INTRODUZIONE
Come abbiamo visto nei
capitoli precedenti, il V secolo fu caratterizzato dalla nascita dei primi regni
romano-barbarici in Europa. Fra tutte queste organizzazioni statali, sorte in
seguito all'invasione dell'Impero Romano d'Occidente da parte delle popolazioni
germaniche, si distinse il regno dei Franchi, che più tardi avrebbe
esercitato la propria influenza su tutta l'Europa occidentale.
I Franchi
erano un popolo formato da diverse tribù germaniche (Catti, Sigambri,
Teucteri) ed abitavano, già dal III secolo d.C., nel territorio sulla
sponda destra del Reno. Intorno al 400 d.C. cominciò la lenta
infiltrazione franca nell'Impero Romano; ma a differenza delle altre popolazioni
germaniche, i Franchi, suddivisi in due gruppi principali (i Salii e i
Ripuarii), calarono nel sud Europa molto lentamente e senza abbandonarsi a
saccheggi o a violenze.
L'unificazione del popolo franco fu opera del re
Clodoveo che, durante il suo regno dal 481 al 511, riuscì a riunire le
due tribù dei Salii e dei Ripuarii, fondando così la prima
dinastia franca.
CLODOVEO
La storia dei Franchi nel periodo anteriore al 481
ci è nota solo in parte a causa della mancanza di testimonianze scritte.
Conosciamo solamente alcuni nomi di sovrani, probabilmente leggendari, come
Faramondo, Meroveo, che diede il nome alla dinastia Merovingia, e Childerico,
padre di Clodoveo.
Nel 481, alla morte di Childerico, salì sul trono
dei Franchi Salii il giovane e saggio re Clodoveo. Fin dai primi anni del suo
governo egli si dimostrò una valida guida per il Paese.
Egli
riuscì infatti ad allargare i confini del regno annettendo gran parte
della Francia centrale e meridionale. Nel 486 d.C. proseguì la sua
politica espansionistica penetrando nel territorio romano del generale Siagrio e
occupando parte della Gallia settentrionale tra il corso medio della Loira e la
Somme.
Nel 496 la tribù dei Ripuarii, minacciata dagli Alemanni,
chiese aiuto a re Clodoveo, il quale assalì con il suo esercito il popolo
invasore, infliggendogli una pesante sconfitta nella battaglia di Tolbiac
(l'odierna Zülbich). La sconfitta degli Alemanni permise al regno franco di
estendere ancora una volta i propri confini, che giunsero a comprendere anche la
Svizzera settentrionale.
Dopo la vittoria di Tolbiac, Clodoveo e i suoi
sudditi si convertirono al Cattolicesimo, per opera di San Remigio.
Nel
contesto della storia europea, questa conversione assunse un'importanza
grandissima: la Chiesa romana e le popolazioni latino-cattoliche trovarono
infatti nel popolo dei Franchi un valido alleato contro i soprusi e le violenze
dei popoli germanici.
Nonostante la conversione al cattolicesimo, Clodoveo
proseguì incessantemente la sua politica espansionistica. Nel 500 i
Franchi sconfissero a Digione il popolo dei Burgundi, sottoponendolo all'obbligo
del pagamento di un tributo.
Fra il 507 e il 508 Clodoveo riuscì a
sconfiggere persino il temibile popolo dei Visigoti, conquistando tutti i loro
territori compresi fra la Loira e i Pirenei.
Nel 510 d.C., nella chiesa di
S. Martino a Tours, l'imperatore d'Oriente Anastasio concesse a Clodoveo il
titolo e le insegne del consolato. Questo titolo legittimava il potere del re
dei Franchi agli occhi delle popolazioni romane sottomesse, che consideravano
quindi degli usurpatori gli altri re romanobarbarici.
Ma nel 511, con la
morte di Clodoveo, il regno dei Franchi conobbe un periodo di profonda crisi,
iniziata con la spartizione dello Stato fra i quattro figli del re
scomparso.
L'unità del regno franco creata da Clodoveo andò
così perduta nella seconda metà del secolo, a causa della
concezione patrimoniale e dinastica dello Stato che avevano i sovrani barbarici;
infatti alla loro morte il regno doveva essere diviso fra i figli maschi come se
si trattasse di una comune eredità privata, con tutte le conseguenze che
si possono immaginare. Si trattava senza dubbio di una concezione rozza e
primitiva, che ancora non sapeva cogliere il concetto di continuità dello
Stato al di sopra delle dispute individuali.
I RE «FANNULLONI» E I PIPINIDI
Nonostante le discordie interne, i successori di
Clodoveo riuscirono ad estendere ulteriormente i confini del regno. Nel 531 i
Franchi conquistarono la Settimania togliendola ai Visigoti di Amalarico e, fra
il 523 e il 534, riuscirono, dopo non poche difficoltà, a sottomettere le
popolazioni dei Borgognoni e dei Turingi, allargando il proprio dominio in
Franconia. Ma nonostante queste vittorie, la società franca era ormai in
disfacimento, soprattutto a causa dell'inettitudine degli ultimi re merovingi,
passati alla storia con l'appellativo di re fannulloni.
Dopo aver smembrato
lo Stato in più parti, fra cui l'Austrasia (a nord-est), la Neustria (a
nord-ovest) e la Borgogna (a sud), essi commisero l'errore di assegnare vasti
territori alla nobiltà locale. In realtà i re merovingi attuarono
questa politica per tenere a bada la grande nobiltà, sempre smaniosa di
potere, cercando invece di sfruttare le risorse economiche e finanziarie delle
città del Mezzogiorno affacciate sul Mar Mediterraneo.
Ma quando,
sul finire del VII secolo, l'espansione araba causò il crollo dei
traffici, i sovrani merovingi si ritrovarono completamente esautorati e in
balìa della grande nobiltà. In questa situazione acquistarono
sempre più autorità i maestri di palazzo, o maggiordomi, che in
passato avevano svolto la semplice mansione di ministri ma che ora, in
qualità di rappresentanti della nobiltà latifondista, erano i veri
depositari del potere politico.
Verso la seconda metà del VII secolo
la vita politica francese vide la crescente affermazione di una famiglia di
maggiordomi, destinata a modificare radicalmente il futuro dell'Europa: i
Pipinidi. Il capostipite, Pipino il Vecchio, che era il maggiordomo
dell'Austrasia e possedeva vari terreni nella Lorena e nelle Fiandre,
incominciò con molta saggezza a sostituirsi al sovrano merovingio e ad
acquistare maggiore credibilità ed autorità. La stirpe dei
Pipinidi si consolidò definitivamente con Pipino di Heristal che nel 687,
dopo aver sconfitto gli avversari della Neustria, riunì nelle sue mani
tutte le regioni della Francia. Anche il figlio di Pipino di Heristal, Carlo
Martello, contribuì ad aumentare il prestigio della famiglia grazie alla
famosa vittoria di Poitiers sugli Arabi nel 732.
Carlo Martello in
quell'occasione si rese conto che il suo esercito, formato da uomini liberi che
combattevano a piedi, non era adatto ad uno Stato tanto esteso come quello
franco. La necessità di creare un nuovo organo di difesa spinse
così Carlo Martello ad adottare una serie di provvedimenti molto
radicali. Dopo aver confiscato parte dei territori dello Stato della Chiesa, li
affidò in usufrutto a persone fidate, le quali si impegnarono a creare un
corpo di cavalleria ben addestrato e pronto a prestare il proprio aiuto militare
qualora il maggiordomo lo richiedesse. La creazione di questa nuova
realtà gerarchico-amministrativa gettò le basi definitive per la
nascita e la crescita di quella società feudale che avrebbe
caratterizzato la storia e le società europee sino all'XI secolo. Tutte
queste profonde trasformazioni operate da Carlo Martello furono realizzate con
il tacito assenso dei re merovingi che, esclusi oramai dai processi decisionali,
si limitavano ad esercitare un potere formale. Basti pensare che nel 741, alla
morte di Carlo Martello, da ben quattro anni l'ultimo re merovingio era
scomparso senza che nessuno avvertisse la necessità di eleggere un
successore.
I figli di Carlo Martello, Pipino il Breve e Carlomanno, non
osarono però farsi eleggere re dei Franchi e preferirono chiamare al
trono Childerico III. Ma nel 751, dopo che Carlomanno si era ritirato in
convento, Pipino il Breve rinchiuse in un monastero Childerico III, facendosi
eleggere re dei Franchi da un'assemblea di nobili.
FRANCHI, PAPATO E LONGOBARDI
Nel 751, mentre Pipino il Breve veniva eletto re dei
Franchi, in Italia la situazione politica assumeva toni particolarmente
drammatici.
Re Astolfo, il successore di Liutprando al trono longobardo,
stava conducendo una politica molto spregiudicata e, dopo aver occupato
l'Esarcato e il Ducato di Spoleto, giunse a minacciare la stessa città di
Roma, sede del Papato. Il pontefice Stefano II, succeduto nel 752 a Zaccaria,
decise allora di approfittare dei buoni rapporti fra lo Stato della Chiesa e i
Franchi e chiese a Pipino di intervenire nelle questioni italiche. Il patto di
alleanza fra i due fu stipulato nel gennaio del 754 a Ponthion in Francia:
l'accordo prevedeva che i Franchi avrebbero avuto l'assenso papale alla
conquista dell'Italia longobarda, mentre i territori già bizantini
occupati da Astolfo sarebbero andati alla Chiesa romana. Per suggellare il
patto, il papa Stefano II incoronò Pipino re dei Franchi e gli
conferì il titolo onorifico di patricius Romanorum.
In realtà
Pipino il Breve, pur essendosi legato al Papato, voleva evitare uno scontro
frontale con i Longobardi, poiché questi erano stati alleati di Carlo
Martello contro gli Arabi e perché un'impresa guerresca in Italia avrebbe
potuto trovare l'opposizione della nobiltà latifondista
franca.
Così, nella primavera del 755 dopo aver tentato inutilmente
la via delle trattative con Astolfo, Pipino entrò in Italia e cinse
d'assedio la città di Pavia. Il re longobardo a questo punto chiese la
pace e si impegnò a donare allo Stato della Chiesa tutti i territori
bizantini già occupati. Ma quando Pipino tornò in patria, Astolfo
venne meno ai patti e cinse d'assedio la città di Roma.
Nell'estate
del 756, su invito di papa Stefano II, Pipino il Breve ritornò in Italia
e sconfisse nuovamente i Longobardi, imponendo delle condizioni di pace molto
più dure delle precedenti: Astolfo fu obbligato a pagare
un'indennità di guerra, a consegnare tutti gli ostaggi e ad accettare la
presenza di alcuni presidi franchi con funzioni di controllo. In quest'occasione
lo stesso re dei Franchi donò al Papato tutti quei territori che l'anno
prima Astolfo si era impegnato a consegnare al pontefice; si costituì
così uno Stato della Chiesa sufficientemente ampio e protetto dal governo
franco.
Nello stesso anno il trono del regno longobardo passò da
Astolfo a Desiderio. Quest'ultimo, pur volendo seguire la politica antipapale
impostata dal suo predecessore, si dimostrò molto più saggio e
cauto in campo diplomatico: Desiderio mirava infatti, in un primo tempo, ad
allontanare i Franchi dallo Stato della Chiesa.
L'occasione propizia si
manifestò nel 768 quando, alla morte di Pipino il Breve, il regno franco
passò nelle mani dei due figli, Carlo e Carlomanno. Desiderio
tentò immediatamente di accattivarsi le simpatie dei due futuri sovrani,
dando loro in moglie le proprie figlie, Ermengarda e Gerberga.
Dopo un
breve periodo di pace, i progetti di Desiderio subirono un improvviso
sconvolgimento: nel 771 Carlomanno morì e Carlo divenne sovrano di tutto
il regno franco. Due mesi dopo venne eletto papa l'energico Adriano I e,
contemporaneamente, Carlo ripudiò la moglie Ermengarda, in segno di
rottura con i Longobardi.
Nel 773 Carlo, passato alla storia con il titolo
di Magno (ovvero «il Grande»), scese in Italia e sconfisse i
Longobardi alle Chiuse di Susa, nella Pianura Padana. Desiderio, tradito da
molti duchi, fu costretto a rifugiarsi a Pavia e, dopo un anno d'assedio, ad
arrendersi ai Franchi. Suo figlio Adelchi, sconfitto alla porte di Verona, per
non cadere nelle mani del nemico riparò a Costantinopoli. Il regno dei
Longobardi, protrattosi in Italia per più di due secoli, scomparve
così dalla scena, lasciando il posto alla nuova dominazione
franca.
Nel 774 Carlo Magno si proclamò re dei Franchi e dei
Longobardi, impegnandosi a donare alla Chiesa di Roma una parte dei territori
conquistati. Fra i possedimenti longobardi, Carlo concesse l'indipendenza solo
al Ducato di Spoleto e a quello di Benevento, che svolsero la funzione di
Stati-cuscinetto fra i confini del regno franco e quelli dell'Impero Romano
d'Oriente.
CARLO MAGNO
Questo grande sovrano, durante il suo lunghissimo
regno (dal 771 all'814), dovette affrontare una moltitudine di problemi sia
interni che esterni: la regolamentazione dei rapporti con il Papato, i delicati
contatti diplomatici con l'Impero di Bisanzio, il proseguimento della lotta
antimusulmana in Spagna, le rivolte anti-franchi in Italia, la pressione sui
confini di popoli barbari quali i Sassoni e gli Avari e la riorganizzazione del
vasto regno furono solo i principali campi d'azione di Carlo Magno.
Ma
nonostante la molteplicità dei problemi, Carlo riuscì molto
saggiamente a superare tutti gli scogli: non a caso la letteratura europea
trasse ispirazione dalla sua vita per creare una leggenda epica che, negli anni
a venire, fornì lo spunto ideale alle imprese dei Crociati. A questo
proposito vale la pena di ricordare la celebre Chanson de Roland, che narra
l'epico scontro di Roncisvalle in cui perse la vita il conte paladino Rolando
(Orlando).
Carlo Magno, dopo la vittoria sui Longobardi e il suo rientro in
patria, dovette ritornare in Italia varie volte per reprimere le ripetute
ribellioni. Nel 780 e nel 787 i Franchi, dopo aver sedato la rivolta organizzata
dal duca del Friuli Rotgaudo, combatterono contro il duca di Benevento e altri
duchi delle Venezie, colpevoli di aver cospirato contro il dominio franco. Ma,
contemporaneamente alle vicende italiane, Carlo Magno dovette affrontare altre
imprese in varie parti dei suoi domini: la campagna contro i Sassoni, stanziati
fra il Reno e l'Elba, fu senza dubbio la più difficile: iniziata nel 772
e conclusa nel 797, costò al regno franco una ventina di spedizioni
particolarmente impegnative. Spinto dalla necessità di rendere più
sicure le frontiere del regno, Carlo Magno impose la propria autorità in
tali zone sin dal 772; ma le popolazioni barbaro-pagane, nemiche della
cristianità, diedero vita ad una serie incessante di ribellioni. La
prima, durata dal 777 al 785, fu soffocata dall'esercito franco in modo assai
cruento: a Verden in un solo giorno furono massacrati 4.500 Sassoni. Per evitare
ulteriori sommosse Carlo Magno introdusse la pena di morte per tutti coloro
avessero celebrato altre cerimonie pagane o rifiutato il battesimo cristiano. Ma
gli indomabili Sassoni insorsero nuovamente nel 792 e i Franchi dovettero
compiere altre quattro spedizioni prima di riuscire ad avere la meglio sui
rivoltosi.
Una volta ristabilito l'ordine, Carlo fece deportare intere
tribù di Sassoni e assegnò le terre di quella zona a nobili
franchi, a enti ecclesiastici e a Sassoni dimostratisi fedeli al cattolicesimo.
Il pieno controllo della Sassonia fu stabilito soltanto nel 797 e i
provvedimenti contro i Sassoni furono mitigati. In Europa ebbero altrettanta
importanza gli scontri con i Bavari e gli Avari. La Baviera fu conquistata
abbastanza facilmente nel 778; mentre gli Avari, stanziati lungo il corso medio
del Danubio, riuscirono in un primo tempo a resistere alla forza dell'esercito
franco; tuttavia dopo una lunga serie di aspre battaglie gli Avari furono
completamente sterminati nel 795. Per garantire una maggior sicurezza ai confini
orientali, Carlo Magno creò sui territori degli Avari la «Marca
Orientale» (Osterreich), da cui prese il nome il Ducato d'Austria.
Le
cosiddette marche erano delle unità amministrative governate da un
marchese, che avevano il compito di organizzare al meglio la difesa dello
Stato.
Durante il suo lungo regno, Carlo Magno, in nome del Cristianesimo
di cui era difensore, riprese la politica antimusulmana che era stata inaugurata
anni prima da Carlo Martello. La prima campagna franca contro i califfi
musulmani, che aveva come unico scopo la presa di Saragozza, fallì; anzi
durante la ritirata verso nord, la retroguardia franca fu sorpresa dai Baschi a
Roncisvalle e venne sopraffatta. Fu proprio in questa occasione che morì
il paladino Rolando, che la poesia epica ricorda nella già citata Chanson
de Roland.
Dopo questa sconfitta iniziale, Carlo Magno preparò altre
spedizioni e nel ventennio successivo riuscì a sottrarre lentamente agli
Arabi il territorio spagnolo compreso fra i Pirenei e il fiume Ebro.
Fu
creata così la Marca di Spagna, alla quale si unì il piccolo regno
cristiano delle Asturie, che si dichiarò spontaneamente vassallo di Carlo
Magno.
All'inizio del IX secolo il regno di Carlo Magno assumeva
proporzioni veramente imperiali: i Franchi erano padroni dell'Europa, dall'Ebro
fino all'Elba e dalle coste del Mare del Nord sino all'Italia
centrale.
Nella notte di Natale dell'800, nella basilica di S. Pietro a
Roma, papa Leone III incoronò Carlo Magno imperatore del Sacro Romano
Impero. Con questo gesto il pontefice volle ribadire il proprio appoggio
all'opera dei Franchi.
Ma il delicato rapporto fra potere temporale
dell'imperatore e potere spirituale del pontefice nei secoli successivi avrebbe
portato a contrasti talvolta drammatici.
L'ultima conquista diplomatica di
Carlo Magno fu l'avvicinamento con l'Impero Romano d'Oriente: nell'812 i Franchi
resero la città di Venezia all'imperatore di Bisanzio, il quale riconobbe
definitivamente la realtà del Sacro Romano Impero carolingio. Carlo Magno
morì nell'814, circondato dall'ammirazione e dal rispetto del suo popolo
e di tutto il mondo cristiano dell'epoca.
Carlo Magno in un antico dipinto
IL FEUDALESIMO
Si dice feudalesimo l'ordinamento sociale e
amministrativo riscontrabile in tutta l'Europa occidentale a partire dall'VIII
secolo circa.
Il feudalesimo rimase in vigore per tutto il Medioevo e nei
primi tre secoli dell'Età Moderna, anche se in forme diverse.
Questo
ordinamento, che ridimensionò la vita cittadina e gli scambi commerciali
a vantaggio della grande proprietà terriera, nacque larvatamente
già durante la decadenza dell'Impero Romano d'Occidente, si
sviluppò nella prima metà dell'VIII secolo al tempo di Carlo
Martello ed ebbe la sua definitiva affermazione con il regno di Carlo Magno.
Sull'origine del feudalesimo, le opinioni degli storici sono state e sono ancora
molto divergenti; la tesi oggi più accreditata è quella che
riscontra in questo ordinamento la presenza di elementi romani e di elementi
barbarici, senza dare la preminenza a nessuno di essi.
Il feudalesimo ebbe
la sua origine tra i Franchi ma si diffuse rapidamente in gran parte dei Paesi
europei.
Nel suo periodo di massimo sviluppo il sistema feudale
penetrò nelle società di tutta l'Europa: fu particolarmente
presente in Polonia, nei Paesi baltici, in Ungheria, in Inghilterra, in Spagna e
in Italia.
Nell'XI secolo, con le Crociate, il feudalesimo fu introdotto
anche in oriente.
Ma la culla del sistema feudale rimaneva comunque la
Francia, dove i grandi signori, che già beneficiavano delle maggiori
cariche pubbliche, pretesero e gradatamente ottennero una lunga serie di
privilegi.
Nell'877, con il Capitolare di Kiersy, il sovrano carolingio
Carlo il Calvo riconobbe esplicitamente ai grandi feudatari il diritto di
trasmettere ai figli il feudo in eredità.
Questo scosse il sistema
feudale alle fondamenta: infatti in passato il beneficio non prevedeva il
passaggio di proprietà del terreno ma solamente l'usufrutto. Con
l'ereditarietà del feudo i grandi signori divennero i veri e propri
proprietari dei vasti possedimenti concessi loro dal
sovrano.
L'ereditarietà del beneficio, concessa con il Capitolare di
Kiersy ai grandi signori, venne ben presto estesa anche ai feudi minori (1037).
Erano designati col nome di feudi maggiori quelli ottenuti per investitura
sovrana, mentre minori erano chiamati quelli non concessi dal re o
dall'imperatore, ma derivanti dal frazionamento della proprietà di un
singolo signore. Questo riconoscimento rafforzava in modo definitivo la potenza
dei grandi feudatari nei confronti dell'autorità del sovrano, che
s'indebolì sensibilmente. La crisi del potere centrale era tale che
nell'887, dopo la deposizione dell'ultimo sovrano carolingio, iniziò un
periodo di anarchia feudale che avrebbe caratterizzato le vicende dell'Europa
occidentale sino alla metà del X secolo.
La piramide feudale
Ricostruzione delle principali fasi di evoluzione di un castello
Volo virtuale attorno al castello di Charmes
IL FEUDALESIMO IN ITALIA
Carlo Magno, dopo le ultime rivolte dei duchi
longobardi, creò nei territori italiani numerosi feudi vassallatici regi,
retti da persone di sua fiducia. Questa iniziativa, che aveva come unico scopo
quello di prevenire eventuali rivolte, fu ripresa ed attuata su altri territori
già in possesso dei Longobardi.
Verso la fine dell'VIII secolo si
era definitivamente creata in Italia una gerarchia feudale che vedeva al gradino
più alto i possessori di cariche pubbliche e a quelli più bassi
gli addetti ai servizi domestici della corte. Ma lo sviluppo del feudalesimo non
fu un processo omogeneo su tutto il territorio italiano: mentre infatti le
regioni centro-settentrionali seguirono il modello francese, il Mezzogiorno non
adottò l'ordinamento feudale.
Nell'Italia meridionale il feudalesimo
fu pressoché assente perché in quelle regioni l'Impero Bizantino
fece sempre sentire la propria autorità, non permettendo la nascita di
organismi autonomi. Inoltre l'introduzione del feudalesimo era resa problematica
dalla presenza di numerose città costiere, che erano dedite ad
attività mercantili e commerciali.
Il tipo di feudalesimo introdotto
in Italia ebbe però caratteristiche differenti da quello francese; la
storiografia distingue infatti il feudo longobardo da quello franco.
Le
differenze fondamentali fra i due ordinamenti erano le seguenti: il feudo
longobardo poteva essere venduto alla sola condizione che il compratore si
sottoponesse agli stessi obblighi assunti in precedenza dal venditore, mentre
quello franco era inalienabile (ovvero non commerciabile); il feudo longobardo
inoltre, a differenza di quello franco, era divisibile fra i discendenti maschi
del signore ed era trasmissibile anche alle donne.
Con il Capitolare di
Kiersy, i feudatari francesi acquisirono il diritto di trasmettere il beneficio
al primogenito maschio, ma non ottennero la possibilità di suddividerlo
fra la prole. Le disposizioni del Capitolare di Kiersy erano tuttavia limitate
ai feudi maggiori; i feudi minori diventarono infatti ereditari solamente nel
1037, grazie alla Constitutio de feudis concessa da Corrado II all'aristocrazia
milanese.
Nel 920 il sistema feudale cominciò a penetrare
gradatamente anche nel sud dell'Italia per opera dei Normanni, che fondarono le
prime signorie feudali, dichiarandosi vassalli di duchi longobardi o
dell'imperatore. Il feudo introdotto dai Normanni ebbe le stesse forme e regole
di quello franco.
LA SOCIETÀ FEUDALE
Tra il X e l'XI secolo, il feudalesimo si era ormai
diffuso in vaste regioni dell'Europa. Nati come distretti del regno franco
(contee e marche di confine), i feudi erano guidati dai conti e marchesi di
nomina regia che, teoricamente, agivano come funzionari del sovrano.
In
cambio di tale servizio e di sostegno militare, il re assegnava loro benefici,
cioè territori e talvolta la facoltà di esercitare su di essi
diritti regi, come la riscossione delle imposte, di dazi e pedaggi. Con il
passare del tempo e con la crisi del potere regio, i feudatari usurparono spesso
i diritti goduti dal sovrano e resero ereditari i beni ricevuti temporaneamente
(Capitolare di Kiersy) cosicché il feudalesimo, nato come sistema di
stretto controllo esercitato dal sovrano sui territori conquistati, venne
trasformandosi in strumento di potere dei grandi signori e di crisi della
monarchia. A sua volta, il feudatario stringeva a sé, con vincoli di
dipendenza personale, i membri dell'aristocrazia minore (vassalli, valvassori,
valvassini) per cui la società feudale si trovò ingabbiata in una
struttura gerarchica piramidale al cui vertice si situava formalmente il
sovrano. Alla base stava invece la massa della popolazione dedita
all'agricoltura, divisa in liberi coloni (che coltivavano appezzamenti propri),
affittuari del signore e servi della gleba. Economicamente il feudo, come
già la signoria rurale dell'età tardo romana, era un'entità
che tendeva all'autarchia, cioè alla produzione di tutti i beni per il
consumo interno.
Esso
era diviso in una pars dominica (la «parte del signore»), direttamente
dipendente dal feudatario che la faceva coltivare da propri servi
(ministeriales), e in una pars massaricia, costituita da mansi, appezzamenti
affittati ad una famiglia di coloni che pagava il signore con una parte dei
frutti della terra e con giornate di lavoro non retribuito (corvês) sui
terreni della pars dominica. Al centro di questa sorgevano edifici, come stalle,
forni, mulini e la dimora del signore, in cui egli esercitava funzioni di
giudice per quanto concerneva la «bassa giustizia» (reati contro il
patrimonio, furti ecc.).
Castello feudale
Visita virtuale all’interno dell’abitazione di un alchimista del Medioevo
LA CAVALLERIA
Un'istituzione caratteristica del sistema feudale e
ad esso connessa è quella della cavalleria, che si sviluppò
soprattutto in Francia, dove per legge il feudo era indivisibile e alla morte
del feudatario passava interamente nelle mani del primogenito. I fratelli minori
si venivano così a trovare in una condizione di inferiorità e di
subordinazione: molti di essi cercavano un'affermazione personale nella carriera
ecclesiastica, altri invece si dedicavano alla vita militare, mettendosi al
servizio di un principe. Il termine cavaliere, che prima era utilizzato per
indicare indistintamente un qualsiasi guerriero a cavallo, indicò
successivamente solo questa particolare classe di combattenti. Nei secoli IX e X
essi si dedicarono ad azioni guerresche sporadiche e sempre al servizio del
proprio signore, mentre nell'XI secolo assunsero una caratteristica differente.
In quel secolo la Chiesa, per moderare gli abusi e le violenze tipiche dei
cavalieri, chiese ed ottenne di vincolare a sé la nuova istituzione,
conferendole un significato puramente religioso. I cavalieri divennero
così i soldati di Dio, come testimonia il decalogo a loro imposto. Fra le
varie norme, riteniamo molto significative le seguenti: «proteggerai la
Chiesa; farai guerra ad oltranza agli infedeli; sarai sempre e dovunque il
campione del diritto e del bene contro l'ingiustizia e il male; avrai rispetto
per tutti i deboli che difenderai dai soprusi dei potenti».
La
cavalleria, intesa come guida religiosa e militare, si diffuse soprattutto in
Occidente ed in particolar modo in Francia e in Germania.
Non bisogna
dimenticare l'apporto fondamentale offerto dai cavalieri nell'ambito delle
Crociate. A questo scopo la Chiesa istituì anche alcuni ordini religiosi
cavallereschi, quali i Templari e i Cavalieri di S. Giovanni, che avevano il
compito di difendere con le armi la Terra Santa dagli infedeli.
Ricostruzione virtuale della vestizione di un cavaliere medievale
ARMI DA ASSEDIO MEDIOEVALI
Largamente praticata nell'antichità, l'arte dell'assedio visse un grande sviluppo durante il
Medioevo, le cui tecniche, con poche variazioni, furono applicate fino all'invenzione della
polvere da sparo.
Molte erano le armi e le macchine belliche usate durante un assedio; in base al loro funzionamento possono essere divise in due gruppi principali:
a) le
macchine a torsione, che utilizzano per il loro funzionamento l'energia liberata dal rapido svolgimento di una matassa, di solito una corda, come la catapulta o onagro, e la balista.
b) le
macchine a contrappeso, che utilizzano per il loro funzionamento l'energia prodotta dalla caduta del contrappeso, come il trabucco e il mangano.
LA CATAPULTA
La catapulta era una macchina da guerra che funzionava come una gigantesca fionda in grado di scagliare dardi, massi o altri tipi di proiettili al di sopra di mura, fossati e ostacoli. Le catapulte di dimensioni maggiori erano montate su una piattaforma di legno; si trattava di armi simili a gigantesche balestre, il cui propulsore veniva caricato tirandolo all'indietro per mezzo di funi ed era trattenuto da un gancio di arresto.
Un altro tipo di catapulta sfruttava la torsione di grosse funi per scagliare pesanti massi al di là di mura o di fossati; le funi venivano torte con l'uso di argani. Le catapulte venivano solitamente assemblate sul luogo dell' assedio, e gli eserciti portavano con loro pochi o nessun pezzo di tale macchina, in quanto il legno era solitamente disponibile sul posto. Le prime catapulte apparvero verso la fine dell'era greca e vennero sviluppate maggiormente in epoca romana e nel Medioevo.
Simulazione tridimensionale del funzionamento di una catapulta medievale
LA BALISTA
La balista era un particolare tipo di catapulta in grado di lanciare dardi, giavellotti e grosse pietre sfruttando le forze di torsione di grosse corde. In generale la balista era fatta di legno, con qualche parte costruita o rivestita di metallo; le corde utilizzate come tensori erano ottenute dai tendini di animali. Non permetteva tiri molto precisi. Il suo utilizzo cessò verso l'anno 1000 in seguito agli alti costi necessari per costruirla. Fu inventata dai Greci, fu usata soprattutto dai Romani ed era diffusa in epoca medievale.
Simulazione tridimensionale del funzionamento di una balista
IL TRABUCCO o TRABOCCO
Il trabucco era una macchina d'assedio di grandissime dimensioni. Utilizzato spesso negli assedi, era la più grande arma a tiro indiretto a disposizione degli assedianti. Inventata in Cina tra il V e il III a.C., la macchina giunse in Europa verso il VI sec. d.C.
Era costituito da un enorme braccio di legno posto in posizione molto elevata, su di una struttura di sostegno abbastanza grande e robusta da sostenere la tensione a cui la macchina veniva sottoposta durante il suo impiego. Il braccio era montato su un perno orizzontale nel punto in cui incontrava le struttura di sostegno, in maniera tale che un'estremità del braccio, la più sottile, sia più lunga, robusta e pesante dell'altra. A quest'ultima veniva di solito appesa una cassa o un grande cesto, pieno di macigni o di altro materiale abbastanza pesante da fungere da contrappeso. All'altra estremità del braccio vi era un gancio a cui era fissata una specie di grossa fionda, all'interno della quale era posto il proiettile, di solito un grande masso.
Questa eccezionale macchina d'assedio era in grado di scagliare pesantissimi macigni fino alla considerevole distanza di 300 metri. Pur essendo l'arma di artiglieria medievale più potente dell'epoca, il suo unico difetto era la scarsità di precisione, compensato però dall'enorme potenziale distruttivo.
Simulazione tridimensionale del funzionamento di un trabocco
OTTONE I
L'importanza della figura di Ottone I, re dei
Sassoni, è dovuta alla sua incoronazione a imperatore per opera della
Chiesa Romana, nella persona del papa Giovanni XII.
L'avvicinamento della
Chiesa alla casa di Sassonia, avvenuto ufficialmente nel febbraio del 962,
segnò un nuovo periodo della storia europea. Da questo patto di alleanza
entrambe le parti contavano di trarre gli elementi per rafforzare il proprio
potere: i Sassoni avevano in animo di indebolire l'autonomia dei grandi
feudatari mediante uno stretto rapporto con il papato; mentre la Chiesa,
constatata l'anarchia in cui stavano cadendo i territori un tempo appartenuti al
Sacro Romano Impero, cercava un appoggio temporale in grado di darle maggiori
garanzie di stabilità.
Tuttavia l'accordo stipulato fra Ottone I e
Giovanni XII, il famoso Privilegio Ottoniano, andò tutto a favore del re
sassone che, dopo essersi dichiarato difensore del cattolicesimo, si
arrogò il diritto di intervenire nella scelta dei pontefici e di
influenzarne le scelte politiche. Una volta accortosi di ciò, Giovanni
XII ruppe i suoi rapporti con la casa sassone e Ottone I, prontamente, lo depose
dalla carica papale. Nel 963 il re dei Sassoni fece eleggere al pontificato un
uomo di sua fiducia (il proprio segretario) con il nome di Leone VIII.
Ma
l'attività politica di Ottone I non si limitò certamente a questo:
egli infatti riuscì a restaurare l'organizzazione burocratica del suo
regno, trasformandolo in uno dei più potenti Stati europei
dell'epoca.
Nel 951 a Pavia Ottone I si fece incoronare re d'Italia,
approfittando dell'improvvisa morte di Berengario I e delle dispute fra i molti
pretendenti.
Nel 955 il re sassone sconfisse i Magiari nella battaglia di
Lechfeld, contribuendo a liberare non solo la Germania ma tutta l'Europa dalle
pericolose scorrerie di quel popolo. L'annessione dell'Ungheria ai territori
sassoni portò in breve tempo alla definitiva conversione dei Magiari al
cattolicesimo, avvenuta nel 997 per opera del loro re Stefano il Santo.
A
oriente della Sassonia, Ottone I riuscì a creare nuove marche di confine
quali la Carinzia, la Moissen e la Marca Orientale, e a trasformare i vescovati
di Magdeburgo (962) e di Praga (972) nei centri più importanti dell'est
europeo per la diffusione del cristianesimo.
A partire dal 966 Ottone I
incominciò a guardare con interesse le terre del Mezzogiorno italiano,
giungendo a minacciare la stessa Bari. Nel 972 l'imperatore bizantino Giovanni
Zimisce, timoroso della potenza dei Sassoni, offrì sua figlia in sposa ad
Ottone II, figlio di Ottone I che, con queste nozze, ribadiva le sue aspirazioni
nei riguardi dell'Italia meridionale, senza peraltro che la principessa
bizantina, Teofane, avesse effettivamente portato in dote le terre di cui egli
desiderava impossessarsi.
Prima di concludere questo paragrafo vorremmo far
notare che Ottone I fu incoronato per ben tre volte durante la sua vita. Infatti
era in possesso della corona germanica, ottenuta ad Aquisgrana nel 936, fu
incoronato re d'Italia a Pavia nel 951 e imperatore a Roma nel 962. Dopo la sua
morte, tutti i re germanici aspirarono, oltre alla corona germanica, a quella
del regno d'Italia e a quella imperiale conferita dal Papa.
L'Impero sotto Ottone I
Schema della casa di Sassonia
OTTONE II
Nel 973, dopo la morte di Ottone I, il trono del
regno di Germania passò al figlio Ottone II. Il nuovo sovrano fu subito
occupato nella repressione di una rivolta interna guidata dal duca di Baviera,
al quale si erano alleati i feudatari di Boemia e di Lorena. Nel 978, dopo aver
sedato la ribellione dei nobili germanici, Ottone II dovette affrontare una
minaccia ben più pericolosa: i Francesi di re Lotario, i Danesi dello
Jutland e gli Slavi che aumentarono la pressione lungo i confini
dell'impero.
Anche in Italia la situazione non era delle migliori: la
città di Roma era insorta sotto la guida di Crescenzio, un discendente
della famiglia di Teofilatto, il quale, dopo aver deposto papa Benedetto VI, lo
sostituì con un uomo di sua fiducia.
Nel 980 Ottone II, dopo aver
respinto le minacce di Danesi, Francesi e Slavi, scese in Italia e
ristabilì l'ordine, riportando Benedetto VI sul soglio pontificio e
placando l'aristocrazia romana. Durante gli anni che seguirono Ottone II
poté dedicarsi all'Italia meridionale, già ambita dal padre Ottone
I.
Il Mezzogiorno italiano, terra dei Bizantini, era governato dal
successore di Zimisce, Basilio II, che proprio in quel periodo incominciò
a manifestare il suo disinteresse per quel territorio. Questo atteggiamento
spinse l'emiro musulmano di Sicilia ad intensificare le azioni offensive contro
la Calabria e la Puglia. Per liberare l'Italia dalla minaccia musulmana, Ottone
II preparò tempestivamente una spedizione anti-araba.
Il vasto piano
militare concepito dall'imperatore germanico nel 981 ottenne molti successi: le
forze di Ottone II riuscirono infatti in breve tempo ad occupare le città
di Napoli, Salerno, Bari e Taranto. Ma nel 982 le milizie imperiali vennero
duramente sconfitte nella battaglia di Stilo.
La sconfitta contro i
Musulmani e la completa distruzione dell'esercito portarono Ottone II a
fronteggiare una situazione che appariva ormai compromessa: la Germania era
minacciata dalle invasioni dei Danesi, tra i vescovi-conti e gli abitanti delle
città erano sorti gravi conflitti e la conquista dell'Italia meridionale
appariva ormai come un miraggio lontano. Nel tentativo di impostare un programma
d'azione Ottone II convocò una dieta a Verona, in occasione della quale
nominò suo erede il figlio Ottone, di tre anni, e definì il
progetto di una spedizione contro i Musulmani. Ma nel 983 Ottone II morì,
lasciando incompiuti gran parte dei suoi progetti ed abbandonando la Germania in
mano ad Ottone III che, all'epoca, aveva solo quattro anni.
OTTONE III
Vista la giovane età del nuovo imperatore,
l'impero fu retto, per tredici anni, dalla moglie Teofano e dalla nonna di
Ottone III, Adelaide.
Le due donne dovettero affrontare un'ennesima
ribellione guidata da Enrico di Baviera che, alleatosi con la Polonia e la
Boemia, tentava di ottenere il trono germanico. La vita politica del Paese fu
inoltre sconvolta da una serie di offensive esterne condotte dagli Slavi, che
ritornarono a premere sul confine orientale dell'Elba, e dai Danesi, che
riuscirono addirittura a penetrare nel nord dell'Impero. Nel frattempo Ottone
III veniva educato da Gerberto d'Aurillac e dal monaco Nilo di Rossano, che gli
trasmisero la cultura classica e il concetto di un impero romano-cristiano,
inteso come comunità universale dei popoli cristiani in cui l'imperatore
doveva assumere anche un ruolo religioso.
Nel 986, dopo che le rivolte
interne furono placate e le pressioni esterne respinte, Ottone III assunse la
guida dell'impero. Influenzato dalle idee dei suoi educatori e convinto della
necessità di restaurare l'impero secondo il concetto cristiano, Ottone
III volle stabilire la propria residenza a Roma e pretese di controllare la
politica del papato eleggendo al soglio pontificio lo stesso Gerberto
d'Aurillac, passato agli annali con il nome di Silvestro II (999). Ma i progetti
di Ottone III e di Silvestro II furono duramente osteggiati, in un primo tempo,
dall'aristocrazia romana, che guidata da Giovanni Crescenzo si ribellò
all'imperatore, e in seguito dagli stessi feudatari germanici, che
approfittarono della lontananza di Ottone per insorgere a loro
volta.
L'imperatore riuscì a ristabilire l'ordine facendo ricorso ad
una dura repressione, ma ben presto si rese conto dell'impossibilità di
realizzare i suoi progetti, soprattutto a causa della nascita di nuove forze
locali.
Nel 1001 gli aristocratici romani ripresero il loro movimento di
rivolta, riuscendo a scacciare l'imperatore e il papa dalla capitale e
costringendoli a rifugiarsi a Ravenna.
Nel gennaio del 1002 Ottone III
morì nei pressi del monte Soratte, a pochi chilometri da Roma, mentre si
apprestava a rientrare nella capitale.
Con la morte di Ottone III
svanì anche la possibilità della restaurazione di un impero
romano-cristiano sul modello di quello di Carlo Magno.
ENRICO II DI BAVIERA
La Dieta germanica, per risollevare il Paese
dall'imminente crisi, decise di eleggere un ennesimo discendente della casa di
Sassonia. Non avendo però Ottone III lasciato eredi, il titolo fu
affidato ad un suo lontano cugino, Enrico II di Baviera, figlio di quell'Enrico
che più volte si era opposto al potere imperiale degli Ottoni.
Il
nuovo imperatore si dedicò attivamente alla riorganizzazione del regno
germanico, lasciando l'Italia in preda all'anarchia. L'impero, gravemente
compromesso dall'invasione slava nel nord, fu impegnato a fondo a bloccare le
mire espansionistiche del re di Polonia, Boleslao il Valente, che mirava alla
conquista della Boemia e delle marche slave sull'Elba. La guerra fra l'Impero
Germanico e la Polonia durò dal 1002 al 1018 e impegnò
intensamente Enrico II, che nei momenti di pausa riuscì a dedicarsi anche
alle questioni italiane. La pace del 1018 andò a sfavore di Enrico II,
che fu costretto a riconoscere a Boleslao il titolo regale. In Italia l'assenza
dell'imperatore determinò una serie di rivolte molto importanti: a Roma
il papato fu sottomesso per più di trent'anni al dominio dei Conti di
Tuscolo e, alla morte di Ottone III, i grandi feudatari del nord elessero re
d'Italia il marchese Arduino d'Ivrea.
Egli si fece portavoce della grande
aristocrazia italiana contro la feudalità ecclesiastica; durante il suo
breve regno si dimostrò grande nemico del papato e, dopo aver ucciso il
vescovo di Vercelli, si impegnò attivamente a combattere i vari soprusi
dovuti ad ecclesiastici.
Preoccupato dalla difficile situazione, il papa
si affrettò a richiedere aiuto ad Enrico II il quale, dopo aver
attraversato le Alpi, si fece eleggere re d'Italia dall'arcivescovo di Milano
nel 1004. In quell'occasione la popolazione di Pavia, anziché festeggiare
l'avvenimento, manifestò il proprio disappunto e cercò di dare
alle fiamme lo stesso palazzo regio. La sommossa di Pavia fu duramente punita da
Enrico II, che però dovette ben presto ritornare in Germania a causa
della guerra contro la Polonia.
Quando Enrico II lasciò l'Italia,
Arduino d'Ivrea assunse nuovamente il potere e lo detenne per circa dieci anni.
Nel 1014 l'imperatore germanico tornò nuovamente in Italia e, dopo aver
raggiunto la città di Roma, si fece incoronare imperatore da papa
Benedetto VIII.
L'anno seguente, quando l'imperatore tornò per
l'ennesima volta in patria, Arduino d'Ivrea, dopo un vano tentativo di
recuperare il potere, decise di abbandonare la lotta e si rinchiuse nel
monastero di Fruttuaria, dove morì l'anno successivo.
Nel 1019
Enrico II ritornò per l'ennesima volta in Italia, con l'intento di
occupare il vuoto di potere lasciato nel meridione dall'Impero Bizantino. La
spedizione, partita nel 1021, non ottenne il successo sperato dall'imperatore,
il quale fu costretto a ritornare in Germania, dove venne aspramente
criticato.
Enrico II di Baviera morì nel 1024 e con lui si estinse
la casa di Sassonia. In quell'occasione la popolazione di Pavia insorse una
seconda volta e, quasi a simboleggiare la caduta dei Sassoni, distrusse
completamente il palazzo imperiale, già incendiato nel 1004.
È da
segnalare in questo periodo il risveglio economico delle città italiane
che tendono ad organizzarsi politicamente, aspirando a conseguire l'autonomia
dal potere imperiale e pontificio.
Oltre alla famosa sommossa di Pavia del
1004, contro Enrico II, possiamo ricordare quella del 1009 della città di
Bari contro i dominatori bizantini ed infine quella di Roma del 1014, avvenuta
subito dopo l'incoronazione imperiale del re tedesco. Sull'esempio di queste
città, le popolazioni italiche riuscirono a realizzare progetti anche
più impegnativi, senza ricorrere a nessun aiuto esterno: Pisa e Genova,
pur essendo inquadrate nel regno feudale d'Italia, fra il 1015 e il 1022
attaccarono di propria iniziativa gli Arabi in Sardegna e, dopo sette anni di
scontri, riuscirono a strappare l'isola ai musulmani. Anche nell'Italia
meridionale queste manifestazioni di vitalità cittadina incominciarono a
farsi sentire sempre più massicciamente, soprattutto per opera delle
città marinare di Napoli, Amalfi e Gaeta.
CORRADO II IL SALICO
Alla morte di Enrico II, ultimo discendente della
casa di Sassonia, i feudatari germanici elessero re Corrado II il Salico della
casa di Franconia il quale, come prevedeva la tradizione, ottenne anche la
corona d'Italia (nel 1026) e quella imperiale (nel 1027). Appena salito al
trono, Corrado II si rese conto dell'impossibilità di proseguire nella
politica dei suoi predecessori che, come abbiamo visto, avevano cercato di
contrapporre la feudalità laica a quella ecclesiastica. Quest'ultima
infatti aveva ormai raggiunto una potenza tale da poter sfidare la stessa
autorità imperiale.
Di fronte a questo pericolo Corrado II, che fino
ad allora aveva mantenuto buoni rapporti con il clero, decise di cambiare
atteggiamento e si scontrò con la grande feudalità ecclesiastica e
in particolar modo con Ariberto d'Intimiano, arcivescovo di Milano.
Quest'ultimo, appoggiandosi ai ceti comunali emergenti, dimostrò il suo
sdegno verso la politica imperiale, allontanando da Milano i vassalli di Corrado
II.
La reazione dell'imperatore germanico non si fece attendere a lungo e,
nel 1036, egli scese in Lombardia e convocò una Dieta a Pavia. Ariberto
d'Intimiano, che aveva rifiutato di parteciparvi, fu arrestato ma riuscì
a fuggire e si rifugiò in Milano dove tutto il popolo era con
lui.
Corrado tentò inutilmente di prendere d'assalto la
città, quindi, visti vani i suoi sforzi, cercò di accattivarsi le
simpatie dei feudatari minori, emettendo nel 1037 la famosa Constitutio de
feudis. Essa rendeva lecita l'ereditarietà dei feudi minori sulla base di
quanto era già stato concesso ai feudatari maggiori con il Capitolare di
Kiersy dell'877. Il suo gesto però non ebbe il risultato sperato e, dopo
essersi recato a Roma nel tentativo di stringere un'inaccettabile alleanza con
il papa, tornò in Germania, dove morì nel 1039.
La
Constitutio de feudis ebbe una grande importanza per le delibere che conteneva:
essa infatti prediceva: «se un valvassore, sia dei maggiori che dei minori,
se ne andasse da questo mondo, il figlio suo abbia il feudo»; ed inoltre
concedeva la possibilità di appello, direttamente al sovrano, ai piccoli
feudatari.
Queste concessioni ai piccoli feudatari provocarono il vero e
proprio disfacimento della società feudale, mettendo in crisi le
gerarchie del feudo. I vassalli minori divennero così una classe
antagonista dei grandi signori, pronta ad allearsi con le forze cittadine
emergenti.
Ma il processo di decadimento della società feudale non
è unicamente attribuibile all'antagonismo fra grandi e piccoli feudatari;
proprio in quegli anni stavano nascendo parecchie forze nuove che si
dimostrarono capaci di grandi imprese.
Oltre ai ceti mercantili cittadini,
che con l'episodio di Milano dimostrarono ancora una volta il loro vigore, altre
forze sociali incominciarono a farsi sentire: i ministeriales e i cavalieri. I
ministeriali erano dei servi particolarmente capaci che, con la loro opera
all'interno del feudo, avevano conquistato la posizione di liberi cittadini.
Invece i cavalieri, di cui abbiamo già parlato nei capitoli precedenti,
erano i secondogeniti delle grandi famiglie feudali che a causa
dell'indivisibilità del feudo erano costretti a praticare la vita
militare. Essi, che in un primo tempo avevano costituito un vero e proprio
pericolo con le loro scorrerie, divennero mediante l'intervento del papato una
specie di esercito religioso, con il compito di divulgare il cristianesimo e
combattere gli infedeli.
Genealogia della Casa di Franconia
LA RIFORMA RELIGIOSA
Intorno al 1040 il mondo religioso europeo visse un
momento di crisi dovuto all'emergere, in seno alla Chiesa, di un movimento di
riforma. Questo movimento, che ebbe origine nel monastero di Cluny, si
impegnò a condannare gli aspetti deteriori della vita della Chiesa, quali
erano ad esempio la simonia (ovvero la vendita di beni e cariche ecclesiastiche)
e il concubinaggio dei preti. Il monastero di Cluny fu fondato nel 910 per
iniziativa di Guglielmo, duca d'Aquitania, e dell'abate Bernone ed ebbe una
caratteristica molto importante: il terreno su cui sorgeva era stato donato dal
duca direttamente al pontefice, ed era perciò libero da ogni dipendenza
dalla feudalità locale o dall'ordine vescovile di Aquitania. Questo
convento, ispirato all'opera di San Benedetto, seguì un cristianesimo
puro fatto di povertà, di dedizione e di sacrificio e si impegnò
attivamente nella lotta contro il clero romano licenzioso e assetato di
potere.
Enrico III, che nel 1039 succedette al padre Corrado II, decise di
appoggiare il movimento cluniacense con l'intento di rinnovare la Chiesa.
A
Roma nel frattempo il Papato era completamente nelle mani della nobiltà
romana che giunse persino ad eleggere un papa di dodici anni con il nome di
Benedetto IX.
Enrico III scese in Italia nel 1046 deciso a porre fine allo
scandalo e a Roma trovò addirittura tre diversi rivali che si
contendevano il titolo papale. In regola con il Privilegio Ottoniano, il re
tedesco elesse all'alta carica il vescovo di Bamberga, Clemente II, uomo di
indubbia fede e suo fidatissimo amico. Con Clemente II ebbe inizio una lunga
serie di papi di origine tedesca che, per oltre un decennio, si susseguirono per
volontà dell'imperatore.
Enrico III inoltre, per ovviare agli
inconvenienti provocati dal padre con la Constitutio de Feudis, si
appoggiò all'alta aristocrazia tedesca, con la quale vinse le guerre
contro i Polacchi e gli Ungheresi. Nel 1056, gli succedette il figlioletto
Enrico IV, di soli sei anni, che venne affidato alla tutela della madre Agnese,
nominata reggente.
Di questa situazione approfittarono i riformatori che
riuscirono a far eleggere un papa di loro fiducia: Niccolò II.
I
cattolici riformatori, ispirati e guidati dal monaco Ildebrando de Soana e da
Pier Damiani, nell'aprile del 1059 indissero un concilio in S. Giovanni in
Laterano. In questa occasione vennero stabilite in modo univoco le
modalità per l'elezione del pontefice che, da quel momento in avanti, fu
affidata ai «cardinali vescovi» (ovvero ai vescovi delle principali
Chiese) e ai «cardinali preti» (cioè i preti di
Roma).
Grazie a questa importante delibera, il papato, che nel frattempo
aveva stipulato un'alleanza con i Normanni a Melfi, si liberò
dell'ingombrante ingerenza dei sovrani tedeschi negli affari privati della
Chiesa.
Grazie all'opera dei riformatori, la figura del pontefice
tornò ad assumere la sua importanza e il suo significato.
La nuova
strada intrapresa dalla Chiesa di Roma fu confermata ulteriormente quando, nel
1073, fu eletto al soglio pontificio lo stesso Ildebrando de Soana, con il nome
di Gregorio VII.
Ricostruzione virtuale del cantiere di una cattedrale romanica
Ricostruzione virtuale del cantiere di una cattedrale gotica
PICCOLO LESSICO
CAPITOLARE DI KIERSY
Documento emanato
dall'imperatore Carlo il Calvo nel giugno 882 all'assemblea di Kiersy, che
legittimava l'ereditarietà dei feudi maggiori.
CAVALLERIA
Istituzione della vita politica del tardo medioevo,
intimamente legata al feudalesimo e caratterizzata da uno spirito
corporativistico che, in quell'epoca, legava un individuo all'altro nel vincolo
della stessa condizione sociale. Il cavaliere medioevale è prima di tutto
un miles: la milizia costituisce l'essenza della sua vita e la cerimonia che ad
essa l'ha aggregato con i momenti diversi del rito (colpo di piatto della spada
o della mano dell'investitore sulla spalla del candidato, benedizione della
spada, vestizione delle armi) gliene ricorderà sia la natura sia i
diritti e doveri. Il cavaliere oltre che miles è anche vassallo, legato a
un signore il quale gli fornisce i mezzi di sussistenza e tutto il necessario
per armarsi in cambio della fidelitas, che lo lega a lui e ne fa un suo uomo. In
questa rigida struttura sociale non vi è posto per il «cavaliere
errante» che agisce al di fuori e contro il contesto sociale del suo tempo,
e che vive solo nei testi delle chansons de geste e dei romans in lingua d'oc e
d'oil.
PERSONAGGI CELEBRI
CARLO MARTELLO
(685-741). Principe franco
e maggiordomo sotto gli ultimi Merovingi.
Nato da Pipino di Héristal
e da una sua concubina, fu imprigionato alla morte del padre dalla vedova di
Pipino, Plectrude. Evaso nel 715, dopo un anno, fomentò una rivolta
contro Plectrude, vinta nel 717. Dopo varie conquiste territoriali, pose sul
trono Teodorico IV, ma in effetti regnò in vece sua.
Subentrò
al re nel 737 e diede avvio ad una vasta politica d'espansione. Nel 732
riuscì a frenare l'avanzata musulmana e tra il 733 e il 736 sottomise la
Borgogna e la Provenza. Secolarizzò i beni della Chiesa per mantenere
l'esercito. Nel 741 regolò la propria successione tra i figli Carlomanno
e Pipino.
CARLO MAGNO
(742-814). Durante il suo regno (dal 771 all'814)
si dimostrò un valido combattente e un abilissimo uomo politico. Sotto la
sua guida il regno dei Franchi ottenne numerose vittorie ed estese notevolmente
i propri confini. Carlo Magno fu incoronato imperatore la notte di Natale
dell'800 da papa Leone III.
RIASSUNTO CRONOLOGICO
481: Clodoveo sale al
trono.
507: I Franchi sconfiggono i Visigoti.
511: Morte
di Clodoveo e divisione del regno fra i quattro figli.
732: Carlo
Martello ferma gli Arabi a Poitiers.
751: Pipino il Breve è il
nuovo re franco.
754: Pipino il Breve e papa Stefano II si incontrano
a Ponthion.
756: Prime vittorie franche sui
Longobardi.
771: Carlo Magno sale al trono dei
Franchi.
774: Carlo conquista Pavia e decreta la fine del regno
longobardo.
800: Carlo Magno viene incoronato imperatore.
814: Muore Carlo Magno.
877: Carlo il Calvo rende noto il
Capitolare di Kiersy.
887: Carlo il Grosso viene deposto e incomincia
un periodo di anarchia feudale.
936: Ottone I sale al trono
dell'Impero Germanico.
951: A Pavia Ottone I diviene re
d'Italia.
955: Con la vittoria di Lechfeld Ottone I batte gli
Ungheresi.
962: Ottone I incoronato imperatore.
973: Muore
Ottone I e gli succede Ottone II.
982: Ottone II viene sconfitto
dagli Arabi a Stilo.
983: Dopo la morte di Ottone II il titolo passa
a Ottone III.
1002: Enrico II succede a Ottone III e
contemporaneamente Arduino d'Ivrea viene incoronato re
d'Italia.
1002-1018: Guerra Franco-polacca.
1004: Enrico
II si fa incoronare re d'Italia mentre Pavia si ribella.
1014: Enrico
II viene incoronato imperatore, suscitando una ribellione a
Roma.
1015: Muore Arduino d'Ivrea.
1024: Morte di Enrico
II e ribellione di Pavia. La corona passa a Corrado II.
1037: Corrado
II emana la Constitutio de Feudis.
1039: Muore Corrado II e sale al
trono Enrico III.
1046: Enrico III viene eletto
imperatore.
1056: Enrico IV succede ad Enrico III.
1059:
Viene riunito il Concilio di S. Giovanni in Laterano.
1073: Il monaco
Ildebrando de Soana viene nominato papa con il nome di Gregorio
VII.