Quantità predominante di un insieme. • Dir. - Superiorità
numerica, con riferimento al maggior numero di adesioni tra più persone
che deliberano. Tra le teorie più antiche della sovranità popolare
figura quella enunciata da Marsilio da Padova, secondo cui la parte prevalente
di una comunità può avere peso tanto per la qualità, quanto
per la quantità. La comunità politica naturale o autonoma
enunciata da Marsilio si presenta come un tutto organico, formato di classi, che
include tutto ciò che è necessario alla sua esistenza e al
benessere dei suoi cittadini. Il problema della
m., nel senso moderno del
termine, fu impostato per primo dal filosofo inglese J. Locke, secondo cui il
consenso, in base al quale ciascuna persona s'accorda con le altre per formare
un corpo politico, l'obbliga a sottoporsi alla
m. che, in tal modo,
assume tutto il potere della comunità. La forma del potere decisa dalla
m. dipende dal modo in cui essa dispone del suo potere che può
essere delegato a un corpo legislativo di diversa forma. Nella concezione di
Rousseau, la sovranità appartiene soltanto al popolo, come complesso
corporativo, e il governo non è che un agente con poteri delegati che
possono essergli tolti o moltiplicati secondo la volontà del popolo. Il
governo non è investito di nessun diritto paragonabile a quello
concessogli dalla dottrina del contratto di Locke, ma ha soltanto la funzione di
una commissione. Rousseau escludeva infatti ogni forma di governo
rappresentativo, affermando che la sovranità popolare non può
essere rappresentata. Pertanto, secondo Rousseau, l'unico governo libero
è una democrazia diretta, in cui i cittadini possono effettivamente
prendere parte alle riunioni civiche. Un'approfondita opera di revisione della
concezione liberale, da Locke in poi, fu fatta da J.S. Mill che propugnò
la più larga libertà politica. La minaccia alla libertà che
Mill maggiormente temeva non era il governo, ma una
m. intollerante di
tutto quanto non fosse convenzionale, sospettosa delle minoranze divergenti e
disposta a servirsi del proprio peso numerico per reprimerle e irreggimentarle.
Nettamente diversa è la concezione marxista-leninista. Secondo Lenin, una
m. non può prevalere che in circostanze speciali, e condizione
necessaria è che gli interessi della classe al potere coincidano con gli
interessi della
m. Se ciò avviene, la
m. prevale solo
perché la classe dirigente lo permette, oppure essa sopprime o inganna la
m. Pertanto, secondo Lenin, il meccanismo della
m., altro non
è che un'"illusione costituzionale", una mistificazione dialettica della
realtà sottostante che è il dominio di classe. Per pervenire a
un'autentica rappresentatività, è necessario che il proletariato
rivoluzionario abbatta i suoi avversari borghesi e l'apparato dello Stato
borghese, conquistando poi alla propria causa anche le masse non proletarie,
così da guadagnarsi l'appoggio della
m. Pertanto, secondo la
concezione leninista, compito di un partito proletario (costituito da una
"minoranza organizzata, più animata da spirito di classe") è
innanzi tutto quello di impadronirsi del potere, "costringere al suo volere la
m." e, solo in un secondo tempo, guadagnarla alla propria causa.