Stats Tweet

Monarchìa.

Forma di governo in cui l'autorità politica è esercitata da un solo individuo designato per successione ereditaria o anche elettivamente da una ristretta oligarchia. Tradizionalmente opposta alla Repubblica, le due forme di governo si differenziano in riferimento al concetto di sovranità: quando l'esercizio della sovranità è rimesso alla collettività popolare siamo in presenza di una forma di governo repubblicana; quando la sovranità è attribuita alla corona, siamo in presenza di una M. All'interno dell'istituto monarchico, si hanno altre distinzioni importanti, per esempio tra M. assoluta e M. costituzionale; tra M. elettiva e M. ereditaria. • St. - La M. nel mondo antico: lo sviluppo della M. in tempi preistorici si ebbe probabilmente in seguito alla legittimazione del potere carismatico dei capi militari. All'inizio, infatti, il sovrano fu ovunque un condottiero militare e solo più tardi venne riconosciuto come capo della comunità anche in tempo di pace. La M. non rappresenta la forma storicamente più antica del potere politico, poiché all'inizio vi era dualismo di poteri: da una parte, il capo patriarcale della famiglia o tribù (capo del gruppo parentale), dall'altro, il capo carismatico, il condottiero delle spedizioni di guerra o di caccia, il cui potere avrebbe potuto diventare stabile quando lo stato di guerra fosse diventato uno stato permanente. Quando poi calamità naturali come siccità ed epidemie si manifestavano con particolare accanimento, poteva emergere come figura dominante, come capo carismatico, lo stregone o il sacerdote. La M. fu quindi inizialmente, pressoché ovunque, principato militare carismatico, trasformato poi in formazione permanente, con un apparato di potere per assicurare la soggezione dei sudditi disarmati; tale principato si sviluppò inizialmente nei territori stranieri di conquista. In età storica, la M. fu la forma politica caratteristica dei grandi Imperi dell'antichità, soprattutto di quelli sorti nelle grandi pianure fluviali, nei quali all'estensione del territorio da governare e da amministrare corrispondeva l'assolutismo e l'accentramento del potere; tra le più antiche M., si ricordano quelle che dominarono nell'antico Egitto, nell'Assiria, nella Babilonia, in Persia. In questi grandi Imperi dell'antichità, il sovrano era considerato padrone assoluto e fondava ideologicamente il suo potere sulla pretesa discendenza divina o, addirittura, sulla sua assimilazione a un dio: si trattava quindi di M. di diritto divino. In Persia la figura del re non ebbe carattere divino; tuttavia, i re achemenidi si ritenevano investiti del Regno dal dio Ahura Mazdāh, di cui essi si riconoscevano sudditi devoti. L'istituzione della M. presso il popolo di Israele fu un fenomeno più complesso, sia a causa del particolarismo politico ebraico, sia perché il radicale monoteismo vietava agli Ebrei ogni possibilità di divinizzazione di un eventuale monarca. La M. presso gli Ebrei risale al 1000 a.C., quando le varie tribù si unirono e scelsero come re Saul; questi ricevette una particolare consacrazione dal sacerdote-profeta Samuele, che in tal modo ne fondò teocraticamente l'autorità. L'unzione del re Saul, da parte di Samuele, costituì il modello classico della M. medioevale. Anche nell'antica Grecia troviamo, all'inizio dell'età storica, nel periodo omerico, forme di governo monarchico, per quanto molto diverse dalle grandi M. orientali; tuttavia, già alla fine dell'VIII sec. a.C., alle varie M. di tipo patriarcale, si andarono sostituendo quasi in ogni parte della Grecia forme di governo di tipo aristocratico. L'istituto monarchico sopravvisse solamente nelle regioni dell'interno, sottratte all'influenza dei traffici sul mare, come l'Epiro, l'Acarnania, la Macedonia; a Sparta la M. sopravvisse anche in epoca classica, nella forma attenuata della diarchia. Anche in quelle città-Stato in cui la M. continuò a sussistere formalmente, essa era dotata di prerogative essenzialmente onorifiche rispetto alla nobiltà. In età classica, l'istituto monarchico incontrò forti opposizioni anche sul piano teorico. Già Erodoto, nell'enunciare i pregi e i difetti relativi alla M., all'aristocrazia e alla democrazia, affermò che il monarca tende spesso a degenerare in tiranno. L'avversione per la M. divenne più accentuata negli scritti politici di Platone e di Aristotele; il primo delineò come Stato ideale una perfetta Repubblica a base aristocratico-comunitaria, retta dai filosofi e regolata su una rigida distinzione di classi, ispirata in parte al modello di vita della comunità spartiata. Nella Politica, Aristotele affermò che la M. avrebbe potuto costituire la forma migliore di governo, solamente nel caso in cui il re fosse in grado di comportarsi in modo saggio e virtuoso. Tuttavia, essendo, secondo il filosofo greco, questa eventualità poco probabile, egli considerò l'ideale monarchico del tutto accademico. Passando poi più realisticamente ad esaminare le M. esistenti al suo tempo, in particolare le M. orientali, Aristotele abbandona ogni considerazione circa lo Stato ideale e dà della M. un giudizio del tutto negativo. Sia Platone che Aristotele hanno ben presenti i rischi di una facile e nefasta degenerazione della M. in tirannide. L'istituto monarchico tornò ad affermarsi nel mondo greco in epoca ellenistica, quando dalla spartizione dell'Impero di Alessandro Magno tra i suoi diadochi, sorsero i Regni di Siria, Egitto, Tracia, e così via. Le M. ellenistiche non si fondano però sul diritto divino ma su un dispotismo di origine militare. Il filosofo stoico Zenone, vissuto in quest'epoca, giudicò positivamente il dispotismo illuminato della M.: i teorici dell'età ellenistica in effetti dovevano tener conto della nuova situazione creatasi con la conquista del mondo orientale fatta da Alessandro e della necessità di una forza di coesione capace di tenere insieme popoli tra loro molto diversi. In tale situazione, il re divenne simbolo di unità e di buon governo. A Roma l'istituto monarchico appare legato alle origini stesse della città: la tradizione parla di sette re che si sarebbero succeduti dall'epoca della fondazione fino alla cacciata di Tarquinio il Superbo e all'instaurazione della Repubblica consolare. Si trattò, se si deve prestar fede alle notizie che ci tramanda la tradizione, di una M. di tipo elettivo e non ereditario, che comunque lasciò nei Romani un ricordo negativo profondamente radicato tanto che, anche in epoca imperiale, quando la forma di governo tornò ad essere sostanzialmente monarchica, gli imperatori si guardarono bene dall'assumere l'appellativo di rex, e mantennero in vita, formalmente per secoli, gli organi del regime repubblicano, prima di tutti il Senato. Solo con Vespasiano si stabilì il principio di successione ereditaria alla carica di imperatore, mentre si andò accentuando sempre più la divinizzazione dell'imperatore stesso: con Diocleziano l'autorità monarchica fu assoluta. ║ Dalla M. feudale alla nascita dell'assolutismo: le teorie romane della sovranità furono destinate ad ispirare le tesi assolutistiche delle M. nazionali medioevali e moderne, attraverso la mediazione del Cristianesimo. A questo proposito, San Paolo e altri scrittori neotestamentari sostennero l'idea che l'obbedienza fosse un dovere imposto da Dio. Questo concetto derivava dall'Antico Testamento, dal racconto dell'origine del Regno di Giuda, indicato come l'unto del Signore. Assumendo un'impostazione diversa rispetto alla dottrina costituzionale romana (secondo cui l'autorità dei governanti derivava dal popolo), la concezione cristiana del governo implicava la teoria del diritto divino, essendo il reggitore un ministro di Dio. Tuttavia, durante il Medioevo rimase viva anche la concezione secondo cui la legge apparteneva al popolo e il re era tenuto a obbedire ad essa al pari dei suoi sudditi. Nel primo Medioevo, in definitiva, il diritto al potere regio era il risultato della combinazione di tre elementi: il re ereditava il trono; era eletto dal suo popolo; governava per grazia di Dio. Nei Regni romano-barbarici la struttura dell'Impero romano fu sostituita da M. territoriali a carattere elettivo, il cui potere era limitato dal controllo esercitato dalle assemblee dei nobili. Dalla commistione del diritto romano con il diritto germanico nacque l'istituzione tipica dell'Alto Medioevo, la M. feudale, fondata sul possesso della terra, il cui fulcro era dato dal rapporto personale di fedeltà tra il sovrano e i vassalli, cui il re concedeva parte dei suoi possessi fondiari. Il re conservava un potere nominale sul feudo dato in concessione ai feudatari, e di fatto dominato da questi, mentre manteneva il governo diretto sui territori non ceduti in feudo. I monarchi medioevali tuttavia, dopo la costituzione della respublica christiana con la nascita del Sacro romano Impero, dovevano essere a loro volta subordinati gerarchicamente ai due poteri universali dell'Impero e del Papato. Le due M. medioevali più caratteristiche, Impero e Papato appunto, divennero elettive nonostante i ripetuti tentativi condotti da entrambe le parti per farne l'appannaggio di una famiglia. Nella seconda metà dell'XI sec., fu stabilito che la nomina del pontefice avvenisse secondo un procedimento regolare di elezione da parte del clero; a partire dall'elezione di Gregorio X (fine del XIII sec.) si seguì la prassi dell'elezione del pontefice da parte del collegio dei cardinali riunito in conclave. La prassi dell'elezione imperiale fu stabilita, nel 1356, dalla Bolla d'Oro di Carlo IV, che diede all'Impero un documento costituzionale con cui veniva fissato il numero e l'identità degli elettori, stabilendo anche la forma della maggioranza. Nei Regni di Francia e d'Inghilterra prevalse invece il principio della primogenitura, per analogia con la norma di successione feudale. Comunque, sia che il re assumesse il potere per elezioni sia che lo assumesse per diritto ereditario, rimaneva fermo il principio che egli governava per grazia di Dio. Il re, secondo un'opinione universalmente accettata, era il vicario di Dio. Dopo il Mille, dal conflitto tra M. e nobiltà feudale da un lato e tra M. e poteri universalistici dall'altro, prese l'avvio il processo che doveva condurre all'affermazione dell'assolutismo. L'assolutismo ebbe la sua affermazione più significativa in Francia, nell'epoca compresa tra Luigi XIV e Luigi XVI, e nacque sui fondamenti del carattere divino del re e dell'imprescindibilità delle esigenze imposte dalla ragione di Stato. Già nel XV sec., parallelamente con la ripresa dell'assolutismo papale, il potere monarchico era progredito enormemente in pressoché tutta Europa, a scapito delle istituzioni rivali (nobiltà, Parlamenti, città libere, clero) e dovunque si ebbe l'eclissi del sistema rappresentativo medioevale. Gli ambiti in cui si esercitava il potere assoluto del monarca erano la concessione di privilegi, la giustizia, la coniazione di monete e la legislazione positiva, a patto che nel legiferare il monarca non violasse alcun diritto fondamentale dei sudditi, come ad esempio il diritto di proprietà o il diritto relativo alla validità dei contratti privati. In Francia la legge salica escludeva dalla successione al trono qualsiasi principe straniero e regolava il diritto di successione per via maschile e per ordine di primogenitura. Solo in Inghilterra l'assolutismo piuttosto breve dei Tudor consentì alla storia parlamentare di conservare una propria continuità. Altrove il potere politico, che nel Medioevo risultava distribuito tra feudatari e corporazioni, passò al re, che fu il principale beneficiario della crescente unità nazionale. Agli inizi del XVI sec. la M. assoluta si presentava già come il tipo di governo prevalente nell'Europa occidentale, dove si era sostituita al costituzionalismo feudale e alle città libere su cui si era fondata la civiltà medioevale. La M. assoluta, sorta con la formazione degli Stati nazionali, ha il suo fondamento nell'appoggio dato al sovrano contro i grandi feudatari dagli ordini, dalle corporazioni e dai ceti mercantili e borghesi medioevali. Un carattere comune a tutti questi corpi sociali era quello di essere forniti di privilegi con i quali il sovrano era tenuto a fare i conti, pena la perdita del consenso. Questi privilegi, costituiti da esenzioni fiscali, esercizio di poteri locali di giustizia e amministrazione, erano considerati come diritti sanzionati dalla consuetudine. Fu la differenza nei rapporti tra il sovrano e questi ceti sociali privilegiati che determinò la diversa evoluzione dell'istituto monarchico in Francia e in Inghilterra. In Inghilterra, dopo la breve parentesi assolutistica costituita dalla dinastia Tudor, il potere regio trovò sempre un efficace ostacolo nell'opposizione parlamentare. La Magna Charta Libertatum del 1215 è il segno tangibile del prevalere degli interessi nobiliari e feudali sul potere assoluto del re, e può considerarsi il primo abbozzo di una carta costituzionale volta a limitare l'autorità monarchica in Occidente. Nell'Europa continentale, viceversa, l'assolutismo venne rafforzato dalle esigenze imposte dalla politica imperialistica degli Stati, nonché dalla condizione di continua belligeranza che caratterizzò la storia europea nei secc. XVI, XVII e XVIII: il costo degli eserciti nazionali impose agli Stati enormi sforzi fiscali e la conseguente eliminazione dei privilegi, con la creazione di un apparato burocratico fortemente accentrato. Nelle m. assolute la corte perse sempre più il proprio potere a vantaggio del Consiglio regio, e il sovrano governò sempre più da solo e in prima persona. Nella Francia prerivoluzionaria, per esempio, gli Stati Generali, rappresentativi degli ordini sociali privilegiati che si ponevano come antagonisti al potere del re, furono chiamati sempre più raramente ad esprimere il loro parere sulle questioni più importanti per la vita dello Stato. Dopo il 1615 non vennero più convocati fino al 1789 e, in precedenza, erano stati riuniti solo nei periodi di grave crisi del potere centrale, vale a dire quando i sovrani designati erano minorenni o durante le fasi più drammatiche delle guerre di religione. L'assolutismo monarchico si impose in pressoché tutta l'Europa occidentale. In Spagna, l'unione delle corone di Castiglia e d'Aragona, avvenuta con il matrimonio di Ferdinando e di Isabella (1469), diede origine a una M. assoluta, che fece della Spagna la maggiore potenza europea per quasi tutto il XVI sec. In Inghilterra, la conclusione della guerra delle Due Rose e il Regno di Enrico VII (1485-1509) iniziarono il periodo dell'assolutismo dei Tudor, conclusosi con il Regno di Elisabetta, nel 1603. In Francia, quando durante la Guerra dei Cent'anni il potere monarchico fu minacciato dall'attacco congiunto delle varie istituzioni medioevali, l'assolutismo venne a costituire l'unica soluzione compatibile con il mantenimento di un Governo nazionale. La nuova versione del diritto divino si impose nello stesso periodo anche in Scozia per opera di Giacomo I. In Italia, per quanto le forze del nuovo sistema commerciale e industriale dimostrassero grande dinamismo, per ragioni implicite nella particolare situazione politica tali forze non riuscirono a dar vita a un potere centrale che avviasse una politica nazionale più vasta e vigorosa. Machiavelli accusava la Chiesa di essere responsabile di questa situazione in quanto il papa, ridotto ormai solo ad essere uno dei sovrani italiani, appariva troppo debole per unificare l'Italia, ma abbastanza forte per impedire a ogni altro sovrano di farlo. Con l'esempio del Regno di Luigi XIV (1660-1715) la Francia indusse i monarchi di tutta Europa, ad eccezione della Gran Bretagna, a imitarne l'assolutismo: Federico di Prussia, Caterina di Russia, Maria Teresa d'Austria, rafforzarono la propria autorità e accentrarono il Governo nelle loro mani a danno dei privilegi municipali, feudali ed ecclesiastici, ossia della nobiltà e del clero. La M. assoluta divenne così il "dispotismo illuminato" di sovrani desiderosi di godere dell'appoggio del popolo e di promuovere il progresso dei rispettivi Paesi. Nel Settecento, la sola Repubblica presente in Europa era quella Svizzera. Inoltre, al di là del mosaico della carta politica, frazionata in innumerevoli Stati, esisteva un sistema monarchico e dinastico che riduceva i conflitti tra i diversi Stati. Infatti, le varie M. europee facevano capo a poche grandi famiglie, in particolare ai Borboni e agli Asburgo, unite tra loro da innumerevoli matrimoni. Gran parte dell'unità politica e culturale dell'Europa faceva capo alla Francia, tanto che, sin dall'epoca di Luigi XIV, il francese aveva sostituito il latino come lingua internazionale. La Francia rappresentava pertanto un modello in tutti i sensi, ma conteneva in sé anche i fermenti che avrebbero portato al crollo dell'assolutismo monarchico. ║ La M. dalla rivoluzione francese ai nostri giorni: nell'Europa del Settecento, si sviluppò, alimentata dal clima culturale dell'Illuminismo, una forte resistenza contro i tre maggiori pilastri del potere costituito, ossia contro la M. assoluta, la Chiesa cattolica e la nobiltà. Il nuovo spirito rivoluzionario si manifestò soprattutto in Francia, fomentato dalle opere di Voltaire, Montesquieu, Diderot, Rousseau. La rivoluzione del 1789 segnò il crollo della M. assoluta in Francia e il primo passo verso il tramonto dell'assolutismo monarchico in tutta l'Europa, nonostante la restaurazione post-rivoluzionaria. Nel 1815, con l'appoggio dei monarchi vittoriosi contro Napoleone, vale a dire Alessandro I di Russia, Federico Guglielmo III di Prussia, Francesco I d'Austria, Giorgio III d'Inghilterra, vennero riportati sul trono anche i sovrani minori e altri furono insediati, così che l'Europa divenne nuovamente un mosaico di piccole e grandi M. assolute. La tradizione monarchica aveva tuttavia ricevuto un colpo gravissimo e nei decenni successivi avvenne dovunque in Europa il passaggio dall'assolutismo al costituzionalismo monarchico, mentre si manifestavano tendenze repubblicaneggianti. Nel corso dell'Ottocento le M. si trasformarono ovunque in Europa in Governi di tipo costituzionale, codificati in Inghilterra con il Bill of Rights fin dal 1689; in essi il potere del sovrano veniva limitato da una carta costituzionale che riconosceva la compresenza, nell'organizzazione statale, di due centri di potere: il re, cui faceva capo l'organizzazione governativa, e la Camera elettiva, che aveva il potere di deliberare sulle questioni finanziarie. Nelle M. costituzionali restava appannaggio esclusivo del re la politica estera, la conduzione delle guerre, la concessione della grazia. Le M. borbonica (1814) e orleanista (1830) in Francia, quella belga del 1831, il Regno dei Savoia in Piemonte dal 1848 (epoca della promulgazione dello Statuto Albertino) e in Italia dal 1861, l'Impero tedesco dal 1871 furono tutti regimi monarchico-costituzionali. Le due guerre mondiali portarono al crollo di varie M., soprattutto nei Paesi in cui più deboli erano le tradizioni e le strutture democratico-parlamentari. In Italia un referendum istituzionale nel giugno del 1946 abolì la M., ritenuta colpevole di grave compromissione con il Fascismo, e instaurò la Repubblica. Attualmente sono retti da M. parlamentari i seguenti Paesi europei: Belgio, Danimarca, Gran Bretagna, Lussemburgo, Olanda, Norvegia, Svezia, oltre ai minuscoli principati di Monaco e del Lichtenstein. Anche la Spagna ha una forma istituzionale nominalmente di tipo monarchico. Nella M. parlamentare il re non ha un potere effettivo: il ruolo fondamentale viene affidato al Parlamento, che può con un suo voto di sfiducia determinare la caduta del Governo, i cui ministri non sono più scelti dal re ma rientrano nella sfera di influenza del potere parlamentare. M. di vario tipo reggono inoltre alcuni Paesi asiatici e africani, tra cui: Giordania, Kuwait, Arabia Saudita, Thailandia, Bhutan, Giappone, Marocco. Inoltre, alcuni Paesi, tra cui Canada, Australia, Nuova Zelanda, riconoscono formalmente come capo dello Stato il sovrano di Gran Bretagna, rappresentato da un governatore generale.