Termine assunto dalla critica per designare la cultura figurativa italiana ed
europea compresa tra il culmine del Rinascimento (1520 circa) e l'affermarsi del
Barocco (fine del XVI sec.). ║ Per estens. - Ogni orientamento artistico
fondato sull'imitazione di modelli, sulla tradizione di tecniche e norme
accademiche, sia in arte sia in letteratura. • Med. - Bizzarria del
comportamento che investe la gesticolazione, il portamento e il modo di
esprimersi facendoli diventare innaturali e affettati; i
m. sono
frequenti in alcune malattie mentali, in particolare nella schizofrenia e in
certe psicopatie. • Arte - Per Vasari, che visse in pieno
M. e che
del
M. fu uno dei protagonisti, la
maniera è il modo
specifico di operare di ciascun artista, quindi il suo stile. Idealizzando i
risultati conseguiti dai grandi (Raffaello, Michelangelo, Correggio e Tiziano)
egli giunse a proporre la loro "maniera" come modello insuperabile per i
contemporanei. Nel Seicento,
maniera assunse un'accezione negativa, non
appoggiandosi più sull'imitazione, ma inaridendosi a mera "pratica", a
manualità, ad un'imponente "variazione sul tema". Da qui il valore
dispregiativo che ha accompagnato nei secoli il
M.: solo la più
recente storiografia ha proposto una rivalutazione del fenomeno, una rilettura
più articolata degli esiti artistici del periodo. Il
M. risulta
circoscritto nel tempo tra due episodi che hanno rivoluzionato la poetica
figurativa italiana: la volta della Sistina (1512), rivelazione dello
straordinario stile pittorico di Michelangelo, e l'affermarsi di una nuova
sensibilità con la pittura di Caravaggio e con quella dei fratelli
Carracci. Alla ricerca di un'estrema eleganza formale, le tele
m. si
contraddistinguono per una ricerca compositiva estrosa, spesso tormentata: per
l'artista diventa più importante il modo con cui si esprime di ciò
che si esprime. Il
M., iniziato sì con l'elaborazione di forme o
premesse classicheggianti, che erano quelle della cultura umanistica, ha finito
per svuotare di contenuti lo spirito rinascimentale, riflettendo le idee e le
irrequietezze di un'epoca nuova. Principali esponenti del gusto manierista
furono: Pontormo e Rosso Fiorentino, Parmigianino, Primaticcio, Bronzino,
Daniele da Volterra, F. Salviati, N. dell'Abate, D. Beccafumi, T. e F. Zuccari.
Il termine
M., che in generale viene usato per indicare i molteplici
aspetti del fenomeno sopra accennato nei campi della pittura, interessò
anche l'architettura (B. Buontalenti, G. Alessi, V. Scamozzi), la scultura (B.
Bandinelli) e la trattatistica d'arte (G. Vasari). • Lett. - In analogia
con le arti figurative, si parla di
M. anche per la letteratura del
secondo Cinquecento, italiana ed europea. Si contraddistingue per il passaggio
progressivo da una poetica dell'
inventio a quella della
dispositio: ciò che conta non è più inventare nuovi
temi, quanto rimaneggiare il vecchio in modo nuovo, cimentandosi in un'imponente
variazione su un motivo. I modelli insuperabili restano i classici (antichi e
moderni, latini e volgari) che vanno adattati, plasmati affidandosi a tutti gli
artifici messi a disposizione dalla retorica. Nascono nuovi generi letterari
come la favola pastorale (unione dell'ecloga e della commedia). Principali
esponenti del
M. sono: G. Guarini; G.B. Giraldi Cinzio, T. Tasso
(limitatamente all'
Aminta, al
Mondo creato, ai
Discorsi
dell'arte poetica e ai
Discorsi sul poema eroico).