Med. - Intossicazione di origine allergica determinata dall'ingestione di fave a
scopo alimentare o dall'inalazione dell'effluvio di queste piante in fiore. Si
tratta di una malattia ereditaria, diffusa particolarmente nelle regioni
meridionali dell'Italia e in Sardegna, dovuta alla carenza nei globuli rossi
dell'enzima glucosio-6-fosfato-deidrogenasi. Nella forma più leggera, i
sintomi della malattia sono costituiti da malessere generale, spossatezza e
abbattimento muscolare, senso di bocca amara, subittero, inappetenza. In una
seconda forma clinica, assai più imponente, si hanno cefalee frontali,
lingua gialla e asciutta, dolori alla regione del fegato, indolenzimento di
tutto l'addome e delle ossa, stitichezza o diarrea, con feci scolorate e
cretacee, urine nerastre per la presenza di pigmento emoglobinico, itterizia,
febbre elevata che può regredire dopo due o tre giorni. Una terza forma
clinica, il
f. comatoso, è la più grave e spesso letale:
presenta dolori acutissimi al fegato, febbre alta e continua, coma cerebrale,
emorragie interne, morte fulminante per anuria. La malattia colpisce con
nettissima prevalenza i bambini maschi e infierisce soprattutto in primavera,
epoca che corrisponde alla fioritura della fava. L'unico rimedio, oggi
riconosciuto valido anche nei casi gravi, è la trasfusione del sangue o
la somministrazione di cortisone. Ai soggetti predisposti viene consigliato di
evitare l'ingestione di fave e l'inalazione dei loro fiori. Una sorta di
profilassi tradizionale, ma empirica, consiste nell'alimentarsi di fave cotte
salate a piccole dosi, gradualmente crescenti, e nel bere infusi di fave secche
allo scopo di perseguire una graduale assuefazione al veleno.