(dal latino
matrimonium, der. di
mater: madre). Istituto giuridico
(o sacramento, secondo la Chiesa cattolica) tramite il quale si legalizza (o si
dà carattere sacro, sempre secondo la Chiesa) l'unione fisica e morale
dell'uomo (
marito) e della donna (
moglie), che decidono di vivere
in completa comunità di vita, allo scopo di dar vita alla società
familiare. ║ La durata dell'unione matrimoniale. ║ La cerimonia,
laica o religiosa, attraverso la quale l'uomo e la donna manifestano la
volontà di unirsi come marito e moglie. ║ Fig. - Stretta
associazione tra due elementi. ║
M. civile:
m. celebrato
davanti a un ufficiale dello stato civile e regolato in Italia dal Codice
civile. ║
M. canonico:
m. celebrato davanti a un ministro di
culto cattolico e regolato dal diritto canonico. ║
M.
concordatario:
m. celebrato in Italia davanti a un ministro di culto
cattolico e che, in presenza di determinati requisiti, produce effetti civili
oltre che effetti canonici in base al concordato del 1929 tra Stato Italiano e
Santa Sede. ║
M. segreto (matrimonium conscientiae): speciale forma
di
m. canonico, autorizzato dall'ordinario diocesano quando ricorrano
circostanze gravi e urgenti, celebrato senza pubblicazioni alla presenza di un
sacerdote e di due testimoni e annotato in un registro speciale conservato
nell'archivio segreto della curia vescovile. ║
M. in extremis:
m. celebrato in imminente pericolo di vita di uno degli sposi, senza
obbligo di pubblicazioni purché gli sposi attestino con giuramento che
non esistono fra di loro impedimenti dirimenti non suscettibili di dispensa.
║
M. per procura:
m. in cui la necessaria dichiarazione
davanti all'ufficiale di stato civile è resa da un procuratore speciale
fornito di mandato per rappresentare uno degli sposi. Tale particolare
celebrazione è ammessa solo per i militari in tempo di guerra, o quando
uno degli sposi risiede fuori del territorio dello Stato e concorrono gravi
motivi. ║
M. misto:
m. celebrato tra due individui
appartenenti a religioni diverse. ║
M. fiduciario:
m.
diretto a raggiungere scopi estranei al
m. stesso (ad esempio,
l'acquisizione del diritto di cittadinanza). ║
M. putativo:
m. invalido, in cui però almeno una delle parti abbia contratto il
vincolo matrimoniale in buona fede ignorando l'esistenza di impedimenti. Fino
alla pronuncia di nullità tale
m. mantiene gli effetti del
m. valido, soprattutto nei confronti dei figli eventualmente nati da
esso. ║
M. morganatico:
m. contratto legittimamente tra
persone di diversa condizione giuridica, in genere tra un uomo di stirpe nobile
e una donna di umili origini, con il patto che uno dei due coniugi e la prole
nascitura non assumano l'alta condizione sociale dell'altro coniuge e non gli
possano succedere se non nella misura stabilita nel patto stesso. •
Antropol. - Nella sua definizione minima, di unione di un uomo e una donna al
fine di generare prole legittima, il
m. può essere considerato una
istituzione universale, comune a tutti i popoli in tutti i tempi e ad ogni
livello di civiltà. Sono false dunque le teorie evoluzionistiche diffuse
soprattutto alla fine del secolo scorso (V.
MATRIARCATO) secondo cui il
m. sarebbe sorto per gradi, a partire
da uno stato originario di agamia e di promiscuità sessuale, fino a
raggiungere con la monogamia la sua espressione più alta. Sono largamente
diffusi i
m. poligamici (80%), con una netta prevalenza di unioni
poliginiche, cioè di un uomo con più mogli, rispetto alle unioni
poliandriche, cioè di una donna con più mariti. La monogamia
invece è presente nel mondo etnologico solo nel 20% dei
m.,
benché sia la forma che si è imposta nel mondo occidentale a
partire dalla cultura greca e romana e successivamente dal Cristianesimo. Norme
precise, di carattere restrittivo e prescrittivo, regolano comunque ogni tipo di
m., singolo o plurimo che sia, come il divieto di
incesto tra
consanguinei, l'
esogamia, cioè il divieto di contrarre
m.
con un membro del proprio lignaggio; rara è l'
endogamia,
cioè l'obbligo di contrarre
m. all'interno del proprio gruppo di
parentela. L'endogamia è tipica delle società stratificate,
è in relazione quasi sempre con questioni di casta o di razza e appare
finalizzata non tanto alla salvaguardia della coesione interna, quanto a porre
una barriera contro gli altri. Sono stati individuati dagli antropologi i
cosiddetti
m. preferenziali, che riguardano i casi del
sororato e
del
levirato (a seconda, cioè, che si tratti dell'obbligo di
sposare, rispettivamente, la sorella della defunta da parte del vedovo o il
fratello del defunto da parte della vedova), mentre un particolare aspetto
assume il
m. col defunto (per cui se un uomo muore celibe o senza figli
maschi, un parente stretto sposa a suo nome una donna, per dargli una
discendenza legittima essenziale al fine del culto degli antenati, dal momento
che i figli della coppia saranno agli effetti sociali ritenuti discendenti del
morto). Quale rito di passaggio, il
m. è accompagnato in ogni
civiltà e in ogni tempo da un complesso ritualismo, che talora prevede
l'isolamento pre-nuziale della ragazza. • St. - Nelle società
primitive il
m. non è ancora un rapporto essenzialmente personale,
quale diventa in seguito, ma è piuttosto un negozio tra due gruppi
familiari, uno dei quali cede all'altro una donna perché procrei nel
nuovo gruppo prole legittima. ║
Civiltà orientali: sono poco
note le concezioni religiose e le usanze relative al
m. nell'antico
Egitto. Dagli scarsi documenti di cui disponiamo possiamo presumere che il
m. fosse di regola monogamico, salvo che per il re e gli strati
più alti della società. Limitatamente alla famiglia regale veniva
praticata l'endogamia di famiglia (
m. tra fratello e sorella, tra madre e
figlio). Il faraone infatti era considerato figlio di dio e per mantenere
intatta la purezza di tale discendenza sposava solitamente una sorella o una
sorellastra. Per quanto riguarda la Mesopotamia, abbiamo alcuni particolari
precisi sui rituali ierogamici sumero-accadici, mentre il codice di Hammurabi ci
dà informazioni sul periodo babilonese: il
m. era sancito da un
contratto scritto con il quale il marito acquistava la moglie, che conservava
comunque la libertà di disporre della propria dote in caso di vedovanza.
Il
m. babilonese era monogamico, anche se riconosceva al marito la
facoltà di avere delle concubine, e ammetteva la possibilità del
divorzio, di norma in seguito al ripudio da parte del marito, ma in caso di
maltrattamenti anche per iniziativa della moglie, la quale però doveva
rinunciare agli alimenti. ║
India: nell'India vedica (1500-800
a.C.) il
m. era un'istituzione monogamica che prevedeva la libera scelta
degli interessati e la sostanziale parità di diritti tra i coniugi, anche
se la donna non partecipava alla vita pubblica; la sua condizione
peggiorò notevolmente in epoca posteriore. In età postvedica
(800-200 a.C.) si diffuse l'uso dei
m. tra bambini, combinati dai
genitori; la sposa restava nella casa paterna fino alla pubertà.
Dall'inizio dell'epoca induistica (dal 200 a.C.) fu in vigore l'endogamia di
casta, che vietava di sposare un individuo appartenente a una casta inferiore.
Fino al 1829 inoltre era consuetudine che le vedove salissero sul rogo accanto
alla salma del marito. ║
Ebrei: nella concezione biblica il
m. riveste una fondamentale importanza, in quanto premessa per la
conservazione del popolo. L'uso di un contratto scritto risulta solo per il
periodo più tardo. In tempi antichi era sufficiente il versamento da
parte del futuro sposo al suocero del prezzo d'acquisto della moglie
(
mohar). Dopo il
m., che avveniva con feste e cerimonie solenni,
la sposa entrava nella famiglia del marito. La poligamia era consentita e
praticata diffusamente e il marito aveva la possibilità di ripudiare la
moglie senza necessità di addurre gravi motivi. L'adulterio femminile
viceversa era severamente punito con la lapidazione; in alcuni casi era
praticato il levirato, per cui il fratello subentrava al marito se quest'ultimo
moriva. Il diritto matrimoniale ebraico subì comunque profonde evoluzioni
nel corso del tempo, fino alla progressiva scomparsa della poligamia quasi
dappertutto. ║
Grecia: nell'antica Grecia, e in particolare
nell'Atene di epoca classica, il
m. aveva come fine precipuo quello della
procreazione di figli legittimi e prescindeva per lo più da implicazioni
di carattere affettivo-sentimentale. I Greci fecero della monogamia uno degli
elementi di distinzione dai barbari, anche se la poligamia non era espressamente
vietata dalle leggi. Il celibato rimase sempre largamente diffuso, anche se le
leggi intervennero ripetutamente a scoraggiarlo, come avvenne del resto anche
nel mondo romano sotto il principato di Augusto. A Sparta il
m. era un
atto essenzialmente politico, in ossequio alla concezione spartiata che
anteponeva gli interessi dello Stato a quelli dei singoli individui: ogni
cittadino che possedeva una porzione di terra, per legge e per dovere verso la
comunità aveva l'obbligo di contrarre
m., pena la sanzione di
atimia. Nell'Atene di epoca classica (V-IV sec. a.C.) era considerato
legittimo solamente il
m. in cui entrambi i coniugi godessero del pieno
diritto di cittadinanza, mentre il
m. di un cittadino con una straniera o
viceversa era considerato alla stregua di un concubinato e i figli che ne
nascevano erano di conseguenza illegittimi;
engyesis (promessa di
m. o fidanzamento) era chiamato il contratto formale stipulato tra il
padre o il tutore della donna e il futuro sposo, che di norma era notevolmente
più anziano di lei (Aristotele indica come età più idonea a
sposarsi i 18 anni per la donna e i 37 per l'uomo); la moglie era in una
posizione giuridica e sociale di netta inferiorità rispetto al marito:
non partecipava alla vita pubblica e viveva, soprattutto se di alta condizione
sociale, praticamente segregata nel
gineceo, la porzione della casa
riservata alle donne e situata in genere sul piano superiore delle abitazioni.
Il rituale nuziale in vigore nella antica Grecia ci è noto nei
particolari. La cerimonia si svolgeva in tre tempi: il primo nella casa paterna
della sposa, la quale assisteva a sacrifici propiziatori agli dei protettori del
m., offrendo i giocattoli e le vesti della sua fanciullezza alla dea
Artemide, a simboleggiare la liquidazione definitiva del mondo infantile e
l'abbandono dello stato virginale; al sacrificio faceva seguito un banchetto. Il
secondo tempo della cerimonia era costituito dal corteo nuziale: verso il
tramonto la sposa veniva accompagnata a casa dello sposo da un corteo di
giovani, tra grida di gioia, il suono dei flauti e il canto dell'
imeneo.
Nell'ultima fase del rito nuziale la sposa faceva ingresso nella sua nuova
dimora e riceveva in dono una mela cotogna, simbolo di fecondità. Quindi
gli sposi si appartavano nel talamo; mentre gli sposi si univano per la prima
volta, davanti alla porta del talamo un coro di giovani e fanciulle intonava
l'
epitalamio e faceva chiasso a scopo apotropaico, per allontanare gli
influssi malefici. ║
Roma: nella età arcaica il
m.
era estraneo al sistema del diritto e aveva rilevanza solo sul piano sociale e
religioso: costituiva l'atto rituale più importante della religione
domestica romana. Nella sua forma più antica, rimasta in seguito
prerogativa delle grandi famiglie sacerdotali, la cerimonia comprendeva tre
fasi: la
traditio, l'atto con cui la sposa, nella propria casa, veniva
sciolta dal padre dagli obblighi della religione domestica e affidata al marito,
la
deductio in domum mariti, con cui si accompagnava in corteo la sposa
nella sua nuova casa, e la
confarreatio, il rito solenne compiuto davanti
al Flamen Dialis e a dieci testimoni durante il quale gli sposi si spartivano
una focaccia di farro, simbolo della loro nuova comunione di vita. Il passaggio
della donna sotto la potestà del marito o del di lui
pater
familias avveniva con un distinto atto giuridico, la
conventio in
manum, realizzabile con la
coemptio, (l'atto di trasferimento, in
origine vero e proprio atto di vendita, del potere sulla donna, concordato dai
patres delle due famiglie) o con l'
usus (cioè il diritto,
riconosciuto al nuovo
pater familias, di assoggettare a sé la
donna dopo la sua permanenza per un anno consecutivo nella nuova casa). Ai tempi
della legge delle XII Tavole i due distinti momenti, religioso e giuridico, si
fusero in un atto solo: il
matrimonium cum manu, realizzabile con uno
qualsiasi dei tre atti già visti (
confarreatio, coemptio, usus).
Con esso la donna perdeva ogni legame con la famiglia originaria ed entrava nel
gruppo del marito in qualità di sottoposta al potere personale del nuovo
capogruppo (
manus). Per motivi economici, tuttavia, non era sempre
conveniente che il distacco dalla famiglia d'origine fosse totale, in quanto
venivano meno in tal caso i diritti di successione ereditaria della donna nei
confronti del proprio padre. Ben presto quindi al
m. cum manu si
sostituì il
m. sine manu, che garantiva sia i diritti della donna
che la legittimità della discendenza. La procedura con cui si ottenne che
la donna restasse giuridicamente nella sua vecchia famiglia consistette nel
tralasciare la
confarreatio e la
coemptio e nel fare ricorso
solamente all'
usus per stabilire il vincolo matrimoniale. La
giurisprudenza quindi escogitò l'espediente di interrompere l'
usus
ogni anno per tre notti (
trinoctii usurpatio), con il risultato di
impedire la
conventio in manum. Il
m. romano di epoca classica
richiedeva essenzialmente due requisiti: uno oggettivo, vale a dire l'effettiva
convivenza dei coniugi, e uno soggettivo, l'intenzione matrimoniale o
affectio maritalis, espresso però non solo come consenso iniziale
all'instaurazione del vincolo coniugale, ma come volontà duratura di
perpetrarne l'esistenza, manifestata in modo socialmente apprezzabile attraverso
quei comportamenti esteriori di reciproco affetto e rispetto che si devono
marito e moglie (
honor matrimonii). Il venir meno di uno di questi due
presupposti essenziali determinava immediatamente e inesorabilmente lo
scioglimento del
m. Da ciò consegue che il reato di bigamia nel
diritto romano non era configurabile, in quanto se una persona sposata andava a
vivere con un'altra persona con l'intenzione di dar vita ad una nuova unione
matrimoniale, il primo
m. era da considerarsi automaticamente sciolto e
il secondo perfettamente valido. Il
m. romano si reggeva sui principi
dell'esogamia, della monogamia e, a partire dall'età classica, della
sostanziale parità di diritti tra i coniugi, sulla base della persistenza
della volontà coniugale. Perché un
m. fosse legittimo
(
matrimonium iustum) era necessaria inoltre la capacità
matrimoniale dei coniugi, intesa sia come capacità naturale (
potentia
coeundi), per cui erano esclusi dal
m. gli impuberi, gli evirati, gli
ermafroditi e le persone appartenenti allo stesso sesso, sia come
capacità giuridica (
ius connubii). Il
connubium era
prerogativa dei cittadini romani; pertanto fu negato ai plebei fino al 445 a.C.,
quando la
Lex Canuleia abolì il divieto di
m. tra patrizi e
plebei, e agli stranieri fino al 212 a.C., quando la
Constitutio
Antoniniana estese agli abitanti delle province extraitaliche il diritto di
cittadinanza. Dallo
ius connubii furono esclusi in ogni epoca gli
schiavi, le cui unioni con persone di rango servile o con liberi cittadini
(
contubernium) furono sempre considerate prive di effetti giuridici. La
cerimonia nuziale, celebrata con particolare solennità, ripeteva nel suo
svolgimento rituale la suddivisione in tre fasi già vista per il
m. greco. Dopo gli
sponsalia (fidanzamento), i sacrifici agli dei,
i riti propiziatori, il banchetto nella casa paterna, la sposa, con il capo
coperto da un caratteristico velo arancione (il
flammeum) giungeva
accompagnata dal corteo nuziale alla casa dello sposo, che l'aveva attesa senza
partecipare alla parte precedente della cerimonia; alla domanda chi fosse, la
sposa rispondeva con la formula rituale
ubi tu Gaius, ego Gaia, con cui
manifestava l'intenzione di seguire il futuro marito ovunque; veniva quindi
introdotta nella nuova casa sollevata a braccia dal marito, per evitare che
malauguratamente inciampasse nella soglia, e riceveva l'offerta delle chiavi,
come padrona, e dell'acqua e del fuoco, quali elementi essenziali alla vita. Al
termine della cerimonia gli sposi si appartavano nel talamo, mentre gli invitati
intonavano l'epitalamio in segno di buon augurio. Nella tarda età
imperiale il sistema matrimoniale romano andò progressivamente
trasformandosi. Già nella legislazione giustinianea (VI sec.) la
fisionomia tipica del
m. romano classico cambiò profondamente:
Giustiniano ammetteva l'esistenza del rapporto matrimoniale indipendentemente
dalla convivenza comune (
nuptias non concubitus sed consensus facit; non
coitus matrimonium facit sed maritalis affectio). Si accentuò la
natura contrattualistica del
m. e cominciò ad affermarsi l'idea
della sua indissolubilità. Il divorzio fino al VI sec. restò uno
strumento a cui entrambi i coniugi potevano liberamente fare ricorso senza dover
addurre giustificazioni, ma con l'avvento del Cristianesimo sempre più
venne dato rilievo al consenso iniziale espresso dai nubendi a scapito di quello
successivo, cosicché la tendenza a diminuire l'importanza dell'elemento
soggettivo nel
m. fece di esso una istituzione stabile e duratura,
indipendentemente dalla persistenza della volontà di entrambi i coniugi
di mantenere in vita il rapporto. ║
Il m. in Italia dal Medioevo
all'unificazione: nell'Alto Medioevo l'istituto del
m., che rimaneva
soprattutto in Italia legato alla concezione del diritto romano, si andò
modificando sia per influenza del diritto germanico portato dai barbari
invasori, sia per la crescente influenza della Chiesa cattolica. Le consuetudini
germaniche in materia matrimoniale, introdotte in Italia dai Longobardi
nell'VIII sec., erano fondate sull'assoluta potestà (
mundio) del
marito, che riceveva tale autorità direttamente dal padre della sposa,
dal momento che la donna era ritenuta priva di ogni capacità giuridica.
La Chiesa insistette sulla dimensione spirituale del
m., suffragata dai
passi dell'Antico Testamento in cui il rapporto tra Dio e Israele è
rappresentato con il ricorso a immagini sponsali, e sul carattere inscindibile
del vincolo che unisce l'uomo e la donna, affermato sia in
Genesi 2,24
("perciò l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà
con sua moglie, e saranno una carne sola"), sia nel Discorso della montagna
(
Matteo 5,19 e 19,9). Facendo riferimento a questi passi scritturali e a
quei brani delle Lettere in cui Paolo, istituendo un parallelo tra l'unione
sponsale Cristo-chiesa con il legame marito-moglie presenta l'amore coniugale
come simbolo rivelatore della storia di salvezza e insieme come
remedium
concupiscientiae, la patristica fissò una propria concezione
dell'istituto matrimoniale, fondata sulla dottrina agostiniana del
triplex
bonum: la
fides, consistente nella reciproca fedeltà dei due
coniugi, il
sacramentum, che è l'indissolubilità del
rapporto, e la
proles, che però può anche mancare. Per
molti secoli la Chiesa si limitò a sottolineare il significato nuovo che
il
m. acquista alla luce della spiritualità cristiana, ma non
pretese di farne una istituzione propria né di regolamentarne le forme:
la celebrazione del
m. restò legata alle consuetudini in voga
nella società civile e di essa non si occuparono né i concili
né la teologia dei primi secoli. Solo a partire dall'XI-XII sec. la
Chiesa avocò a sé la competenza esclusiva in tema di
regolamentazione legislativa del
m. Peraltro la concezione canonistica
del
m. non fu immune da divergenze dottrinali: particolarmente
controverso fu l'elemento della sacramentalità, che la patristica non
aveva definito con esattezza e che fu affermato da Tommaso d'Aquino e dalla
Scolastica, e soprattutto la questione relativa al momento in cui il
m.
si perfeziona; se nel momento della sua consumazione, come sosteneva Graziano, o
in quello della celebrazione, secondo l'opinione di Pietro Lombardo. Per i
teologi della riforma il
m. è una istituzione profana, carica di
dignità e nobiltà ma priva di carattere di sacramento e sottratta,
almeno in parte, alla giurisdizione ecclesiastica. Contro queste posizioni
reagì il Concilio di Trento (1563), riaffermando definitivamente il
carattere sacramentale del
m. e stabilendo come condizione di
validità la necessità della sua celebrazione davanti a un parroco
e a due testimoni. Da quel momento in poi, la regolazione legale del
m.
fu uno dei settori del diritto che più gelosamente la Chiesa
rivendicò per sé. Solo con le rivoluzioni borghesi del XVIII sec.
e in particolare dopo la Rivoluzione francese gli Stati riaffermarono il loro
diritto a legiferare in materia matrimoniale, in base al principio che lo stato
civile degli uomini deve essere indipendente dalle loro opinioni religiose e che
quindi il
m. non potesse essere riconosciuto dalle leggi dello Stato se
non come contratto civile (1791). Il Codice napoleonico, promulgato nel 1804 ed
esteso al Regno Italico nel 1806, stabilì che il
m. doveva essere
celebrato davanti all'ufficiale dello stato civile, previe pubblicazioni alla
municipalità. Era ammesso il divorzio per cause determinate o per
dissenso reciproco. Vietò inoltre la celebrazione del
m. religioso
senza previo
m. civile. Anche dopo l'abolizione del Codice napoleonico
rimase fermo il principio secondo il quale dinanzi allo Stato: a) il
m.
era valido soltanto se celebrato secondo le regole della legge civile; b) il
m. religioso era lecito ma irrilevante. Coloro i quali volevano sposarsi
religiosamente dovevano quindi contrarre due
m., uno civile e uno
religioso. Questa fu la situazione vigente in Italia fino al 1929 ed è
tuttora la situazione della maggior parte dei Paesi europei. Nel 1929 con i
Patti Lateranensi (modificati dagli accordi di Villa Madama del 18 febbraio
1984, ratificati con L. 25 marzo 1985) si stabilì che il
m.
religioso, celebrato secondo determinate forme, potesse avere anche effetti
civili. • Dir. -
Il m. nel diritto civile: in Italia l'istituto
matrimoniale è riconosciuto solennemente nella Costituzione del 1948,
all'art. 29: "La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come
società naturale fondata sul
m. Il
m. è ordinato
sulla uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla
legge a garanzia dell'unità familiare. La legge assicura ai figli nati
fuori del
m. ogni tutela giuridica e sociale compatibile con i diritti
dei membri della famiglia legittima". Questi principi, contrastanti con le
disposizioni del Codice Civile del 1942 che prevedevano una supremazia del
marito sulla moglie e gli altri componenti della famiglia e un trattamento di
disfavore per i figli nati fuori del
m., sono stati accolti dal
legislatore con la riforma del diritto di famiglia del 1975, che ha modificato
radicalmente numerosi articoli del codice. Il
m. civile pertanto è
regolato dal Codice Civile italiano (modificato dalla L. 19 maggio 1975 n. 151),
che ne determina le condizioni, i requisiti e le formalità. Per quanto
riguarda la natura giuridica del
m., ancora controverso in dottrina
è se il
m. debba considerarsi un contratto. Contro la prevalente
tesi affermativa stanno obiezioni come quella che, salvo solenne dichiarazione
dell'ufficiale di stato civile, il consenso dei nubenti non è di per
sé produttivo di alcun effetto giuridico. Tra i requisiti che i soggetti
devono possedere per contrarre un
m. valido, il diritto civile richiede
la maggiore età (art. 84). Tuttavia in casi eccezionali il tribunale per
i minorenni, accertata la maturità psicofisica e la fondatezza delle
ragioni addotte, può autorizzare al
m. chi abbia compiuto almeno i
16 anni di età. Coloro che vogliono contrarre
m. devono essere
capaci di intendere e di volere; l'art. 85 vieta il
m. all'interdetto e
l'art. 120 stabilisce che possa essere impugnato anche il
m. di colui che
al momento della celebrazione dimostri di essere stato incapace di intendere e
di volere per qualunque motivo, anche transitorio. Requisito essenziale per la
celebrazione del
m. è il consenso degli sposi, espresso in forma
solenne davanti all'ufficiale dello stato civile nella sede comunale, alla
presenza di due testimoni. Il consenso deve essere immune da vizi, pena
l'annullabilità del
m. Si annoverano tra gli impedimenti a
contrarre
m.: a)
il vincolo di precedente m. (che non sia stato
seguito da regolare divorzio); b)
l'esistenza di vincoli di parentela tra i
nubendi (sono vietati i
m. tra ascendenti e discendenti in linea
diretta legittimi e naturali, tra fratelli e sorelle, zii e nipoti, affini in
linea retta di qualsiasi grado e in linea collaterale entro il secondo grado;
adottanti e adottati, figli adottivi della stessa persona, affiliati) (art. 87).
Si distinguono i vincoli tra congiunti che non ammettono dispensa dai vincoli
che ammettono dispensa; c)
il lutto vedovile: una donna non può
sposarsi se non siano intercorsi 300 giorni dall'annullamento del precedente
m. o dalla morte del marito o dal divorzio, salvi casi particolari (art.
89); d)
il delitto: chi si è reso colpevole di un grave reato non
può sposarsi, onde evitare che possa avvalersi delle conseguenze del
proprio crimine (come avverrebbe in ipotesi per l'omicida che intendesse sposare
la vedova della sua vittima) (art. 88). ║
Rito civile: al
m.
non si può essere ammessi se non si è proceduto alle
pubblicazioni, a cura dell'ufficiale di stato civile e su richiesta degli sposi.
La pubblicazione, che deve restare affissa nella casa comunale (o sulla porta
della chiesa parrocchiale in caso di
m. canonico) per almeno otto giorni,
ha uno scopo chiaro: si vuole rendere noto il progettato
m.,
perché se qualcuno conosce l'esistenza di eventuali impedimenti sia posto
in grado di fare opposizione. Per la celebrazione del
m. civile gli sposi
si presentano personalmente all'ufficiale dello stato civile competente (il
sindaco del Comune di residenza di uno dei due sposi o un suo delegato), il
quale alla presenza di due testimoni dà lettura degli artt. 143, 144, 147
del Codice Civile, riceve da ciascuna delle parti la dichiarazione di consenso,
e di seguito dichiara che esse sono unite in
m. Subito dopo si stende
l'atto della solennità compiuta, che viene iscritto nei registri dello
stato civile. ║
Nullità del m.: la competenza a giudicare
della nullità di un
m. civile spetta ai tribunali ordinari. Il
m. può infatti non essere valido, nel caso che uno o entrambi i
coniugi non abbia al momento della celebrazione i requisiti richiesti o qualora
esso sia stato celebrato in violazione degli impedimenti sopra menzionati. Il
m. non valido può essere impugnato dai coniugi, dagli ascendenti
prossimi, dal pubblico ministero e in generale da tutti coloro che abbiano un
interesse legittimo e attuale per contestare il
m. stesso. Oltre che per
violazione degli artt. 84, 85, 86, 87, 88, 89 citati, il giudizio di
nullità può essere emesso quando la volontà di contrarre il
vincolo sia stata viziata da errore, ovvero il consenso sia stato estorto con la
violenza o determinato da un timore di eccezionale gravità derivante da
causa esterna allo sposo. L'errore può riguardare l'identità
personale dell'altro coniuge oppure una sua qualità personale giudicata
essenziale; la legge (art. 122) prevede che l'errore è essenziale quando
sia accertato che uno dei nubendi non avrebbe sposato l'altro se fosse stato a
conoscenza della realtà. In pratica tale errore può riguardare: a)
l'esistenza di una malattia fisica o psichica o di una anomalia o deviazione
sessuale tale da impedire lo svolgimento della vita coniugale (si noti per
inciso che in questa fattispecie rientra anche l'impotenza, intesa come
inettitudine fisica ai rapporti coniugali, che acquista pertanto rilevanza
giuridica solo come vizio di errore, mentre nella legislazione anteriore alla
riforma del 1975 figurava come impedimento soggettivo al
m.); b)
l'esistenza di una sentenza di condanna per un gravissimo delitto; c) la
dichiarazione di delinquenza abituale o professionale; d) la condanna per
delitti concernenti la prostituzione a pena non inferiore ai due anni; e) lo
stato di gravidanza causato da persona diversa dal coniuge. Infine il
m.
non è valido e quindi è suscettibile di annullamento in caso di
simulazione (art. 123). È il caso per esempio del
m. contratto al
solo fine dell'acquisizione della cittadinanza italiana di uno dei coniugi, ma
con l'accordo da parte dei contraenti di non adempiere agli obblighi e di non
esercitare i diritti collegati all'atto. Tale
m. però può
essere impugnato solo entro un anno dalla celebrazione. La sentenza di
annullamento del
m. da parte del tribunale ha efficacia retroattiva, in
quanto il
m. in tal caso deve considerarsi come mai avvenuto
(nullità
ex tunc). La legge tuttavia, quando il
m. sia
stato contratto da almeno uno dei coniugi nell'ignoranza degli impedimenti o dei
vizi che lo avrebbero invalidato (V. SOPRA M.
PUTATIVO), tutela il coniuge in buona fede e i figli eventualmente nati
dall'unione, stabilendo che gli effetti del
m. valido si producano fino
alla sentenza che dichiara la nullità (nullità
ex nunc)
(artt. 128, 129 e 129 bis). ║
Rapporto tra coniugi: la legge di
riforma del diritto di famiglia stabilisce la piena e assoluta uguaglianza dei
coniugi sotto il profilo morale, giuridico e patrimoniale. Con il
m. il
marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri
(art. 143). I coniugi concordano tra loro l'indirizzo della vita familiare,
mentre poi a ciascuno spetta il potere di attuare l'indirizzo concordato (art.
144). Gli obblighi inerenti allo stato matrimoniale sono la coabitazione, la
fedeltà reciproca, l'assistenza morale e materiale. Entrambi i coniugi
sono tenuti a contribuire ai bisogni della famiglia. La moglie non assume
più il cognome del marito, ma semplicemente lo aggiunge al proprio. Per
quanto riguarda la cittadinanza, la moglie, salva sua espressa rinuncia,
conserva la cittadinanza italiana indipendentemente da quella del marito. La
condizione patrimoniale non si basa più sulla separazione dei beni, ma
sulla comunione, salvo diversa decisione presa comunemente dai coniugi; esiste
comunque una casistica di beni previsti dalla legge che vengono esclusi dal
regime della comunione (beni di proprietà del singolo coniuge esistente
prima del
m.; beni avuti in donazione o successione; beni necessari allo
svolgimento della professione) e che danno un carattere non universale alla
comunione legale del patrimonio. ║
Delitti contro il m.:
V. DIVORZIO. ║
Il m. nel diritto
canonico: il
m. canonico è un sacramento solenne, di cui sono
ministri gli sposi stessi, mentre il sacerdote è soltanto un teste
autorizzato dalla Chiesa. Il libero consenso degli sposi crea il vincolo, che la
benedizione nuziale innalza a sacramento. Il
m. diventa pertanto un segno
produttivo della grazia e un simbolo dell'unione mistica di Cristo con la
Chiesa. La definizione dogmatica del
m., che vieta la dissociazione del
concetto di sacramento da quello di contratto, si ha nel Concilio di Trento:
"Chi oserà affermare che il
m. non è veramente e
propriamente uno dei sette sacramenti della legge evangelica, istituito da
Cristo Signore, ma una invenzione degli uomini della chiesa, che non conferisce
grazia, sia scomunicato". La stessa dottrina, ribadita in tempi più
recenti in varie encicliche papali, è stata sancita anche dal nuovo
Codice di Diritto canonico promulgato ed entrato in vigore nel 1983, che
regolamenta tutte le questioni in materia (le norme che disciplinano il
m. sono contenute nel titolo VII, libro IV, canoni 1.055-1.165). Il
m. secondo la dottrina cattolica ha tre fini: la generazione ed
educazione della prole (
Genesi, 1,28); l'aiuto vicendevole tra i coniugi
(
Genesi, 2,18); il rimedio alla concupiscenza (
I Corinzi, 7, 8-9).
L'enciclica Humanae vitae, promulgata da Paolo VI nel 1968, afferma che
"per mezzo della reciproca donazione personale loro propria ed esclusiva gli
sposi tendono alla comunione delle loro persone con la quale si perfezionano a
vicenda, per collaborare con Dio alla generazione ed educazione di nuove vite",
intendendo così escludere la prevalenza della procreazione sugli altri
fini. La Chiesa stabilisce che il
m. non è valido se celebrato in
mancanza dei requisiti richiesti o nonostante l'esistenza di un impedimento.
Impedimenti dirimenti, tali cioè da rendere nullo il
m. celebrato,
sono l'età (16 anni per l'uomo e 14 per la donna), l'impotenza copulativa
antecedente e perpetua, il vincolo di precedente
m., la disparità
di culto, l'ordine sacro, il voto pubblico perpetuo di castità, il
rapimento della donna, il crimine, la consanguineità in linea retta,
l'adozione in linea retta in qualsiasi grado e in linea collaterale fino al
secondo grado. Nonostante la tendenza contraria delle legislazioni civili
moderne, la Chiesa mantiene l'indissolubilità del
m. Tuttavia, non
potendo più contare sulla mentalità comune per imporre i valori
tradizionali della famiglia come istituzione stabile e definitiva, il diritto
canonico stabilisce in modo più rigoroso i criteri di validità
dell'unione coniugale. Perché il consenso sia valido è necessario
che esso sia stato espresso con cognizione di causa e con volontà
veramente libera. È necessario che i nubendi non ignorino che il
m. è la comunità permanente tra l'uomo e la donna, ordinata
alla procreazione della prole mediante la cooperazione sessuale. Il
m.
è annullabile quando la volontà diretta a contrarlo è
viziata da violenza o errore, oppure se tale volontà è apparente,
per esempio nel caso in cui uno sposo abbia inteso escludere uno dei fini
fondamentali del
m. canonico, come l'indissolubilità del vincolo,
la fedeltà tra i coniugi, la procreazione. Il canone 1.095 in particolare
stabilisce che il
m. non è valido se uno dei contraenti è
incapace di adempiere l'oggetto del consenso per una patologia latente e per
grave immaturità psichica. Rientrano in questa fattispecie i casi di
tossicomania, psicosi, nevrosi, aberrazione sessuale o più semplicemente
l'incapacità di assumere gli oneri coniugali, data dal fatto che il
soggetto è inadeguato a rispondere alle normali attese di ordine fisico,
emozionale intellettuale e sociale del partner. Se si verifica una delle ipotesi
di invalidità, il
m. può essere annullato con sentenza del
tribunale ecclesiastico. ║
Il m. concordatario: per l'art. 34 del
Concordato con la Santa Sede (11 febbraio 1929, modificato dalla L. 25 marzo
1985), i cattolici possono celebrare i loro
m. dinanzi a un ministro del
culto ottenendo nel contempo che il
m. abbia effetti civili. A questo
provvede l'istituto della trascrizione dell'atto nei registri dello Stato civile
italiano. La trascrizione non tocca la validità del
m. canonico,
già perfetto: ma è costitutiva degli effetti civili, i quali
pertanto non nascono nel momento della celebrazione, ma soltanto della
trascrizione stessa. La trascrizione può essere rifiutata solo in casi
tassativi, vale a dire quando gli sposi non rispondano ai requisiti della legge
civile circa l'età richiesta per la celebrazione oppure quando sussista
tra gli sposi un impedimento che la legge civile considera inderogabile. La
Corte d'Appello può dichiarare efficace agli effetti civili la sentenza
di nullità matrimoniale del tribunale ecclesiastico per il
m.
concordatario, alla condizione che il procedimento si sia svolto nel rispetto
dei principi dell'ordinamento italiano.