Atteggiamento religioso o spirituale tendente a favorire il contatto diretto con
la divinità, annullando ogni procedimento logico e razionale. Il mistico
crede nella possibilità di conoscere Dio, l'infinito e la verità
assoluta immediatamente, ossia di conseguire una unione intima e diretta dello
spirito umano con il principio fondamentale dell'essere, senza l'intervento
dell'intelligenza, ma solo mediante un puro impeto di sentimento o uno sforzo di
volontà. Il termine indica anche la pratica di vita con cui si cerca di
attuare questa unione spirituale, attraverso la contemplazione e la meditazione.
• Teol. - In senso più propriamente teologico e filosofico (ma vari
pensatori, considerando l'alogicità intrinseca al
m. lo escludono
dal campo della filosofia), il termine è sinonimo di mistica e indica
ogni dottrina che affermi la possibilità di giungere alla comunicazione
diretta con l'Assoluto avvalendosi unicamente di capacità soprannaturali
di cui l'uomo è misteriosamente dotato, tralasciando ogni procedimento
razionale, dialettico e dell'esperienza sensibile. Secondo la concezione
mistica, la conoscenza di Dio non può che essere imperfetta in quanto gli
strumenti di indagine della ragione umana sono limitati e insufficienti per
riuscire a cogliere l'essenza dell'Assoluto. Con il procedimento logico si
può solo giungere a definire Dio per negazioni (teologia negativa).
L'unione mistica, invece, è in grado di superare questi limiti, riuscendo
a porre l'anima in contatto diretto con la divinità. • St. delle
rel. - Con
m., non si intende una determinata forma di religione, ma un
atteggiamento, una modalità di conoscenza della divinità propria
solo di alcuni individui appartenenti a una civiltà religiosa: i mezzi
per giungere al contatto mistico variano di volta in volta ma precludono ogni
ricorso alla razionalità e ai dati dell'esperienza sensibile. Per quanto
il
m. abbia avuto una parte considerevole nei misteri del mondo
greco-romano, e per quanto elementi mistici siano rintracciabili anche nelle
religioni primitive, è incerto se il termine possa essere applicato a
tali manifestazioni, in quanto gli stati di unione estatica con la
divinità erano in genere momentanei e contingenti. Nel
m. vero e
proprio, invece, tali stati sono permanenti o, comunque, molto frequenti.
Pertanto nell'antichità si può parlare di
m. in senso
proprio solo con riferimento alle religioni e alle filosofie dell'Asia.
Nell'India antica, gli insegnamenti dei Saggi, trasmessi prima dalla tradizione
orale poi inclusi in grandi opere letterarie quali i
Veda, le
Upanisad e la
Bhagavadgita, si basano su una metafisica che
accentra tutto il reale in un principio massimo, superiore all'essere,
inconoscibile e indescrivibile, indicato con un termine sanscrito,
indeterminato, ossia con la parola
Tat (Quello) o col termine più
popolare
Brahman (realtà delle realtà). Per attingere a
questa realtà nella pratica di vita viene proposta la meditazione, la
concentrazione interiore, la contemplazione, l'aspirazione alla purezza
spirituale e a una condizione di assoluta beatitudine, il
nirvana, ossia
la liberazione dal ciclo della trasmigrazione (samsara) e l'autoconoscenza
dell'anima che è anche conoscenza del divino. La pratica dello
yoga, ovvero una vita di purificazione ascetica, può condurre al
nirvana. Diverso è il
m. che affiora nel Buddhismo. La dottrina
buddhista nega infatti l'Assoluto e molte delle più antiche credenze,
tanto da essere accusata, a torto, di ateismo e di materialismo. Al contrario,
essa è intrisa di spiritualismo e conserva gli elementi essenziali del
m., in primo luogo l'aspirazione al
nirvana inteso come condizione
di assoluta liberazione, come stato di realizzazione dell'unità della
vita universale per raggiungere la beatitudine assoluta. L'esercizio mistico e
ascetico conducono a questa unità originaria. Caratteristiche del tutto
particolari ha il
m. insito nel Taoismo cinese, secondo cui ogni
qualità umana, anche le più nobili, come la virtù e la
sapienza, rappresentano una limitazione che separa l'uomo dall'Assoluto. Il
Taoismo indica nello svuotamento della personalità il nesso per
conseguire una identificazione con l'indefinibile. Anche nell'Islam ritroviamo
elementi di
m. già all'epoca di Maometto. Tuttavia si può
parlare di vero e proprio
m. islamico quando da un originario movimento
ascetico si passò al
sufismo (II sec. dell'Egira), pratica
estatica che prese il nome dal
sufi, il mantello di lana indossato da
quei religiosi che insegnavano il percorso che l'anima doveva seguire per
giungere a Dio. Il sufismo unì elementi gnostici, delle religioni
orientali, nonché neoplatonici e cristiani; prevedeva la rinuncia a tutti
i beni terreni e l'annientamento della persona in Dio. L'unione con la
divinità e l'esaltazione mistica sono elementi che dall'Oriente passarono
in Grecia per riemergere nell'antica religione dei misteri, nei riti orgiastici
del culto di Dioniso e di Apollo. Ma al di fuori dei riti della religione
misterica, il pensiero ellenico classico, fatta eccezione per quanto di mistico
è rintracciabile nel Platonismo, fu generalmente alieno dal
m.
Bisogna infatti giungere al periodo ellenistico, quando si ebbe l'incontro,
soprattutto in Alessandria, tra la filosofia razionalistica greca e le correnti
culturali mistiche provenienti dall'Oriente, per trovare una dottrina che possa
definirsi propriamente mistica. Si tratta del Neoplatonismo (Plotino), che
sostituì alla ragione, come mezzo di conoscenza, una visione diretta e
irrazionale. In Plotino, l'Assoluto è l'Uno, che è la sorgente di
ogni realtà e quindi anche dell'anima umana. L'Uno non è
autocoscienza, perché l'autocoscienza implica la distinzione dall'altro
da sé; non è volontà perché la volontà
è cosciente aspirazione a un oggetto; non è amore, perché
l'amore deriva da deficienza spirituale, per cui l'uomo non può
conoscerlo ma solo coglierlo in uno slancio. La mistica neoplatonica ebbe grande
influenza su quella cristiana, che però si distinse in quanto non
riservò ai soli saggi la possibilità di ascendere a Dio, ma la
propose per tutti i redenti. Suoi caratteri fondamentali sono l'esclusione di
ogni panteismo, per cui non si ha un perdersi dell'anima in un Tutto indistinto,
e la necessità della Grazia, senza la quale l'anima non può
elevarsi a Dio. Questo concetto ritorna nella mistica agostiniana, che se non
nega l'importanza della ragione nel processo conoscitivo, tuttavia considera la
conoscenza stessa come un dono di Dio. La prima organica sistemazione della
teologia mistica cristiana si ha nelle opere di Dionigi Areopagita (o
Pseudo-Dionigi) che, sotto l'evidente influsso del Neoplatonismo,
sottolineò il carattere irrazionale della conoscenza mistica ottenuta
attraverso un'unione intuitiva che porta al congiungimento con la realtà
ineffabile di Dio: tale congiungimento sarà una conoscenza priva di
conoscenza, una "dotta ignoranza", e per attuarsi avrà bisogno anche
dell'illuminazione di Dio. Sotto la diretta influenza dello Pseudo-Dionigi si
sviluppò la mistica di Scoto Eriugena, che ne tradusse le opere nell'858.
Nel Medioevo cristiano occorre distinguere due aspetti diversi dell'esperienza
mistica, ossia un aspetto eminentemente pratico e un aspetto speculativo. Il
primo, impegnato a tradurre in opere di fede l'intima convinzione religiosa,
diffida di ogni speculazione intellettualistica interpretando il rapporto tra
l'uomo e Dio come essenzialmente pratico e fattivo; il secondo è invece
eminentemente contemplativo e pone in primo piano l'attività conoscitiva.
Il
m. speculativo medioevale, nonostante la diffidenza nei confronti
della ragione e degli strumenti logici per chiarire le verità di fede,
non mancò di subire l'influenza dell'intellettualismo scolastico, pur
preoccupandosi di contrapporre all'atteggiamento speculativo e contemplativo
della ragione, un atteggiamento contemplativo e conoscitivo basato sulla fede.
Il fondatore della mistica medioevale, e uno dei maggiori sostenitori del
m. pratico, fu San Bernardo di Chiaravalle (1091-1153), che
combatté energicamente il razionalismo. In Bernardo, impegno pratico e
atteggiamento contemplativo si fondono in un processo ascetico che conduce a
Dio. Egli considerò la conoscenza "una turpe curiosità",
affermando la preminenza della fede, praticata attraverso l'umiltà e
l'amore. A tale pratica della fede conduce la via mistica, contrassegnata dal
riconoscimento della propria miseria umana, dal compatimento per la miseria
altrui, dalla purificazione dell'anima per renderla degna di contemplare Dio. La
contemplazione raggiunge il momento supremo nell'
estasi, sorta di
deificazione dell'anima attraverso l'amore. Alla mistica di Bernardo, si
riallacciarono in parte Guglielmo di San Teodorico, Isacco Stella, Alchero di
Chiaravalle, che però inclinarono verso una speculazione
filosofico-teologica orientata in senso mistico, più che verso una vera e
propria mistica speculativa. Il centro più vivo del
m. speculativo
del XII sec. fu l'abbazia di San Vittore di Parigi. Tra i monaci vittorini, la
cui mistica si ricollega all'agostinismo, si ricordano soprattutto Ugo e
Riccardo. Ugo di San Vittore (1098-1141) fu uomo di vasta cultura e si
sforzò di trasformare il sapere profano in uno strumento della
contemplazione mistica: la via mistica si snoda attraverso la
cogitatio,
ossia lo studio della realtà, la
meditatio, ossia lo studio
dell'anima su se stessa, la
contemplatio, ossia l'intuizione libera e
compiuta. Tuttavia, l'elemento integrante del processo mistico è l'amore,
come impegno totale. Sostanzialmente simile è la posizione di Riccardo di
San Vittore (m. 1173). Altro mistico del XII sec. fu Gioacchino da Fiore
(1145-1202), che ebbe rilevante influsso sui movimenti religiosi del suo tempo.
È nota soprattutto la sua concezione intorno allo sviluppo storico
dell'umanità e della Chiesa, vista in funzione della Trinità
cristiana: ai periodi della creazione, della redenzione, della fede attuale,
corrispondono lo
status di Padre, Figlio, Spirito Santo. Un
m.
fondato su un'intensa esperienza religiosa fu quello di San Francesco d'Assisi
che condusse una vita improntata a quella di Cristo, rinunciando a tutti i beni
materiali. Sempre nel Medioevo si colloca in Occidente la fioritura della
mistica femminile: dal
m. speculativo di Ildegarda di Bingen e Matilde di
Magdeburgo a quello di Elisabetta di Schoenau e di Margherita Ebner, che nel suo
amore verso Gesù giunse fino alla preghiera delle nozze mistiche. Il
massimo esponente del
m. speculativo dei secc. XIII-XIV fu il domenicano
tedesco Johannes Eckhart (1260-1327), che si ispirò al Neoplatonismo,
sviluppando motivi di Proclo, Agostino e Pseudo-Dionigi: Dio è al di
là di tutte le determinazioni, radice e principio di tutto l'essere:
tutto ciò che da lui deriva continua a vivere in lui, compresa l'anima
dell'uomo. Dio vive nella ricerca che l'uomo fa di lui; solo questa
identità dell'oggetto della ricerca e del soggetto ricercante garantisce
la vita della fede. Dio e l'esperienza interiore del divino si saldano. Molto
vicino a quello di Eckhart fu il
m. di Teodorico di Vriberg (1250-1310),
che si allontanò dall'aristotelismo tomista accostandosi all'agostinismo
e introducendo nella sua speculazione temi neoplatonici. In altri mistici del
XIV sec., come Giovanni Tauler (1300-1361), Enrico Suso (1300-1365), Giovanni
Ruysbroeck (1293-1381), si ha uno svolgimento dei temi eckhartiani in direzione
pratico-religiosa più che speculativa. Si tratta di scavare nell'intimo
dell'anima alla ricerca di quella scintilla che consente la connessione tra
questa e Dio. Questa unione è il risultato di uno sforzo ascetico:
condizione necessaria dell'accesso a Dio, infatti, non è tanto la
conoscenza filosofica, quanto l'esercizio della virtù. Anche nei mistici
del secolo successivo, tra cui ricordiamo Giovanni Gersone (1363-1429), la
tematica rimane quella di una teologia mistica, intesa come conoscenza di Dio
attraverso l'esperienza, vissuta cioè nell'amore. Nonostante la manifesta
diffidenza nei confronti di ogni ricerca speculativa, Gersone non si sottrasse a
una visione intellettuale e contemplativa. Pertanto, anche nella sua fase
conclusiva, il
m. medioevale non si liberò completamente di un
certo intellettualismo contemplativo derivatogli dal neoplatonismo.
Successivamente il
m., specialmente in Spagna, Francia e Italia,
accentuò la tendenza all'interiorità, così da assumere
sfumature quietistiche in rappresentanti quali Giovanni della Croce (1542-92),
Teresa d'Avila (1515-82), Miguel de Molinos (1628-96), Caterina da Genova
(1447-1510), Francesco di Sales (1567-1622), Jean-Marie Guyon (1648-1717). Santa
Teresa descrisse dettagliatamente i vari stadi della meditazione, l'ultimo dei
quali corrisponde a una sorta di estasi favorita dalla grazia. Fu dopo la
Riforma protestante che il
m. rifiorì in Germania. Per opera
soprattutto di Sebastian Franck (1500-1545), Valentin Weigel (1553-1588), Jacob
Boehme (1575-1624), il nuovo
m. tedesco si orientò verso lo
Spiritualismo razionalistico. Particolarmente rilevante fu l'influsso di Franck
che insistette sull'interiorità della vita religiosa e sul diretto
contatto dell'anima con Dio, così da ridurre tutta la vita religiosa al
sentimento di Dio, negando ogni legame ecclesiastico e ogni autorità
esterna. A questo indirizzo si ricollegò anche Boehme, la cui dottrina
mistica si fondò sulla rivelazione diretta e perenne del divino nell'uomo
e nel mondo. Grande fu l'influenza di Boehme sul Romanticismo tedesco (secondo
Shelling egli fu un precursore della dialettica idealistica). Anche nel XX sec.
troviamo correnti mistiche in diversi Paesi. Particolarmente significativa
è la corrente poetica inglese, rappresentata da Edward Thomson, Charles
Hamilton Sorley, John Freeman, la cui poesia mistica si ispira a una
religiosità indistinta, staccata da qualsiasi fede positiva. Nella
filosofia spagnola contemporanea un richiamo al
m. si ha in Miguel de
Unamuno (1864-1936) che considera valido non il Cristianesimo quale risulta
dall'elaborazione dei teologi, bensì quello che fu il Cristianesimo
vissuto dai grandi mistici spagnoli Santa Teresa e San Giovanni della Croce,
esaltatori del sentimento divino. Secondo Unamuno, nel
m., in cui vita e
fede si fondono, l'intellettualismo esce sconfitto. Rifacendosi alla
suddivisione paolina degli uomini, Unamuno considera tre tipi umani: i carnali,
gli intellettuali e gli spirituali, scorgendo fra questi due ultimi la massima
contraddizione. Gli spirituali sono i sognatori, i mistici, ossia coloro che non
tollerano la tirannia della scienza. In Francia tracce di
m. si ritrovano
sia in produzioni poetiche come quella di Paul Claudel (1868-1955), sia in
dottrine filosofiche come quelle di Jacques Maritain e Gabriel Marcel.
Quest'ultimo, appartenente alla corrente cristiana dell'Esistenzialismo, si
è soffermato particolarmente sui concetti di partecipazione, di mistero
ontologico, di esistenza incarnata, di fedeltà e di speranza, riscoprendo
i grandi temi della teologia e della mistica cristiana. Per quanto ogni
autentico
m., secondo la sua stessa definizione (possibilità di
una unione intima e diretta dello spirito umano con il principio fondamentale
dell'essere), affondi le proprie radici nella divinità, non mancano gli
esempi di
m. ateo (nonostante la contraddizione dei termini), ossia
quella forma di
m. propria di chi tende a realizzare un'unione intima e
diretta con un principio dell'essere, assunto come fondamentale, ma diverso da
Dio. Pertanto, è stata formulata l'espressione di "mistici senza Dio" con
riferimento ad artisti come Oscar Wilde, che innalzò un vero culto al
piacere estetico, e a pensatori come Schopenhauer, Nietzsche, Feuerbach, Comte,
che offrirono esempi significativi di ateismo filosofico vissuto in chiave
mistica, proponendo di sostituire il regno di Dio con il regno dell'uomo.