Filosofi appartenenti a una delle scuole socratiche "minori"
(comprendenti anche
cirenaici e
megarici), in rapporto alla
"maggiore" rappresentata da Platone. La radice del termine corrisponde a quella
greca di
cane, nome che questi filosofi si onoravano di portare
poiché esaltavano la vita secondo natura, simile a quella degli animali.
È però più probabile che la denominazione originaria fosse
dovuta al fatto che i seguaci di questa scuola filosofica si riunivano nel
ginnasio di Cinosarge. Uomini di vita molto austera, i
c. andavano
predicando di città in città la rinuncia ai beni terreni, agli
onori, alla fama, alla ricchezza, ai piaceri, considerando come la maggiore
follia umana la ricerca del godimento fisico. Al filosofo tedesco E. Zeller si
deve la definizione, divenuta poi famosa, di "cappuccini dell'antichità"
per il loro modo di vita che, del resto, è simile a quello di varie sette
di monaci mendicanti presenti in tutte le epoche e civiltà. Fondatore
della scuola fu Antistene di Atene (444-365 a.C.). La sua condizione di figlio
di una schiava tracia influì indubbiamente sul suo indirizzo filosofico,
fortemente polemico contro ogni istituzione sociale. Egli precorre in certi temi
lo stesso messaggio cristiano, come testimonia la somiglianza tra la risposta
data da Antistene a chi gli rimproverava di frequentare gente scellerata: "anche
i medici stanno con i malati" e l'affermazione di un di Cristo "non i sani hanno
bisogno del medico, ma i malati". Il più noto dei filosofi cinici
è indubbiamente Diogene di Sinope (IV sec. a.C.) divenuto il simbolo
dello stesso cinismo, e che più tardi i greci dovevano contrapporre, in
quanto "uomo di natura" ad Alessandro il Grande, "costruttore di
civiltà". Per dimostrare l'artificiosità e l'inutilità di
quelli che vengono considerati bisogni umani, egli vive in una botte e getta via
anche la ciotola che gli serve per bere quando impara da un bambino che è
sufficiente servirsi del cavo della mano. Si ricordano poi Ipparchia, già
nobile e ricca che, conquistata dalla filosofia cinica, abbandonò ogni
ricchezza e privilegio sociale per sposare Cratete di Tebe che, a sua volta,
aveva abbandonato ogni sua sostanza per aderire alla dottrina di Diogene, di cui
divenne apologeta. Tra i pensatori più noti che si richiamarono
successivamente al cinismo, si ricordano: Bione di Boristene (III sec. a.C.) che
inaugurò la tradizione delle
diatribe c.-stoiche, assorbendo anche
temi della dottrina cirenaica; Menippo (III sec. a.C.), noto soprattutto per il
particolare genere di satira che da lui prese il nome di
menippea; Telete
(III sec. a.C.), seguace di Bione nella diatriba
c.-stoica; Demetrio (I
sec. d.C.) vissuto a Roma e condannato da Vespasiano alla
relegatio in
insulam per la sua propaganda ostile alla monarchia imperiale; Enomao di
Gadara (II sec. d.C.), che polemizzò contro alcune dottrine stoiche,
esaltando il libero volere dell'uomo; Peregrino (II sec. d.C.), più noto
come Proteo, che aderì al cinismo dopo essersi staccato da una
comunità cristiana; egli è particolarmente noto per la sua fine:
durante le feste olimpiche dell'anno 165 si costruì un rogo e vi
salì, dopo aver salutato il sole sorgente; Dione Crisostomo (30-117
d.C.), oratore di grande talento (e perciò detto Crisostomo ossia "bocca
d'oro"), vagò tenendo prediche morali ricche di erudizione più che
di originalità. Il maggior numero di notizie sui filosofi
c. ci
sono pervenute attraverso gli scritti di Diogene Laerzio (III sec. d.C.), autore
di una raccolta di vite dei più illustri filosofi greci. Attraverso tali
notizie è stato possibile rintracciare le linee fondamentali della
filosofia
c., che si distingue soprattutto per la carica fortemente
polemica e rivoluzionaria. Gli elementi costitutivi dell'etica
c. sono
infatti i seguenti: fratellanza umana; amicizia per i vinti e per i reietti;
condanna della schiavitù; negazione di ogni distinzione sociale e
nazionale; esaltazione della povertà; lotta contro le passioni che
rendono gli uomini schiavi; ribellione alla sessualità; disprezzo della
fama e della gloria; condanna dei bisogni artificiali e inutili; difesa del
valore supremo della libertà e dell'autarchia, ossia della serena
felicità dell'uomo che sa bastare a se stesso e in se stesso trovare le
proprie ragioni di vita. A cominciare dal secolo scorso il cinismo è
stato considerato come la filosofia del "proletariato" greco e ciò
corrisponde al vero se s'intende che tale dottrina proponeva un tipo di
società diversamente strutturata rispetto a quella dominante; una
società che, se attuata, avrebbe favorito quegli strati sociali costretti
a sopportare i pesi più gravi di una civiltà fatta per essere
goduta da altri, ossia dalle classi privilegiate. La filosofia
c.
è andata incontro sin dall'inizio a interpretazioni distorte, tanto da
far assumere al termine il significato spregiativo che tuttora conserva
(V. CINISMO).
Così, per esempio, ideali come quelli dell'
autosufficienza e del
dominio di sé sono stati interpretati come ideali di
indifferenza. Inoltre, si è per lungo tempo identificato l'ideale
etico
c. con quello di uno stato inattivo e contemplativo, quando invece
esso faceva coincidere la virtù con l'azione: "la virtù consiste
nelle opere e non ha bisogno di molta scienza e di molti discorsi".