Mitico re dell'antica Creta. Secondo la tradizione mitologica greca, figlio di
Zeus e di Europa, fratello di Radamanto e di Sarpedonte, sposo di Pasifae. Fu
padre di Catreo, Deucalione, Glauco, Androgeo, Acalla, Senodice, Ariadne (o
Arianna) e Fedra. Nella mitologia greca la figura di
M. rappresenta
emblematicamente il potere e la cultura dell'isola di Creta nel II millennio
a.C. In questa figura mitologica, caratterizzata da elementi contraddittori,
affiora forse il duplice atteggiamento dei Greci nei confronti delle memorie
dell'antica Creta: da un lato, il rispetto per una cultura percepita come remota
e sacra, dall'altro, l'ostilità verso un nemico del passato. Per quanto
riguarda il primo aspetto,
M. è presentato dalla tradizione come
il fondatore della signoria marittima dei Cretesi e l'autore della Costituzione
cretese. Questo re saggio, che ha tutti i tratti dell'eroe culturale, avrebbe
dato ai Cretesi le prime leggi, dettate a lui direttamente da Zeus nella grotta
dell'Ida. Per quanto riguarda il secondo aspetto, affiorano in
M. tratti
decisamente sinistri. Per assicurare il favore di Poseidone al suo proposito di
regnare su Creta,
M., che non voleva dividere il Regno con i fratelli,
chiese al dio di far uscire dal mare, come segno della preferenza a lui
accordata, un toro che successivamente
M. gli avrebbe sacrificato;
Poseidone esaudì la richiesta, ma
M. venne meno alla promessa, e
il dio per vendicarsi rese il toro furioso; dall'unione del toro con la moglie
di
M. Pasifae nacque il Minotauro, che il re fece poi rinchiudere nel
Labirinto. Nella tarda leggenda attica
M. è il vendicatore del
figlio Adrogeo: agli Ateniesi, che lo avevano ucciso, richiese come sacrificio
espiatorio il tributo di 14 giovani, sette fanciulle e sette fanciulli, che,
ogni anno (secondo altre fonti ogni nove anni), dovevano essere inviati a Creta
per essere divorati dal Minotauro. Nell'inseguire in Sicilia Dedalo che era
fuggito dal Labirinto,
M. morì per mano del re Cocalo e delle
figlie di questo. Sacerdote e legislatore, per il suo senso di giustizia
M. ebbe nell'Ade, secondo una credenza che perdurò fino al
Medioevo, ufficio di giudice dei morti insieme con i fratelli Radamanto ed Eaco.
In tale veste Dante Alighieri lo pone all'entrata dell'
Inferno, per udire
la confessione dei dannati e assegnare loro la pena; raffigurato come demone
dalla lunga coda, con questa
M., nella rappresentazione dantesca, si
cinge il corpo un numero di volte corrispondente a quello del cerchio infernale
cui l'anima è assegnata in eterno (
Inferno, V, 4). Nell'opinione
di molti critici moderni, il nome
M. non indica un singolo re, ma
è il titolo generico che designava la persona del sovrano nell'ambito
della civiltà minoica, che da esso derivò il suo nome, oppure
l'appellativo dinastico dei re di Cnosso.