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Fascismo.

Ideologia e prassi politica di carattere antidemocratico, totalitario e dittatoriale. Con riferimento storico particolare, movimento politico e regime su cui s'appoggiò la dittatura ventennale di Benito Mussolini. Dietro la spinta della passione politica e della polemica, il termine f. si è andato molto generalizzando e di esso si è fatto un uso spesso indiscriminato, a scapito della chiarezza. I termini f. e fascista vengono infatti spesso usati per attaccare posizioni tra loro molto diverse e lontane, generalizzandoli sino a comprendere, sotto la loro denominazione, ogni forma di autoritarismo o anche di tiepido conservatorismo. Altrettanto inesatto è però circoscrivere il significato del termine a quelle concezioni e ideologie che si richiamano apertamente al regime mussoliniano. Inesatto è altresì l'uso della pubblicistica "liberale" che tende a considerare il f. unicamente come regime "dittatoriale", associandolo nella condanna al comunismo. Tenendo conto che il f., come processo storico europeo tra le due guerre mondiali, nacque da una situazione di profonda crisi della civiltà occidentale, gli studiosi del fenomeno tendono sempre più a porre in evidenza le strette connessioni che sussistono tra questo fenomeno e la società che è venuta formandosi con lo sviluppo industriale capitalistico. Pertanto, posto che, dietro la superficie democratico-parlamentare sussistono componenti antidemocratiche, si rileva che, nei momenti di crisi e di tensione sociale esse emergono assumendo forme di tipo fascista. Sulle origini e le cause del f. come processo storico esiste una vasta letteratura che esamina il fenomeno da vari punti di vista: ideologico, politico, sociale, economico, psicologico, ecc. Tuttavia, nonostante la vastità di questa letteratura, la questione dell'interpretazione del f. come fenomeno e processo storico su scala nazionale e internazionale, rimane aperta. A differenza del liberalismo e del comunismo (o socialismo) alla cui base è una complessa filosofia politica, il f., sia nella sua originaria versione italiana che in quella nazista tedesca, si organizzò improvvisamente, senza che sussistesse una precisa dottrina filosofica, associandosi a tutta una serie di problemi politico-sociali che la guerra 1915-18 aveva lasciato dietro di sé. Ciò però non significa che il f. sia nato per germinazione spontanea. Infatti, gli elementi che concorsero alla formazione dell'ideologia fascista esistevano già da tempo, pur non avendo mai fatto parte di un corpo unitario e coerente di pensiero. Si trattava di elementi che da molto tempo erano correnti e che avevano la forza sentimentale propria dei pregiudizi e che, comunque, trovarono un tessuto connettivo particolarmente favorevole al loro attecchimento. Solo nel 1929 Mussolini decise per decreto, che il f. doveva "provvedersi di un complesso dottrinale" e a sostegno del suo nazionalismo e antiliberalismo fu assunta la filosofia politica di Hegel. Sin dal suo apparire e affermarsi in Italia, il f. diede luogo a interpretazioni diverse e tra loro contrastanti. Gran parte delle interpretazioni che costituiscono la tradizione democratica, a cominciare da G. Salvemini e P. Gobetti, si riallacciano al giudizio che del f., dette Giustino Fortunato, secondo cui esso non fu una "rivoluzione" che interrompesse uno sviluppo storico di progresso civile e sociale, bensì una "rivelazione" che, dietro il sottile strato di vernice liberale, mostrava il volto vero dell'Italia, retriva e bigotta, servile e fanfarona, così com'era venuta sviluppandosi sin dai tempi della Controriforma. Pertanto, secondo tale interpretazione, la guerra 1915-18 e le sue conseguenze non avrebbero fatto altro che far cadere la "decorosa facciata" di democraticità, mettendo a nudo un retaggio di miserie e di incapacità secolari, su cui ebbe facile presa il f. Piero Gobetti parlò di "autobiografia della nazione" e comprese nei precedenti del f., oltre alla tradizione politica italiana postrisorgimentale, anche il Risorgimento, interpretato come "rivoluzione fallita", risalendo nei secoli sino alla mancata Riforma protestante. A questa interpretazione del f. come malattia cronica i cui germi risalirebbero alla tradizione politica e alle debolezze ataviche del paese, si contrappone l'interpretazione del f. come "rivoluzione" o "malattia infettiva". Questa interpretazione, oggi del tutto in discredito, faceva capo all'autorevole giudizio di Benedetto Croce, secondo cui il f. era qualcosa di estraneo e di accidentale rispetto al corpo della nazione, ossia come un momento di rottura che all'improvviso spezzava il lento e graduale progresso sociale del Paese. Per Croce, come per la gran parte dei conservatori liberali, la società italiana e la civiltà liberale non covavano nel proprio seno alcun germe fascista e il f. sarebbe nato dalla ventata di irrazionalismo del dopoguerra, simile all'insorgere di una malattia infettiva in un corpo sano. Esso quindi non costituiva nient'altro che una "parentesi" nella storia d'Italia. Quanto all'interpretazione ufficiale da parte dei teorici del regime, il f. fu "movimento di realtà e verità che aderisce alla vita", ossia prassi che precede il pensiero. D'altra parte, non esiste una vera e propria filosofia e dottrina fascista e il f. come movimento trovò le proprie basi d'appoggio soprattutto in una serie di aspirazioni e di "miti". Le interpretazioni più recenti e approfondite tendono a considerare il f. come un fenomeno complesso, in cui confluirono componenti diverse che, pur affondando in parte le proprie radici nella precedente storia italiana, trovarono un punto di convergenza nella crisi del dopoguerra in cui emersero, accanto a elementi di continuità, anche numerosi fattori nuovi, di rottura, rispetto alla storia precedente. Componenti essenziali del f., come processo storico italiano, furono l'esasperazione delle inquietudini del ceto medio, la reazione degli agrari alle lotte delle masse bracciantili, la volontà della grande industria di arrestare la crescita del movimento operaio e di dominare il potere pubblico. è ormai largamente riconosciuto che alcune di tali componenti sono coessenziali al tipo di società capitalistica moderna e che permangono come sedimentazioni sotto la superficie democratica. Pertanto, nel suo significato più ampio ed attuale, il termine f. indica quelle sedimentazioni che tendono a emergere e a manifestarsi con maggiore evidenza nei momenti di crisi e di tensione sociale. Ciò in quanto, nella società contemporanea, coesistono forze contrastanti, democratiche le une, eversive le altre, tra loro in conflitto permanente, così da rendere assai precario l'equilibrio democratico. ● St. - Il f., come movimento politico, nacque a Milano il 23 marzo 1919 per iniziativa di B. Mussolini che, nell'ottobre 1914, aveva fondato i Fasci di azione rivoluzionaria, derivandone il nome dai Fasci siciliani (V.) e nel marzo 1919 aveva dato vita ai Fasci di combattimento, mettendoli a disposizione degli industriali e degli agrari della Valle Padana, con funzione antisocialista e antisindacale. Il movimento fascista nasceva su basi e programmatiche socialisteggianti e contraddittorie, che esprimevano le contraddizioni stesse del ceto medio, ossia un accumulo di risentimenti, su cui prosperò, tra l'altro, il mito della "vittoria mutilata", e una piena disponibilità verso qualsiasi soluzione avventurista. Mussolini seppe approfittare della situazione favorevole e del malcontento diffuso in tutti gli ambienti, in particolare nell'alta e media borghesia che temevano una rivoluzione proletaria, per creare "squadre d'azione" antipopolari. Per quanto mascherato, il f. mostrò con sufficiente chiarezza, sin dal suo nascere, il proprio carattere classista, ma sin alla fine del 1920 rimase una tipica manifestazione del malcontento del ceto medio, senza alcuna incidenza sulle masse (le adesioni proletarie ebbero carattere individuale e isolato). In primo tempo, anzi, era sembrato che neppure i ceti medi rispondessero al richiamo, come dimostrano i risultati delle elezioni del novembre 1919 in cui il movimento fascista ottenne appena quattromila voti. Dopo le elezioni amministrative dell'ottobre 1920 che avevano visto la grande affermazione del Partito Socialista, il movimento fascista si rafforzò rapidamente come espressione dei ceti medi urbani, sviluppando inoltre come nuova componente, quella della reazione agraria, che, dall'Emilia, si diffuse nella bassa Lombardia e nel Veneto. Così, il partito che nelle elezioni del 1919 non era riuscito a eleggere nessun candidato, due anni più tardi presentava liste comuni coi liberali e i democratico-giolittiani, ed entrava in parlamento con trentacinque deputati, capeggiati da B. Mussolini. Nei mesi che precedettero la "marcia su Roma" (28 ottobre 1922) il f. operò da un lato, attraverso una serie di patteggiamenti con le forze politiche tradizionali, dall'altro, intensificò l'azione dello squadrismo, appoggiata da agrari e industriali, tesa a distruggere la struttura sindacale e politica del movimento operaio. Si andarono moltiplicando le adunate fasciste, le "spedizioni punitive" e si ebbero la devastazione e l'incendio di cooperative, case del popolo, camere del lavoro e municipi amministrati dalle sinistre, spesso in aperta collusione con le forze di polizia. In quei mesi è racchiusa la storia della ritirata della vecchia dirigenza liberal-democratica e, contemporaneamente, dell'impotenza della sinistra, incapace di definire un'adeguata strategia di lotta e divisa tra un'ala socialista massimalista, un'ala riformista e un partito comunista appena costituitosi. Assunta la direzione del Governo (28 ottobre 1922) il partito fascista, anziché smobilitare la propria organizzazione squadristica e abbandonare i sistemi di violenza, si servì del potere per affermare la propria volontà egemone, unendo la forza del potere statale alla violenza squadristica, per liquidare ogni opposizione e ogni possibile alternativa politica. Superata la drammatica crisi provocata dall'assassinio di Giacomo Matteotti, l'uomo politico socialista che, in Parlamento, aveva denunciato e documentato i brogli, le violenze e gli assassinii avvenuti durante la preparazione delle elezioni politiche dell'aprile 1924, vinte dal "listone liberal-fascista", il f. sferrò l'ultima offensiva contro l'opposizione che, abbandonata la camera, aveva dato vita al cosidetto Aventino. Sconfitta l'opposizione aventiniana, agli antifascisti non rimase altra via che quella del carcere, del conflitto e della fuga all'estero che doveva dar vita al fenomeno del fuoriscitismo e dell'antifascismo militante. Le ultime libertà democratiche che ancora rimanevano dopo la sconfitta dell'Aventino, furono spazzate via dalle Leggi eccezionali promulgate nel novembre 1926. Furono dichiarati decaduti anche formalmente i deputati dell'opposizione, sciolti i partiti, ad eccezione di quello fascista, abolita la libertà di stampa e soppressi tutti i giornali di opposizione che ancora sopravvivevano. Inoltre, fu istituito il Tribunale speciale e il confino di polizia, e ristabilita la pena di morte. Furono inoltre stabilite gravi sanzioni per coloro che avessero tentato l'espatrio ed entrò in servizio la polizia segreta, l'OVRA. La "rivoluzione" fascista, che Mussolini aveva definito "anti-parlamentare, antidemocratica, anti-liberale" poteva così iniziare quella che presentava come una "nuova era nella storia dell'umanità". Tra il 1926 e il 1934 fu attuata la definitiva trasformazione dello Stato liberale in quello fascista, attraverso la costituzione di un ordine gerarchico di gruppi, ossia dello "Stato corporativo". Nell'aprile 1927 venne approvata dal Gran Consiglio del f. (sorto nell'ottobre 1922 come organo supremo del partito fascista, e divenuto nel dicembre 1928 organo costituzionale dello Stato) la Carta del Lavoro e nel 1930 l'ordinamento corporativo venne esteso all'intera economia, mediante l'istituzione di organi statali rappresentativi di tutti i settori della produzione: Consiglio nazionale delle corporazioni e Comitato corporativo centrale. In tale costruzione si volle immettere anche la Chiesa cattolica, quale elemento-base che ne garantiva la stabilità. Così col Concordato del 1929, la Chiesa riconobbe, dopo sessant'anni dall'occupazione di Roma, lo Stato italiano. Nel marzo 1928 era stato presentato il progetto di riforma elettorale: i candidati venivano designati dal Gran Consiglio del f., sancendo la definitiva consacrazione del regime dittatoriale. Le elezioni svoltesi nel marzo 1929, sulla base della nuova legge, decretarono un'affermazione plebiscitaria del regime che ottenne otto milioni e mezzo di voti a favore, contro 136.198 contrari. Nel maggio 1931 venivano sciolte tutte le organizzazioni che non facevano capo al partito e all'Opera balilla. Nell'ottobre successivo fu imposto il giuramento di fedeltà al regime da parte dei docenti universitari. Avvenuto così l'assorbimento di tutta la vita del paese da parte del regime, nel 1932 fu realizzata la sistemazione teorica del f., con lo scritto La dottrina del fascismo, ufficialmente attribuito a Mussolini, ma di fatto opera del filosofo Giovanni Gentile. Con esso il f. che, secondo le parole dello stesso Mussolini, al suo sorgere, nel 1919, non era stato "tenuto a balia da una dottrina elaborata in precedenza a tavolino", che era nato "da un bisogno di azione e fu azione", e che non era stato "partito, ma, nei primi due anni, anti-partito e movimento", assumeva la nuova veste dello Stato etico derivato dalla filosofia hegeliana e dalla filosofia politica di Gentile: l'uomo realizza se stesso solo nella partecipazione totale allo Stato. L'opera concreta di riforma delle istituzioni fu affidata al giurista Alfredo Rocco, che come ministro guardasigilli dal 1925 al 1932, fu l'artefice della legislazione fascista. Quando sulla debole economia italiana cominciarono a farsi sentire le ripercussioni della crisi mondiale del 1929, fu adottata una serie di provvedimenti tendenti a salvare interi settori economici attraverso l'intervento dello Stato, concretatosi con la costituzione dell'IRI nel gennaio 1933. L'adozione di una politica economica autarchica ebbe l'effetto di cristallizzare lo sviluppo economico del paese, tanto che l'indice della produzione industriale, che tra il 1922 e il 1929, era salito da 100 a 204, rimase stazionario tra il 1929 e il 1934, mentre i salari, tenuto conto dell'aumentato costo della vita, subirono sensibili riduzioni. Nel 1939 venne istituita la Camera dei fasci e delle corporazioni, ultimo anello di una catena che da tempo aveva imbrogliato l'attività sindacale, costringendola in un sistema centralizzato, basato sul sindacalismo di Stato che frenò ogni spinta verso aumenti salariali. La politica estera, trascurata negli anni della costruzione dello Stato fascista, assunse priorità assoluta con l'avventura coloniale in Abissinia (1935-36) avvenuta quando le maggiori potenze coloniali stavano già ponendo le basi per avviare nei paesi da loro occupati un graduale processo di decolonizzazione e con la guerra di Spagna (1936-39) che fu una specie di prova generale della seconda guerra mondiale, nella quale l'Italia fascista intervenne il 10 giugno 1940 a fianco della Germania nazista. Militarmente impreparati, gli Italiani si trovarono subordinati all'alleato tedesco sin dalla campagna di Grecia, mentre il regime entrava repentinamente in crisi, abbandonato a se stesso dagli ambienti imprenditoriali che avevano consentito vent'anni prima a Mussolini di conquistare e di consolidare il potere. Lo sbarco alleato in Sicilia (9 luglio 1943) accelerò il processo di decomposizione del regime. Nella notte tra il 24 e il 25 luglio 1943 avveniva la rivolta di Palazzo che doveva condurre alla destinazione e all'arresto di Mussolini per ordine del Gran Consiglio del f. Mentre il Governo Badoglio si preparava a negoziare la resa, avveniva la ricostituzione dei partiti antifascisti e le masse popolari uscivano dal lungo mutismo, preparandosi alla prova decisiva della Resistenza. Frattanto Mussolini, liberato da un reparto tedesco a Campo Imperatore, tendeva, con l'appoggio dei nazisti, a resuscitare il regime fascista, dando vita il 13 settembre 1943 alla Repubblica Sociale Italiana (o Repubblica di Salò), su basi socialisteggianti, che ricordavano il f. del 1919. La storia della RSI è strettamente saldata a quella del Reich nazista e intessuta di eccidi, stragi, deportazioni verso i campi di sterminio. Numerosi furono i bandi di chiamata alle armi da parte del governo della RSI, ma, nonostante la severità delle pene previste per i renitenti, ben pochi furono i giovani che risposero alla chiamata, preferendo entrare nelle file della Resistenza antifascista.
Benito Mussolini e Adolf Hitler