Termine filosofico usato per la prima volta nel 1674 da R. Boyle per indicare
ogni dottrina o sistema che ponga la materia a fondamento della realtà,
in opposizione allo
spiritualismo. ║ Per estens. - Pratica di vita
volta prevalentemente alla ricerca dei beni e dei piaceri materiali. •
Filos. - Il termine
m. designa quei sistemi filosofici secondo cui la
causa delle cose (natura e storia umana, valori morali e intellettuali) è
da ricercarsi solo nella materia, negando ogni senso e realtà al divino,
alla spiritualità dell'anima e alla provvidenza. In senso più
generale si applica a tutti i sistemi che si pongano al di fuori di ogni
interpretazione metafisica e finalistica; tuttavia non possono considerarsi
m. in senso stretto quelli che si limitano a riconoscere l'esistenza
della materia. Problematico è rintracciare nella storia della filosofia
un'unica vera e propria tradizione materialistica, ma si preferisce individuare
particolari concezioni materialistiche che caratterizzano il pensiero di singoli
periodi, per quanto con la rivoluzione scientifica dei secc. XVII-XVIII e
l'affermazione delle scienze esatte la nozione stessa di
m. diventi
più precisa. In genere si distinguono
m. metafisico o
cosmologico,
m. metodologico, pratico o
morale,
m.
psicofisico, storico e
dialettico. ║
M. metafisico o
cosmologico: riconosce alla materia un valore assoluto e imprescindibile,
poiché è originaria e inderivabile, precede ogni altro essere e ne
è la causa; presenta una struttura atomica, dotata di una forza autonoma
e implicita, secondo cui gli atomi si muovono, si combinano ed originano le
cose. Si nega, quindi, ogni finalismo dell'universo e ogni spiritualità
dell'uomo, le cui percezioni derivano solo dalla sua sensibilità
materiale. Questa concezione, almeno nella sua essenzialità, può
essere rintracciata già nelle antiche cosmogonie mitiche, in cui
un'entità materiale, massa informe e densa, si plasma dal caos, prendendo
forma negli elementi dell'universo e ordinandosi nel cosmo. I fisiologi ionici e
i presocratici della tradizione greca riconoscevano in un elemento materiale, o
in più elementi (acqua, aria, fuoco, terra) l'
archè,
l'origine del mondo fisico. La prima concezione atomistica della materia fu
formulata da Democrito di Abdera nel IV sec. a.C. e rielaborata in un sistema
filosofico completo da Epicuro nel IV-III sec. a.C.: gli atomi erano particelle
qualitativamente omogenee, differenti per grandezza, forma e peso, che si
muovevano nel vuoto urtandosi e aggregandosi per effetto di inclinazioni
naturali, e costituendo i corpi secondo un processo meccanicistico e casuale,
senza alcun intervento esterno di intelligenze ordinatrici. Tali teorie furono
riprese nell'antica Roma da Lucrezio, ma in genere nell'antichità
incontrarono forti critiche da parte dei platonici, degli aristotelici e degli
stoici e furono demonizzate dalla tradizione cristiana. Solo nei secc. XVI-XVII
fu recuperata l'antica filosofia corpuscolare epicurea e con G. Bruno, G.
Galilei, F. Bacone, quindi J. Locke e I. Newton, si realizzò quella
rivoluzione scientifica che portò al riconoscimento della fisica
inerziale, meccanicistica e priva di ogni componente metafisica. Nel XVIII sec.
il
m. meccanicistico fu sostenuto e divulgato dagli illuministi, quali D.
Diderot, J.-O. de La Mettrie, C.-A. Helvétius, P.H.D. d'Holbach, il
quale, in particolare nel suo
Sistema della Natura, enunciò una
concezione secondo cui la natura era il grande Tutto di cui l'uomo non era che
un essere fisico; la natura altro non era che materia e movimento e l'ordine
della natura non era che la successione regolare dei fenomeni naturali, senza
proporsi alcuno scopo. Il Tutto, infatti, non poteva avere uno scopo non
essendoci nulla, fuori di esso, verso cui potesse tendere. Questi pensatori,
quindi, si schierarono contro la tradizione provvidenzialistica e i pregiudizi
religiosi e si impegnarono nella lotta politica contro l'antico regime. Il
m. divenne così l'ideologia del Terzo Stato e ne influenzò
la maturazione della coscienza rivoluzionaria. Nel XIX sec., con la
Restaurazione, il
m. fu nuovamente condannato e relegato ai margini della
filosofia accademica, ma tra i positivisti tedeschi si sviluppò una
corrente materialista, definita
m. "volgare", quale reazione
all'Idealismo post-kantiano, ma anche quale risultato dei progressi delle
scienze naturali, soprattutto della biologia. Essa si sviluppò sulla base
della teoria evoluzionista ed ebbe come massimi esponenti E. Haeckel, C. Vogt,
L. Büchner, J. Moleschott. Al concetto di materia abbinò quello di
forza, arrivando ad affermare con E. Haeckel che gli atomi erano dotati di vita
e di sensibilità. ║
M. metodologico: consiste in una
radicale interpretazione materialista del mondo umano, morale e politico;
formulata da T. Hobbes nel XVII sec., deriva dalla inevitabile constatazione che
l'unico possibile strumento cognitivo dei fenomeni è di natura materiale,
ossia il corpo e il movimento, e ogni fatto conoscibile è un fatto che
non trascende la sfera materiale; pertanto ogni conoscenza è conoscenza
di movimento e quindi di corporeità. Anche il pensiero e le
attività considerate spirituali risultano riducibili a movimenti
corporei. Perciò l'unico oggetto possibile del sapere umano è il
corpo, sia nella sua dimensione naturale sia in quella artificiale, quando
cioè il corpo in questione sia la società stessa. Ciò nasce
dalla volontà di Hobbes di assimilare la psicologia o la politica alle
scienze fisiche esatte: posto che il movimento è il fatto più
diffuso della natura, ne consegue che la natura umana (sensazione, sentimento,
pensiero) è una forma di moto e la condotta sociale su cui si fonda
l'arte del governo non è che quella parte della condotta umana che nasce
dal reciproco atteggiamento degli uomini. Il
m. metodologico fu ripreso
nel XX sec. dai filosofi del circolo di Vienna e in particolare da R. Carnap,
che ridusse la conoscenza all'ambito della scienza: la scienza è unica,
nonostante i diversi campi specifici di studio, ed è dotata di un solo
linguaggio basato su una logica, la
logica della scienza. Questa
concezione trovò sostenitori nell'Empirismo contemporaneo statunitense di
W.V.O. Quine e nel Fisicalismo: se la conoscenza può essere data solo
dalla scienza, perché l'oggetto e lo strumento del conoscere è
solo materia, la prima e fondamentale scienza della materia è la fisica.
Da questa impostazione riduzionistica deriva anche la possibilità di
ridurre a pura nozione fisica anche le nozioni mentali e psicologiche. ║
M. pratico o
morale: non si tratta di una posizione filosofica
univocamente definita, ma deriva da una facile e comune semplificazione delle
posizioni polemiche relative all'etica del
m.; genericamente si abbina la
concezione materialistica all'
edonismo, cioè al comportamento che
persegue come unico scopo il piacere e il soddisfacimento dei propri bisogni
materiali. Tuttavia, il
m. non implica obbligatoriamente una morale
edonistica e, viceversa, concezioni non materialistiche possono sfociare
nell'edonismo. Lo stesso epicureismo seguì un'etica estremamente rigida,
per cui il
piacere atarattico era frutto di una condotta di vita severa,
basata solo sulla soddisfazione dei bisogni naturali e necessari. Storicamente
m. ed edonismo coincisero con il
m. psicofisico settecentesco:
secondo Helvétius, base di ogni legge morale sono le proprietà
sensibili, ossia l'amore di sé, il godimento, l'interesse personale, e
perciò le più alte virtù non sono che trasformazioni di
primitive tendenze egoistiche; così anche La Mettrie considerò il
piacere sensuale come il fondamento di ogni azione e della stessa
società. ║
M. psicofisico: sostiene che ogni attività
psichica e spirituale umana trova la sua causa nella corporeità,
cioè nella materia, in quanto manifestazione dell'organismo e del sistema
nervoso centrale. Tale concezione è già presente nei materialisti
francesi come La Mettrie, con il suo
Uomo macchina (1748), e Holbach, per
il quale tutte le facoltà umane sono il risultato della fisicità
organica dell'uomo; ma uno sviluppo particolare ebbe nei positivisti tedeschi:
secondo Haeckel tutti i fenomeni della natura erano trasformazioni della materia
di cui anche la sostanza vivente rappresentava un aspetto particolare. Lo stesso
pensiero non era che uno dei caratteri della materia e si trovava perciò
in ogni cosa quale
sostanza animata. Meno filosoficamente, C. Vogt
affermò che il pensiero altro non era che la secrezione del cervello come
la bile lo è del fegato. L. Büchner e J. Moleschott tentarono di
spiegare il pensiero e la coscienza, il primo considerandoli espressioni delle
materie dotate di forza che costituiscono il corpo animale, il secondo come
risultati delle materie apportate mediante la circolazione del cervello. ║
M. storico: concezione della storia elaborata da K. Marx in polemica con
la filosofia hegeliana, nota come
concezione materialistica della storia;
è uno dei capisaldi del Marxismo (V.).
Formulata da Marx, sotto l'influenza dell'Hegelismo e del Socialismo francese,
in una serie di opere pubblicate tra il 1844 e il 1848, tale dottrina fu
successivamente sviluppata e approfondita in un'esposizione sistematica da
Engels. La storia per Marx era
praxis, ossia attività umana in
svolgimento: l'uomo creava se stesso nell'atto stesso di vivere e, agendo nelle
effettive condizioni materiali di vita, determinava la natura intesa come
processo storico, cioè come processo dialettico in atto, escludendo ogni
apriorismo, ogni finalismo e ogni trascendenza. Anche la società era il
risultato della
praxis umana e dunque della
praxis storica e ne
seguiva il corso dialettico: ciò che la caratterizzava, che ne
determinava le divisioni interne, ne configurava il costume, il modo di vivere e
di pensare dei singoli, non era quindi un vincolo di natura politica, né
giuridica, bensì un rapporto di carattere economico-produttivo,
ciò che materialmente consentiva alla società stessa e all'uomo di
vivere. In questo senso il sistema economico-materiale era la base della
società, la sua
struttura e ciò che determinava il processo
storico stesso. "...Il modo di produzione della vita materiale condiziona, in
genere, il processo sociale, politico e spirituale della vita". Infatti, "non
è la coscienza degli uomini che determina il loro essere ma, al
contrario, è il loro essere sociale che determina la loro coscienza".
"...Le rappresentazioni e i pensieri, lo scambio spirituale degli uomini
appaiono come emanazione diretta del loro comportamento materiale. Ciò
vale allo stesso modo per la produzione spirituale, quale essa si manifesta
nella politica, nella legge, nella morale, nella religione, nella metafisica di
un popolo". Tutto ciò (arte, letteratura, scienza, diritto, politica,
religione) per Marx costituiva la
sovrastruttura della società, in
quanto relativo alla
struttura economica. Pertanto, sia i rapporti
giuridici, sia le forme dello Stato non potevano essere compresi, né per
loro stessi, né per la cosiddetta evoluzione generale dello spirito
umano, poiché essi avevano le loro radici nei rapporti materiali
dell'esistenza. Anche la religione era un prodotto sociale: era "l'uomo a fare
la religione e non la religione a fare l'uomo"; infatti nel tentativo di
soddisfare i propri bisogni reali, l'uomo costruiva prodotti immaginari e
fantastici che offrivano però solo soddisfazioni illusorie, sviandolo
dalla ricerca delle soddisfazioni reali. Così il Cristianesimo,
attribuendo all'uomo una doppia vita, offriva l'immaginario conforto della vita
ultraterrena come compenso per le sofferenze terrene. Perciò la religione
doveva essere considerata come "l'oppio del popolo", come "il sole illusorio che
muove intorno all'uomo finché questi non si muove intorno a se stesso".
Pertanto, "togliere la religione, che è la felicità illusoria del
popolo, significa avanzare l'esigenza della felicità reale di esso". La
felicità reale era data solo da una società basata sulla
eguaglianza economica e sociale, comunità di uomini liberi, senza classi,
che si contendevano la proprietà dei mezzi e delle risorse produttive,
senza sfruttati e sfruttatori. Finché fossero esistiti rapporti
socio-economici basati su classi dominanti e oppresse, cioè su una
struttura economica capitalistica, sarebbe continuata a esistere una
sovrastruttura ideologica data dalla classe dominante, poiché "la classe
che è la potenza materiale dominante della società, è in
pari tempo la sua potenza spirituale dominante. La classe che dispone dei mezzi
della produzione materiale dispone con ciò, in pari tempo, dei mezzi
della produzione intellettuale, cosicché ad essa in complesso sono
assoggettate le idee di coloro ai quali mancano i mezzi della produzione
intellettuale. Le idee dominanti non sono altro che l'espressione ideale dei
rapporti materiali dominanti, sono i rapporti materiali dominanti presi come
idee..." (Marx-Engels,
L'ideologia tedesca). Solo con il cambiamento
della base economica si poteva sconvolgere più o meno rapidamente tutta
la gigantesca sovrastruttura ideologica. ║
M. dialettico:
concezione dialettica della realtà naturale e storica già presente
nelle sue linee essenziali in Marx, ma sviluppata successivamente da F. Engels
in una vera e propria concezione del mondo o
Weltanschauung e ripresa dal
Marxismo sovietico leniniano prima e staliniano poi. Nella sua impostazione
dottrinale, Marx si richiamò alla dialettica di Hegel, trasferendo
però il metodo dialettico hegeliano dal piano metafisico a quello reale,
dalla teoria astratta al concreto comportamento umano. Per Hegel ogni fenomeno,
nella sua storicità, era il prodotto dello spirito del mondo, l'assoluto
che poteva raggiungere il culmine della propria rappresentazione solo nella
coscienza fenomenica di sé; ciò avveniva attraverso un processo di
evoluzione della realtà come continuo divenire, basato su stadi
successivi di sviluppo, di cui ognuno determinava le condizioni e le
contraddizioni necessarie al suo stesso superamento, secondo il ritmo triadico
di tesi-antitesi-sintesi. Così, ciò che vi era di negativo e di
contraddittorio costituiva, in definitiva, la necessaria funzione dialettica di
antitesi che induceva al superamento della stessa tesi e della stessa antitesi.
Questa visione dialettica fu trasferita da Marx dal campo astratto dell'assoluto
a quello della realtà umana: il fenomenico (natura) nel suo divenire
storico non era qualcosa di già dato a priori da un'entità
spirituale, ma si realizzava nelle effettive condizioni materiali di vita, nel
modo in cui gli uomini soddisfacevano i propri bisogni vitali e nei rapporti con
i propri simili, cioè nell'attività umana o
praxis in se
stessa. L'uomo, infatti, esisteva in quanto ente naturale che si determinava
nelle condizioni ambientali di vita, nell'economia e nei rapporti sociali,
cioè sulla base di condizioni materiali. Sistema sociale e sistema
economico-produttivo erano strettamente legati: il primo, infatti, poteva essere
strutturato in classi a seconda dei ruoli (controllo delle risorse e dei mezzi
economici, forza-lavoro produttiva) e dei rapporti di produzione. Il divenire
storico era, dunque, il risultato del dinamismo conflittuale e dialettico tra le
forze produttive e le forze di controllo della produzione nel sistema sociale
relativo; era, cioè, frutto dei rapporti antitetici tra le classi. La
storia era, quindi, storia di lotte di classi dominanti e dominate: oppressori e
oppressi (liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri
delle corporazioni e garzoni) furono continuamente in reciproco contrasto e
condussero una lotta, ora latente ora aperta, terminata ogni volta nel
superamento della conflittualità stessa, ora con una trasformazione
rivoluzionaria della società, ora con la comune rovina delle classi in
lotta. Con tali processi dialettici si giunse all'antinomia contemporanea,
quella tra borghesia capitalistica e proletariato industriale: il modo di
produzione capitalistico determinò un rapido sviluppo delle forze
produttive, semplificando ed esasperando gli antagonismi fra le classi, in una
forma di antitesi assoluta, che poteva portare solo al suo superamento
definitivo, attraverso una rivoluzione sociale. Questo avrebbe segnato l'avvento
di un nuovo ordinamento sociale senza classi e senza oppressione e sfruttamento
economico, una società di uomini liberi e eguali. Engels
approfondì ulteriormente tale dottrina sostenendo che le misteriose leggi
della dialettica idealistica potevano divenire chiare come il sole se capovolte.
Formulò, dunque, tre leggi fondamentali:
a) la legge della
conversione della quantità in qualità e viceversa, secondo la
quale le variazioni qualitative della natura possono ottenersi solo attraverso
variazioni quantitative, aggiungendo o togliendo materia;
b) la legge
della compenetrazione degli opposti, grazie alla quale si postula il mutamento
incessante ed omogeneo della natura;
c) la legge della negazione della
negazione, con cui si afferma che ogni sintesi è tesi di una nuova
antitesi, da cui risulterà una nuova sintesi. Il risultato di tali leggi
è una concezione evoluzionistica della natura, necessaria e progressiva.
Lenin, riprendendo tali teorie, formulò la teoria
dialettico-materialistica, rivendicando l'inscindibilità del
m.
storico marxista dal
m. dialettico, facendo del
m. una
Weltanschauung filosofica e non più solo un metodo storico e
sociologico (
Materialismo ed empiriocriticismo, 1909). Tale visione del
mondo era collegata a una teoria gnoseologica, la teoria della conoscenza
realistica: la conoscenza della realtà da parte dell'uomo era un processo
oggettivo, riflesso della realtà stessa, indipendente da ogni componente
soggettiva. Stalin codificò le interpretazioni leniniane nel 1938,
trasformandole in una sorta di filosofia di Stato e dando una esposizione
sistematica del
m. dialettico: il mondo era per sua natura materiale, per
cui gli eventi non rappresentavano altro che i diversi aspetti della materia.
Pertanto, anche il pensiero altro non era che un prodotto della materia. La
realtà naturale doveva essere intesa come una totalità organica di
momenti che si condizionavano reciprocamente. Questa totalità organica
era essenzialmente dinamica, e lo sviluppo procedeva dalla quantità alla
qualità. Il divenire, quindi, non era un semplice processo di crescita,
"ma uno sviluppo che passa da mutamenti quantitativi, insignificanti e latenti,
a mutamenti aperti e radicali, qualitativi". La processualità dinamica
del reale non postulava alcun principio extraumano, come sua causa. La legge
dialettica si basava sul principio che "gli oggetti e i fenomeni della natura
implicano delle condizioni interne, poiché hanno tutti un lato positivo e
un lato negativo, un passato e un futuro, elementi che deperiscono ed elementi
che si sviluppano, e la lotta fra questi opposti costituisce l'intero contesto
del processo di sviluppo". Pertanto, il processo del reale si attuava
"attraverso il manifestarsi delle condizioni inerenti agli oggetti, ai fenomeni,
attraverso una lotta delle tendenze opposte, che agiscono sulla base di queste
contraddizioni". Fu rilevato che questa accentuazione della dialettica della
natura, da parte del
m. sovietico, appariva in contrasto col pensiero di
Marx e persino con quello di Lenin. Infatti, essendo la dialettica marxista,
nella sua struttura concettuale, una dialettica della realtà storica,
essa non poteva includere la natura, "se non nella misura in cui quest'ultima
è essa stessa parte della realtà storica".