(o
monachismo). Fenomeno della storia religiosa e sociale per cui alcuni
individui, isolatamente o in gruppo, si separano dal consorzio umano per
praticare gli obblighi di vita della propria fede e vivere l'esperienza di una
solitudine totalmente dedita alle cose dello spirito. Il
m. è
diffuso nelle religioni orientali, soprattutto in India, in quanto si accompagna
al Brahmanesimo, al Buddhismo e all'Induismo, e ha costituito un fenomeno di
grande importanza in seno al Cristianesimo. Forme di vita monastica sono
presenti anche nell'Ebraismo (esseni, monaci di Qumran), nell'Islamismo
(dervisci), nel Taoismo e nel Giainismo, per cui il
m. si può
considerare un'esperienza comune a tutte le confessioni religiose, anche se
attuato in forme diverse. • Encicl. -
Il m. nella Chiesa cristiana:
l'episodio evangelico dell'isolamento di Cristo nel deserto per quaranta giorni
prima dell'inizio della predicazione costituisce il primo esempio cristiano di
vita monastica e il precedente che tutte le formazioni monastiche successive
prendono a riferimento. Il Cristianesimo in effetti è naturalmente
portatore di un orientamento ascetico, che interpreta la vita umana come un
percorso di perfezionamento spirituale e di affinamento interiore, da attuarsi
con la preghiera e con la lotta assidua contro i nemici della salvezza
dell'anima, identificati nel mondo, nel demonio, nella carne. Storicamente
però un grande impulso venne al
m. dalla politica di pacificazione
religiosa attuata dall'imperatore Costantino e dai suoi successori: quando i
cristiani smisero di essere una minoranza perseguitata, sempre minori furono le
possibilità di esercitare una volontà eroica all'interno della
comunità dei fedeli. Con la proclamazione del Cristianesimo come
religione ufficiale dell'Impero e il suo trionfo definitivo, si ebbe la
conversione in massa alla nuova religione da parte di persone motivate da
ragioni di opportunismo e di interesse, e un conseguente scadimento della
qualità della vita cristiana prodotto dall'abbassamento del livello
morale delle comunità. Di qui l'esigenza avvertita da alcuni di ritirarsi
dal mondo per attuare in una solitudine che inizialmente è totale,
l'ideale di perfezione interiore. ║
Il m. orientale: nel mondo
cristiano orientale si distinguono nella storia del
m. due periodi,
quello
egiziano e quello
basiliano. Nella fase egiziana il
m. è di tipo anacoretico e si inserisce nel clima di forte attesa
escatologica che caratterizza il Cristianesimo primitivo. La solitudine del
monaco, che si ritira in una grotta o in un luogo inaccessibile per dedicarsi
unicamente alla preghiera e alla mortificazione della carne, è assoluta.
Il maggiore esponente di questa forma di
m. fu Sant'Antonio abate,
vissuto intorno al 300 d.C., il cui esempio fu largamente imitato. Il
m.
antoniano era individualistico e puramente contemplativo. Altri importanti
eremiti furono Macario l'Egiziano, che si ritirò nel deserto dell'Alto
Egitto, e Ilarione di Gaza, che visse la sua esperienza ascetica nel deserto
sinaitico. Nella seconda fase prevalgono invece le forme di vita associata
(
cenobio), pur nell'isolamento dal mondo. Il primo maestro del
m.
cenobitico orientale fu Pacomio (IV sec.): i monaci che seguivano il suo
insegnamento praticavano in comune la preghiera, il pranzo e il lavoro sotto
l'autorità dell'
abate, l'ideale padre spirituale cui i monaci
dovevano obbedienza e da cui accettavano le norme ascetiche, fissate in una
regola, rinunciando così alla discrezione individuale nella scelta
del modo in cui praticare l'ascesi. Il
m. pacomiano, che prevedeva anche
la suddivisione del tempo tra la preghiera e il lavoro manuale, si diffuse in
Egitto, Armenia, Siria, Persia e Palestina. Il vero organizzatore del
m.
orientale, però, fu nel IV sec. Basilio di Cesarea, e ancora oggi le sue
Regole costituiscono il fondamento duraturo della organizzazione
monastica nell'Oriente cristiano. Nel cenobio basiliano oltre all'obbedienza al
superiore, vista come requisito essenziale della vita perfetta, l'elemento nuovo
è costituito dall'apostolato, in quanto il monaco deve mettere al
servizio degli altri il frutto delle esperienze spirituali fatte nel chiostro.
Nel 963 Atanasio l'Athonita fondò un monastero sul Monte Athos, e vi
introdusse l'eremitismo, sul quale si innestò un filone mistico. Da
questa tradizione trae origine la pratica dell'
esicasmo, molto diffusa
sull'Athos e in tutta la Chiesa bizantina. ║
Il m. in Occidente: in
generale, il
m., nel mondo cristiano occidentale, si sviluppò in
ritardo, mutuando le proprie regole da quello orientale. Le prime grandi
organizzazioni monastiche si ebbero in Occidente a partire dal VI-VII sec. In
precedenza il
m. aveva rappresentato un fenomeno isolato: con Eusebio da
Vercelli, Ambrogio e Agostino si ebbero comunità di preti che vivevano
presso il vescovo secondo regole monastiche, e non mancarono esempi di vita
ascetica in Girolamo, Cesario di Arles, Paolino di Nola, e così via. Ma
veri e propri monasteri si crearono nel corso del V sec., quando sotto
l'incalzare delle invasioni barbariche le popolazioni lasciarono le città
saccheggiate e bruciate, riparando sulle montagne e nei boschi. La grande
affermazione del modello di vita monastico in Occidente, tuttavia, si ebbe con
la diffusione del
m. irlandese, ad opera di Cassiano e di Patrizio, e
soprattutto del
m. benedettino, ad opera di Benedetto da Norcia. Il
m. irlandese ebbe grande rilevanza nei Paesi di cultura celtica, ma venne
portato anche in Gallia, sul Reno, in Inghilterra, e in Italia da Colombano, che
fondò tra l'altro il monastero di Bobbio; senza rinunciare a un forte
spirito anacoretico, svolse anche una funzione pastorale e missionaria.
Benedetto da Norcia (480-547) fondò nei pressi di Cassino un grande
monastero, in seguito distrutto dai Longobardi e risorto solo nell'VIII sec.
Benedetto non fondò un ordine religioso, poiché la sua regola
valeva per i monaci di Montecassino e presupponeva l'autonomia completa di ogni
comunità. Essa però si diffuse e servì da modello a partire
dal VII sec., così che la Regola benedettina fu matrice di tutto il
m. medioevale. Essa voleva soprattutto essere una disciplina di vita
attuabile in vaste comunità, per cui socialità e moderazione erano
i suoi caratteri fondamentali. La santificazione dei monaci doveva avvenire
attraverso l'occupazione costante e saggiamente regolata dalla preghiera comune,
da attuarsi nelle ore canoniche, e dal lavoro intellettuale e manuale. Capo
della comunità era l'abate, eletto dalla comunità stessa. Il suo
potere era assoluto, ma egli doveva esercitarlo con moderazione e carità,
secondo la prescrizione della Regola e consultando i confratelli su ogni
questione importante. A differenza del
m. orientale, che fu soprattutto
contemplativo e individualistico, e di quello irlandese, affidato a norme di
vita libere e poco rigorose, il m. benedettino si presentò sin
dall'inizio attivo e organizzato. La regola benedettina, oltre alla obbedienza
all'abate e al rispetto della scansione rigorosa del tempo liturgico dedicato
alla preghiera, prescrive, contro il vagabondaggio dei monaci irlandesi, la
norma della
stabilitas loci, cioè l'obbligo per il monaco di
risiedere stabilmente nel monastero di appartenenza; infine, afferma la
dignità del lavoro, manuale o intellettuale, inteso come fuga dall'ozio e
mezzo di ascesi non meno efficace della preghiera stessa. I monasteri
benedettini divennero centri di vita economica, sviluppandosi soprattutto nel
centro e Nord Europa. In Italia, invece, prevalsero per lungo tempo i piccoli
monasteri soggetti ai vescovi e dediti soprattutto alla liturgia sacra. Alcuni
tra i più importanti monasteri italiani sorsero per iniziativa di monaci
stranieri. Si ricordano, in particolare, quello di Bobbio, nelle vicinanze di
Piacenza, fondato nel 614 dal monaco irlandese Colombano; quello di Farfa, nei
pressi di Spoleto, fondato da un monaco franco; quello di Novalesa, presso
Moncenisio, fondato nel 726 dal monaco franco Abbone. L'affermazione completa
del
m. benedettino si ebbe in epoca carolingia: nell'817 il Concilio di
Aquisgrana stabilì, per suggerimento di Benedetto di Aniane, che la
regola benedettina venisse estesa ai monasteri di tutta Europa, affermando al
contempo l'importanza del lavoro intellettuale di trascrizione, dei testi e di
studio teologico accanto al lavoro manuale. La funzione degli
scriptoria
monastici, con il paziente lavoro di lettura, trascrizione e conservazione dei
testi classici e cristiani in essi svolto, fu determinante per l'affermarsi di
quel vasto fermento culturale che va sotto il nome di
rinascita
carolingia. Il monastero, come forma di organizzazione economica e sociale
svolgeva un ruolo molto rilevante nel territorio circostante: i monasteri
infatti potevano avere anche funzioni di assistenza per la popolazione; ogni
monastero di una certa importanza, soprattutto quelli che sorgevano lungo le
strade di maggior traffico, disponevano di alloggi (
domus hospitales) per
pellegrini e poveri. Il monastero serviva inoltre come luogo di esilio politico.
Verso la fine del IX sec., anche nel Mezzogiorno appenninico andò
costituendosi una fitta rete di monasteri benedettini, tutti dotati di beni
patrimoniali tali da render ormai inconciliabile la regola originaria, che
poneva come fonte di sussistenza il lavoro di tutta la comunità. Per
questa ragione cominciò ad avvertirsi in modo sempre più intenso
l'esigenza di un rinnovamento radicale della vita monastica. La prima grande
riforma dell'ordine benedettino prese avvio nell'abbazia di Cluny in Borgogna,
fondata nel 910. L'abate Brunone di Cluny istituì l'ordine di monaci
benedettini detto
cluniacense. Sino allora, caratteristica dell'ordine
benedettino era stata l'indipendenza delle singole abbazie, il cui unico legame
era costituito dalla comune regola. L'ordine cluniacense invece si
organizzò come una catena di monasteri, che di Cluny accettavano l'abate
e le norme di vita. La riforma cluniacense affermava l'assoluta priorità
del servizio liturgico, che divenne l'impegno fondamentale dei monaci affrancati
da ogni lavoro di ordine materiale. Nel 1098 dall'abbazia di Cîteaux in
Borgogna partì, ad opera di Bernardo di Chiaravalle (1090-1153), la
riforma cisterciense, che cercò di riportare il
m. alla
pura regola benedettina, stabilendo un giusto equilibrio tra preghiera e lavoro
manuale. L'idea-guida dei Cisterciensi era il ritorno alla vita benedettina
delle origini: lavoro e preghiera, povertà di vita, distacco dal mondo e
dagli affari mondani. L'ordine ebbe un rapido sviluppo, diffondendosi in tutta
Europa: nel 1134 contava 70 monasteri, alla fine del secolo oltre cinquecento,
che salirono a settecento alcuni decenni più tardi. Le fondazioni
cisterciensi sorsero lontane dai centri abitati, su terreni incolti, messi a
coltura dagli stessi monaci, che diedero vita a grandi aziende agricole.
Quest'opera fu particolarmente intensa in Germania, dove furono bonificate e
messe a coltura vaste estensioni di terreni. L'esempio più notevole in
Italia fu quello dell'abbazia di Chiaravalle, presso Milano. Bernardo
sviluppò una vera e propria
teologia monastica, ponendo di fatto
il rinnovamento della vita monastica al servizio di una più ampia riforma
ecclesiastica. Forme di vita eremitica furono invece riprese dai
camaldolesi, così chiamati dall'eremo di Camaldoli, fondato da San
Romualdo nell'XI sec. e in Francia dai
certosini; questi ordini accolgono
un minimo di vita cenobitica cercando di rimanere nell'ambito della regola
benedettina, ma di essa propongono una interpretazione accentuatamente ascetica
attraverso la pratica rigorosa della solitudine e del silenzio. La nascita degli
ordini mendicanti all'inizio del XIII sec. segnò in Occidente la fine
dell'egemonia del
m. sia sul piano ecclesiale che su quello culturale. I
frati si sostituirono ai monaci nell'opera di riforma della Chiesa, e le scuole
monastiche vennero gradualmente sostituite dalle nascenti università. I
monaci, anche quando praticavano una rigorosa austerità di vita, erano
sentiti dal popolo assai più lontani ed estranei del clero secolare: le
nuove organizzazioni religiose, e gli
ordini mendicanti in particolare,
servirono anche a colmare la distanza tra gli ordini religiosi e i fedeli, e tra
la stessa Chiesa e il popolo. Ai suoi compagni, chiamati per umiltà
fratelli minori, Francesco diede una regola molto semplice, intessuta di
ispirazioni evangeliche. All'inizio egli intese solo costituire una libera
comunità dedita alla predicazione religiosa e morale, senza sedi fisse,
senza proprietà neppure collettiva e senza esercizio di funzioni
sacerdotali. L'abile opera della Curia portò alla trasformazione del
movimento francescano in un ordine religioso vero e proprio, la cui regola venne
approvata nel 1223 da Onorio III. Con questa trasformazione i
fratelli
minori, anche se non divennero mai monaci, si raccolsero in conventi
subordinati alla gerarchia ecclesiastica; il loro mezzo di sostentamento non fu
il lavoro, come era nelle intenzioni di Francesco, ma le donazioni e
l'elemosina, da cui il nome di
ordine mendicante. Accanto all'ordine
maschile, ne sorse uno femminile, per iniziativa di Santa Chiara, e da lei detto
delle
Clarisse (o anche
secondo ordine francescano). Infine, per
chi voleva rimanere ad operare nel mondo, si costituì una piccola
comunità detta
terzo ordine o
Terziari di San Francesco.
Nello stesso periodo si costituì un altro grande ordine mendicante,
quello dei
Domenicani o dei
Predicatori, fondato nel 1215 da un
canonico regolare spagnolo, Domenico di Guzmàn (1170-1221), per
combattere l'eresia albigese e gli eretici in genere. All'inizio la sua regola
era stata quella agostiniana, ma lo stesso fondatore la trasformò nel
1220, dando all'ordine da lui creato il carattere di ordine mendicante. Ancor
più di quello francescano, l'ordine domenicano trovò il proprio
campo d'attività, oltre che nella predicazione, nella teologia, e presto
i membri di entrambi gli ordini furono validamente rappresentati nelle
principali università europee. L'influenza religiosa degli ordini
francescano e domenicano, dipendenti direttamente dalla Santa Sede e da essa
forniti di numerosi privilegi, fu grandissima poiché, a differenza degli
ordini religiosi anteriori, i loro appartenenti vivevano tra la gente, i
conventi erano situati nelle città e i frati nelle loro chiese
esercitavano il ministero parrocchiale. Francescani e domenicani misero
l'accento sulla vita apostolica e proposero una nuova concezione della vita
religiosa; per questa ragione non sono da considerarsi monaci in senso stretto.
Minore importanza, per quanto abbastanza diffusi, ebbero due altri ordini
mendicanti, quello dei
Carmelitani, costituito dagli eremiti del monte
Carmelo in Palestina e approvato nel 1226, e quello degli
Agostiniani
eremiti, costituitosi nel 1256 e autonomo dai canonici regolari agostiniani.
║
Il m. nell'Età moderna: all'inizio dell'Età moderna
il
m. incontrò una tenace opposizione nella Riforma protestante,
che predicava il sacerdozio universale dei fedeli e aveva quindi un
atteggiamento molto critico nei confronti della consacrazione monastica. A
partire dai secc. XIV e XV il
m. sparì di fatto quasi
completamente dai Paesi protestanti. In tutta Europa, del resto, gli influssi
dell'Umanesimo contribuirono alla decadenza dell'organizzazione monastica, anche
perché con la fioritura urbana degli ultimi secoli del Medioevo i
monasteri si erano venuti a trovare di fatto lontani dai nuovi centri della vita
economica e culturale. Nel XVI sec., mentre iniziava la decadenza della
filosofia Scolastica, la Controriforma produsse nei Paesi cattolici nuovi ordini
religiosi, i quali però si dedicarono alla vita attiva più che a
quella contemplativa. I nuovi ordini erano dunque molto diversi da quelli
monastici del passato e diretti soprattutto all'istruzione religiosa del popolo.
Si ricordano l'
ordine dei Teatini, fondato nel 1524 da Gaetano di Thiene
e dal vescovo di Chieti (Theate), quello dei
Barnabiti, fondato nel 1530,
quello dei
Somaschi, del 1528. Una nuova comunità francescana,
soggetta a una regola più rigida, fu quella dei
Cappuccini,
costituitasi nel 1528. Nello stesso periodo si andarono costituendo vari altri
ordini, tra cui quello degli
Oratoriani, fondato da Filippo Neri nel 1575
e quello delle
Orsoline, del 1537. Un posto a sé va riservato alla
Compagnia di Gesù, fondata dal nobile spagnolo Ignazio di Loyola
nel 1534 e approvata nel 1540. Essa era basata su un'organizzazione di tipo
piramidale, tale da stabilire una stretta subordinazione di tutti i membri agli
scopi comuni. Il generale dell'ordine dei Gesuiti, nominato a vita, era dotato
di poteri larghissimi; sotto di lui erano i provinciali, posti a capo delle
varie circoscrizioni provinciali e i rettori, a capo dei singoli istituti. Fine
supremo dell'ordine era l'instaurazione della sovranità della Chiesa
cattolica e la sottomissione e conversione degli eretici e dei pagani:
nell'ambito del Cattolicesimo, l'ordine dei Gesuiti si fece propugnatore
dell'assoluta sovranità del pontefice e della sua infallibilità.
Per tali scopi i Gesuiti si assicurarono grande influenza nell'ambito
dell'educazione dei giovani appartenenti alle classi più elevate, nel
mondo della cultura, nelle missioni fuori Europa, nell'esercizio del ministero
sacerdotale. L'ordine ebbe una rapida diffusione in tutto il mondo, e furono
fondati numerosi collegi di gesuiti, tra cui il Collegio romano (1551) e quello
germanico (1552), entrambi con sede a Roma. Nel 1664 dai certosini nacquero in
Francia i
trappisti, che riproponevano una stretta osservanza della vita
eremitica, e più tardi la congregazione (vale a dire l'associazione di
diversi monasteri) di S. Mauro (
maurini), con il compito di portare
avanti un ampio lavoro culturale. Gli eventi che seguirono alla Rivoluzione
francese nel XVIII e XIX sec. condussero alla secolarizzazione dei beni
monastici e alla soppressione di molti monasteri e abbazie, assestando di fatto
un duro colpo alla potenza degli ordini religiosi. L'istituto monastico tuttavia
conobbe una ripresa nella seconda metà del XIX sec., e tuttora è
relativamente fiorente. Dopo la seconda guerra mondiale si è affermato
anche nell'America del Nord, in Asia e in Africa. ║
M. femminile:
si affermò parallelamente a quello maschile in tutti gli ordini religiosi
a partire dal IV sec., cosicché ogni ordine religioso maschile ebbe il
corrispondente secondo ordine femminile. ║
M. protestante: una
ripresa della vita monastica sia maschile sia femminile nel mondo protestante si
è prodotta a partire dal secolo scorso soprattutto ad opera del movimento
di Oxford. Nel 1940 è nato a Taizé in Francia un movimento
monastico ad opera di Robert Schutz, con l'intento di riaffermare i valori
monastici fondamentali anche in seno al protestantesimo, che ne aveva di fatto
soppresso le istituzioni fin dal XV sec. Taizé ripropone i valori della
vita comune, della castità, della preghiera, svolgendoli e
interpretandoli nell'ambito di un forte impegno ecumenico, che ne costituisce la
caratteristica più evidente. Da un punto di vista teologico, il movimento
sorto a Taizé propone la rivalutazione dei sacramenti all'interno della
Chiesa protestante. Forme di
m. sono vive anche altrove nel mondo
protestante, in modo particolare nella Chiesa anglicana. ║
Il m. nelle
altre religioni: il
m. come forma di organizzazione religioso-sociale
dell'ascesi è diffuso in tutte le religioni storiche, e comporta in tutte
alcuni elementi comuni, quali la scelta di vita celibataria (in quanto la
castità potenzia la vita spirituale), la rinuncia almeno apparente ai
valori mondani, l'astinenza dai piaceri del corpo. ║
Il m. nel
Buddhismo: il fenomeno religioso del
m. acquista una rilevanza molto
forte nella religione buddhista; la morale buddhistica tende ad estinguere
nell'uomo la sete di vivere, che è la causa del dolore: proponendo la
salvezza dell'uomo in termini di ascesi, di meditazione e di rinuncia ai valori
del mondo, il Buddhismo si configura come religione essenzialmente monastica.
Tradizionalmente i monaci buddhisti menano vita randagia, associandosi in
comunità (i cui legami sono in ogni caso molto labili) durante la
stagione delle piogge, nel corso della quale sono costretti ad arrestarsi. I
monaci hanno l'obbligo di vestire la tunica gialla, di mendicare il proprio
pasto, di meditare l'insegnamento del Buddha e di diffonderne i precetti. Le
loro occupazioni, oltre alla questua del cibo quotidiano, consistono nella
recita salmodiata dei precetti del Buddha, nello studio scolastico degli
elementi della dottrina, e nel periodico esame collettivo con confessione delle
colpe commesse. Al termine della stagione delle piogge i monaci riprendono la
vita errante. Il monaco non riceve una consacrazione ufficiale, e non è
legato tutta la vita alla professione: chi vuole può ritornare
liberamente alla vita nel mondo. Il
m. buddhista riceve forme e sfumature
particolari a secondo dei luoghi: nel Tibet il
Lamaismo rappresenta un
esempio classico di
m. trasformato in potere politico. Fondato nel XIV
sec. dal monaco Tsongkhapa, il lamaismo ha una struttura gerarchica molto
più rigida del Buddhismo originario. La forma più significativa di
m. buddhista in Giappone è costituita dallo
zen, mentre in
Cina l'influsso buddhista è riconoscibile nel
taoismo, sorto nel I
sec. d.C. ad opera di Chao Tao-ling, e nelle forme monastico-conventuali ad esso
proprie.