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Materia.

Sostanza che costituisce gli oggetti sensibili, esistente in sé, dotata di peso, massa, inerzia, capace di assumere una propria forma e di occupare un dato spazio. ║ Ciò che rende un oggetto percepibile ai cinque sensi, conferendo ad esso, in particolare, peso ed estensione nello spazio. In questo significato, il termine è utilizzato anche come opposto al concetto di spirito. ║ Essenza, qualità caratteristica di un oggetto; in questa accezione il termine può valere genericamente come opposto di forma, esteriorità. ║ Argomento trattato in un libro, in una conferenza; oggetto di una conversazione. ║ Catalogo per m.: metodo di classificazione biblioteconomica, alternativo al catalogo per autori, in cui i volumi sono ordinati secondo la disciplina di attinenza o all'argomento trattato. ║ Nel lessico popolare, il termine indica, senza altra determinazione, il pus che si produce in una piaga infetta o in un ascesso. • Filos. - Nella tradizione filosofica, la m. è stata considerata come costituente essenziale dei corpi cui, perciò, erano da attribuirsi le caratteristiche immediatamente conoscibili di questi ultimi (estensione e consistenza, stabilità e mobilità), da cui si pensava dipendessero permanenza e mutevolezza del reale. La nozione filosofica di m. nacque, per astrazione, a partire da un vocabolo (in greco húlē, tradotto in latino con materies) che significava legno di bosco, legname, cioè il materiale edile per eccellenza, e che passò poi ad indicare in genere ciò che costituiva un oggetto. Da tale idea di m. prese avvio la riflessione dell'uomo sulla natura che, nel corso dei secoli, è sempre stato l'ambito privilegiato di interscambio fra filosofia e scienza. Inizialmente, la filosofia naturale greca, lungi dal porre alcuna distinzione tra materiale e immateriale, si interrogò sull'arché: il principio della realtà. L'atomismo (V.) di Democrito e Leucippo, e più tardi di Epicuro, cercò di penetrare la struttura della m., individuando nella molteplicità degli atomi che la costituivano in parvenza di unità l'origine della stabilità del reale. Da un tale approccio naturalistico si discostò la concezione metafisica, inaugurata da Platone, che poco si curava della fattura del mondo sensibile, quanto della collocazione della m. nella totalità dell'essere e che, in relazione a ciò, attribuiva valore o disvalore al dato corporeo e materiale. Nel Timeo platonico, la m. è rappresentata come una "terza specie oscura", che si frappone tra modello intellegibile (idea) e immagine sensibile, quale generatrice di ogni forma: essa è spazio, non in quanto astratta estensione ma in quanto sede di tutti i corpi. Elemento passivo e ricettivo, eterno e increato, la m. è contrapposta negativamente al mondo delle Idee intellegibili, il cui modello perfetto essa svilisce entrando a costituire gli oggetti particolari percepibili dai sensi. Sulla scia di Platone si mosse Aristotele, che considerò la m. come principio mediatore tra essere e privazione, tra molteplicità e unità. In un mutamento (passaggio da un contrario all'altro, da una privazione ad una forma) essa agisce come elemento di continuità tra lo stato anteriore e quello posteriore: un illetterato (privazione), diventa letterato (forma) permanendo un sostrato comune, cioè la sua m. di uomo. La m., dunque, è per Aristotele da un lato ciò che permane, dall'altro, in quanto capacità di accogliere una forma di cui è priva, si configura come pura potenza in contrapposizione al puro atto: essa è passiva, ricettiva, determinabile in quanto indeterminata, perciò inconoscibile. Aristotele distingue una m. prima (un elemento originario, qualcosa di cui non si può più dire che sia fatto di qualcos'altro), una m. seconda (il sostrato particolare di una categoria di enti che ha assunto una determinata forma), una m. ultima (sostrato proprio di un singolo individuo). Esiste inoltre per Aristotele, oltre alla sopradescritta m. sensibile o mobile dei corpi, una m. intellegibile degli enti matematici o astratti. Il concetto aristotelico di m. prima fu ripreso dalla filosofia stoica, e in particolare da Zenone di Cizio, per la quale essa è un'unica sostanza distinta in un principio passivo (realtà corporea estesa, ma priva di altre qualità) e in un principio attivo (ragione e spirito) che, corpo sottilissimo, mescolandosi agli elementi produce varietà e differenziazione. Secondo il neoplatonismo di Plotino, invece, la m. coincide con il più basso gradino ontologico: essa è matrice di ogni forma, ma è assoluta indeterminatezza ed indigenza, coincidendo con la privazione stessa e con il non-essere. Nel pensiero cristiano, il concetto di m. discriminò nettamente la patristica orientale da quella occidentale. I cristiani d'Oriente, infatti, esposti all'influenza neoplatonica, operarono una riduzione in senso spirituale di tutta la realtà, considerando la m. al limite del non-essere. Ad Occidente, invece, secondo la concezione creazionista, si operò una rivalutazione della nozione di m. come pura passività, creata e, ovviamente, non eterna. La scolastica medioevale si rifece in gran parte ad Aristotele, cui ricorse in particolare per risolvere il problema dell'"individuazione", vale a dire di ciò che determina l'individuo rispetto all'universale: la m. ultima aristotelica diventò la m. quantitate signata dell'Aquinate, la cui disposizione nello spazio e nel tempo definirebbe l'ente individuale (V. INDIVIDUAZIONE). Secondo Tommaso d'Aquino (V.), la m. è frutto della creazione ex nihilo: al vertice stanno gli angeli, pure forme senza m., costituiti cioè di essenza e di esistenza. Inferiore ad essi è l'uomo, la cui anima è unione di m. e di forma, cui seguono gli enti puramente corporei, individualizzati dalla m. e la cui forma è solo l'elemento universale rilevato dalla conoscenza. La filosofia della natura dei secc. XV e XVI operò una rivoluzione nella nozione di m.: all'attribuzione di passività e pura potenza il naturalismo rinascimentale sostituì quella di attività e attualità. Per Giordano Bruno la m. era propria di tutti gli esseri, anche quelli spirituali, attività generatrice da cui sorgono tutte le forme: il minimo era elemento e unità costitutiva del reale e suo principio di qualità. Fu a partire da questa concezione rivoluzionaria che si formò la tendenza ad una riflessione sulla m. autonoma e guidata da criteri naturalistici e fisici: il pensiero moderno si affrancò dalla concezione scolastico-aristotelica per recuperare la visione degli atomisti, via via arricchita da nuovi elementi: inerzia, impenetrabilità, divisibilità, movimento, gravitazione. Cartesio, accanto alla definizione metafisica di m. quale realtà creata, si preoccupò di indicare nell'estensione di piccoli corpi in successione ininterrotta il suo carattere essenziale, concetto mai più abbandonato dalla filosofia moderna. Sulla stessa linea si mosse infatti Spinoza, mentre da Keplero, Newton e Galileo furono introdotti altri concetti inerenti la definizione di m. A Keplero si deve la determinazione della nozione di inerzia, interpretazione della passività dei corpi come di una capacità di opporre resistenza e quindi come una forma positiva di energia. Newton espose la teoria della gravitazione (attrazione reciproca delle unità minime atomiche), intesa non tanto come qualità essenziale della m. quanto come fondamentale relazione per la costituzione di essa. La m. per Newton era organizzata in aggregazioni successive, dal microscopico al macroscopico, dotate di un'attrazione reciproca inversamente proporzionale alla loro dimensione. L'ipotesi di una forza interna alla m. permetteva dunque di spiegare, senza dover ricorrere a teorie sulla diversa forma degli atomi, il differente grado di coesione e rigidità dei corpi. Se per l'idealismo settecentesco di Berkeley la m. si esauriva nella percezione, i pensatori illuministi (Diderot, La Mettrie, ecc.) perseguirono una definizione di m. in termini di attribuzione di forza, come, in parte, fece anche Kant, per il quale la m. occupa lo spazio non in virtù della sua pura esistenza, ma grazie a forze motrici (attrazione e repulsione), da cui conseguono estensione senza dispersione e compattezza senza vuoto. Dal punto di vista gnoseologico, invece, la m. era per Kant il molteplice percepito, su cui l'intelletto attuava, mediante le categorie di unificazione, una sintesi formale. La coppia m. e forma fu assunta anche da Hegel, la cui riflessione aveva tratti nettamente metafisici: la m., inerte e senza forma, indifferente, è l'universale assolutamente astratto che si particolarizza in masse e corpi, elemento passivo a fronte della forma, elemento attivo. La concezione romantica interpretò la m. come sintesi di tre forze complementari: espansiva, attrattiva e sintetica, che potevano essere collegate ai fenomeni naturali del magnetismo, dell'elettricità e delle relazioni chimiche. A partire dalla metà del XIX sec., comunque, la filosofia cominciò ad assumere la nozione di m. coerentemente con le scoperte della fisica contemporanea, dal momento che una riflessione meramente concettuale sulla m. sarebbe risultata astratta e dogmatica, oltre che inutile. Con il progressivo tramonto del primato della metafisica in campo filosofico, decadde anche la rilevanza filosofica della definizione di m. che venne così demandata quasi totalmente alla disciplina fisica (V. ANCHE MATERIALISMO). • Fis. - Secondo la concezione della fisica classica, e dunque da un punto di vista macroscopico, è da considerarsi m. tutto ciò che sia dotato di massa e perciò di inerzia. Secondo tale criterio, la m. è stata distinta, a partire dai suoi stati di aggregazione, in solida, liquida, aeriforme; a partire dalle sue caratteristiche, in organica e inorganica e, più particolarmente nei "tre regni" minerale, vegetale e animale (questi ultimi indicati anche con la locuzione m. vivente). Queste tradizionali classificazioni, benché spesso ancora utili, perdono significato e validità se considerate secondo le nozioni della fisica atomica e sub-atomica. Fine di tali discipline, infatti, non è più tanto una definizione esauriente del concetto di m., quanto una interpretazione delle proprietà che i corpi rivelano, a livello macro e microscopico, allo scopo di tracciare un quadro plausibile (mai definitivo ma sempre in fieri) della realtà materiale. Ogni corpo, a prescindere dalle sue caratteristiche individuali di maggior o minor compattezza, durezza, flessibilità, risulta costituito da minuscole componenti: le molecole. L'intensità delle forze che legano fra loro tali componenti determina lo stato solido o fluido del corpo in questione. Mentre nei fluidi i legami sono tenui e consentono movimenti ampi e disordinati alle singole molecole, che compiono percorsi a zig-zag, nei solidi i legami non permettono alle molecole di muoversi, ma solo di oscillare intorno a posizioni di equilibrio. Ogni singola molecola è, a sua volta, costituita da atomi (V. ATOMO) che, con una approssimativa semplificazione, possono essere immaginati come minuscole sferette, il cui diametro è calcolabile nell'ordine di 10-10 m, misura inferiore alla lunghezza d'onda della luce: un atomo, perciò, è invisibile alla luce ordinaria. A differenza di quanto si pensasse ancora alla fine dell'Ottocento, l'atomo non è compatto e indivisibile, ma è a sua volta un aggregato di particelle. Intorno ad un nucleo, con carica elettrica positiva, è localizzabile, in condizioni normali, elettroni a carica elettrica negativa in numero sufficiente a rendere l'atomo neutro bilanciando la carica del nucleo. Il nucleo stesso, infine, non è che una coesione di particelle elementari: protoni, responsabili della carica positiva, e neutroni, dotate di sola massa. Il numero di protoni che compongono un nucleo è detto numero atomico e distingue, secondo la classificazione periodica degli elementi (V. MENDELEEV, DMITRIJ IVANOVIC), un elemento dal successivo. I progressi della fisica sub-atomica e sub-nucleare, inoltre, hanno evidenziato mediante esperimenti di laboratorio l'esistenza di altre particelle che, allo stato attuale, vengono considerate come i costituenti ultimi della m.; esse sono riunite nelle "famiglie" dei quark, dei bosoni, dei leptoni (V. SINGOLE VOCI). Tutti questi dati ci permettono, semplificando, di ricondurre ogni differenza qualitativa tra i corpi (cioè fra le molecole, cioè fra gli atomi) a una differenza quantitativa: la diversità degli elementi primari sarebbe cioè spiegabile con il variare del numero delle particelle nell'aggregato atomico di ciascuno di essi, così come la diversità degli innumerevoli composti sarebbe data dal variare della proporzione con cui gli stessi atomi degli elementi concorrono alla combinazione chimica. La fisica delle particelle, dunque, unitamente alla teoria della relatività (V. RELATIVITÀ, TEORIA DELLA E EINSTEIN, ALBERT) ha imposto una revisione radicale della riflessione sulla m., non solo per ciò che riguarda i costituenti della m. stessa, ma anche in relazione alle proprietà ad essa attribuite dalla fisica classica. Se per quest'ultima la m. si differenziava dall'energia in quanto dotata di massa e perciò di inerzia e gravitazione, la fisica moderna rileva una sostanziale equivalenza fra le due, in quanto la massa sarebbe un aspetto dell'energia e, parallelamente, ad ogni energia competerebbe una certa massa. Attribuzioni quali estensione, impenetrabilità, divisibilità sono oggi da considerarsi non peculiarità della m. in sé, quanto invece qualità limitate e valide solo in relazione ad alcuni corpi e a livello macroscopico: i medesimi concetti, infatti, perdono di ragione se riferiti a particelle atomiche o sub-atomiche. Al contrario, i principi di conservazione e di inerzia, in quanto validi sia per i corpi sia per le particelle che li costituiscono, sono da considerarsi a buon diritto come proprietà fondamentali della m. • Astrofis. - La m. risulta distribuita nell'Universo secondo una densità differente da punto a punto. All'interno del nostro sistema solare, la m. è quasi totalmente concentrata a costituire il Sole, i pianeti, i satelliti di questi, ecc., la cui forza gravitazionale riduce al minimo, su scala interplanetaria, la presenza di m. interstellare che, allo stato solido (grani di polvere in dimensioni comprese fra i millesimi di mm e il mm) o gassoso (atomi, ioni, molecole), è invece rilevabile nelle regioni interstellari. Nella nostra Galassia, ad esempio, essa si localizza per lo più in corrispondenza delle braccia a spirale e rappresenta circa il 10% della m. galattica totale; in alcune galassie esterne, però, la m. interstellare raggiunge anche il 40% del totale. Essa può essere aggregata, secondo una densità massima di circa 10-23 g/cm3, in ammassi nebulari di massa variabile. Tali aggregati costituiscono, con le loro dimensioni dell'ordine di 104 e 107 volte la massa solare, i più grandi ammassi di m. gravitazionalmente legata conosciuti. A gas e polveri sono ascrivibili una serie di fenomeni che ne permettono lo studio secondo differenti metodi. Le polveri presenti nello spazio producono, in seguito ad eventi di assorbimento e diffusione, un effetto di attenuazione della luce stellare (estinzione), specie in corrispondenza del centro delle galassie, dove è maggiore la concentrazione di nubi di m. interstellare. A ciò si aggiunge la proprietà delle medesime polveri di assorbire la radiazione stellare con maggior efficacia per le brevi lunghezze d'onda, di modo che risaltano maggiormente le radiazioni disposte verso la parte rossa dello spettro: le stelle ci appaiono così più rosse di quanto non siano in realtà (arrossamento interstellare). Le radiazioni stellari che ci giungono attraverso nubi di m. interstellare sono attenuate ed arrossate, ma anche polarizzate: di solito parallelamente al disco galattico, dato che le stesse polveri, disposte in forma allungata, sono ordinate, parallelamente fra loro e sul piano del disco galattico, dal campo magnetico della galassia. In seguito alle osservazioni di tali fenomeni, ad esami e simulazioni di laboratorio, si ritiene che le polveri di m. interstellare siano composte da miscele di grafite, ferro e silicati e, verosimilmente, da ghiaccio unito ad altri composti congelati, come metano e ammoniaca. Le formazioni gassose delle nubi interstellari, sarebbero invece costituite da idrogeno, neutro e ionizzato, e da elio. Le osservazioni ottiche hanno permesso la classificazione delle nebulose di m. interstellare in nebulose scure, nebulose a riflessione, regioni di idrogeno ionizzato, nebulose planetarie e resti di supernova, cioè nubi di gas espulse nello spazio interstellare da stelle in fase di esplosione. La combinazione di tecniche di osservazione radioastronomiche e spettroscopiche hanno rilevato nello spazio e nella m. interstellare atomi di buona parte degli elementi della tabella di Mendeleev, oltre a numerosi tipi di molecole, alcune delle quali anche piuttosto complesse come l'ammide formica e l'aldeide acetica. L'idrogeno molecolare (H2) costituisce comunque più del 50% della massa molecolare della nostra galassia. L'osservazione a banda ultravioletta, possibile solo al di fuori dell'atmosfera terrestre grazie a razzi e satelliti, è stata utile per lo studio dei raggi cosmici, la componente più energetica della m. interstellare. Essi sono composti per l'85% di protoni, per il 14% di particelle α, per l'1% di positroni ed elettroni e per il restante 1% di tutti gli altri elementi della tavola periodica. Originati con ogni probabilità dalla fase esplosiva di supernove, essi hanno uno svolgimento medio di 20 milioni di anni e rimangono interni alla galassia per azione del campo magnetico interstellare. Per quanto riguarda la diffusione di m. nello spazio libero fra galassie, gli studi non sono ancora in grado di fornire dati certi in alcun senso, pur in presenza di alcuni elementi che segnalerebbero l'esistenza di idrogeno intergalattico. ║ M. e antimateria: V. ANTIMATERIA. ║ M. oscura: ogni forma di m. presente nell'Universo che non emetta radiazioni elettromagnetiche, o che ne emetta con intensità inferiore al minimo rilevabile attualmente. Tale m. non è pertanto direttamente osservabile, tuttavia è possibile indurre la sua esistenza sulla base di previsioni teoriche o in relazione ad effetti gravitazionali osservati a proposito della m. ordinaria e non altrimenti spiegabili se non postulando appunto la presenza della m. oscura. Sussistono numerosi indizi che conducono a tale ipotesi: esistenza di ammassi di galassie il cui legame gravitazionale non sarebbe giustificabile con la sola massa di m. ordinaria rilevabile, mentre la supposizione di m. oscura (calcolata come 10-30 volte superiore alla massa di quella rilevata) rende ampiamente ragione di una tale forza gravitazionale; la velocità peculiare, impressa ad alcune galassie dalla forza gravitazionale esercitata da altre galassie circostanti, appare sproporzionata rispetto alla loro massa rilevata. Ad esempio, la velocità di "caduta" impressa alla nostra Galassia dalla forza di attrazione gravitazionale esercitata dall'ammasso della Vergine, è giustificabile solo ipotizzando per quest'ultimo una quantità di m. oscura 10 volte superiore a quella effettivamente rilevata. Allo stato attuale non esistono dati convincenti sui possibili costituenti tale m. non radiante, che riesce ad interagire con la m. ordinaria solo mediante l'azione gravitazionale. Si pensa, in ogni caso, che essa sia formata da particelle ad elevata energia cinetica (m. oscura calda) e da altre a bassa energia cinetica (m. oscura fredda). Molte teorie ritengono che sia stata proprio quest'ultima a determinare le prime perturbazioni di densità nel cosmo, non molto dopo il Big-Bang, attraendo poi anche la m. ordinaria a formare lentamente le galassie, per progressiva agglomerazione di elementi piccoli in insiemi più grandi. Infine, una determinazione accurata della quantità di m. oscura presente nell'Universo sarebbe di grande interesse astrofisico anche in relazione alle possibili evoluzioni dell'Universo stesso. Secondo la teoria della relatività generale, infatti, la geometria dello spazio-tempo dipende dalla quantità di m. presente in esso: nel caso in cui la densità della m. totale dell'Universo sia superiore ad una data soglia, detta densità critica, esso sarà un universo chiuso, a volume finito e destinato a ricollassare in un dato futuro. Nel caso in cui, invece, la densità di m. sia pari o inferiore alla densità critica, si avrebbe un universo aperto, a volume infinito, la cui espansione non sarebbe passibile di inversione. • Econ. - M. prime: ogni m., reperibile in natura, che sia alla base di successive lavorazioni allo scopo di ottenere un differente prodotto finito. Nel lessico economico, si definiscono m. prime anche tutte le ricchezze, anche se già frutto di una precedente lavorazione, su cui si eserciti l'azione di un soggetto per ottenere un nuovo prodotto. Le m. prime si possono classificare in ordine all'attività da cui originano (dell'agricoltura, minerarie, ecc.), in ordine alla destinazione d'uso (m. prime alimentari, dell'industria, ecc.), in ordine alla possibilità o meno di riciclo (m. prime rinnovabili o non rinnovabili). • Gramm. - Complemento di m.: complemento che indica la m. da cui è costituito un oggetto. In italiano è introdotto dalla preposizione di o, più raramente, in. • Ord. scol. - Contenuto dell'insegnamento di una disciplina. ║ Per estens. - La disciplina stessa. • Teol. - M. del sacramento: coincide con il segno sacramentale, oggetto o parola, che acquista il suo valore peculiare in relazione alla forma del sacramento stesso. Ad esempio, il pane e il vino sono la m. del sacramento eucaristico.
Raffigurazione schematica dei tre stati della materia