Bot. - Nome comune delle piante appartenenti al genere
Triticum, della
famiglia delle Graminacee, indicate anche col nome di grano. Sono erbacee annue
più o meno cespitose: al momento della germinazione delle plantule si
presentano con una sola piumetta (o fustino) e una radichetta che si sviluppa
direttamente dall'embrione, ma più tardi dai primi nodi, situati quasi a
fior di terra, spuntano radici avventizie e anche altri steli o culmi
(accestimento). I culmi sono eretti, nodosi, più o meno muniti di midollo
o cavi secondo le specie, alti fino a 150 cm, con foglie alterne ligutate,
lineari-acute, e recano alla sommità un'infiorescenza a spiga composta,
formata da un asse centrale (rachide) a nodi estremamente raccorciati, ciascuno
dei quali regge una spighetta di fiori in parte sterili. Alla base di ciascuna
spighetta si trovano due brattee scariose (glume), mentre ciascuno dei fiori
è protetto da due altre brattee (glumette) di cui quella più
estrema può essere munita di una resta; secondo che le reste siano
presenti, assenti o presenti solo nella parte superiore dell'inflorescenza, le
spighe si dicono aristate, mutiche o semiaristate. Il fiore è bisessuale,
con tre stami e ovario uniloculare, e produce un frutto (cariosside), ovoidale,
giallo o bruno, solcato longitudinalmente, con ciuffetto di peli
all'estremità superiore, detto
granello, grano o impropriamente
seme. Il seme aderisce intimamente alle pareti del frutto ed è
provvisto di abbondante endosperma, nel quale si distinguono uno stato
periferico (stato aleuronico) ricco di protidi, e una parte interna ricca di
amido e di sostanze proteiche (glutine); il germe, ossia l'embrione, è
ricco di grassi e di vitamina E. Le numerose specie e varietà del genere
Triticum sono state classificate in vari modi dai diversi autori;
generalmente si ritiene che le specie coltivate, riunite sotto la denominazione
collettiva di
Triticum sativum, siano derivate da almeno due specie e
precisamente dal
Triticum monococcum (piccolo farro), originario della
Grecia, dell'Asia Minore e della Mesopotamia, derivato a sua volta, dal
Triticum aegilopoides, dell'Europa meridionale e Asia sud-occidentale,
coltivato in Europa sin da epoche preistoriche (entrambe queste specie hanno
numero diploide di cromosomi pari a 14 (2n = 14); e dal
Triticum
aestivum, altra specie collettiva comprendente a sua volta due distinti
gruppi: quello dei
f. duri, caratterizzati da spighette dense, porzioni
del culmo provviste di midollo e numero diploide di cromosomi pari a 28 (2n =
28), formato dal
Triticum dicoccum, il quale in parte deriva dal
Triticum dicoccoides, spontaneo in Persia e in Siria, e in parte da forme
spontanee in Etiopia e comprende le varietà
Triticum turgidum
(
f. grosso o inglese),
Triticum durum (
f. duro) e
Triticum polonicum (
f. di Polonia): quello dei
f. teneri, a
spighetta lassa e culmi interamente vuoti, con numero diploide di cromosomi pari
a 42 (2n = 42), formato dal
Triticum spelta (spelta o gran farro),
riferibile a forme spontanee nell'Afghanistan, con le variazioni
Triticum
compactum (
f. nano),
Triticum vulgare (
f. comune) e
Triticum capitatum. In agraria si adotta un tipo di classificazione
basato su alcuni caratteri della spiga e della cariosside, in rapporto ai quali
si possono distinguere due tipi di
f.: quello con cariosside vestita e
rachide fragile (
f. vestiti), che comprende
Triticum monococcum,
dicoccum e
spelta; e quello della specie con cariosside svestita e
rachide consistente (
f. nudi) che comprende
Triticum vulgare, durum,
turgidum e
polonicum. I
f. vestiti costituirono oggetto di
larga coltura nei tempi antichi, ma attualmente hanno impiego molto modesto e in
Italia non vengono più coltivati. Tra i
f. nudi il
Triticum
Vulgare (
f. comune o
f. tenero) è quello che presenta
la massima diffusione, particolarmente nelle regioni temperate, nonché il
maggior numero di varietà; esso è assai adatto alla
pianificazione. I
f. duri per contro, più adatti alla
pastificazione, risultano resistenti alla siccità e al calore, per cui
trovano la loro zona elettiva di diffusione nelle regioni caldo-aride. Il
f. è una pianta longidiurna e predilige i terreni di medio
impasto, ma presenta un buon adattamento a terreni di natura molto diversa.
L'acqua non deve mai mancare soprattutto nel periodo in cui i culmi si allungano
(levata). Il
f. in quanto pianta sfruttante, deve essere avvicendato tra
due piante miglioratrici, ma tollera pure di essere coltivato per qualche anno
sullo stesso terreno. Generalmente non si consocia con altre piante. La tecnica
colturale del
f. prevede una buona preparazione del terreno con
un'aratura, specie dopo una pianta da rinnovo, seguita da erpicatura; la
concimazione di presemina deve essere prevalentemente basata sul fosforo e sul
potassio (l'azoto è più importante nella concimazione di
copertura): il letame non va dato al
f. ma alla coltura precedente. La
semina, autunnale o primaverile, si pratica a file abbinate o isolate, a
profondità di 3-6 cm, con dosi di seme da 1 a 2 q per ettaro. La
concimazione di copertura, solitamente frazionata in più riprese (2-3) si
basa prevalentemente sull'azoto: in primavera possono risultare utili alcune
lavorazioni meccaniche come la rollatura e l'erpicatura. La raccolta del
f. si effettua da maggio a settembre nell'emisfero boreale e da novembre
a febbraio nell'emisfero australe. La coltura del
f. si spinge fin verso
i 65° di latitudine Nord in Europa (Norvegia) e i 60° dell'America
Settentrionale (Canada) solo da tempi recenti e mediante l'adozione di
varietà primaverili, a rapida maturazione. I limiti tropico-equatoriali
del
f. praticamente non esistono, ma la crescita è ostacolata
dall'umidità eccessiva che abbassa le rese fino a rendere antieconomica
la coltivazione. Fanno eccezione alcune zone al di sopra di una certa
altitudine, come gli altopiani del Messico e dell'Africa Orientale. Mentre sono
sfavorevoli le zone dove l'estate è umida (Europa atlantica), si prestano
alla coltura del
f. le pianure alluvionali, le steppe asiatiche e
americane e anche le regioni aride degli Stati Uniti e dell'Australia, se
opportunamente sfruttati con la pratica del
dry farming (aridocoltura).
Il rendimento unitario è diverso da paese a paese e all'interno di
ciascun paese, in stretta dipendenza con la natura dei terreni, l'impiego di
concimi, di varietà ibride ad alto rendimento e in rapporto al grado di
meccanizzazione e all'intensità delle colture. I rendimenti medi per
ettaro superano i 40 q nei Paesi Bassi, Danimarca, Gran Bretagna, Germania
occidentale, dove però si riservano al
f. i terreni migliori: in
Italia superano i 23 q con forti differenze regionali (40 q circa in Lombardia,
14 in Sardegna); nella Comunità di Stati Indipendenti si mantengono tra i
10 e 15 q, mentre fuori d'Europa i rendimenti più alti sono ottenuti dai
piccoli produttori come Giappone e Nuova Zelanda. Attualmente la superficie
coltivata a
f. nel mondo si estende per 220 milioni di ettari circa; la
produzione, in continuo aumento, si aggira sui 5.000 milioni di quintali. Si
riscontra quasi ovunque la tendenza a intensificare la coltura, a impiegare
varietà ad alto rendimento, piuttosto che estendere le aree coltivate.
Dove le condizioni sono favorevoli aumenta la diffusione del
f. duro,
adatto alla fabbricazione delle paste alimentari, rispetto al
f. tenero,
adoperato per la panificazione. Un'altro fenomeno piuttosto recente è
l'incremento del consumo di
f. nei paesi tradizionali consumatori di
riso. Alla testa della graduatoria mondiale dei principali produttori è
la Cina (910 milioni di q nel 1989), dove il
f. è coltivato
specialmente nelle regioni settentrionali, Manciuria e bacini del Fiume Giallo e
del Fiume Azzurro. Nella Cina meridionale il
f. si avvicenda col riso,
approfittando dell'alternarsi di una stagione secca e di una piovosa.
Recentemente l'applicazione di tecniche culturali più progredite ha
permesso l'incremento della produzione e l'aumento dei rendimenti unitari. Al
secondo posto è la Comunità di Stati Indipendenti. La produzione,
pianificata secondo i bisogni e soggetta a notevoli variazioni da un'annata
all'altra, pur registrando una crescita nella coltivazione, di tipo estensivo e
largamente meccanizzata, avviene nella fertile fascia di terre nere che,
partendo dall'Ucraina e dalla Moldavia, termina in Siberia presso il lago
Bajkal. Coltivate, ma con rendimenti inferiori, anche le terre poste a Nord e a
Sud di tale fascia, le terre vergini ma qui le variazioni delle condizioni
meteorologiche danno luogo a grandi sbalzi nella produzione. Il terzo grande
produttore mondiale sono gli Stati Uniti; la produzione, volutamente contenuta,
è in rapporto al consumo interno e alla domanda dei paesi importatori e
presenta variazioni da un anno all'altro, secondo la richiesta dei mercati
internazionali. Si possono distinguere due grandi aree di coltura di
f.:
quella che si estende dalle Montagne Rocciose alla Regione dei Grandi Laghi,
caratterizzata da monocoltura meccanizzata, a carattere estensivo, con bassi
rendimenti medi (Stati del Kansas, Montana, Nebraska, Dakota del Nord e del
Sud); e quella a oriente del Mississippi, tra i Grandi Laghi e gli Appalachi,
dove il
f. è coltivato intensamente e avvicendato con granoturco e
foraggere (Wisconsin e Illinois). L'altro grande produttore americano è
il Canada (al sesto posto) con quantitativi che si aggirano sul 5% del raccolto
mondiale. Le superfici destinate a
f., dato il carattere speculativo
delle colture, variano secondo le richieste del mercato mondiale; esse si
estendono principalmente nelle regioni delle grandi praterie: Manitoba,
Saskatchewan, Alberta. Il quarto produttore mondiale e il secondo asiatico
è l'India (540 milioni di q nel 1989). Il
f. è coltivato
specialmente nei terreni irrigui del Punjab, dell'alto bacino del Gange, nella
parte settentrionale del Deccan, con la prospettiva di contribuire notevolmente
alla risoluzione del problema alimentare. Fra gli altri paesi asiatici sono
notevoli i raccolti della Turchia (157 milioni di q nel 1989) e del Pakistan
(144 milioni di q nel 1989), nonostante le tecniche agricole non siano molto
evolute. La Francia, al quinto posto nel mondo, è il maggior produttore
europeo; le principali aree di coltivazione sono il bacino di Parigi e il Nord.
La produzione offre larghi contingenti all'esportazione. In Italia, il primo
posto nel maggior rendimento spetta a Emilia-Romagna, Toscana, Marche e
Piemonte. Nel Mezzogiorno il rendimento è basso, ma le colture,
prevalendo i
f. duri, tendono a intensificarsi, mentre diminuiscono
nell'Italia settentrionale, dove si produce quasi esclusivamente
f.
tenero. Una coltura a carattere speculativo praticano l'Argentina e l'Australia,
la prima a carattere estensivo nella
pampa; la seconda nel bacino del
Murray e del suo affluente Darling. Le aree riservate alla coltura meccanizzata
del
f. sono in continua diminuzione per l'avanzata delle colture
foraggere destinate all'alimentazione del bestiame. Il
f. alimenta un
ingente movimento commerciale, con scambi che praticamente interessano tutti i
continenti, favoriti dal fatto che i raccolti si succedono nei vari paesi in
epoche diverse, praticamente in tutti i mesi dell'anno. Comunque il consumo del
pane è in netta diminuzione nei Paesi a elevato livello di vita, mentre
tende ad aumentare nei paesi dove il tenore alimentare è ancora scarso
(Paesi asiatici e africani). Nei paesi dove le disponibilità sono alte
(USA, Canada e Francia) è usato per l'alimentazione del bestiame.
Nell'esportazione granaria sono in testa gli Stati Uniti (365 milioni di q nel
1989 con un'imponente attrezzatura per il commercio cerealicolo). Segue la
Francia (150 milioni di q nel 1989) e il Canada (112 milioni di q nel 1989), con
una rete molto efficiente di attrezzatura per il commercio cerealicolo. Altri
esportatori sono Argentina e Australia. I maggiori importatori sono i paesi
asiatici, seguiti in Europa dall'Italia, dalla Germania, dalla Polonia e dai
Paesi Bassi. L'Italia ha importato 56 milioni di q. di
f. nel 1989, in
parte riesportati sotto forma di paste alimentari. Il mercato mondiale del
f. ha subito ultimamente varie crisi che hanno richiesto interventi per
regolare i prezzi e assicurarne la stabilità e specialmente per rendere
meno gravi i problemi di approvvigionamento da una parte e la ripartizione dei
contingenti di esportazione dall'altra.