Contratto agrario di tipo associativo, nel quale il concedente (ovvero colui che
conferisce il terreno poiché lo possiede a titolo di proprietà, di
enfiteusi, di affitto o di usufrutto) e il mezzadro (capo della famiglia
colonica) si associano per la coltivazione del podere e per tutte le
attività connesse, con il patto di dividerne a metà i prodotti,
gli utili e le spese. Al mezzadro spetta il compito di risiedere sul fondo
stabilmente, di lavorare tale fondo, di conservare tutto ciò che il
concedente ritiene opportuno affidargli. ║ Per estens. - Sistema di
gestione delle aziende agrarie basato su questo contratto. • St. -
Preceduto da contratti in parte simili, dei quali si hanno notizie sicure, il
contratto di
m. si diffuse a partire dal Duecento in Italia
settentrionale e centrale (mentre le regioni meridionali rimasero legate
all'istituzione del feudo). Tale diffusione fu favorita, in particolare, dalla
presenza di numerosi proprietari fondiari residenti in città i quali,
dedicandosi ad attività diverse (commercio, ecc.), consideravano le
aziende agricole un'ottima occasione di investimento dei loro capitali, ma non
avevano la possibilità di gestirli direttamente. Anche se il contratto di
m. rappresentò un importante progresso rispetto all'usanza della
servitù della gleba, i contadini dovettero subire in molti casi pesanti
abusi, spartizioni non rispondenti a quelle previste nelle clausole, ecc. Le
crisi che ripetutamente colpirono il settore agricolo tra i secc. XIV e XVIII
non favorirono la diffusione della
m., ad eccezione della Toscana dove,
soprattutto in seguito alle riforme introdotte da Pietro Leopoldo nel 1785, la
m. divenne la forma tipica di conduzione delle aziende agrarie.
Sopravvissuta fino all'Ottocento nell'Italia centrale e in Veneto, regioni nelle
quali non si era ancora verificato alcuno sviluppo industriale e capitalistico,
la
m. sparì invece velocemente nelle regioni settentrionali,
caratterizzate da una più marcata industrializzazione e dalla conseguente
tendenza a concentrare l'intero profitto nelle mani del proprietario. Negli anni
tra la prima e la seconda guerra mondiale, l'istituto giuridico della
m.
fu ampiamente modificato, soprattutto con la concessione di un più largo
intervento di capitali di esercizio, ma il Fascismo contribuì a
ricondurre la
m. alla forma puramente associativa, quale attuazione del
solidarismo tra le parti, e ne favorì largamente l'adozione. Non adeguata
alle nuove esigenze determinate dalle mutate condizioni sociali e dal forte
sviluppo capitalistico (processo di meccanizzazione, diminuzione dei lavoratori
della terra, ecc.), la
m. subì un rapido processo di decadenza nei
primi anni del secondo dopoguerra. Nel 1964 il Parlamento italiano
stabilì la validità dei contratti di
m. in corso, ma ne
vietò la stipulazione di nuovi; le quote di divisione dei prodotti erano
fissate al 58% al mezzadro, al 42% al concedente. Nel 1971 fu compiuto un
ulteriore passo in avanti nel processo di eliminazione del contratto di
m., con la decisione di far riferimento alle disposizioni sull'affitto a
coltivatore diretto anche nel caso di contratti di affitto di fondi rustici
misti a contratti di
m. Una legge del 1982, infine, stabilì la
conversione, entro un periodo di quattro anni, dei contratti di
m. in
contratti di affitto su richiesta di una delle parti.