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Mistero.

(dal greco mústes: chiuso). Ciò che è precluso, o viene considerato tale, ad una comprensione razionale. ║ In ambito teologico e religioso in senso lato, verità che la ragione non è in grado di attingere di per sé ma può conoscere solo tramite una rivelazione, senza peraltro riuscire a comprenderla o a dimostrarla intrinsecamente. ║ Materia di fede. ║ Senso riposto di un fatto o di una cosa, poi rivelato. ║ Nell'uso greco originario, il termine era usato per lo più al plurale ad indicare tanto i riti di iniziazione a culti particolari (m. orfici, eleusini, dionisiaci, ecc.) e gli oggetti sacri dei culti medesimi, quanto i santuari dei centri iniziatici. ║ Per estens. - Enigma. • St. delle rel. - In riferimento alle religioni antiche, con il termine m. si intende un complesso di dottrine e di istituti religiosi fondati su una verità resa accessibile solo da un rito di iniziazione e perciò non comunicabile direttamente ad un profano. Tali sistemi religiosi si differenziavano dalla religione pubblica delle singole collettività originarie (città-stato, ente nazionale, sovranazionale, ecc.) pur collocandosi in un orizzonte solidale e compatibile con essa. Carattere peculiare dei m. era però la fruibilità da parte dell'individuo, a prescindere dalla sua appartenenza etnica e politica, in quanto quelle misteriche non erano religioni di tipo cittadino o nazionale ma presumevano il valore universale del proprio patrimonio sacrale, destinato ad offrire a tutti gli individui che lo accogliessero la salvezza. Coerentemente a una tale identità i m., che si possono definire come religioni di tipo esoterico, soteriologico e universale, nella misura in cui si diffusero oltre le aree etniche e politiche di origine, esercitarono il proselitismo, atteggiamento ovviamente sconosciuto ai culti nazionali che portavano nella loro stessa identità il limite della possibile diffusione. Come antecedente storico delle forme misteriche più antiche si riconoscono i riti iniziatici di popolazioni primitive (configurati soprattutto come riti di passaggio dall'età adolescenziale a quella adulta, necessari per accedere al matrimonio, al diritto di cacciare e di partecipare alle attività del gruppo, ecc.) che, pur se privi della dimensione soteriologica, dimostrano validamente quella esoterica, per cui i neofiti avevano il divieto di comunicare il contenuto dell'iniziazione stessa. Nel mondo greco-romano i m. si distinguevano nettamente dalla religione pubblica in quanto non accessibili a tutti, ma condizionati dall'iniziazione. Il modello formale dei m. classici si può rintracciare nell'originario culto eleusino, cui di fatto si ispirarono le altre religioni misteriche: di Dioniso, di Orfeo, di Agre, di Zeus Ideo, di Cibele, di Ecate, ecc. Al di là delle differenze morfologiche dei singoli culti, determinate anche dalle specifiche divinità cui erano legati, è probabile una loro origine comune in quanto tipologia cultuale, che traspare dalla loro relativa uniformità. In primo luogo sussisteva, in tutti i m., l'obbligo del segreto rispetto ai contenuti e ai riti dell'iniziazione, che consistevano in gesti sacri (drómena) e in rivelazioni verbali (legómena). Erano poste, inoltre, delle condizioni preliminari agli iniziandi per poter accedere ai culti, che prevedevano l'adesione a riti di purificazione ma, in alcuni casi, contemplavano anche una situazione di "purezza morale". Infine, erano propri di tutti i m. differenti gradi di iniziazione. Altri punti comuni erano il riferimento costante al mondo contadino (dato su cui si basa l'interpretazione di alcuni storici delle religioni secondo cui i m. rappresenterebbero una sopravvivenza delle religioni ctonie preolimpiche delle plebi agrarie in contrapposizione a quella delle popolazioni cittadine), al ciclo morte-resurrezione, ad un pronunciato simbolismo sessuale, con uso di maschere e travestimenti. Per quanto sia possibile ritenere che le origini storiche dei m. siano più antiche rispetto a quelle delle religioni pubbliche delle poleis, tuttavia nel mondo classico i culti misterici acquistarono la maggiore diffusione e importanza al momento della decadenza di quelle, cioè in età ellenistico-romana e ancora durante il Basso Impero, quando furono affiancati da m. originari della Frigia (Attis e Cibele), dell'Egitto (Iside), della Persia (Mitra), ecc. ║ M. eleusini: risalgono al VII sec. a.C. Forse i più noti fra quelli antichi, venivano celebrati ad Eleusi. Legati alle figure di Demetra e della figlia Kore/Persefone, rappresentavano originariamente una sorta di festa del raccolto connessa al ciclo delle stagioni. La loro valenza andò via via ampliandosi, parallelamente alla loro diffusione, quando Eleusi entrò a far parte della Lega ateniese e il rito sfruttò l'egemonia culturale di Atene estendendosi a tutta la Grecia fino alle colonie della Magna Grecia. I m. di Eleusi ebbero seguito anche a Roma, nel culto di Cerere/Proserpina, contando iniziati di grande importanza, come lo stesso Cicerone o l'imperatore Gallieno. Il culto decadde con la proibizione di Teodosio nel 392 d.C. I m. eleusini celebravano le vicende parallele, narrate dal mito, di Persefone rapita da Ade e di sua madre Demetra che, vagando alla ricerca della figlia, donò ai mortali il primo chicco di grano, iniziandoli all'agricoltura. L'esito del racconto faceva di Persefone una sorta di ipostasi della fertilità, dal momento che, così come i frutti della terra, avrebbe passato metà dell'anno sottoterra con lo sposo e l'altra metà sulla terra con la madre, in una sorta di ciclica morte e resurrezione. Presto, però, la valenza agraria del mito e del rito assunse un peso simbolico legato alle speranze dell'uomo in una vita dopo la morte, fino a significare la credenza nell'immortalità dell'anima per cui l'iniziato poteva credere che dopo morto avrebbe vissuto una vita migliore e più felice. In epoca classica, i riti lustrali di primo livello (kathársis), preliminari all'iniziazione vera e propria, si tenevano in primavera in occasione dei Piccoli Misteri (che inglobavano anche i m. di Agre), mentre la consacrazione avveniva in autunno nel periodo della semina, durante le grandi feste eleusine che duravano nove giorni e prevedevano cerimonie di purificazione, di digiuno, di consacrazione, riti esoterici e funebri e rappresentazioni. Erano esclusi dalle celebrazioni "quanti non hanno mani pure e quanti parlano una lingua incomprensibile", cioè assassini e barbari (non greci). ║ M. dionisiaci: a differenza dei culti legati ad altre divinità olimpiche, quelli riferiti a Dioniso non erano legati ad un luogo o ad un tempio particolare e, inoltre, erano aperti a tutti, anche a donne e schiavi: per questo motivo erano tra i più diffusi e popolari. Di origine tracia, a lungo osteggiato per i suoi tratti orgiastici, il culto di Dioniso assunse forma compiuta e carattere misterico all'inizio del II sec. a.C., raggiungendo la sua massima diffusione in età imperiale. Divinità celebrata nel mito per la sua energia vitale che lo aveva riscattato dalla morte, Dioniso era il "Liberatore" e il suo culto dava agli adepti la fede in una vita ultraterrena. Il rito, come già quello eleusino, riattualizzava la vicenda del dio; in questo caso gli iniziati vagavano per i boschi, come fece Dioniso al tempo della sua pazzia indotta da Era per gelosia, ballando al ritmo del ditirambo e cercando di raggiungere uno stato estatico e mistico, spesso ricercato mediante l'ebbrezza. Uno dei riti di cui ci è giunta notizia, forse per il suo carattere particolarmente crudo, è quello del diasparagmós: nel momento estatico gli adepti dilaniavano a mani nude un animale sacrificale, mangiandone poi le carni. Questo rito si legava alla versione mitica per cui Dioniso era stato sbranato dai Titani per ordine di Era. I m. dionisiaci si celebravano in numerose occasioni, comunque legate al ciclo della vegetazione. ║ M. orfici: derivati per filiazione dai culti dionisiaci e, come quelli, di origine tracia, i m. dedicati ad Orfeo (V. anche ORFISMO), si diffusero in Grecia, a Creta, in Asia Minore e in Magna Grecia. Non erano legati a luoghi di culto particolare, ma venivano celebrati da predicatori sulla base di testi tramandati oralmente e solo in un secondo momento fissati in una redazione scritta. Platone, Euripide, Aristotele conoscevano questi testi. Gli orfici formavano comunità esclusive, regolate secondo una concezione etica della vita, assunta in funzione della liberazione e mirante a raggiungere uno stato di purezza per cui l'essenza divina e immortale rinchiusa nella prigione del corpo potesse liberarsi. • Teol. - Differenza sostanziale fra m. pagani e cristiani è l'assenza in questi ultimi di elementi mitologici. Nella traduzione greca dei Settanta dell'Antico Testamento e nella Vulgata latina, i termini mustérion e misterium traducono la forma ebraica sōd, che corrisponde a "segreto" in un'accezione profana. Forse in epoca ellenistica, avvenne un'evoluzione semantica che situò il termine in ambito religioso. Nel Nuovo Testamento, m. è parola che ritorna una sola volta in ciascuno dei tre Vangeli sinottici, tre volte nell'Apocalisse di san Giovanni e più di 20 volte nell'epistolario paolino. Nella teologia di san Paolo, m. indica il piano salvifico nascosto in Dio e reso manifesto nella persona di Cristo. Nel Cristianesimo primitivo tale accezione si affiancava però ad una più vicina a quella pagana, indicando il complesso di riti sacri che, in alternativa, erano detti anche sacramentum. Per la teologia cattolica, secondo la definizione data dal Concilio Vaticano I, m. è una verità soprannaturale inaccessibile all'iniziativa autonoma della ragione umana ma che per il credente costituisce materia di fede, in quanto rivelata. Come le verità religiose naturali (esistenza di Dio, immortalità dell'anima, ecc.) corrispondono, in quanto oggetti ad essa adeguati, alla ragione naturale dell'uomo, così i m. (Trinità delle persone divine, Incarnazione del Verbo, Resurrezione, Transustanziazione, ecc.) che eccedono l'intelletto umano corrispondono, in quanto oggetti ad essa adeguati, alla fede. Essi sono offerti alla ragione illuminata dalla Grazia, dalla rivelazione divina: pur trascendendo la ragione, il m. non è però contrario ad essa, anzi l'intelligenza può avanzare nella comprensione del m. mediante analogie e connessioni con altri m. La credibilità dei m. si fonda perciò non sulla razionalità ma sulla autorità di Dio che li rivela. ║ M. del rosario: i principali avvenimenti della storia della salvezza che vengono ricordati e contemplati durante la recita del rosario. I fatti che riguardano la vita di Gesù e di Maria sono divisi in m. gaudiosi (annunciazione, visitazione di Maria ad Elisabetta, nascita di Gesù, presentazione di Gesù al Tempio, disputa di Gesù con i dottori del Tempio), m. dolorosi (Gesù prega nell'orto dei Getsemani, flagellazione, incoronazione di spine, salita al Calvario, crocifissione e morte), m. gloriosi (resurrezione, ascensione, discesa dello Spirito Santo sugli Apostoli, assunzione di Maria, incoronazione di Maria in Cielo). • Teat. - Nella tradizione medioevale, genere letterario sul tipo della sacra rappresentazione evolutosi dal dramma liturgico, in volgare e avente per oggetto episodi dell'Antico e del Nuovo Testamento. Fra gli altri temi prevalse però, per la sua natura altamente drammatica, il racconto della Passione. L'area di origine dei m. fu quella francese e risale all'XI sec. quando, negli usi paraliturgici, il volgare cominciò a sostituirsi al latino. Il termine mystère, per indicare queste rappresentazioni, fu utilizzato per la prima volta nel 1374, mentre il genere raggiunse il suo pieno sviluppo durante il XV sec., caratterizzato per la complessità della messinscena e per la ciclicità del racconto. I m., che in Italia furono strettamente connessi alla storia della sacra rappresentazione, si diffusero, pur se con specifiche differenze, nel resto d'Europa: in Castiglia, nell'area germanica, inglese, ecc.