(da
macchia). Denominazione con cui furono indicati alcuni pittori,
toscani e non, della seconda metà dell'Ottocento. Tale appellativo, nato
con sfumatura ironica, è stato coniato nel 1861 per alludere ad alcune
tele esposte alla
Promotrice fiorentina che presentavano una nuova
maniera di fare pittura, con il colore steso a "macchie", ricercando violenti
contrasti di luce e ombra. Per la resa pittorica dell'oggetto, sia per i
paesaggi o per le figure umane, i
m. non si affidavano al disegno dal
tratto sicuro, definito, ma al colore, contrapponendo tocchi decisi di
tonalità chiare alle scure; i volumi dei corpi, le ombre, la
profondità prospettica dei paesaggi (famosi quelli della Maremma)
nascevano come per prodigio dalla combinazione sapiente dei soli colori. Alla
base di questo movimento si poteva cogliere la necessità di liberare
l'arte dall'accademismo e la volontà di inaugurare una pittura che
riproducesse l'
impressione del vero con l'ausilio della sola tavolozza.
Questa corrente artistica rappresentò anche il tentativo di svecchiare la
tradizione pittorica italiana, aprendola alle nuove tendenze del realismo
europeo. Ne furono protagonisti: i livornesi S. De Tivoli e G. Fattori, i
fiorentini T. Signorini, C. Banti, R. Sernesi, A. Cecioni, il pisano O. Borrani
e altri. Questi pittori fin dal 1850 usavano radunarsi nel caffè
Michelangelo di Firenze per discutere d'arte e polemizzare contro l'accademismo
imperante. Ben presto convennero al Michelangelo pittori da ogni parte d'Italia:
il romagnolo S. Lega, il romano N. Costa, il ferrarese G. Boldini, il pesarese
V. D'Ancona, il veronese V. Cabianca, G. Abbati di origine veneto-napoletana e
altri. I teorici del movimento furono T. Signorini e A. Cecioni. Vero e proprio
cenacolo della nuova pittura, solo dal 1855, dopo il ritorno di alcuni di essi
da Parigi, entusiasti delle opere impressioniste della scuola di Barbizon, il
gruppo abbandonò la polemica scapigliata dei primi anni, orientandosi
verso la ricerca di nuovi valori pittorici, fondati sui rapporti dei colori e
dei contrasti di luce e di ombra. Dopo il 1866, anno in cui fu chiuso il
caffè Michelangelo, il gruppo dei
m. cominciò a disgregarsi
e i singoli artisti si dispersero seguendo percorsi di ricerca differenti:
alcuni si trasferirono a Parigi (De Tivoli, Boldini), altri, pur rimanendo in
Italia, si lasciarono alle spalle l'esperienza della macchia. Il movimento dei
m., fu, tra le correnti artistiche italiane del secolo scorso, la
più vitale e la più vicina all'Impressionismo francese e
soprattutto fu in grado di dischiudere nuovi orizzonti alla pittura, proprio a
partire dalla contestatissima "rivoluzione della macchia"
(V. anche
MACCHIA).