilevati si fondano rispettivamente sulla m.-merce (sistema sostanziale) e sulla m.-segno (sistema nominale): il primo è collegato a un bene, il secondo no. Come si è visto, la m.-merce che si è affermata nel corso dei secoli è a base metallica. Finché la circolazione monetaria era costituita da sole m. metalliche, l'unità e i suoi multipli dovevano essere m. perfette, coincidendo il peso reale e il valore. Tale m. unitaria poteva anche non essere effettivamente coniata; si aveva così una m. ideale che aveva solo la funzione di strumento contabile. I sottomultipli, invece, destinati a piccoli pagamenti e a transazioni quotidiane di modesta entità, erano m. imperfette, coniate in metalli o leghe non nobili e a cui veniva attribuito un valore legale superiore a quello del metallo in esse effettivamente contenuto. Si potevano avere regimi polimetallici, nel caso in cui le m. erano coniate in metalli diversi ciascuno con pieno potere monetario; bimetallici, quando i metalli investiti di valore monetario erano due; monometallici quando si attribuiva tale valore ad uno solo. Il sistema a lungo più diffuso negli Stati occidentali è stato il bimetallico a base di oro e argento: ad entrambi i metalli preziosi in circolazione veniva riconosciuta la qualità di base monetaria, pur sussistendo fra essi un rigido rapporto, stabilito legalmente e determinato dal rispettivo valore di mercato. Nel monometallismo, invece, pur essendo ammessa la circolazione di m. di vari metalli, solo l'oro, esprimendo l'unità monetaria, costituiva la base del sistema, mentre gli altri erano sussidiari. I pezzi monetati nei metalli sussidiari fungevano da m. divisionaria, avente potere limitato rispetto a quello pieno della m.-base. Perché oltre alle diverse m. metalliche potesse circolare anche quella cartacea, era necessario che fosse possibile la sua convertibilità e quella della m. sussidiaria in m.-base. Tale convertibilità poteva essere effettuata in tre modi diversi, cui corrispondevano altrettante denominazioni distintive dei vari sistemi monetari. A seconda del criterio, cioè, con cui era effettuata la convertibilità, si aveva un sistema monetario a base aurea o gold standard, che prevedeva la piena convertibilità dei mezzi monetari in m.-base (il più diffuso fino alla prima guerra mondiale); oppure un sistema monetario a base metallo-oro o gold bullion standard, in cui era possibile la convertibilità in pezzi non monetati di oro (lingotti); o, infine, un sistema monetario a base cambio estero o gold exchange standard, in cui la convertibilità avveniva con una determinata m. straniera, fondata su base aurea o su base metallo-oro. Quest'ultimo sistema, oggi prevalente, offre il vantaggio di un adeguamento flessibile della riserva monetaria - costituita non solo da metallo-oro ma anche da valute straniere - alle esigenze di convertibilità. D'altro canto tale sistema espone lo Stato che l'adotta ad una dipendenza economico-monetaria rispetto allo Stato cui appartiene la valuta-base. Per quanto riguarda la m. circolante, essa si distingue in reale (o vera), con riferimento a un sistema a base m. oro in cui i pezzi siano costituiti da un quantitativo di metallo di valore pari a quello dichiarato, e fiduciaria, a sua volta distinta in m. sussidiaria e m. cartacea. La prima si riferisce alle m. metalliche aventi in genere un valore nominale più alto rispetto a quello reale del metallo di cui sono costituite. Quella cartacea, oltre che da biglietti a corso legale, è costituita da titoli di credito pubblici e privati che vengono accettati in pagamento dai venditori e dai creditori ed è perciò anche detta m. creditizia. Nelle economie industriali, è assai rilevante il ruolo della m. bancaria, che rappresenta oltre la metà di tutta la circolazione monetaria. L'assegno bancario viene definito una "quasi-m." in relazione a un insieme di peculiarità: non è anonimo come la vera m., non può rimanere in circolazione che per un limitato periodo di tempo, non ha corso legale, deve essere garantito da altri mezzi monetari poiché ha validità solo quando esiste un relativo deposito bancario. ║ Determinazione del valore e potere d'acquisto della m.: la m. ha due funzioni distinte, quella di mezzo di scambio e quella di unità di misura del valore. Gli economisti classici, tra cui Ricardo, estesero al problema del valore della m. la teoria generale del valore: distinsero cioè un valore naturale o normale di lungo periodo e un valore di equilibrio di breve periodo. Il primo era determinato dal costo necessario per produrre o promuovere i metalli preziosi, il secondo determinato dall'offerta e dalla domanda. La mediazione monetaria attuava una comparazione fra tutti i beni, rilevando contemporaneamente il rapporto economico in cui ciascuno sta rispetto agli altri. Poiché la m. si scambia con tutti i beni e i servizi, il suo valore di scambio risulta dalla media dei poteri d'acquisto che la m. ha in rapporto ai singoli beni. Diverso è, tuttavia, il caso della determinazione del valore di scambio di una m. quando questo non sia definito dal valore del metallo in essa effettivamente contenuto, poiché la m. stessa non è che un segno convenzionale il cui valore legale è fissato dallo Stato. L'arbitrio di tale convenzione ha però dei limiti posti dalla quantità di m. in circolazione, al fine di assicurare la stabilità della m. stessa, dato che essa non fa eccezione alle leggi generali della domanda e dell'offerta e il suo valore deriva da una sua relativa scarsità. Pertanto, una politica governativa volta a limitare l'emissione di m. consente di mantenerle un valore elevato, mentre un aumento sproporzionato dell'offerta di m., contestuale a una sostanziale stabilità della quantità di beni a disposizione, provoca aumento dei prezzi e diminuzione del valore della m. Quindi, poiché il prezzo di un bene ne indica il valore, un suo aumento equivale a una diminuzione del potere d'acquisto dell'unità monetaria e a un incremento del costo del lavoro necessario per produrre quel bene rispetto al bene-m. Se invece il prezzo diminuisce, aumenta il potere d'acquisto dell'unità monetaria. Così, se la massa monetaria complessiva aumenta si ha una diminuzione del potere d'acquisto dell'unità e quindi un aumento dei prezzi e viceversa: questo è il nucleo fondamentale della teoria quantitativa della m. Tale formulazione matematica, però, non corrisponde pienamente all'esigenza di individuare le cause della variazione nel potere d'acquisto della m., dal momento che congiunture storiche hanno dimostrato come tali fluttuazioni non siano necessariamente proporzionali alle variazioni quantitative della massa monetaria. Sono infatti molteplici i fattori responsabili delle modificazioni quantitative nell'offerta di m.: se ne deduce che le variazioni del potere d'acquisto non sono meccanicamente correlate al variare della quantità di m. disponibile. Il potere d'acquisto della m. è, ad esempio, inversamente proporzionale alla quantità di m. spesa (ossia diminuisce col crescere dell'offerta di m. sul mercato) e tende a diminuire col decremento del possesso di fondi liquidi rispetto alla quantità di m. disponibile (ossia col diminuire della domanda di m.). In altri termini, il potere d'acquisto di una m. si determina nel confronto fra le variazioni della quantità di m. spesa e quelle del volume dei beni disponibili. Tale potere diminuisce se la quantità di m. destinata alla spesa aumenta in proporzione maggiore rispetto al volume dei beni; esso cresce invece se la quantità di m. destinata alla spesa aumenta in proporzione minore rispetto al volume dei beni. Quanto al valore di ogni singolo bene, esso varia proporzionalmente alla quantità di m. che si è disposti a dare per il suo possesso, ferma restando la grandezza dell'unità monetaria. Quando la grandezza dell'unità monetaria aumenta (rivalutazione) cresce anche il potere d'acquisto e perciò diminuiscono i prezzi; quando tale grandezza diminuisce (svalutazione) si hanno effetti contrari. Considerando la massa monetaria disponibile in una data società nel processo di circolazione, ossia di scambio monetario per l'acquisto di beni in un determinato periodo di tempo, si definisce velocità di circolazione il rapporto esistente tra il valore complessivo degli scambi e il valore complessivo della m. circolante. Ad esempio, nel corso di un anno la medesima m. può essere utilizzata in diversi pagamenti, perciò la quantità di m. in circolazione può avere minor valore nominale rispetto al valore totale degli scambi effettuati nell'anno considerato. La velocità di circolazione aumenta perciò al crescere della domanda di beni, con un incremento del prezzo dei beni stessi se sono limitati, e viceversa. Anche secondo una teoria elaborata dagli economisti inglesi Hawtrey e Keynes, la domanda di m. influisce sulla determinazione del suo potere d'acquisto: essi cercavano di spiegare così il comportamento individuale in relazione al reddito disponibile e di spostare il problema da un piano statico e meccanicistico a un piano dinamico, in cui si tenesse conto anche delle valenze psicologiche e sociologiche nei fenomeni economici. ║ Politica monetaria: possono essere molteplici le politiche monetarie, con diversi esiti in materia di incremento dell'occupazione (o mantenimento della piena occupazione), aumento del reddito medio, stabilità del potere d'acquisto della m. Tra le più note teorie sulla stabilità del potere d'acquisto della m. si ricorda quella di I. Fisher, secondo cui occorre variare la quantità di oro contenuto nell'unità monetaria al variare del livello generale del prezzo e mantenere una riserva di copertura aurea sempre corrispondente all'ammontare della m. in circolazione. Pertanto, il peso di oro dell'unità monetaria dovrebbe aumentare se i prezzi tendono al rialzo, e viceversa. Il sistema dovrebbe essere di tipo metallo-oro, cioè a convertibilità in lingotti d'oro ammessa però solo per i pagamenti di saldi esteri. Secondo la teoria di Fisher, un rialzo dei prezzi, operando una diminuzione della riserva bancaria attraverso la compensazione nel peso dell'unità monetaria, si troverebbe riparato da fenomeni inflazionistici; mentre, nel caso di un ribasso, si avrebbe un aumento della riserva bancaria che impedirebbe tendenze deflazionistiche. Analogamente, il sistema funzionerebbe nei rapporti con l'estero, controbilanciando con aumenti o con diminuzioni del peso dell'unità monetaria le reazioni dei Paesi stranieri a variazioni del livello generale dei prezzi interni. Il limite fondamentale di questa teoria sta nella staticità e nell'isolazionismo degli elementi su cui si basa, non tenendo conto dell'influenza che sul livello generale dei prezzi ha, per esempio, la velocità di circolazione della m. stessa. Essa, inoltre, non considera quanto incidano sui livelli dei prezzi le fluttuazioni nella produzione mondiale dell'oro. Di ciò si sono invece occupati R.A. Lehfeldt e G. Cassel. Quest'ultimo ritenne che la stabilizzazione del potere d'acquisto della m. si dovesse conseguire mediante un controllo della produzione di oro e propose che le miniere aurifere fossero sottoposte al controllo di un comitato internazionale rappresentativo di tutti i Paesi, con il compito di calibrare l'estrazione di oro a seconda delle esigenze della stabilizzazione. Secondo Cassel le notevoli oscillazioni del livello generale dei prezzi dipendevano dal mancato adeguamento della produzione di oro alle esigenze del progresso economico. Infatti, la concordanza tra questi fattori, mantenutasi pressappoco fino al 1910, mediante l'incremento medio del 3% annuo nella produzione aurea aveva garantito una relativa stabilità della m.; con il venir meno di tale concordanza avevano avuto inizio oscillazioni consistenti del livello dei prezzi. Pertanto, al fine di una stabilizzazione del potere d'acquisto della m., doveva essere modificato il volume di produzione dell'oro, secondo il ritmo del progresso economico. Anche questa teoria, però, è stata ritenuta inadeguata a dare piena ragione dei fenomeni di fluttuazione. Un altro criterio di stabilizzazione del potere d'acquisto della m. è il cosiddetto tabulato nazionale del valore, già noto agli economisti del XVIII sec. e rielaborato da W.S. Jevons e dagli economisti della scuola di Cambridge. Esso si basa sulla costruzione di un indice dei prezzi che ne misuri le variazioni medie nel tempo. Per esempio, la "scala mobile" dei salari può considerarsi un'applicazione di tale sistema, al quale possono anche essere assimilati i vari meccanismi di equità contrattuale adottati soprattutto nei contratti a lunga scadenza, concepiti perché creditori e debitori possano ricevere e pagare coerentemente al potere d'acquisto della m. in ogni momento. Anche a tale sistema di stabilizzazione sono state mosse obiezioni, per lo più legate a carenze insite nella costruzione stessa di un indice generale dei prezzi, inadatto ad esprimere tempestivamente le variazioni generali e a individuarne le molteplici cause non monetarie. I vari metodi proposti per la stabilizzazione dei prezzi non intaccano in genere il fondamento del sistema monetario classico di tipo aureo. Proprio su questa immutabilità si appuntano le critiche di un'altra corrente di pensiero, secondo cui il sistema aureo, come stanno a dimostrare le esperienze del passato e in maniera sempre più lampante quelle recenti, non è in grado di mantenere stabile la m. Infatti, il legame di tale sistema al mercato mondiale dell'oro, consentendo alle Nazioni che dispongono delle maggiori riserve aurifere di esercitare un potere monopolistico, non può non provocare delle oscillazioni nel potere d'acquisto delle m. nazionali. Pertanto, coloro che condividono questa tesi caldeggiano in genere un sistema di carta-m., diretto dallo Stato che non dovrebbe più basarsi sul valore dell'oro, bensì sulla capacità produttiva dell'attività economica del Paese. Questa teoria conta fra i suoi sostenitori più autorevoli John Maynard Keynes (V.) che, pur non escludendo completamente l'oro dalle funzioni monetarie, lo considerò come mezzo di pagamento dei soli saldi della bilancia internazionale dei pagamenti e perciò come strumento stabilizzatore dei cambi. • St. - L'adozione di metalli come intermediari di scambio avvenne, inizialmente, sotto forma di lingotti che venivano pesati ad ogni transazione finché, grazie all'apposizione di marchi di garanzia del peso come della purezza del metallo, tale operazione fu eliminata. L'accettazione di pezzi contrassegnati, tagliati in precedenza e recanti l'indicazione del proprio valore ponderale, rappresentò di fatto l'introduzione della m., ma essa non fu né rapida né simultanea in tutte le zone civilizzate dell'antichità e spesso in uno stesso luogo convivevano entrambe i sistemi (con pesatura o senza pesatura). Ai Lidi appartengono le prime serie monetali (fine VIII sec. a.C.), di varie dimensioni, anche piccolissime per consentire un'ampia diffusione, e di elettro, una lega naturale di oro e argento presente nei letti fluviali dell'Asia Minore e della stessa Lidia. Tuttavia, non potendosi garantire l'esatta percentuale dei due metalli nelle m., e dunque il valore intrinseco esatto delle stesse, tale lega fu abbandonata in favore dell'oro e dell'argento separati. Secondo la tradizione, Creso (560 a.C.) introdusse una monetazione bimetallica oro e argento con un rapporto di 1/20. Nella Grecia continentale e nelle isole, nella monetazione prevalse l'argento, abbastanza disponibile nelle miniere locali: Egina coniò m. (sul recto una tartaruga in rilievo, sul verso un quadrato inciso) che furono assai diffuse e il cui valore ponderale fu mantenuto come riferimento nelle monetazioni di molte altre città greche. La prima serie ateniese (560 a.C. circa) ebbe diffusione solo locale e prevedeva m. corrispondenti a due volte l'unità di peso della dramma (4,36 g), il cui sottomultiplo era un obolo, equivalente a un sesto. La seconda monetazione (fine VI sec.) si basava su un pezzo base del valore di quattro dramme, caratterizzato dalle immagini, presenti sia sul recto sia sul verso, dell'elmo di Atena - protettrice della città - e della civetta, animale sacro alla dea. Questa coniazione, pensata appositamente per i traffici esterni all'area di diretto controllo della polis, è forse la più importante del mondo antico ed ebbe un'area di diffusione molto vasta, che giungeva fino alla Sicilia, grazie all'affidabilità del suo valore intrinseco e alla riconoscibilità della sua provenienza (era infatti chiamata la civetta). Anche Corinto coniò nel medesimo periodo una propria m., recante l'immagine di Pegaso, il cavallo alato che il mito collegava alla città. Tra il VI sec. e il V sec. a.C., numerose altre città greche attivarono proprie zecche, generalmente collegando il valore ponderale e il frazionamento dell'unità monetaria alla m. ateniese o di qualche altra polis maggiore. In Magna Grecia e Sicilia, le colonie greche ebbero spesso monetazione propria, anche se modellata su quella della madre patria. Sibari, Crotone, Metaponto e Caulonia ebbero tipologia comune - tondelli sottili portanti sul retto e sul verso la stessa immagine ora in rilievo e ora incisa - mentre le colonie di Sicilia ne ebbero ciascuna una propria. Leontini, Nasso, Imera, Selinunte, Gela, Catania coniarono m. di grande valore artistico, anche se le monetazioni più rilevanti nel V sec. furono quelle di Agrigento e, soprattutto, di Siracusa. Questa città, fra l'altro, emise una notevole massa monetata (recante sul recto la quadriga e sul verso la testa della ninfa Aretusa), anche se non raggiunse l'ampiezza di circolazione della m. ateniese, che peraltro rimase ineguagliata fino all'epoca ellenistica. Alessandro Magno (336-323 a.C.) optò per una monetazione trimetallica, commisurata ai valori ponderali di quella attica, che impose come solo mezzo circolante dell'Impero, superando in un solo colpo i particolarismi cittadini: le zecche impiantate nei vari territori producevano m. di uguale metallo, peso, valore nominale, immagini (tratte dal pantheon ellenico) e recavano il nome di Alessandro. Le prime effigi su m. di sovrani viventi si devono invece ai Diadochi che, spartito l'Impero alessandrino, ne rilevarono le zecche distinguendo le m. con il proprio ritratto (i primi furono Tolomeo e Seleuco Nicatore). Roma introdusse relativamente tardi una propria monetazione, allineandosi nelle prime serie di argento e di bronzo, sporadiche e poco numerose, alla m. coniate nel meridione d'Italia. La prima serie omogenea (emessa forse tra il IV e il III sec. a.C.) fu in bronzo, con multipli e sottomultipli dell'asse, recante la testa di Giano e la prora di una nave, tipo che rimase stabile molto a lungo e del peso di una libra. L'asse costituì la vera massa monetaria circolante per tutta l'età repubblicana, pur subendo una progressiva erosione nel peso. Rispetto al denario, che fu la prima m. in argento, il rapporto fu stabilito di 10:1, fino alla riforma introdotta da Augusto nel 23 a.C., per cui l'asse cominciò ad essere coniato in rame e i suoi sottomultipli (dupondio e sesterzio) in oricalco, una lega simile all'ottone. La m. aurea (cui furono apposte le effigi degli imperatori a partire da Augusto), fino ad allora sporadica, diventò parte integrante della monetazione regolare, ma insieme al denario (che aveva con l'aureo un rapporto di 25:1) fu soggetta a continue erosioni ponderali che resero necessari successivi interventi di riordino del sistema da parte degli imperatori. In particolare, Caracalla (215 d.C.) sostituì al denario ormai deprezzato una nuova m. in argento chiamata antoniniano, rivedendo anche il suo rapporto con le m. d'oro. Aureliano nel 274 riequiparò il valore dell'aureo al suo effettivo contenuto metallico e contrassegnò i pezzi di argento con il segno di valore; Diocleziano dieci anni più tardi attribuì valore fisso alle monetazioni sia argentee sia auree e riformò quella in metallo vile ottenendo durante il suo Regno una circolazione di m. omogenee sia nel valore nominale sia nelle immagini. Presto però le m. di argento e di bronzo/rame furono travolte nel processo inflazionistico rispetto all'aureo, battuto da Costantino (307) nella nuova forma del solidus, che rimase il nominale di base per tutte le monetazioni fino al Medioevo. I Regni romano-barbarici e l'Impero d'Oriente ereditarono il sistema monetario romano che, intorno al IV sec., si era ulteriormente semplificato: esso comprendeva tre nominali aurei, tre argentei e quattro bronzi. In Oriente, però, i nominali d'argento furono gradualmente sostituiti da grandi esemplari in bronzo fino alla creazione di un vero e proprio bimetallismo: la nuova monetazione rimase interna ai soli territori orientali, mentre la circolazione occidentale approdò a sua volta ad un bimetallismo, però fra oro e argento, abbandonando il conio del bronzo. I popoli barbari, che non avevano m. propria, dapprima utilizzarono quella romana ancora circolante, poi cominciarono a coniare sul modello di quella (riproducendo perfino le effigi imperiali). Fra il VI e VII sec., presso molti Regni barbarici (Merovingi in Gallia, Anglo-Sassoni in Britannia, ecc.) la monetazione non fu più sentita come monopolio regale, ma esercitata da chiunque avesse metallo da poter convertire in m., con netta prevalenza, in tali coniazioni private, dell'oro. In Italia invece, il re longobardo Rotari (635-652), avocò alla propria autorità il diritto di conio, sostituendo lentamente la m. d'argento a quella aurea. Carlomagno (768-814) riuscì a restaurare l'esclusiva imperiale della coniazione e introdusse, nei territori a lui soggetti, un monometallismo con il proprio denaro d'argento, calcolato del valore di un dodicesimo del solido costantiniano, m. ormai non più coniata ma mantenuta come valore nominale di riferimento. Tale m. rappresentò la circolazione dominante europea per i secoli successivi. Il frazionamento dell'Impero carolingio e la creazione della società feudale vanificarono la centralizzazione del conio mentre i conti, che avrebbero dovuto dirigere le zecche, cominciarono ad emettere m. per proprio interesse, parcellizzando la produzione e causando dapprima una carenza di metallo da conio e poi della m. stessa. Nel frattempo l'oro non era più monetato se non nell'Impero bizantino e nei Paesi musulmani. Durante il XIII sec. in Italia si verificarono importanti innovazioni: la svalutazione progressiva dei denari d'argento in circolo (piccoli, di cattiva lega e leggeri) e la necessità, soprattutto veneziana, di una m. con più alto potere d'acquisto portarono all'introduzione nel 1202 del ducato d'argento, detto anche grosso, ben accetto anche all'estero grazie al metallo purissimo. Seguì l'esempio veneziano Carlo d'Angiò di Napoli con il carlino d'argento, cui si accompagnò nel 1278 quello d'oro, che riportò in Italia la monetazione aurea come già era accaduto a Genova col genovino, a Firenze con il fiorino (1252) e di nuovo a Venezia (1284) con lo zecchino. Nel XV sec. anche Milano e il Regno pontificio introdussero m. auree con i rispettivi ducati. Con l'età moderna, in seguito all'incremento dei traffici di oro e di argento col Nuovo Mondo e al formarsi delle grandi entità statali, la monetazione subì rilevanti modifiche sia nella tipologia (ad esempio, con l'introduzione a Venezia e a Milano della lira d'argento) sia nella teoria ad essa applicata. Dopo un periodo di bimetallismo prevalente, almeno in Europa dove si raggiunse nel XVII sec. anche una perfezione materiale nella produzione di m. di modulo e forma regolare e standard, vi fu un moltiplicarsi delle specie e dei nominali; solo con Napoleone si cercò di portare ordine. Nel 1800 si verificò un generale e progressivo abbandono del bimetallismo verso un monometallismo aureo (il dollaro d'argento, per esempio, comparso solo alla fine del XVIII sec., si trasformò in meno di un secolo in m. aurea) da parte delle nuove potenze. Si andò imponendo la m. aurea di conto, dotata di valore durevole, collegata ad una organizzazione tecnico-giuridica del sistema monetario e alle banche centrali, a garanzia della m. circolante. Le m. della maggioranza dei Paesi rimasero quindi stabili finché, con la prima guerra mondiale, non ebbe inizio un processo inflazionistico contrassegnato dall'abolizione della m. aurea. Dopo la seconda guerra mondiale, la m. circolante in metallo prezioso è praticamente scomparsa (salvo gli esemplari a finalità numismatica) mentre si è generalizzato l'uso di carta-m. (V. SOPRA). Le principali categorie di m. oggi effettivamente utilizzata sono dunque tre: m. metallica (spicciola), carta-m., m. creditizia.

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