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Mana.

(voce melanesiana). St. delle rel. - Sostanza o forza dell'anima che, nella concezione delle popolazioni melanesiane, è inerente a ogni essere vivente e anche a certi oggetti, è trasmissibile nella sua efficacia e, al tempo stesso, è qualcosa di trascendente. Il termine fu introdotto nel linguaggio etnografico dal missionario inglese Codryngton che, avendo soggiornato per molti anni in Melanesia, riferì dell'esistenza in quei luoghi di una fede in una potenza impersonale, chiamato appunto m. Essa poteva presentarsi sia come benefica sia come malefica e non era necessariamente un attributo di un essere spirituale, ma poteva esistere anche in oggetti inanimati. R.R. Marrett descrisse la credenza fatta nel m., definendola pre-animistica. Secondo questa teoria, strettamente legata alla classificazione dei tipi di credenze fatta dal Taylor, il m. sarebbe una "forma sovrannaturale impersonale" e costituirebbe la fase più primitiva della religione, una fase che non avrebbe conosciuto esseri sovrannaturali personali, ossia anime o divinità, ma solo forze impersonali. Successivamente, vari etnologi hanno dimostrato che l'uso melanesiano del termine si applica sempre a cose concrete, sia pure eccezionali. Inoltre si è potuto rilevare che analogo significato hanno vari altri termini usati da popolazioni diverse, per es., gli indiani d'America esprimono il concetto di m. coi termini wakan e orenda. La concezione del m. è insita nel cannibalismo quale appropriazione di questa forza, cibandosi di parti della vittima che dev'essere preferibilmente un capo o un uomo importante. Infatti ai vari livelli della gerarchia corrisponde il possesso di una quantità crescente di m. Oltre che al cannibalismo, la concezione del m. ha contribuito a sviluppare la caccia alle teste che costituiscono la spoglia più ambita del nemico in quanto sede della forza vitale. In Melanesia esistevano tribù in cui i giovani acquisivano il diritto a sposarsi solo dopo aver cacciato e portato come trofeo almeno una testa e ciò in quanto si credeva che fosse possibile generare una nuova vita dopo averne distrutta un'altra. Anche i divieti tabuici e il totemismo avrebbero origine dal m. • Psicol. - Nel campo della ricerca psicoanalitica, il concetto di m. è presente nella teoria freudiana dell'origine della società e della religione. Ma chi si è particolarmente occupato della personalità umana è C.G. Jung. Egli la considera come una parte di inconscio che l'individuo riconosce come presente e operante in sé, ma sottratta alla sua volontà cosciente. La personalità umana corrisponde, secondo Jung, a "un Io denominato dall'inconscio collettivo, a un archetipo formato nella psiche collettiva da tempo immemorabile". Dai primi stadi la personalità umana si evolve poi storicamente nella "figura dell'eroe e nell'uomo-dio, la cui figura terrena è il sacerdote". La personalità m. sopravvive nella nostra società dato che l'individuo opera una dissoluzione di tale personalità solo nel momento in cui prende coscienza dei suoi contenuti e ritrova se stesso e si riconosce in quello che egli è veramente. Secondo Jung però, l'umanità è ancora per gran parte a uno stadio infantile, per cui la maggior parte degli individui sente il bisogno di autorità e di leggi.