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Fenomeno.

Per f. si intende in generale tutto ciò che appare, è visibile e può quindi cadere sotto la nostra osservazione diretta o indiretta, e diventare oggetto di esperienza interna (f. psichici) o esterna (f. fisici, biologici, chimici, storici, ecc.). In questo senso, f. è ogni fatto fisico o psichico. In senso più particolare sono f. gli oggetti e gli avvenimenti di cui si occupa la scienza. Nel linguaggio filosofico, nell'ambito della metafisica, il termine viene di preferenza usato per indicare ciò che è apparenza e illusione, in contrapposizione a ciò che è proprio della realtà immutabile ed eterna. Date le complesse implicazioni metafisiche e gnoseologiche che comporta, il termine caratterizza l'intera storia della filosofia sin dalle sue origini. Due sono i significati filosofici fondamentali del concetto di f.: uno metafisico e uno gnoseologico-scientifico. In campo metafisico, il f. è stato soprattutto considerato come una manifestazione dell'Invisibile e del Permanente. Già Anassagora affermava che "ciò che appare è una visione di ciò che non è evidente". Il concetto raggiunse il suo massimo sviluppo nel platonismo e nel neoplatonismo le cui enunciazioni sono condivise, per buona parte, dal pensiero moderno. Nell'ambito gnoseologico, il concetto di f. è sinonimo di fatto, evento. Aristotele, come già Platone, oppone al f. (legato a cause accidentali) ciò che invece è essenziale, universale e immutabile, come le forme sostanziali. Il problema dei f. viene variamente posto dal pensiero moderno. Newton insiste sulla necessità di partire dall'esperienza e limitarsi a esprimere il comportamento del f. Secondo la sua concezione meccanicistica dell'universo, i f. si svolgono sulla base di leggi rigorose, perfettamente esprimibili in equazioni: l'universo è una macchina che, una volta creata e messa in moto, può camminare da sé. Per G. Berkeley, i rapporti tra i f. sensibili sono costanti e perciò noi siamo in grado di prevedere ciò che seguirà, conforme a ciò che è già accaduto nel passato, in modo da poterci orientare con sicurezza nel mondo della praticità. Leibniz considera il f. come sinonimo di contenuto mentale della percezione. Secondo Kant il f., inteso come ciò che è "oggetto d'esperienza possibile ", come ciò che non è pura apparenza, si oppone alla sensazione e soprattutto al noumeno (realtà in sé), inaccessibile al nostro conoscere vero e proprio. Schopenhauer, travisando la concezione kantiana, intende il f. come una pura apparenza, come un'illusione, sicché l'oggetto ha esistenza solo nell'azione da esso esercitata. In ciò egli si richiama alla filosofia indiana (il "velo di Maya"). Infatti, il sistema indiano, noto col nome di Uttaramimamsa o Vedanta, portato alla sua sistemazione definitiva dal filosofo Sankara (788-820 d.C.), concepisce il f. come illusione o nullità assoluta. I pensatori empiriocratici e gran parte dei positivisti contemporanei considerano il concetto di f. come sinonimo di realtà nel suo insieme, senza più un soggetto che percepisca o immagini un oggetto. I tentativi di operare una precisa distinzione tra il significato del termine f. e quelli di dato e fatto non hanno sinora portato a nessuna chiara e unanime distinzione. Da parte di alcuni è invalsa l'abitudine di riservare il termine f. alla natura e il termine fatto alla storia.