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Madrigale.

Componimento poetico di origine popolare e italiana consistente in un breve nitido quadretto soprattutto di natura campagnola e pastorale, talvolta tendente all'epigramma. • Lett. - Della forma popolare si impadronirono già nel XIV sec. Petrarca e poi altri; ignota alle altre letterature romanze, passò in Francia e in Spagna solo nel Cinquecento per influsso della musica. Nei secc. XIV e XV aveva schema metrico fisso; nel XVI sec. cominciò a essere un componimento, sempre breve, esprimente un'arguzia e un complimento. • Mus. - Il m. nel suo primo periodo (XIV sec.) si distingue dalle altre forme dell'ars nova, la caccia e la ballata, per essere meno descrittivo della prima e metricamente diverso dalla seconda. Esponenti della composizione madrigalistica trecentesca sono specialmente: Iacopo da Bologna, Francesco Landino (il più celebre), Donato da Cascia, il poeta Franco Sacchetti, Bartolino e Gregorio da Padova, ecc. Con gli inizi del XV sec., determinatosi l'influsso dell'arte fiamminga, il m. italiano perde la sua autonomia. Rinasce poi, ma interamente diverso nel XVI sec., sostituendo le proprie forme dotte e tutte le forme profane popolaresche (frottole, capitoli, odi, strambotti, villotte, ecc.), da cui però aveva intanto assorbito le forze creative e le principali tendenze. Nel periodo, che per il m. si potrebbe a tal riguardo dire romantico, e che dal tardo XVI sec. ci conduce nel XVII, la tendenza che più decisamente lo distingue è quella verso la melodia. Compositori principali del m. cinquecentesco sono C. e S. Festa, J. Arcadelt, Ph. Verdelot, Alfonso della Viola, C. de Rore, G. Animuccia, Paolo Aretino, Ph. de Monte, L. Marenzio, C. Monteverdi, ecc. Una fiorente scuola madrigalistica era fiorita intanto in Inghilterra con W. Byrd, J. Dowland, Th. Morley, ecc. Lo sviluppo ulteriore del m. è indirizzato ormai, col m. drammatico e in genere col m. concertato a voci e strumenti, fuori dei limiti in cui ancora si poteva riconoscerlo come genere.