Soprannome di
Tommaso di Ser Giovanni Guidi. Pittore italiano. Formatosi
nell'ambiente fiorentino dei primi anni del Quattrocento, ancora dominato dai
maestri del Gotico internazionale, fin dal primo periodo di attività si
staccò dalla tradizione tardogotica, creando un linguaggio pittorico non
solo pienamente rinascimentale, ma anche del tutto inedito e inimitabile. In
questo senso si considerano fondamentali per la sua formazione gli studi
prospettici e le ricerche figurative di Brunelleschi e di Donatello,
nonché la pittura giottesca, che
M. seppe reinterpretare in chiave
nuova. Figlio di un piccolo notaio di campagna, trasferitosi a Firenze nel 1417,
entrò ben presto nella cerchia del pittore Masolino da Panicale;
M. rimase comunque del tutto estraneo ai modi stilistici ancora
tardogotici di Masolino, mentre partecipò, con Brunelleschi e Donatello,
alla creazione di un'estetica rispondente alle nuove concezioni umanistiche e
scientifiche, storicamente aderente alla dimensione umana, e affrancata dalla
tipicità e dal misticismo medioevali. È evidente infatti,
già nelle prime opere del pittore, il recupero di quei valori di
razionalità, di dignità e responsabilità individuale, di
dominio dell'uomo sulla natura e sulla storia, che saranno il motivo dominante
dell'arte e della cultura rinascimentale; tanto più evidente è
questa impostazione in quanto risulta sostenuta non solo dalla tecnica
compositiva e dalla concezione di sintesi formale tipica, sebbene in diversa
misura e interpretazione, della produzione artistica quattrocentesca, ma
soprattutto dall'affermazione di una libertà espressiva totale e
strettamente individuale. In questo senso
M. può considerarsi un
vero iniziatore dell'arte rinascimentale. Iscritto dal 1422 alla corporazione
dei medici e degli speziali (come era prescritto per ogni esperto nell'uso delle
polveri), a questa data si fa anche risalire il primo dipinto di
M.: il
polittico con la
Madonna col Bambino in trono tra due angeli nel pannello
centrale, i
Santi Bartolomeo e Biagio nel laterale di sinistra, i
Santi Giovenale e Antonio Abate in quello di destra, recuperato nella
chiesa di San Giovenale a Cascia presso Reggello. La tavola centrale reca la
data del 23 aprile 1422 in caratteri, definiti capitali umanistiche, tipici dei
codici antichi, e non più in lettere gotiche. Più sicura è
l'attribuzione delle opere successive, in particolare quelle eseguite in
collaborazione con Masolino: si tratta della tavola con la
Madonna col
Bambino e Sant'Anna o
Sant'Anna Metterza (1424-25), originariamente
posta nella chiesa di Sant'Ambrogio a Firenze, e attualmente conservata nella
Galleria degli Uffizi. Data la discordanza di stile tra il gruppo centrale e
l'intelaiatura architettonica con le figure degli angeli laterali, non ci sono
dubbi sull'attribuzione del primo al giovane
M. e dei secondi a Masolino:
l'architettonica costruzione spaziale e volumetrica delle figure centrali, la
scultorea plasticità e la definizione sintetica delle luci e delle ombre
contrastano nettamente con le evanescenti ed elegantissime figure del fondo, in
funzione prettamente decorativa, e con la timida Sant'Anna, un po' appiattita
nonostante l'accurata osservazione chiaroscurale del panneggio. In un'opera di
poco posteriore, la
Madonna dell'Umiltà, lo stile appare maturo:
applicando le teorie prospettiche di Brunelleschi, con il quale aveva stretto
rapporti di amicizia,
M. precisò i rapporti spaziali tra la figura
e l'ambiente e quelli volumetrici accentuando il contrasto chiaroscurale.
Entrato nel 1424 nella Congregazione di San Luca, l'associazione dei pittori di
Firenze, cominciò a ottenere commesse di una certa importanza. È
del 1426 la pala per la chiesa del Carmine di Pisa, un polittico di grandi
dimensioni, attualmente smembrato e disperso in varie collezioni. Tra le parti
che sono state ritrovate e identificate, quella maggiormente significativa
è costituita dal pannello centrale con la
Madonna col bambino,
attualmente conservata alla National Gallery di Londra. La rigorosa osservanza
delle leggi della prospettiva lineare non ostacola l'affermarsi di una visione
poetica particolare che si esprime con un liberissimo gioco di luci dirette e
riflesse, di ombre profonde o appena velate: la costruzione della
profondità attraverso un succedersi di piani prospettici, dal primo
definito dalle figure degli angeli, a quello arretrato del trono, fino
all'ultimo con le due figure seminascoste dietro ad esso, costituisce una
soluzione totalmente nuova e certamente incisiva, accentuata dalla veduta dal
basso. Inedito è anche l'atteggiamento delle figure, non più
statiche e frontali, ma leggermente ruotate rispetto all'impalcatura del trono e
colte nell'attimo che precede il movimento. La scientificità della
costruzione e l'indagine sulla realtà umana si fondono in un'unica
visione poetica: questa visione è una costante dell'arte di
M. e
introduce nel quadro interpretativo dell'umanesimo quattrocentesco un elemento
emozionale che non si riscontra nelle opere dei suoi contemporanei, ad eccezione
di quelle di Donatello. I tre scomparti della predella con scene della vita di
Gesù, tra cui pregevolissimi quello centrale raffigurante l'
Adorazione
dei Magi, sono conservate a Berlino. Un'ultima sezione, che faceva da
cuspide al polittico, recante dipinta la
Crocifissione, è esposta
nella pinacoteca nazionale di Napoli: è l'unica composizione di
M.
in cui si ritrova il fondo dorato; esso tuttavia non ha alcuna funzione
decorativa, come avveniva in precedenza, né riconduce la composizione sul
piano: le figure vi si distaccano nettamente e vengono evidenziate, nel loro
volume chiuso e monumentale, proprio dalla doratura di fondo.
L'essenzialità del disegno e del chiaroscuro, il colore vivo e
contrastato accentuano la drammaticità dell'opera; bellissime le figure
del Cristo, con la testa pesantemente incassata nelle spalle, e della Maddalena
inginocchiata. La data del polittico di Pisa, 1426, è l'unica riguardante
l'attività di
M. documentata con certezza. In base ad essa si
pensa di poter far risalire il ciclo di affreschi della cappella Brancacci nella
chiesa del Carmine di Firenze agli anni 1426-28. Il ciclo era stato iniziato nel
1424 da Masolino da Panicale con la decorazione delle volte e del registro
superiore (attualmente ricoperti da affreschi settecenteschi), cui fecero
seguito le rappresentazioni del
Peccato originale, della
Predica ai
popoli, della
Resurrezione di Tabita e della
Guarigione dello
storpio: in quest'ultimo gruppo di opere, ad eccezione del
Peccato
originale, si riconosce chiaramente l'influenza dello stile di
M.;
inoltre possono essere attribuiti alla mano del pittore il paesaggio urbano
dipinto a sfondo della
Guarigione dello storpio e della
Resurrezione
di Tabita. Il realismo e la sicurezza dell'impianto prospettico di queste
case fiorentine contrasta nettamente con le esili e incerte strutture
architettoniche in primo piano. Non è comunque possibile accertare se gli
affreschi interamente compiuti dal
M. furono iniziati contemporaneamente
all'opera di Masolino o se, viceversa, furono eseguiti tutti dopo la partenza
del maestro, avvenuta verso la metà del 1427. Le composizioni attribuite
a
M. sono: il
Battesimo dei neofiti, il
Tributo, la
Cacciata dei progenitori, nel registro superiore; il
San Pietro che
distribuisce i beni della comunità, il
San Pietro che guarisce gli
infermi con l'ombra, la
Resurrezione del figlio del re Teofilo e
San Pietro sulla cattedra di Antiochia nel registro inferiore. Il
restauro del 1988 evidenziò le innovazioni rivoluzionarie della pittura
di
M.: il senso dello spazio, rigorosamente definito dalle leggi
prospettiche, che definiscono le azioni e danno saldezza alle forme delle
figure; il rilievo dei corpi; i volumi dati nella loro pienezza dallo studio
della luce e delle ombre, con i giochi dei panneggi; i colori sobri; la
severità espressiva e l'intensità emotiva che pur emana dalla
compostezza formale. Notevole è la coerenza stilistica pur nel variare
delle soluzioni pittoriche: l'essenzialità dell'esecuzione, il vasto
respiro della composizione, la convergenza delle direttrici spaziali
sull'elemento umano sono le caratteristiche fondamentali delle opere. Queste
caratteristiche realizzano il concetto di "universalità" riaffermato
dalla filosofia quattrocentesca. Nel
Battesimo dei neofiti le figure sono
costrette entro uno spazio angusto, rischiarato da una luce quasi bianca,
atmosferica. La perfetta conoscenza del corpo umano permette al pittore di
giungere a una deformazione in funzione espressiva carica di un contenuto
emozionale, psicologicamente elementare, ma fortemente significativo. Una figura
in particolare, il famoso
nudo che trema, suscitò l'ammirazione
dei contemporanei: l'effetto è ottenuto mediante una vibrante definizione
chiaroscurale. Il
Tributo è forse l'opera compositivamente
più interessante del ciclo: l'impiego delle direttrici diagonali permette
di realizzare una dilatazione dello spazio che va al di là dell'esattezza
prospettica; l'inquadratura, che si apre con la raffigurazione in primo piano
delle porte di Cafarnao, si sviluppa ruotando sulla corona delle montagne
sperdendosi nella nebbiosità del cielo dietro ad esse. Così la
luce, maggiormente compatta e diretta rispetto a quella del
Battesimo dei
neofiti, mentre incide fortemente sui primi piani creando forti contrasti,
larghi piani di luce e ombra sulle figure, si sfuma progressivamente verso il
fondo, accentuando il senso prospettico della lontananza. Sempre secondo una
direttrice trasversale si dispongono tre gruppi di figure, corrispondenti ai tre
momenti dell'azione: in posizione centrale la richiesta del tributo a
Gesù che indica a Pietro lo stagno; sulla sinistra, in un piano
arretrato, Pietro che toglie la moneta dalla bocca del pesce; a destra il
pagamento del tributo. Nei due gruppi in primo piano le figure risaltano nella
loro statuaria compostezza plastica, seguendo nei gesti e nelle posizioni la
disposizione compositiva generale; particolarmente in quello centrale, i corpi
degli apostoli, disposti a emiciclo intorno al Cristo, definiscono in maniera
precisa lo spazio intorno a loro, concepito, secondo l'ideale rinascimentale, a
misura dell'uomo; anche l'incisiva caratterizzazione dei volti è un
elemento nuovo per l'arte del periodo. Bellissimo il particolare di Pietro allo
stagno per l'assoluta libertà nella costruzione della figura in
movimento, definita sinteticamente, quasi schizzata. Altra opera di notevole
libertà stilistica è l'affresco con la
Cacciata dei
progenitori, composizione di un effetto drammatico non più raggiunto
nel corso di tutto il Rinascimento. La deformazione e la sintesi formale qui
arrivano all'acme: le figure appaiono costruite con poche pennellate di luce e
di ombra, nella totale trascuratezza del particolare; nell'incurvarsi della
schiena dell'uomo e nella maschera tragica di Eva è accentrata tutta la
carica emotiva dell'opera. Nelle storie degli Atti degli apostoli, dipinti ai
lati dell'altare, la tendenza espressionistica diminuisce, mentre maggiore
rilievo acquista quella forma particolare di realismo, di estremo equilibrio
formale, che sarà la caratteristica dominante di tutta l'arte
rinascimentale. Particolarmente nei due affreschi di
San Pietro che guarisce
gli infermi con l'ombra e della
Resurrezione del figlio di Teofilo si
realizza la fusione tra la nuova tecnica pittorica, introdotta dalla
prospettiva, e la nuova concezione del rapporto tra l'uomo e l'ambiente, tra
l'immanente e il trascendente, dove anche quest'ultimo viene visto e trascritto
secondo una logica umana. Nel primo affresco, soprattutto, la descrizione
realistica del gruppo degli infermi, i cui volti sono intensamente espressivi,
della via cittadina e dell'imponente figura di Pietro, verso cui convergono
tutte le direttrici compositive, conferisce alla vicenda del "miracolo" una
naturalezza del tutto antitradizionale. Nella seconda composizione, nonostante
la coerenza dell'impostazione, si notano alcune discordanze stilistiche dovute,
con ogni probabilità, al fatto che essa venne portata a termine da
Filippino Lippi una cinquantina di anni più tardi. Nel 1428, infatti,
probabilmente a causa delle difficoltà economiche in cui si trovava,
M. partì improvvisamente per Roma, lasciando incompiuti i lavori
per la cappella Brancacci. Incerta è la datazione della sua ultima opera,
la
Trinità, affrescata nella chiesa di Santa Maria Novella a
Firenze: alcuni critici la fanno risalire agli anni 1427-28, altri pensano sia
stata eseguita dopo gli affreschi della chiesa del Carmine. A sostegno di questa
seconda ipotesi sta il fatto che, nell'opera in questione,
M. sperimenta
un orientamento stilistico per lui nuovo: la definizione spaziale viene affidata
non più prevalentemente al contrapporsi volumetrico delle figure, ma
all'uso della prospettiva lineare. Le figure sono infatti poste su piani
successivi determinati dallo scorcio della struttura architettonica: l'effetto
è di uno spazio chiuso e contratto, che avvolge e racchiude al suo
interno il "mistero". Anche la luce non proviene più secondo una
direttrice obliqua, ma investe frontalmente le figure, accentuandone il
carattere di rigida immobilità. L'opera esprime chiaramente l'ideale
estetico rinascimentale dove la visione prospettica, la proporzione,
l'equilibrio compositivo, si presentano come strumenti dell'intelletto per
realizzare il pieno possesso sulla natura e sulla ragione. Le opere di
M.
rimasero a fondamento in tutta la cultura figurativa rinascimentale, come
provano le frequenti visite di artisti quattrocenteschi e cinquecenteschi, tra
cui Raffaello e Michelangelo, alla cappella del Carmine (San Giovanni Valdarno,
Firenze 1401 - Roma 1428).
Masaccio: “San Pietro in cattedra”
Masaccio: “La cacciata dal paradiso terrestre” (part.). Firenze, chiesa del Carmine