Termine che indica il danno a cui è sottoposto l'ambiente in
seguito all'immissione, da parte dell'uomo, di sostanze o effetti che ne
alterino le caratteristiche fisiche, chimiche o biologiche. Questo problema
è stato affrontato, per la prima volta, nel dopoguerra, quando, in
seguito al notevole sviluppo dell'industria si è avuto un progressivo
aggravarsi del fenomeno. Esistono forme diverse di
i. ║
I.
atmosferico: le fonti principali risultano conseguenti al processo
combustivo domestico, al traffico autoveicolare e agli impianti industriali. I
principali agenti inquinanti degli impianti di riscaldamento sono l'anidride
solforosa, che si forma in seguito alla combustione dei prodotti solforati
presenti nei combustibili, e i fumi, effetto di un processo di combustione
incompleta. Per limitare questo tipo di
i., è necessario impiegare
combustibili che non contengano troppo zolfo o che possano essere bruciati
completamente. Dannosi gas di scarico sono immessi nell'aria dagli autoveicoli:
gli elementi più nocivi sono l'ossido di carbonio e l'ossido di azoto,
oltre agli additivi, volti a migliorare la combustione dei motori a scoppio. Nel
centro delle grandi città (Parigi, Londra, Tokio, Los Angeles, Milano,
ecc.), in prossimità degli incroci, si verificano forti concentrazioni di
CO (ossido di carbonio) che in alcune ore raggiungono valori altissimi. In tutta
la UE sono state approvate norme che stabiliscono la costruzione di vetture
dotate di marmitte catalitiche e che impiegano come carburante la cosiddetta
“benzina verde”, senza piombo, per limitare le emissioni nocive.
Mentre le conseguenze del riscaldamento domestico e della motorizzazione si
ripercuotono entro i limiti territoriali dei comuni cittadini, quelle provocate
dalle attività industriali sono particolarmente sensibili in punti
focalizzati, solitamente al di fuori del perimetro urbano. A tale proposito, i
pericoli maggiori vengono dalle industrie chimiche e metallurgiche che, per
molti trattamenti, scaricano aria inquinata da gas o polveri. Per limitare i
danni di questo
i., è necessario ridurre il contenuto inquinante
degli scarichi, che devono essere diluiti nell'aria prima che ritornino al
suolo; la scelta dell'ubicazione degli impianti deve salvaguardare il più
possibile i centri abitati. Prova evidente dei danni che gli scarichi
industriali provocano sull'ambiente sono le piogge "acide": gli ossidi di zolfo
e di azoto immessi nell'atmosfera si trasformano in acidi forti, solforico e
nitrico, che abbassano il pH dell'acqua; le acque meteoriche raccolgono dunque
l'
i. atmosferico e lo trascinano al suolo: quando il valore dell'acqua
scende al di sotto di 5,6 si dice che la pioggia è "acida". L'
i.
atmosferico può raggiungere valori molto elevati in seguito a particolari
condizioni meteorologiche, soprattutto quando avviene l'inversione termica, un
fenomeno per cui gli strati d'aria a contatto del suolo si raffreddano
maggiormente di quelli superiori e, diventando più densi, non favoriscono
i moti di rimescolamento dell'atmosfera, creando così, nelle zone ad alta
concentrazione urbana, le condizioni per la formazione dello smog (V.).
All'
i. atmosferico sono da imputare le gravi malattie dell'apparato
respiratorio (asma, tumori, ecc.) che affliggono gli abitanti delle
città. Infine, l'
i. ha finito per provocare gravi danni allo
stesso spazio interplanetario. Il consumo dei combustibili fossili, unito alla
riduzione delle foreste, sta determinando un progressivo aumento della
quantità di anidride carbonica nell'atmosfera. Come i vetri di una serra,
alcune componenti dell'atmosfera, tra cui l'anidride carbonica e l'ozono,
impediscono la dispersione nello spazio del calore della Terra, proveniente dal
Sole (V. EFFETTO SERRA). L'immissione di anidride carbonica nell'atmosfera sta
perciò provocando, se pur lentamente, l'aumento della temperatura del
nostro pianeta. Alcuni studiosi ipotizzano addirittura che tale aumento potrebbe
causare, nei prossimi decenni, un parziale scioglimento dei ghiacci polari.
Inoltre, negli anni Settanta è stata scoperta in alcune zone della Terra
una riduzione dello spessore dello strato di ozono (V. BUCO DELL'OZONO), strato
che ha il compito di bloccare i raggi ultravioletti solari nocivi. Si ritiene
che tale fenomeno, pur avendo carattere prevalentemente stagionale, sia
influenzato soprattutto dall'immissione di clorofluorocarburi (CFC)
nell'atmosfera. Questi ultimi, composti organici derivati da idrocarburi
semplici, vengono utilizzati ampiamente a livello industriale per la produzione
di spray, negli impianti di refrigerazione per frigoriferi, nei condizionatori
d'aria, nelle cosiddette schiume espanse usate per imbottiture. Nel 1987, in
un'assemblea convocata a Montreal dalle Nazioni Unite, è stato
siglato un protocollo che prevedeva una riduzione del 50% della produzione dei
clorofluorocarburi (CFC) per il 1998, mentre la Conferenza di Copenaghen (1992)
ha decretato il bando totale della produzione di CFC entro l'inizio del
1996. Altre importanti assemblee indette dalle Nazioni Unite sono state la
Conferenza di Rio De Janeiro (1992) su ambiente e sviluppo e l'Assemblea
di Kyoto sui cambiamenti climatici (1997). In questa occasione è stato
redatto e approvato il Protocollo di Kyoto, un documento di impegno, da parte
dei Paesi sottoscrittori, per la riduzione delle emissioni di gas serra di
almeno il 5% rispetto ai livelli del 1990 nel periodo di adempimento 2008-2012.
Durante la conferenza sul clima promossa dalle Nazioni Unite a Marrakesh nel
novembre 2001 è stato raggiunto l'accordo sulla ratifica del
Protocollo di Kyoto, nonostante il definitivo rifiuto degli Stati Uniti ad
aderirvi, motivato dal timore che le condizioni dettate dal protocollo avrebbero
avuto effetti devastanti sull'economia americana. Per quanto riguarda
l'Italia, in conseguenza del Protocollo di Kyoto, nel novembre 1998 il
Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica (CIPE) ha individuato
in una delibera le azioni nazionali e le corrispondenti riduzioni ottenibili
delle emissioni dei gas serra. La legislazione nazionale in merito all'
i.
atmosferico ha compiuto i primi passi con l'approvazione della l. n. 615 del 13
luglio 1966. Sono state istituite Commissioni centrali e
regionali contro
l'
i. atmosferico, si sono stabilite norme in relazione alle industrie, ai
combustibili, agli autoveicoli, ma si è trattato, per lo più,
d'interventi isolati su singoli problemi che si presentano di volta in volta,
fino a quando, nel 1986 è stato ufficialmente costituito il ministero
dell'Ambiente, con il compito di "assicurare in un quadro organico la
promozione, la conservazione e il recupero delle condizioni ambientali conformi
agli interessi fondamentali della collettività e alla qualità
della vita, nonché la conservazione e la valorizzazione del patrimonio
naturale nazionale e la difesa delle risorse naturali dall'
i." Per
riportate i valori della qualità dell'aria entro i limiti fissati
per legge, ripetutamente si è fatto ricorso, dagli anni Novanta, alla
circolazione "a targhe alterne" oppure al divieto di circolazione autoveicolare
– limitato alla giornata festiva - in quei comuni nei quali per più
giorni le centraline di rilevamento abbiano fatto registrare più volte il
superamento della soglia d'attenzione nella concentrazione di gas nocivi
nell'aria. I limiti massimi di accettabilità delle concentrazioni e
di esposizione relativi ad inquinanti dell'aria nell'ambiente esterno sono
contenuti nel D.P.C.M. del 28 marzo 1983 mentre, per quanto riguarda gli
impianti industriali, il D.M. del 12 luglio 1990 fissa i valori minimi di
emissione e traccia le linee guida per il contenimento delle emissioni. Nel
corso del 2000 è stato inoltre elaborato dal Ministero
dell'Ambiente un nuovo Piano Generale dei Trasporti e della Logistica,
mirato al riequilibrio fra i modi di trasporto tale da portare ad una inversione
della tendenza all'
i. ambientale, garantendo una riduzione delle
emissioni di CO
2 nel 2010 ai livelli del 1990. ║
I.
idrico: esistono due tipi fondamentali di contaminazione: l'una di origine
cloacale che conferisce alle acque caratteri abbastanza costanti sia
qualitativamente che quantitativamente; l'altra prettamente industriale,
contraddistinta da un'estrema variabilità dei livelli d'
i. (questo
vale anche per l'
i. atmosferico) e dei tipi di contaminanti, come
conseguenza delle diverse modalità di scarico delle industrie stesse e
della differente natura delle lavorazioni. Altre fonti di contaminazione sono: i
laboratori e i centri ospedalieri, i composti organici dilavati dai terreni
agricoli, gli idrocarburi e gli olii minerali. Per quanto riguarda la natura dei
contaminanti presenti nelle acque la gamma di tali sostanze è molto vasta
e ve ne sono anche di particolarmente tossiche (cromo, cianuro, arsenico,
piombo, cadmio, ammoniaca, acido cloridrico, nitrati, nitriti, ecc.). La
caratteristica comune è, comunque, l'acidità che conferisce alle
acque un elevatissimo grado di aggressività nei confronti delle colture e
dei manufatti. Queste sostanze modificano la natura delle acque causando spesso
la distruzione della fauna ittica (nel lago d'Orta l'immissione di sostanze
cuproammoniacali ha favorito la scomparsa del
plancton). La prima
applicazione dell'indicatore SECA (Stato Ecologico dei Corsi
d'Acqua) previsto dal D.lgs. n. 152 del 1999, ha mostrato che la
qualità delle acque in Italia è pessima o scadente nel 37% delle
177 stazioni su cui esso è stato applicato, mentre solo nel 26% è
classificabile come buona o elevata. Anche il tasso di eutrofizzazione nei
grandi laghi prealpini è al di sopra di una soglia di
accettabilità. Particolarmente grave è la diffusione
dell'
i. nelle acque sotterranee (per immissione in fognature; per
sparpagliamento su terreni permeabili; per immissione in corsi d'acqua
superficiali con alveo permeabile; per iniezione diretta nel sottosuolo tramite
pozzi perdenti; per inoltro in cave o trincee) che rischia di compromettere le
risorse idriche di intere popolazioni (a Milano dal 1963 numerosi pozzi
dell'acquedotto sono stati chiusi perché contaminati da cromo). Tale
situazione mette in grave pericolo il sistema di distribuzione e
approvvigionamento idropotabile e impone l'adozione di impianti di
depurazione delle acque. A questo proposito il nostro Paese ha posto in essere
nel 2000 un eccezionale sforzo finanziario e progettuale con
l'approvazione del Piano straordinario per la depurazione e il
collettamento, previsto dalla l. n. 135 del 1997, per un importo complessivo di
oltre 13.000 miliardi. Da ultimo va ricordato che con le disposizioni della l.
n. 388 del 2000 si sono creati i presupposti operativi per l'adempimento
nel territorio nazionale degli obblighi comunitari in materia di fognatura
collettamento e depurazione. Pur avendo grande potere di diluzione,
i.
tipici presenta il mare, come il sempre più diffuso scarico delle acque
di lavaggio dei serbatoi delle petroliere o addirittura la perdita di petrolio
durante le operazioni di scarico dalle petroliere: il petrolio, non
biodegradabile né diluibile in acqua, danneggia l'ecosistema marino e,
nel contempo, la fauna e la pratica balneare. Inoltre, l'eccessiva immissione di
sostanze inquinanti nelle acque marine (soprattutto fosforo e azoto) ha
determinato, in particolare lungo le coste italiane, lo sviluppo smisurato delle
alghe che, decomponendosi, sottraggono l'ossigeno necessario alla sopravvivenza
di ogni organismo. Sono tuttora in vigore vecchie disposizioni per quanto
riguarda la tutela del patrimonio idrico, come: il
Regolamento Generale
Sanitario del 1901; il
TU delle leggi Sanitarie del 1934; le leggi in
materia di bonifica; le leggi di polizia delle miniere, cave e torbiere, ecc.
Nel 1976 entrava in vigore la legge n. 319 per la tutela delle acque
dall'
i., ripetutamente aggiornata e modificata. Questo
corpus di
leggi è volto a disciplinare i vari tipi di scarico sia nelle acque in
superficie, sia nel suolo e nel sottosuolo (fognature) stabilendone i limiti di
accettabilità, rendendo obbligatoria la richiesta del permesso
all'autorità competente per l'installazione di ogni tipo di scarico e
prevedendo pesanti sanzioni per chi infrange le norme. Il D.lgs. n. 152 del 1999
ha contiene ulteriori misure per la tutela delle acque dall'
i. recependo
due direttive europee concernenti rispettivamente il trattamento delle acque
reflue urbane e la protezione delle acque dall'
i. provocato dai nitrati
provenienti da fonti agricole. Un organo indipendente della Pubblica
Amministrazione, istituito dalla l. n. 36 del 1994 con il compito fondamentale
di garantire l'osservanza dei principi della legge di riforma dei servizi
idrici, è il Comitato per la Vigilanza sull'uso delle Risorse
Idriche. Esso risponde direttamente al Parlamento, cui riferisce annualmente
circa lo stato del settore, relativamente al servizio idrico integrato
comprensivo dei servizi di acquedotto, fognatura e depurazione, ed è
composto da sette membri che durano in carica cinque anni e non possono essere
rieletti. Per l'espletamento dei propri compiti e per lo svolgimento delle
funzioni ispettive si avvale di una segreteria tecnica, costituita
nell'ambito della Direzione Generale della Difesa del Suolo del Ministero
dei Lavori Pubblici, nonché di un Osservatorio dei Servizi Idrici,
destinato a svolgere importanti funzioni di raccolta ed elaborazione di dati
statistici e conoscitivi. Anche in materia di
i. del suolo sono state
emanate delle leggi con scopi di prevenzione e di controllo: la l. n. 366 del 20
marzo 1941 che demanda ai comuni la responsabilità di vigilare sulla
raccolta e lo smaltimento dei rifiuti urbani; la l. n. 319 del 1976 che
disciplina gli scarichi delle acque, direttamente connessi con l'
i. del
suolo; la l. n. 183 del 1989 che detta norme per il riassetto organizzativo e
funzionale della difesa del suolo. Norme legislative sono previste anche per
quanto riguarda l'
i. del mare. La l. n. 319 del 1976 subordina gli
scarichi in mare ad un'autorizzazione rilasciata dalla regione. Inoltre, nel
1982 l'Italia ha varato la l. n. 979, che prende il nome di "Disposizioni per la
difesa del mare", la quale prevede l'istituzione di centri di coordinamento
degli interventi durante le emergenze e la creazione di centri permanenti lungo
le coste con compiti preventivi e operativi, oltre che di controllo. La tutela
dell'ambiente dai rischi dell'
i. è inoltre
strettamente connessa ad un corretto trattamento e smaltimento dei rifiuti,
qualunque sia la loro natura. A questo proposito, un importante intervento
normativo è stato il D.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (detto "Decreto
Ronchi" dal nome dell'allora ministro dell'Ambiente) il quale, in
attuazione di tre direttive CEE, ha disciplinato la materia in modo complessivo
e organico. ║
I. acustico: si tratta di una forma di
i.
consistente nell'introduzione di rumore nell'ambiente abitativo o nell'ambiente
esterno tale da provocare fastidio o disturbo al riposo e alle attività
umane, pericolo per la salute umana, deterioramento degli ecosistemi, dei beni
materiali, dei monumenti, dell'ambiente abitativo o dell'ambiente esterno, o
tale da interferire con le legittime fruizioni degli ambienti stessi. È
stato valutato che in certi ambienti, soprattutto urbani, il livello del rumore
possa raggiungere ogni giorno i 75 dB, ben al di sopra del valore di 55 dB,
comunemente indicato come livello di guardia, causando alle persone che sono
sottoposte al frastuono importanti inconvenienti quali stress, mal di testa,
perdita del sonno, aumento della pressione sanguigna. Il problema dell'
i.
acustico ha imposto al legislatore la definizione di concetti e la fissazione di
limiti entro cui contenere le emissioni sonore; in particolare, con la l. n. 447
del 1995, legge quadro per il controllo dell'
i. acustico su tutto il
territorio nazionale, sono state precisate le definizioni di
livello di
rumore ambientale (LA), il
livello di rumore residuo (LR) il
livello differenziale di rumore (LD). Il primo è il livello di
rumore prodotto da tutte le sorgenti di rumore esistenti in una dato luogo e
durante un determinato tempo, mentre il secondo è il livello di rumore
che si rileva quando si esclude la specifica sorgente disturbante; per LD,
infine, si intende la differenza tra il livello di rumore ambientale
(cioè quello presente quando è in funzione la sorgente di rumore
che causa il disturbo) e il livello di rumore residuo (cioè il rumore di
fondo). Il livello di emissione è il livello di rumore dovuto alla
sorgente specifica ed è ciò che si confronta con i limiti di
emissione. Secondo quanto stabilisce il D.P.C.M. del 14 novembre 1997
“Determinazione dei valori limite delle sorgenti sonore”, il livello
differenziale di rumore non deve superare i seguenti
valori limite
differenziali di immissione: 5 dB(A) per il periodo diurno (ore 6-22); 3
dB(A) per il periodo notturno (ore 22-6), intendendo per valore limite
differenziale quello determinato con riferimento alla differenza tra il livello
di rumore ambientale ed il rumore residuo. Il disposto di legge stabilisce
inoltre gli altri valori limite di immissione, distinti in
valori limite
assoluti, determinati con riferimento al livello equivalente di rumore
ambientale;
valore di attenzione, ovvero il valore di rumore che segnala
la presenza di un potenziale rischio per la salute umana o per l'ambiente;
valori di qualità, cioè i valori di rumore da conseguire
per realizzare gli obiettivi di tutela previsti dalla legge quadro
sull'
i. acustico. La legge quadro demanda inoltre ai comuni alcuni
importanti compiti: la zonizzazione (cioè la classificazione) acustica
del territorio comunale, il monitoraggio acustico del territorio,
l'elaborazione dei piani di risanamento acustico, il coordinamento degli
strumenti urbanistici già adottati con la zonizzazione acustica, la
vigilanza sul rispetto dei limiti di rumorosità. I valori limite di
emissione, i valori limite assoluti di immissione, i valori di attenzione e di
qualità validi per l'ambiente esterno dipendono dalla classificazione
acustica del territorio, di competenza dei comuni, che prevede l'istituzione di
sei zone, da quelle particolarmente protette (parchi, scuole, aree di interesse
urbanistico) fino a quelle esclusivamente industriali, con livelli di rumore
ammessi via via crescenti. I regolamenti e i decreti previsti dalla legge quadro
sul rumore sono: D.P.R. n. 496 del 1997, “Regolamento recante norme per la
riduzione dell'
i. acustico prodotto dagli aereomobili civili”;
D.P.R. n. 459 del 1998 “Regolamento recante norme di esecuzione
dell'articolo 11 della legge 26 ottobre 1995, n. 447, in materia di
i.
acustico derivante dal traffico ferroviario”; D.P.C.M. n. 215 del 1999
“Regolamento recante norme per la determinazione dei requisiti acustici
delle sorgenti sonore nei luoghi di intrattenimento danzante e di pubblico
spettacolo e nei pubblici esercizi”. In tale contesto sono state, in
particolare, emanate disposizioni (Decreto del Ministero dell'Ambiente del 29
novembre 2000) destinate a ridurre l'
i. acustico prodotto dai
servizi pubblici di trasporto o delle relative infrastrutture di trasporto.
║
I. elettromagnetico: nelle società preindustriali le
principali fonti di magnetismo erano quello terrestre e le radiazioni solari;
successivamente, con la costruzione di elettrodotti e di antenne, con l'utilizzo
massiccio e costante di televisori, telefoni cellulari, computer, ecc. le
radiazioni non ionizzanti sono aumentate fino a essere considerate come
pericolose per la salute umana. L'esposizione prolungata nelle vicinanze di
linee ad alta tensione è ritenuta, da più fonti, responsabile
dell'insorgenza di leucemie, linfoma e cancro al cervello. Nel 1979 una ricerca
condotta dall'epidemiologa N. Wertheimer e dal fisico E. Leeper correlava
per la prima volta i campi elettromagnetici elevati con l'insorgenza di
alcuni cancri. Successivi studi epidemiologici (Adey nel 1980; Broadbent nel
1985, Tornqvist e allievi nel 1986) mostrarono un incremento di malattia
cancerosa e morte tra lavoratori occupati nel settore elettrico dieci volte
superiore rispetto a gruppi di soggetti non esposti. Speers ed altri (1988)
calcolarono, per la stessa categoria di lavoratori, un fattore di rischio
d'insorgenza del tumore al cervello. Bastuji-Garin ed altri (1990)
osservarono, per gli stessi lavoratori, un rischio significativo verso la
leucemia acuta e, analogamente, Theriault (1992), dimostrò, tra questi
lavoratori, l'aumento della leucemia acuta mieloide. Muehlendahl e Otto
(1993) in un loro studio, basato su una ricerca di Florig (1992), ammisero che,
probabilmente, circa 330 casi di cancro all'anno in Germania sono
imputabili a campi elettromagnetici artificiali sul posto di lavoro e negli
ambienti pubblici. Per quanto riguarda i dati sulla pericolosità dei
cellulari, si è osservato, tra l'altro, la triplicazione
dell'insorgenza, in individui che facevano uso massiccio di telefonini
analogici, di un raro tumore cerebrale, il neuroblastoma. L'uso intensivo
dei cellulari è inoltre imputato dell'insorgenza di leucemie,
disturbi neurologici, riduzione della melatonina, danni al sistema immunitario,
malattie tiroidee e danni alla ghiandola pineale, alterazioni
all'attività bioelettrica del cuore e del cervello. Tuttavia,
nonostante gli studi effettuati, mancano ancora incontrovertibili certezze
scientifiche per valutare il livello di rischio. L'incertezza nel campo
scientifico si è ripercossa in quello legislativo: nella premessa del
D.M. n. 381 del 1998, l'Istituto Superiore di Sanità, pur condividendo
l'esigenza di una politica cautelativa che individui obiettivi di qualità
anche al di là dell'adozione di limiti di esposizione mirati alla tutela
degli effetti acuti, ha manifestato perplessità nei riguardi
dell'adozione di misure più restrittive specifiche per l'esposizione a
campi modulati in ampiezza. Dopo il D.M. n. 381 del 1998 – con il quale
sono stati definiti i limiti di esposizione ai campi elettromagnetici generati
dagli impianti delle telecomunicazioni e radiotelevisioni, al fine di tutelare i
recettori sensibili da possibili effetti a lungo termine -, la complessa e
controversa materia è stata disciplinata dalla l. n. 36 del 2001 "Legge
quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed
elettromagnetici", che detta i principi fondamentali per la tutela della salute
dei lavoratori, delle lavoratrici e della popolazione dagli effetti
dell'esposizione a determinati livelli di campi elettrici, magnetici ed
elettromagnetici ai sensi e nel rispetto dell'articolo 32 della
Costituzione italiana. La legge intende anche promuovere la ricerca scientifica
per la valutazione degli effetti a lungo termine e attivare misure di cautela da
adottare in applicazione del principio di precauzione di cui all'articolo
174, paragrafo 2, del trattato istitutivo dell'Unione Europea. La legge,
inoltre, vuole assicurare la tutela dell'ambiente e del paesaggio e
promuovere l'innovazione tecnologica e le azioni di risanamento volte a
minimizzare l'intensità e gli effetti dei campi elettrici,
magnetici ed elettromagnetici secondo le migliori tecnologie disponibili. Le
disposizioni contenute nel testo si applicano agli impianti, ai sistemi e alle
apparecchiature per usi civili, militari e delle forze di polizia, che possano
comportare l'esposizione delle persone a campi elettrici, magnetici ed
elettromagnetici con frequenze comprese tra 0 Hz e 300 GHz. In particolare, le
disposizioni si applicano agli elettrodotti ed agli impianti radioelettrici,
compresi gli impianti per telefonia mobile, i radar e gli impianti per
radiodiffusione. Maggiore attenzione è rivolta anche agli apparecchi e ai
dispositivi di uso domestico generanti campi elettrici, magnetici ed
elettromagnetici.
Una petroliera in fiamme
Inquinamento dell'aria: gas di scarico di automobile
Un corso d'acqua inquinato dalla schiuma dei detersivi
Satelliti per il rilevamento dell’inquinamento ambientale