Stats

Féde.

Accettazione di un dogma rivelato non confermato da prove positive. Accettazione di un valore o di un giudizio o di un concetto per intima convinzione, senza che sussistano prove positive e certezze razionali. Conoscenza non razionale, giustificata e accolta per motivi sentimentali o volitivi. Più in particolare, credenza connessa con la vita morale e religiosa; accettazione di un dogma. ● Filos. - Esclusa a lungo dal pensiero razionale, non potendo essa giustificare le proprie asserzioni, la f., in quanto forma di attività presente alla coscienza, è stata oggetto di analisi da parte della filosofia contemporanea che ne ha preso in esame il significato e il valore soprattutto come attività del pensiero diversa dalla ragione. La filosofia classica, per quanto razionalistica, ha ammesso con Platone la validità della f. in quanto, non essendo possibile raggiungere sempre una dimostrazione razionale, è necessario accedere a un'opinione di cui siamo intimamente persuasi. Pur mancando in Platone un esame dei valori della f. distinti da quelli della ragione, la sua opera è intessuta di valori accettati, anche se non razionalmente dimostrati. Aristotele afferma l'impossibilità di dimostrare ogni cosa, sottintendendo quindi il fatto che la ragione stessa deve basarsi su un atto superiore di f. Diverso è il significato che il termine assume nella filosofia scolastica. La f. non viene più considerata come nell'età classica, alla quale sarebbe poi ritornato il pensiero moderno, come una facoltà diversa dalla ragione, bensì come una verità che si fonda su una superiore autorità e ha il diritto di infrangere le leggi razionali. Già la Patristica si era impegnata a organizzare la f. come oggetto di conoscenza, attingendo largamente alla speculazione greca. Padri apostolici come San Giustino, il fondatore della Patristica stessa, negano che sussista un'opposizione tra filosofia umana (pensiero classico) e rivelazione divina (Bibbia), e sostengono che la filosofia cristiana è l'unica vera filosofia, identificando la f. con la ragione. Ciò che di falso può trovarsi nella filosofia viene eliminato in funzione della f. Il problema della subordinazione della ragione alla f. viene approfondito nel Medioevo. Si arriva così alla concezione dell'ancillarità della filosofia rispetto alla f. contro cui non può andare. La Scolastica riprende il motto di Sant'Agostino: credo ut intelligam, intelligo ut credam. Il puro credere viene considerato insufficiente, in quanto in esso ogni ricerca teorica viene abbandonata. Essa può invece procedere se si imposta il problema in modo che la f. possa essere mantenuta e, nel contempo, arricchita dalla ragione. Così, Scoto Eriugena (810- 870) afferma che la vera filosofia prolunga lo sforzo della f., per conseguire il suo oggetto. Allo stesso modo, Anselmo d'Aosta (1033-1109) afferma che il fondamento di ogni speculazione è la f. Se la ragione presuppone la f., è però necessario sforzarsi per intendere quello che si crede: la ragione deve interpretare la f. Secondo san Bonaventura (1221-1274), mentre la certezza della filosofia è un fatto puramente intellettuale, nella f. vi è una certezza di adesione che non è puramente speculativa. Tuttavia, pur essendo soprattutto impegno pratico, la f. è adesione a delle verità ed è legata anche a una certa natura teorica e speculativa, per cui la subordinazione della filosofia alla f. risulta subordinazione sia alla f. come impegno pratico, sia alla f. come contenuto di verità, ossia come oggetto di speculazione. Secondo Alberto Magno (1207-1280), non bisogna confondere la filosofia con la teologia, che è fondata sulla rivelazione e non sulla ragione. Il dominio della filosofia è superato da quello della f., e questa, come dato supremo, diviene regola della ricerca e della costruzione che poggia sul dato sia razionale sia sperimentale. Secondo Tommaso d'Aquino (1225-1274), se la ragione non può dimostrare ciò che forma il contenuto della f., essa può tuttavia dimostrare i preamboli della f. Essa può inoltre chiarire le verità della f. per mezzo di similitudini e controbattere le obiezioni contro la f. La ragione non è però interamente passiva nel suo compito di appoggiare la f. Essa infatti possiede dei fondamenti intrinseci che conferiscono una certa autonomia alla sua ricerca. Mentre la ragione conduce al "vedere", la f. non ha per oggetto qualcosa che sia percepibile dai sensi o dall'intelletto. La f. ha una certezza superiore rispetto a quella che procede dal sapere scientifico, ma si tratta di una certezza che deriva dalla volontà. Dalla concezione razionalistica scolastica, basata sull'identificazione di f. e ragione, cominciò a discostarsi Duns Scoto (1274-1308) che distingue nettamente il campo della f. da quello della conoscenza razionale. Atto speculativo si ha propriamente, a suo giudizio, solo nell'ambito della conoscenza naturale; mentre la f. "non è un abito speculativo, né un atto speculativo il credere". Solo nel mondo della f. egli trova la garanzia della libertà e dell'iniziativa umana; solo nel mondo della razionalità trova la garanzia della ricerca teorica. Con Duns Scoto ha inizio il distacco della f. dalla speculazione teorica. La fine della Scolastica si ha quando s'insinua la sfiducia circa la possibilità di mantenere la f. come perno fisso della ricerca umana. A questo punto la f. rimane isolata e indiscussa, mentre la ricerca si orienta verso altri campi. La fase critica del distacco del mondo della f. da quello della ricerca razionale, iniziata da Duns Scoto, si accentua con Guglielmo D'Occam (1290-1348), secondo il quale, unica conoscenza possibile è l'esperienza e unica realtà conoscibile è quella manifestata dall'esperienza. Le verità della filosofia non sono evidenti di per se stesse come i principi della dimostrazione, non sono probabili. Esse infatti possono apparire false a coloro che si servono solo della ragione. Le stesse prove dell'esistenza di Dio non hanno valore dimostrativo, né si possono dimostrare gli attributi di Dio, né affermare l'immortalità, l'onnipotenza, l'infinito. Non per questo è da respingere la f., anzi, secondo Occam, è un privilegio per il cristiano credere a verità che un filosofo dovrebbe senz'altro respingere; verità che superano ogni senso, ogni intelletto umano, e ogni ragione. Il misticismo pone la f. come una forma indipendente di conoscenza, come un immediato conoscere intuitivo, indipendente dalla ragione, che consente di pervenire alla verità assoluta, personificata dalla volontà perfetta di Dio. Nella mistica medioevale, oltre che nella dottrina di San Paolo e di Sant'Agostino, affonda le proprie radici il pensiero di Lutero, che nega valore alla ragione e alla volontà dell'uomo. Nella sua lotta contro la Chiesa di Roma, Lutero sostiene che la giustificazione di Dio è data unicamente dalla f., poiché essa esprime la presenza di Dio nella coscienza individuale, la comunicazione della grazia, la partecipazione dei meriti di Cristo. Di qui la negazione dell'ufficio mediatore della Chiesa e l'affermazione del libero esame, ossia del diritto e del dovere del cristiano di cercare direttamente nella Scrittura la parola suscitatrice della f. Calvino portò la dottrina di Lutero ai suoi sviluppi logici estremi, approfondendo i temi della giustificazione per mezzo della sola f. e dell'immediata partecipazione dei meriti di Cristo all'anima del credente. Il problema della f., quale attività conoscitiva, perde di interesse nella filosofia moderna sino a Kant. Tuttavia, anche il pensiero moderno, per quanto totalmente fiducioso nelle forze della ragione logica, tende ad ammettere, accanto alla ragione logica dimostrativa, una forma intuitiva di certezza. Così Cartesio parla dell'evidenza alla quale spetta il compito di darci i postulati fondamentali, e Spinoza si richiama all'intuizione dell'unità di tutto l'universo in Dio. Kant distingue innanzitutto la f. del sapere, in quanto essa ha un valore di convinzione soggettiva, ma non un valore oggettivo, ossia non una validità di certezza per ciascuno di noi. Il sapere invece, ha validità tanto soggettiva quanto oggettiva. La f., in quanto forma di conoscenza, pur essendo teoricamente insufficiente, trova la sua vera ragion d'essere nel rapporto pratico, ossia è una guida all'azione. La f. è intima convinzione, certezza soggettiva. Essa può assumere carattere contingente (f. pragmatica) o dottrinale, e in quest'ultimo caso si tratta di una f. basata sulla convinzione della verità di un certo giudizio. Essa può assumere anche carattere morale, e in questo caso la f. esprime la sua natura più vera. Secondo Kant, infatti, la sola f. che abbia veramente in sé certezza è quella morale. In essa lo scopo non è più contingente, bensì necessario, dato che l'azione pratica non ha più carattere contingente come nella f. pragmatica, ma si presenta come un fine indispensabile. Essa ci offre una certezza assoluta e consente di affermare l'esistenza di Dio e di un mondo soprannaturale. Essendo però la f. una verità soggettiva, è possibile solo affermare di essere personalmente certi dell'esistenza di Dio e non che "è certo che Dio esiste". La f. è una forma di conoscenza che non ha possibilità di dimostrazione in quanto non ha fondamenti empirici. Kant intende provare che solo la f. morale può completare il nostro conoscere e che solo essa e non la conoscenza intellettuale può darci una guida all'azione. Questa concezione è per buona parte condivisa da W. James, che riconosce l'esigenza di salvare la nostra libertà pratica dalle necessità dell'intelletto e della ragione, e di postulare un'attività pratica definibile come f. Poiché la ragione non può prevedere né postulare un ordine razionale del mondo, è necessario affidarsi alla f. nella possibilità di cooperare con le altre forze, per un reale miglioramento del mondo. Secondo James, la f., come atto di volontà, è presente, di fatto, in ogni orientamento speculativo, dato che l'atto di f. non solo è possibile, ma talvolta inevitabile. Infatti, quando non si possiedono ragioni scientifiche chiare e sufficienti per decidere, e tuttavia è necessario prendere una decisione, questa deve avvenire per un atto di f. Secondo James, "la ragione stessa è f.". Egli afferma che la f. rappresenta un diritto naturale inalienabile del nostro spirito, e deve restare un atteggiamento pratico e non dogmatico, dimostrando tolleranza nei confronti di altre credenze. Il tema della f. caratterizza l'intera opera del pensatore danese S. Kierkegaard, secondo cui nella vita religiosa l'esistenza umana si rivela nella sua singolarità irripetibile, come esistenza finita, in cui irrompe l'infinito. L'esistenza religiosa è un esistere non nella ragione, ma nel paradosso della f.: chi si dispone a ubbidire al richiamo di Dio deve accettare l'assurdità della f. contro le giustificazioni della ragione. Il cristianesimo è scandalo e non si può arrivare alla f. se non attraverso lo scandalo. La verità della f. non è una verità oggettiva, ma una verità intimamente soggettiva. In Timore e Tremore, Abramo che ubbidisce al comando di Dio di sacrificare il figlio Isacco viene presentato come il padre della f. Dal punto di vista della logica razionale, Abramo deve essere infatti considerato un assassino, ma il suo gesto trova nella f. la propria giustificazione. La f. rappresenta quindi il paradosso che può invertire l'ordine della morale e porre il singolo al di sopra della norma universale. Il paradosso della f. si ripete in chiunque obbedisca a un richiamo assurdo dal punto di vista logico-etico. Il paradosso della f. rompe tutte le strutture del mondo umano e pone il singolo in una solitudine angosciosa in cui lo soccorre unicamente Dio. La strada che conduce alla f. passa attraverso la rassegnazione infinita, uno stadio in cui l'uomo riconosce l'impotenza della sua forza e della ragione. Kierkegaard nega che la f. sia "l'istinto immediato del cuore"; essa è bensì "il paradosso della vita". Per giungere ad essa occorrono energia, forza e libertà di spirito. La f. richiede infatti la rinuncia a ciò che nella vita vi è di finito, ossia la rinuncia ai beni più cari dell'uomo: famiglia, amore, accordo con gli altri uomini, accordo con se stessi e con il mondo sul piano della religione. La f. richiede quindi la rinuncia a ciò che è la sostanza della vita. Il tema della f. caratterizza anche l'opera del filosofo spagnolo Miguel de Unamuno. Egli crede che attraverso la f. nella propria immortalità sia possibile al singolo sfuggire all'inghiottimento nell'abisso del nulla. Egli si richiama non al cristianesimo elaborato dai teologi, ma a quello che fu proprio dei grandi mistici spagnoli: Santa Teresa e San Giovanni della Croce. Unamuno esalta la spiritualità dei sognatori, la loro f. che trova la sua compiuta espressione in Don Chisciotte. Egli è l'incarnazione dell'attivismo allo stato puro, dell'agire senza alcuna base programmatica, abbandonandosi al flusso della vita, in una tensione volontaristica che poggia unicamente sulla f. nella propria missione.