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Fotosìntesi.

Chim. - Sintesi determinata dalla luce. ● Giorn. - Cronaca data per mezzo di una o più fotografie, opportunamente selezionate. ● Bioch. - La f. clorofilliana è il più importante processo chimico che si svolga nelle piante, perché grazie ad esso le piante formano composti organici, che a loro volta costituiscono i composti della materia vivente, vegetale ed animale. La f. ha luogo soltanto alla luce e nei cloroplasti vivi. Come ogni funzione biologica, anche la f. dipende da vari fattori esterni ed interni. I vegetali clorofillici, i soli, tra gli esseri viventi, capaci di trasformare l'energia luminosa in energia chimica, forniscono al mondo organico non solo materia, ma anche energia. ║ Il paradigma delle due specie di metabolismo, assimilativo e disassimilativo, degli idrati di carbonio è dato dalla seguente reazione che può decorrere nei due sensi:

6 CO2 + 6 H2O + 690.000 cal ↔ C6H12O6 + 6 O2 (1)

Quando la reazione decorre da destra verso sinistra viene assunto dall'ambiente ossigeno, lo zucchero è bruciato ad acqua ed anidride carbonica, e si libera energia. È il fenomeno della respirazione, tipico esempio di ricambio disassimilativo, che si svolge come reazione complessivamente esergonica. Quando invece la reazione decorre da sinistra verso destra viene costruito zucchero a partire dall'acqua e dall'anidride carbonica, e da energia, le une e l'altra assunte dall'ambiente: reazione endergonica, ricambio assimilativo e, nel caso di gran lungo piu frequente di captazione dell'energia radiante luminosa, fenomeno della f. cioè dell'assimilazione del carbonio nelle piante verdi. La pianta consuma nella f. anidride carbonica ed acqua, e costruisce idrati di carbonio liberando ossigeno. Volumetricamente, se la reazione decorre proprio secondo la formula, se cioè il prodotto della f. è unicamente un glicide, tanta CO2 è consumata quanto O2 è liberato; cioè, si ha un quoziente di assimilazione uguale a 1. Ci si può chiedere se veramente in tutte le piante verdi il prodotto della f. è sempre unicamente rappresentato dagli idrati di carbonio e se il quoziente di assimilazione è sempre uguale ad 1. Effettivamente, nelle piante verdi superiori il quoziente è praticamente uguale a 1: e molto probabilmente nel loro parenchima fogliare, l'organo per eccellenza nel quale si compie la f., gli idrati di carbonio sono formati per primi, durante i periodi di assimilazione, quando cioè la pianta è esposta alla luce. Inoltre è dimostrato che piante autotrofe possono svilupparsi al buio, in condizioni cioè che impediscono la f., su terreni di coltura che contengano, in aggiunta ai composti inorganici, lo zucchero come unica sorgente organica di carbonio. Ma nelle alghe unicellulari, che forniscono un materiale molto spesso usato per le ricerche di f., il quoziente di assimilazione risulta il più delle volte un poco inferiore a l, ed è ulteriormente abbassato dall'arricchimento del liquido di coltura in nitrati. È quindi possibile, e secondo alcuni autori probabile, che in questi organismi unicellulari, nei quali l'attività fotosintetica direttamente conduce con l'accrescimento alla moltiplicazione cellulare, la f. porta direttamente alla formazione non solo dei glicidi, ma anche dei protidi. Per la sintesi di questi ultimi, a partire dall'anidride carbonica, si calcola un quoziente respiratorio dell'ordine di grandezza dello 0,70, che sarebbe responsabile dell'abbassamento del quoziente respiratorio del processo fotosintetico nel suo insieme. Ma è più probabile che la f. porti direttamente alla formazione esclusiva di idrati di carbonio, e che una parte di essi venga subito impiegata per la sintesi più complessa dei protidi e dei lipidi. Anche se si vuole prescindere dalla possibilità, di alcune piante, di diretta f. di sostanze diverse dai glicidi, rimane il problema, per ora insoluto, di quale sia il primo idrato di carbonio prodotto. Nella grande maggioranza delle piante si accumulano, come conseguenza della f., i polisaccaridi; ma quasi certamente non sono queste le sostanze prodotte per prime. Si ammette generalmente che i primi prodotti siano glicidi di più basso peso molecolare, monosaccaridi o al più disaccaridi, e che poi questi vengano condensati ad amido. Ma è per ora impossibile distinguere tra i più comuni zuccheri (glucosio e fruttuosio, monosaccaridi; e saccarosio, disaccaride), e affermare che l'uno piuttosto dell'altro sia il primo prodotto della f. Ma è questione secondaria; si può andare un passo indietro, poiché le conoscenze attuali della biochimica permettono di comprendere la formazione di qualsiasi zucchero, e partire da composti fosforilati di un triosio. Si potrebbe quindi considerare risolto il problema, come decorra la f., quando si fosse riusciti a stabilire i vari passi che portano dall'anidride carbonica, attraverso fenomeni di ossido-riduzione, ai triosi, che potrebbero essere considerati come tappa finale del processo fotosintetico, ingranante poi coi processi metabolici che avvengono al buio. Per semplificare il problema, conviene trascurare la possibilità di diretta formazione, per f., di altre sostanze oltre i glicidi, e limitarsi ad osservare il fenomeno come formazione di zuccheri, a partire dall'anidride carbonica e dall'acqua, con liberazione di O2, secondo un quoziente di assimilazione uguale ad 1. E, per la stessa ragione, conviene tralasciare anche la questione di quale sia lo zucchero prima prodotto. Perciò la formula (1) può essere modificata in una più comprensiva:

CO2 + H2O + energia = (CH2O) + O2 (2)

in cui (CH2O) indica la formazione di sostanze più ridotte dell'anidride carbonica, di idrati di carbonio, ma non necessariamente di monosaccaridi a sei carboni. Ma anche questa formula sarebbe erronea. Secondo essa, infatti, nel corso del processo fotosintetico una molecola di acqua si combinerebbe direttamente con una di CO2 a formare idrato di C; e allora l'ossigeno dell'anidride carbonica si dovrebbe trovare nell'ossigeno molecolare liberato. Ma l'impiego di isotopi pesanti dell'ossigeno ha dimostrato che l'ossigeno liberato dal processo fotosintetico viene non dall'anidride carbonica ma dall'acqua. La formula quindi deve essere scritta:

CO2 + 2 H2O' + energia = (CH2O) + H2O + O2' (3)

Ciò significa che le molecole di acqua sono spezzate, il loro ossigeno è liberato, e l'idrogeno è trasferito nell'anidride carbonica, che viene così ridotta. Perciò le due molecole iniziali di acqua rappresentano il datore di idrogeno, e la molecola di CO2 l'accettore: l'ossigeno liberato proviene tutto dal datore deidrogenato; la molecola di idrato di carbonio e quella di acqua ricostituita rappresentano i prodotti di riduzione dell'accettore. Quindi:

CO2 + 2 H2O' → (CH2O) + H2O + O'2
accettore di H datore di H acc.ridotto datore deidrogenato (4)

In questa maniera il fenomeno dell'assimilazione del carbonio per f. rientra nel quadro dei numerosi fenomeni biochimici di ossidoriduzione, cioè di idrogenazione-deidrogenazione. La f. ha luogo a livello dei cloroplasti. I cloroplasti sono organuli citoplasmatici di forma generalmente ovoidale, delle dimensioni di qualche micron, colorati e quindi facilmente riconoscibili a mediocre ingrandimento e a fresco. Al microscopio elettronico rivelano una struttura a membrane, le quali in sezione appaiono come pacchi di lamelle parallele, immerse in uno stroma poco denso. Come tutte le formazioni lamellari devono avere un'ordinata struttura tristratificata, con due strati proteici tra i quali si interpone uno strato a molecole polari lipoidee regolarmente ordinate, che si tengono per le loro porzioni idrofobe, mentre si ancorano agli strati proteici col loro estremo idrofilo. L'uniformità di questa struttura è interrotta dai cosi detti "grani", dove i pacchi di lamelle si inspessiscono e si fanno più opachi al flusso elettronico, per l'interposizione di un altro tipo di lamelle, che contengono la clorofilla. Anche qui si deve ammettere un'ordinata disposizione delle molecole di clorofilla, col loro fitolo insinuato nella palizzata di fosfolipidi e di carotenoidi. I dettagli ultrastrutturali sono stati rimessi in discussione in questi ultimi anni ed è preferibile non tentare di darne una figura; probabilmente nell'ambito dei "grani" le molecole di clorofilla non sono distribuite uniformemente, ma formano dei gruppi, i "quantosomi", messi in evidenza dal microscopio elettronico con una tecnica speciale, i quali riunirebbero circa 230 molecole più fittamente stipate. Gli strati proteici devono aver anch'essi un'ordinata struttura, non meno importante di quella della clorofilla; in questi strati infatti devono essere ancorati gli enzimi che portano avanti le varie tappe del processo fotosintetico, e i datori e gli accettori di idrogeno (e di elettroni) contigui alle molecole di clorofilla. Per dimostrare che la f. ha luogo a livello dei cloroplasti si è fatto ricorso ad una semplice esperienza. Se si prende un filamento di "Spirogira" (un'alga nella quale i cloroplasti sono disposti in una specie di nastro spirale), e si esamina al microscopio in poca acqua alla quale sia aggiunta una certa quantità di batteri ottenuti da un infuso di fieno, si vedrà, illuminando tutta l'alga, che i batteri tendono a concentrarsi in prossimità del filamento. Questo perché i batteri tendono a portarsi verso una sorgente di ossigeno, per il quale hanno chemiotropismo positivo, e perché un'alga illuminata produce O2, come risultato della sua f. consumando l'anidride carbonica disciolta nell'acqua. Ma se si illumina il preparato con un sottile fascio di luce, che cada in un punto dell'alga sprovvisto di cloroplasti, non si osserva nessuna tendenza al raggruppamento dei batteri. Se invece il raggio di luce cade su un punto della spirale verde, i batteri si affollano vicino a quel punto. Evidentemente la f. si compie solamente al livello dei cloroplasti contenenti clorofilla. La clorofilla si può estrarre dalle cellule, per esempio trattando le foglie con alcool. È stato cercato se la sintesi dei carboidrati possa avvenire anche "in vitro", in presenza di estratti di mucosa gastrica o intestinale, contenenti i fermenti digestivi. I risultati sono stati sempre negativi; la funzione clorofilliana è legata alla presenza e all'integrità dei cloroplasti, e affinché il processo possa mantenersi, è necessaria anche l'integrità delle cellule, nel cui citoplasma lavorano i cloroplasti. La radiazione luminosa assorbita fornisce l'energia per la sintesi dei glucidi. A livello della clorofilla, come di ogni altro corpo colorato, viene assorbita luce, selettivamente in alcune regioni dello spettro visibile. Le clorofille hanno colore verde (verde-giallo o verde-azzurro) poiché assorbono molto le radiazioni nella zona del rosso, meno in quella del giallo, poco o nulla in quella del verde, e poi di nuovo sempre di più, quanto più si procede in direzione dell'indaco e del violetto. Per deboli intensità di luce, e per basse concentrazioni di clorofilla, l'assorbimento nel verde e nelle zone contigue è nullo o quasi. Ma se la concentrazione del pigmento è forte, viene assorbita luce un po' in tutta la regione dello spettro, naturalmente più verso i due estremi, meno nelle regioni centrali; il minimo di assorbimento cade alla lunghezza d'onda di 5.200 Angstrom per le soluzioni di clorofilla, verso i 5.500 Angstrom per i parenchimi foliari. Nelle foglie generalmente la concentrazione di pigmento è tanto forte, che viene assorbita quasi tutta la radiazione rossa e violetta, e fino all'80% della verde. Fra i fattori che influiscono sulla f. vi sono la concentrazione dell'anidride carbonica, l'intensità dell'illuminazione e la temperatura. È stato dimostrato, attraverso approfondite ricerche, che la concentrazione nell'atmosfera dello 0,03% di CO2, rappresenta per le piante una condizione ottimale. Per l'intensità di illuminazione i valori variano sensibilmente da specie a specie. L'intensità di assimilazione clorofilliana deve essere tale da compensare, durante le ore di luce, il consumo di CO2 per la respirazione nelle 24 ore, e da lasciare un certo margine per l'accrescimento. E questo bilancio è ottenuto, nelle varie specie, con intensità di illuminazione molto diverse. Esistono specie che hanno bisogno di piena luce; altre invece, di sottobosco, vivono e prosperano con luce molto attenuata. Si conoscono delle felci, dei muschi e delle alghe cavernicole, che vivono in ambienti dove l'illuminazione non supera il 2% della piena luce solare. Per quanto riguarda l'influsso della temperatura va tenuto presente che le reazioni chimiche che non richiedono intervento di energia radiante possono essere chiamate anche termochimiche, perché sono influenzate dal fattore temperatura; cioè il loro coefficiente termico è diverso da 1. Le reazioni fotochimiche sono invece poco o per nulla sensibili alla temperatura, hanno cioè coefficiente termico uguale ad 1. Poiché la f. comprende, oltre alle reazioni fotochimiche, altre termochimiche, che avvengono cioè anche al buio, si può affermare che complessivamente essa ha coefficienti termici minori della respirazione, ma generalmente maggiori di 1. ║ Meccanismo della f.: l'intero processo dell'assimilazione del carbonio nelle piante verdi è assai complesso, e può essere visto come una serie di reazioni metaboliche tra loro collegate, ma semiautonome; cioè di reazioni fotochimiche vere e proprie (essenzialmente quelle che portano alla fotolisi dell'acqua) e di reazioni termochimiche, cioè di fenomeni di chemiosintesi che possono svolgersi anche al buio, con l'ausilio di enzimi. Nel processo fotosintetico è possibile dunque descrivere prima un sistema enzimatico che lavora anche in assenza di luce, catalizzando la cosí detta reazione al buio, con la quale viene fissata l'anidride carbonica captata dall'aria o dall'aqua; il ciclo della carbossilazione, nel quale l'anidride carbonica trova un accettore e viene trasformata in un gruppo carbossilico. Indicando l'accettore col simbolo RH, si può scrivere, in prima approssimazione, la seguente reazione:

CO2 + RH → RCOOH

La fissazione del carbonio per carbossilazione non è limitata a questa tappa della f. ma è ben conosciuta in molti microrganismi, e sembra possibile in ogni cellula vivente. Ormai sappiamo con sicurezza che l'anidride carbonica può essere fissata e ridotta perfino dalle cellule epatiche dei mammiferi. Nel caso della carbossilazione come prima tappa della f., l'accettore è un derivato di uno zucchero a cinque carboni, l'etere difosforico del ribulosio (indicato con la sigla RuDP; formula bruta del ribulosio, come di ogni pentoso, è: C5H10O5). Dalla reazione dell'anidride carbonica col RuDP deriva un composto intermedio di breve durata per ora ignoto, che poi al buio si scinde in due molecole di acido fosfoglicerico. L'acido fosfoglicerico compare sempre, come risultato finale di fenomeni di carbossilazione al buio; ma forse nelle cellule verdi illuminate non si forma acido fosfoglicerico, ma qualche altro composto a tre carboni. Semplificando, abolendo cioè nella scritturazione degli zuccheri e dei composti intermedi i radicali fosforici, e accettando l'acido glicerico come prodotto della carbossilazione, possiamo scrivere:

CO2 + C5H10O5 → C6H10O7 Fotocalc02.png 2(CH2OH―CHOH―COOH) (6)

La carbossilazione è un fenomeno assai complesso, e implica un ciclo complicato, che assicuri una continua rigenerazione di RuDP, man mano che viene impiegato per fissare l'anidride carbonica. E alla fine di questo ciclo viene fissato in tutto un solo nuovo atomo di C. A questo punto si inserisce il sistema delle reazioni fotochimiche. Dapprima ha luogo la liberazione dell'idrogeno dall'acqua, cioè la fotolisi per la quale quattro legami H―OH vengono spezzati, e due composti, simbolizzati con X e Y, funzionano da accettori, e uno è ridotto dall'idrogeno, l'altro ossidrilato. Si ha quindi:

4H2O + 2 X Y Fotocalc03.png 2 XH2 + 2 Y (OH)2 (7)

L'accettore ossidrilato (di cui si ignora la struttura chimica) è poi decomposto e rigenerato, e si forma acqua e ossigeno molecolare. Ecco dunque l'O2 che si libera per ogni molecola di CO2 fissata, ma che non proviene da essa, bensì dall'acqua. La reazione si può scrivere:

2 Y (OH)2 → 2 Y + 2 H2O + O2 (8)

Come avvenga la fotolisi e la liberazione dell'ossigeno è pressoché sconosciuto: certamente è un fenomeno complesso, nel quale sono impegnati parecchi enzimi; in particolare, per la liberazione dell'ossigeno molecolare interviene un catalizzatore contenente manganese. Meglio conosciuto il trasporto dell'idrogeno, per via del composto XH2, nelle successive reazioni al buio, con le quali la CO2, è idrogenata a carboidrato. Molto probabilmente l'accettore di H è l'NAPD (nicotinamidedifosfato); quindi l'XH2 è in effetti un NAPDH2. Ma per trasferire l'idrogeno dall'acqua a un carboidrato, cioè da un debole a un forte riducente, è necessario un apporto di energia, fornita al solito dalla luce attraverso la clorofilla. In questo processo, per di più, si immagazzina energia con la formazione di ATP (adenosintrifosfato) da ADP (adenosindifosfato). È un processo che pare si compia in due stadi, nei quali sono probabilmente implicate due varietà di clorofilla leggermente differenti. L'idrogeno viene assunto dapprima da un accettore Z (di composizione chimica ignota); e da questo composto ZH l'idrogeno viene innalzato a un citocromo b6, e l'energia è fornita da uno dei due sistemi di clorofilla, che trasferisce un elettrone dal datore ZH al citocromo (e l'H segue). Poi l'elettrone è passato ad un secondo citocromo f, e in questo passaggio, che non solo non richiede energia, ma ne libera, è costruito ATP. Ed infine dal citocromo f viene innalzato all'X (all'NADP) con un nuovo apporto di energia, e si forma l'NADPH. A questo punto può iniziare il terzo processo, nel quale lo XH2 (=NADPH2) riduce il carbossile dell'acido glicerico (formula 6) alla corrispondente aldeide, cioè a un trioso (ma per far questo sono necessarie due molecole di ATP previamente sintetizzate a livello dei citocromi), e finalmente due molecole di trioso portano ad una di esoso. La reazione globale, ignorando al solito i radicali fosforici, può essere scritta:

2 X2 + 2 (CH2OH―CHOH―COOH) Fotocalc04.png 2 X + C6H12O6 + H2O

Va ricordato infine che altro ATP viene impiegato per rigenerare il RuDP, il quale, essendo un difosfato, contiene un legame di alta energia. Un fenomeno che va messo bene in evidenza è l'ultima parte del processo fotosintetico, la liberazione di O2, che ha importanza fondamentale, perché i prodotti di ossigenazione devono essere smaltiti in qualche modo. Se l'ossigeno non potesse essere liberato in forma molecolare, dovrebbe consumare qualche donatore di H. Effettivamente, si conoscono dei batteri, i cosí detti rodobatteri, che fanno questo, che cioè assimilano alla luce CO2, senza eliminare O2. Ma essi richiedono, per liberarsi dei prodotti ossidati, la presenza di donatori, organici e inorganici, di H. Un tale processo non può portare ad un'intensa assimilazione del carbonio. Evidentemente, la funzione clorofilliana, cosí complessa, non può essere comparsa di colpo; e i primi processi autotrofi devono essere stati molto più semplici. E probabilmente anche nei primi organismi fotosintetici si svolgevano delle reazioni del tipo di quelle che oggi si osservano nei rodobatteri, i più semplici organismi attualmente viventi capaci di assimilare C alla luce. Ma la grande efficienza dell'assimilazione del carbonio, e quindi il rapido aumento della quantità di vita sulla Terra, si è avuta solamente con la reazione, per ora poco conosciuta, che permette l'eliminazione dell'ossigeno, proveniente dalla scissione dell'acqua in forma molecolare. In conclusione, molto si sa del processo di sintesi clorofilliana, ma parecchio ancora si ignora. Esso si svolge con fenomeni fisico-chimici collegati a precise strutture citologiche; e infatti non si compie in vitro, ed è legato all'integrità delle strutture cellulari, dei cloroplasti e del citoplasma in cui sono accolti e col quale mantengono continui scambi. La possibilità di fabbricarci zuccheri e amidi in vitro, al sole sul tetto di casa, appare ancora remota. L'assimilazione del carbonio nelle piante verdi è dunque un fenomeno vitale, in quanto richiede, si può dire a ogni sua tappa, un determinato ordine ed una determinata struttura submicroscopica della cellula vegetale contenente la clorofilla; ed è un fenomeno vitale per ora in buona parte a noi sconosciuto. Ma quello che noi conosciamo è abbastanza per autorizzarci ad affermare che per l'assimilazione del carbonio non è necessario postulare nessuna speciale "forza vitale", nessun fenomeno al di fuori del quadro dei fenomeni conosciuti, o per lo meno conoscibili, con la ricerca fisico-chimica, sia pure all'alto grado di complessità richiesto dalla biofisica e dalla biochimica: poiché quest'ordine, e questa struttura submicroscopica è proprio riportabile a ben determinati ordini e strutture molecolari, e cioè al tipico livello di conoscenza della chimico-fisica. ● Biol. - F. batterica: tipo di f. effettuata da certi batteri autotrofi che contengono, negli equivalenti dei "cromatofori" (cellule contenenti granuli di pigmento) una clorofilla batterica verde. Si tratta di poche specie di rodobatteri (colorati in rosso dal carotene) che vivono sfruttando l'energia raggiante del sole, come fanno le piante, per trasformare i sali minerali di cui si nutrono in sostanza organica. La clorofilla batterica verde presenta uno spettro di assorbimento della luce notevolmente diverso da quello delle altre clorofille; grazie a questo tipo di clorofilla la luce, filtrata dagli strati superficiali dell'acqua, dalle piante verdi o dalle alghe mantiene ancora un'azione fotochimica sui batteri stessi, consentendo, appunto, la f.. I rodobatteri però possono assorbire la luce soltanto in assenza di ossigeno atmosferico (anaerobiosi) a causa della mancanza di mitocondri e di plastidi. Grazie alla f. i batteri purpurei (rodobatteri) possono formare idrati di carbonio metastabili, ricchi di energia. Altri batteri che mancano di pigmenti e che vivono nell'oscurità sfruttano invece la chemiosintesi batterica (ossidazione di substrati minerali per via chimica).
Raffigurazione schematica della fotosintesi clorofilliana