Piccolo cuscino, in genere. ║ In particolare,
minuscolo cuscino utilizzato come puntaspilli, o nelle imbottiture, oppure per i
timbri (imbevuto di uno speciale inchiostro). ║ Rigonfiamento di
consistenza soffice (ad esempio,
c. di grasso, ecc.). ║ In diverse
tecnologie, strato più sottile inserito tra due altri di materiali
diversi. ║ Per estens. - Nel linguaggio politico e giuridico, detto di
zona, Stato o formazione politica che, situato tra due più grandi, assume
a livello più o meno ufficiale la funzione di evitarne il contatto,
attutendone i possibili urti. ● Cuc. - Preparato gastronomico di varia
natura, costituito in genere da un doppio strato di pasta o pasta sfoglia,
imbottito di prosciutto, formaggio, ecc. Solitamente viene dorato e fritto.
● Anat. e Med. - Riferito a strutture anatomiche e a formazioni
patologiche sporgenti e circoscritte. ║ Sacchetti imbottiti, di forme e
dimensioni variabili, usati per attutire la compressione esercitata da alcuni
apparecchi di protesi. ● Arch. - Faccia laterale del classico capitello
ionico. ║ Pietra estrema di un piliere o di un piedritto d'arco, la cui
superficie inclinata può accogliere agevolmente l'imposta dell'arco.
║ Ultima pietra a faccia obliqua che riceve il primo concio di un
piedritto. ● Econ. -
Scorte c.: scorte di materia prima e altri
prodotti vari che, durante periodi di eccedenza della produzione vengono
accumulate, per essere poi rivendute nei periodi di scarsità
dell'offerta; in tal modo si cerca di attenuare le fluttuazioni dei prezzi sul
mercato. ● Elettr. -
C. magnetico: particolare sistema di
sospensione di un albero rotante che, al posto dei classici
c. a sfere,
utilizza dei campi magnetici allo scopo di evitare ogni tipo di contatto tra
l'albero rotante e i supporti dello statore. ● Ferr. -
C. della
boccola: pezzo di bronzo o di ghisa, rivestito di metallo antifrizione, che
ha lo scopo di trasmettere il peso del veicolo dalla boccola al fuso dell'asse
del veicolo stesso. ║ Denominazione impropria per
supporto. ●
Geogr. fis. -
Suolo a c.: terreno caratterizzato da ingobbature ricoperte
dall'erba. ● Ind. estratt. -
C. di grasso:
c. portante
costituito da una camera piena di grasso situata all'estremità di ciascun
asse dei vagoncini da miniera. ● Mar. - In genere, nome attribuito alle
difese di ogni tipo e forma (formate di corde, paglietti e tele imbottite), allo
scopo di proteggere cavi e attrezzi dallo sfregamento. ║
C. di
banco: ciascuno dei supporti metallici di una macchina motrice marina.
║
C. di spinta: supporto della linea d'asse di una nave situato tra
l'albero motore e l'asse dell'elica, che trasmette la spinta dell'elica allo
scafo e, quindi, alla nave stessa. ● Tecn. - In legatoria, nei lavori di
oreficeria, oggetto in pelle di vitello, imbottito di pelo di capra e di forma
rettangolare, sopra cui il legatore taglia i fili dorati nel corso della
doratura dei libri. ● Zool. -
C. plantari o
palmari: nei
mammiferi plantigradi e digitigradi, ispessimenti della pelle (in particolare,
dello strato corneo e del derma) posti sulla pianta del piede, sul palmo della
mano e alle estremità delle dita. ║
C. oculare:
caratteristico tessuto adiposo che, aderendovi, protegge la parte posteriore
dell'occhio; è interposto tra i muscoli oculari e viene ricoperto dalla
guaina fibrosa dell'occhio. ● Mecc. - Organo presente in vari tipi di
macchine che insieme con un
perno cilindrico forma un accoppiamento
rotoidale. Esso appartiene, dunque, all'organo di accoppiamento che permette di
accoppiare una parte fissa con una parte in moto rotatorio o, comunque, due
parti fra di loro in moto relativo rotatorio. Lo scopo del
c. è,
in generale, quello di ridurre al minimo l'attrito di un simile accoppiamento:
per questo motivo esso costituisce un importantissimo organo nelle macchine che
lo utilizzano. Ciò ha favorito la ricerca e la costruzione di
c.
assai sofisticati, sia dal punto di vista della costruzione sia da quello dei
materiali impiegati. Un notevole passo avanti è stato compiuto con la
sostituzione dell'attrito
radente con attrito
volvente che, a
parità di altre condizioni, comporta sempre una minor perdita di lavoro.
Il tipo più semplice di
c. si ottiene praticando un foro in un
blocco di materiale o in una lamiera abbastanza spessa; in esso si infila il
perno che deve avere un diametro leggermente inferiore a quello del foro. Questo
c. è stato usato dall'uomo fin dall'invenzione della ruota e ha
subito scarsi miglioramenti durante molti secoli (alcuni casi innovatori
rimasero senza seguito). Il ritrovamento a Madrid, nel 1967, del
Codice
Madrileno I di Leonardo da Vinci (scritto quasi sicuramente fra il 1493 ed
il 1497) prova senza possibilità di dubbio che già a quei tempi
era in uso in Germania un sistema per ridurre l'attrito dei perni, sostituendo
l'attrito radente con attrito volvente: questo sistema fu perfezionato da
Leonardo e divenne di uso quasi universale come supporto per campane. In
più lo scienziato italiano lasciò parecchi disegni di
c. a
sfere e a rulli, perfettamente uguali, come principio, a quelli che vennero poi
introdotti all'inizio del XX sec. Per diminuire l'usura e la quantità di
lubrificante necessaria alla riduzione dell'attrito, egli ideò inoltre
l'uso dei metalli antifrizione (introdotti almeno due secoli dopo); uno di
questi poteva essere preparato, ad esempio, mescolando tre parti di rame e sette
parti di stagno e fondendo il tutto. ║
Classificazione: i
c.
possono essere classificati in vari tipi, secondo diversi fattori. Vengono qui
riportate le principali suddivisioni. Secondo il tipo di attrito prevalente, si
distinguono in:
c. a strisciamento e
c. a rotolamento. Nei primi
è prevalente l'attrito radente, mentre nei secondi è prevalente
l'attrito volvente. Secondo il carico, si possono distinguere: a)
c.
portanti o semplicemente
c.; b)
c. spingenti o
spalleggiamenti o
reggispinta. I
c. portanti sono destinati
a sopportare un carico normale all'asse del perno, cioè normale al loro
asse di simmetria radiale. I
c. spingenti sono adatti a sopportare un
carico diretto secondo l'asse del perno, cioè secondo il loro asse di
simmetria radiale. Non è escluso che un
c. sia costruito per
sopportare carichi di entrambi i generi (cioè, sia portante sia
spingente). Secondo la disposizione, si distinguono ancora in: a)
c.
rigidi; b)
c. oscillanti. I
c. rigidi non ammettono
deviazioni, se non minime, dell'asse del perno dalla sua posizione teorica; i
c. oscillanti permettono all'asse del perno deviazioni anche rilevanti
dalla sua posizione teorica. Secondo la lubrificazione, si distinguono: a)
c.
lubrificati; b)
c. a secco o
autolubrificanti. I primi
richiedono la presenza di un opportuno agente lubrificante, per un corretto
funzionamento; gli altri non lo richiedono, in quanto sono costruiti con
materiali impregnati all'origine di lubrificanti o dotati essi stessi di
proprietà lubrificanti. Ognuno di questi tipi può, poi, essere
ulteriormente suddiviso. Inoltre, uno stesso
c. può essere oggetto
di tutte queste classificazioni, dato che sono tracciate in base a fattori
diversi. ║
C. a strisciamento: sono costituiti da un blocco di
materiale in cui si ricava una sede cilindrica nella quale passa il perno. Fra
il diametro interno del
c. e il diametro del perno deve esistere
un'opportuna relazione: naturalmente il primo deve essere un po' maggiore del
secondo, ma se questa differenza è eccessiva si ha un cattivo
funzionamento. Il
c., nella maggior parte dei casi, è costituito
da due pezzi, tenuti insieme da viti o bulloni, per facilitarne il montaggio. Il
perno oppure il
c. sono rivestiti, nella parte su cui avviene il contatto
strisciante, da una lega opportuna, detta metallo antifrizione o metallo bianco
(in generale si tratta di leghe complesse di stagno, piombo, antimonio, rame,
ecc.). È buona norma rivestire con metallo antifrizione la superficie che
resta fissa rispetto al carico trasmesso; questa può appartenere sia al
c. (caso più comune) sia al perno. I
c. con metallo
riportato prendono anche il nome improprio di
bronzine. In generale, se
una superficie di strisciamento è rivestita con metallo antifrizione, la
superficie coniugata (cioè l'altra superficie su cui avviene lo
strisciamento) è molto dura (ad esempio, di acciaio temprato o
cementato). In ogni caso la superficie dura deve essere finita quanto meglio
possibile, per evitare forti attriti ed altrettanto forti usure. Sovente nel
c. sono ricavate delle cave, molto piccole, in direzione parallela
all'asse di simmetria radiale, aventi la funzione di distribuire meglio il
lubrificante. ║
Lubrificazione: in questo tipo di
c. la
lubrificazione gioca un ruolo importantissimo nella riduzione sia dell'attrito
sia dell'usura del
c. Il principio su cui essa si basa è la
sostituzione di un
attrito diretto fra perno e
c. con un
attrito mediato fra perno e lubrificante, e fra lubrificante e
c.
I lubrificanti possono essere quanto mai vari: tradizionalmente si usano grassi
e oli minerali, grassi e oli vegetali o comunque organici, miscele di questi
ultimi, grafite, solfuro di molibdeno (per le alte temperature), ecc.
Modernamente sono stati introdotti anche polimeri sintetici e, per dispositivi
altamente sofisticati, aria o elio gassosi. La lubrificazione a gas è
usata solo in casi molto particolari. In generale, la lubrificazione dei
c. è stata oggetto di molti studi ed è oggi abbastanza
conosciuta. In condizioni di regime, cioè con perno in moto relativo
rispetto al
c. a velocità abbastanza alta, il perno si dispone nel
c. in modo leggermente eccentrico; l'eccentricità è in
funzione del rapporto velocità/carico trasmesso fra perno e
c.
Tuttavia, anche in queste condizioni esiste un sottile velo di olio fra il perno
e il
c. Ai fini del calcolo della pressione specifica del perno sul
c., è ovvio che se il carico è normale all'asse del perno
solo metà
c. sarà sollecitato a compressione. In
realtà la distribuzione del carico è tutt'altro che uniforme: in
certi punti può giungere a 4 o 5 volte la pressione media. La
bontà della scelta dell'accoppiamento di materiali striscianti e del
lubrificante può essere giudicata mediante la misurazione del
coefficiente di attrito del
c., detto f e definito dalla
formula:

dove
M è il
movimento
resistente che si deve applicare per mantenere in moto relativo il perno nel
c. Si definisce
meato la luce fra le superfici striscianti,
mediata sulla ruvidità delle superfici stesse. In condizioni di buon
funzionamento il meato nella zona di contatto perno-
c. è pieno di
lubrificante. È evidente, però, che questo lubrificante,
sottoposto a un'elevata pressione, tenderà a migrare per fuoriuscire dal
c. Sotto questo punto di vista converrebbe costruire dei
c. con
dei rapporti
l/d molto elevati, questo però contrasta con la
necessità di evitare il più possibile le inflessioni del perno nel
c. Conseguentemente, se il lubrificante tende a sfuggire dal meato,
bisogna trovare qualche mezzo per riportarvelo. I sistemi adoperati sono quanto
mai vari; in alcuni casi si usa portare continuamente olio o grasso nel
c., mediante ingrassatore o mediante gocciolamento con uno stoppino; in
altri casi il
c. è parzialmente immerso nel lubrificante, oppure
alcuni organi in rotazione provocano uno sbattimento dell'olio
(
lubrificazione a sbattimento), che bagna quindi tutto il cinematismo e
anche il
c. Una o più cave ricavate sulla superficie del
c.
servono, poi, per distribuire bene il lubrificante. Il miglior sistema di
lubrificazione è la
lubrificazione forzata: l'olio viene messo in
pressione da piccole pompe a stantuffi o a ingranaggi o di altro genere ed
inviato in sottili canali che, passando nel corpo del perno o del
c., lo
portano proprio nella zona in cui avviene lo strisciamento. L'olio che sfugge
dal
c. viene raccolto in una coppa e rimesso in ciclo. Una simile
lubrificazione è usata, per esempio, per i
c. dell'albero a gomiti
dei motori a scoppio. Quanto detto vale per un accoppiamento in regime
stazionario. Allorché non si ha moto relativo, il perno si adagia sul
c. sempre in una posizione fissa; da questa superficie di contatto il
lubrificante migra, in quanto non vi è più un moto rotatorio che
tenda a ripristinarlo in rotazione. Ne consegue che in queste condizioni si
realizza non più un attrito mediato, ma un attrito diretto, che è
molto elevato. In condizioni di avviamento del cinematismo dopo un certo periodo
di inattività, si aggiunge al fatto che si ha un attrito diretto anche il
fatto che si ha, nel contempo, un attrito di distacco, pur elevato. Ne deriva
che, per vincere l'attrito della coppia perno-
c., all'avviamento occorre
un momento motore (uguale al momento resistente della coppia) superiore anche di
20-50 volte a quello di regime. Per ovviare a questo fatto alcune macchine molto
grandi sono dotate di un sistema supplementare di lubrificazione a circolazione
d'olio, usato solo all'avviamento. Prima di mettere in moto la coppia
perno-
c., con un motore supplementare viene compresso dell'olio che
è poi inviato attraverso i soliti canali all'interno del
c. Esso
fuoriesce da questo e cade in una coppa, dalla quale viene di nuovo aspirato per
essere mantenuto in ciclo. Dopo un breve periodo di tempo questa circolazione ha
realizzato un certo riempimento del meato, per cui l'attrito alla partenza
è molto più basso. Questo sistema può essere usato non solo
all'avviamento ma anche durante il funzionamento normale dell'accoppiamento
cinematico, qualora esso debba sopportare carichi elevati con basse
velocità di rotazione, perché in questo caso la normale
lubrificazione non basterebbe a mantenere pieno il meato. Si noti che mentre, ad
esempio, fra un perno d'acciaio e un
c. di bronzo si ha, in assenza di
lubrificante, un coefficiente di attrito f = 0,25÷0,30, con una buona
lubrificazione si raggiungono nello stesso caso condizioni per cui: f =
0,05÷0,1. ║
Dimensionamento: in base ai carichi che deve
sopportare, al materiale di cui è costituito, ecc., viene fissato un
certo diametro
d del perno. Da questo si ottiene la lunghezza
l
del
c. (il diametro di questo è circa uguale a
d e legato
ad esso dalle dimensioni ottimali del meato), assumendo un rapporto
l/d
adatto al tipo di applicazione del
c. Questo rapporto è stabilito
in base ad esperienze condotte su costruzioni analoghe e può variare da
1÷2 (caso di trasmissioni) a 0,5÷0,6 (caso dei
c. di banco e
delle bielle dei motori a scoppio). Sempre in base all'applicazione e
all'esperienza, viene scelto il metallo antifrizione che immaginiamo riportato
sul
c. Il diametro di questo è, quindi, fissato dallo spessore di
metallo bianco che verrà poi riportato per dargli il diametro interno
fissato. La tendenza moderna è, in effetti, quella di costruire
c.
con materiale robusto, duro e poco pregiato (tipicamente, acciaio o ghisa) e di
rivestirlo poi internamente con metallo antifrizione. Lo spessore s di
quest'ultimo, espresso in mm, può essere calcolato sulla base delle
seguenti formule empiriche:


la prima delle quali vale per
c. in
ghisa, mentre la seconda vale per
c. in acciaio. A questo punto occorre
verificare se il dimensionamento è corretto sotto tutti i punti di vista.
Se anche ad una sola di queste il
c. non risulta accettabile, il
dimensionamento viene ripreso dall'inizio, variando qualcuna delle ipotesi
iniziali. Le verifiche sono le seguenti: 1)
Verifica alla pressione
specifica; si calcola la pressione specifica (o nominale) media con la
formula sopra riportata; il valore della P
m così trovato deve
essere inferiore a un valore limite che è fissato caso per caso per le
più comuni applicazioni in base all'esperienza. Questo valore dipende
anche dal rapporto
l/d, scelto in quanto deve assicurare che la
lubrificazione possa avvenire in modo regolare; per lo stesso motivo esso
dipende dalla velocità di rotazione, dalle variazioni di direzione del
carico e così via. I valori della P
m limite sono molto diversi
da un caso all'altro e possono variare da 0,04 a 1,2; normalmente, però,
si aggirano su 0,2÷0,4 (esprimendo il carico in kg peso e le dimensioni in
mm). Si noti che nel calcolo deve essere assunto come
R il carico massimo
previsto per il
c. 2)
Verifica al riscaldamento: dato che
all'interno del
c. si ha sempre attrito, vi si genera calore; questo
viene disperso attraverso il corpo del
c., il corpo del perno e, in
parte, anche dal ricambio di lubrificante. Se, però, a causa di un
cattivo dimensionamento o dell'accoppiamento o della sua lubrificazione si
genera nel
c. un eccessivo calore, non rapidamente smaltito,
l'innalzamento della temperatura riduce la viscosità del lubrificante,
che sfugge rapidamente e perde in parte la sua azione. In breve tempo si giunge,
quindi, a un attrito non più mediato, ma diretto e quindi alla
generazione di altro calore e a un ulteriore innalzamento della temperatura. In
questo modo il fenomeno tende ad autoesaltarsi, fintanto che si giunge alla
fusione del metallo antifrizione e al grippaggio dell'accoppiamento. Questa
verifica va, quindi, compiuta calcolando il calore generato nelle condizioni di
maggior impegno del
c. e confrontandolo con la quantità di calore
che il
c. stesso può smaltire, senza portarsi a una temperatura
eccessiva per il suo buon funzionamento. Naturalmente la dissipazione del
c. dipende anche dalla temperatura dell'ambiente in cui è immesso,
per cui anche questa va tenuta in conto. 3)
Verifica a resistenza: si
deve verificare che il corpo del
c. e i relativi fissaggi alla macchina
siano in grado di sopportare i carichi che ad esso vengono trasmessi.
Particolare importanza va data al fatto che, se il
c. è in due o
più pezzi, le giunzioni fra questi non devono trovarsi nella zona di
contatto fra perno e
c., allorché è applicato il carico. Se
la direzione nel carico varia su un ampio arco di circonferenza, sono
preferibili
c. in un pezzo solo, detti
ad occhio. Se la direzione
del carico è costante, si possono usare
c. in due o più
pezzi, a patto di dar loro una forma opportuna. Se l'albero (di cui il perno
è parte) non ha un'asse in posizione rigidamente fissa, ma può
subire spostamenti o inflessioni di una certa entità, si devono impiegare
c. oscillanti. Questi sono costruiti in due parti, collegate fra loro con
un accoppiamento sferico, cioè con due tratti di superfici sferiche
combacianti, eventualmente lubrificate. Naturalmente questo tipo di
c. va
disposto in modo che il perno ruoti entro il
c. attorno al centro ideale
di queste superfici sferiche. Infine ricordiamo che i
c. a strisciamento,
in generale, danno prestazioni nettamente migliori dopo un certo periodo di
lavoro, rispetto a quelle che hanno da nuovi: questo
rodaggio permette,
infatti, un adattamento reciproco delle superfici perno-
c. con riduzione
dell'attrito. ║
Reggispinta: i
c. spingenti servono in
generale per sopportare un carico assiale trasmesso da un albero. In questo
caso, il
c. è sostituito semplicemente da una superficie piana
sulla quale si appoggia un perno il cui asse è normale alla superficie
del piano; in questo caso si parla di
c. di estremità e di
perno di spinta di estremità. In un altro tipo di costruzione, il
c. spingente è realizzato da una corona circolare che appoggia
sulla superficie piana di un risalto anulare dell'albero: si parla in questo
caso di
c. di spinta intermedia. Anche in questo caso vale quanto
è stato detto a proposito dei
c. portanti; tuttavia, dal punto di
vista della lubrificazione le condizioni sono completamente diverse. Essendo le
superfici di strisciamento piane, esse devono essere a contatto su tutto il loro
sviluppo. L'unico modo per lubrificare questi
c. è, quindi,
l'azione di una lubrificazione forzata, che inietti lubrificante fra le due
superfici di strisciamento. Una variante molto importante di questi tipi di
c. è il cosiddetto
c. Michell, la cui superficie non
è piana ma costituita da settori fissi a superficie inclinata, divisi da
cave, oppure è ricoperta con settori oscillanti, montati su perni o su
molle che consentono loro di orientarsi secondo la direzione del carico. La
forma dei profili di questi settori può essere studiata in modo che si
abbia ancora un meato a sezione variabile, come è necessario per poter
effettuare una lubrificazione naturale, cioè non forzata. I
c.
Michell sono ormai entrati nell'uso corrente per tutte le applicazioni
più importanti. Anche nel caso di
c. spingenti si fa dapprima un
dimensionamento di massima e si procede, poi, alla verifica in base alla
pressione specifica, alla dissipazione termica e alla resistenza. ║
Materiali: mentre il corpo del
c. può essere costruito di
materiale quanto mai vario, per avere basso attrito la sua superficie deve
essere di lega opportuna, adatta alla lega di cui è costituito il perno.
Sono state studiate diverse leghe antifrizione e, contemporaneamente, le
tecniche per riportarle sul corpo del
c. (termicamente, per elettrolisi,
per deposizione sotto vuoto, ecc.). Il perché si usino riporti è
facilmente intuibile, pensando che in generale i metalli antifrizione sono molto
costosi e dotati di scadenti caratteristiche meccaniche. La tendenza moderna
è l'uso di strati molto sottili, eventualmente rigenerabili dopo un certo
tempo, sia di lega sia di materiali vari. Sovente agli strati di metallo
antifrizione vero e proprio, sottilissimo, sottosta uno strato relativamente
spesso di un altro metallo antifrizione, più duro, il quale a sua volta
poggia sul corpo del
c. In certi casi lo strato di metallo riportato non
è uniforme: esso è presente solo in tratti che formano strisce o
anelli. Citiamo di seguito alcuni fra i metalli e gli altri materiali impiegati
come antifrizione: a)
Ghisa. Si adotta generalmente ghisa grigia a
struttura perlitica (durezza circa 150 Brinell) con grafite finemente suddivisa.
Di solito i
c. in ghisa sono omogenei, cioè senza riporto, dato
che la ghisa grigia è già di per sé uno dei materiali meno
costosi. Pure soddisfacente, in molti casi, è l'impiego di ghisa
malleabile o di ghisa nodulare. Sono usate anche ghise carburate o temprate.
Sovente la ghisa del
c. viene sottoposta, a fine lavorazione, a un
trattamento di fosfatazione che la rende più attiva nel trattenere l'olio
nel
c. Il fatto che questi materiali siano adatti a questa applicazione
è legato alla struttura della ghisa, discontinua e porosa per la presenza
di grafite. b)
Sinterizzati. Ferro, rame, stagno, zinco, piombo e loro
leghe allo stato di sinterizzati sono adatti alla fabbricazione di
c.,
soprattutto per le basse velocità (velocità di strisciamento
relativo minore di 0,5 m/sec). La struttura porosa di questi materiali permette
loro di assorbire quantità anche molto forti (fino ai 35% in volume) di
olio lubrificante. Sovente questi materiali lubrificanti sono impregnati di olio
lubrificante alla fabbricazione e vengono impiegati per
c.
autolubrificanti, che non richiedono lubrificazione per tutta la loro esistenza.
Questa applicazione è molto comune nel campo automobilistico; fra le
leghe più usate per questo scopo ricordiamo la 65% Cu-35% Sn, la 76%
Cu-24% Pb, la 88% Cu-10% Sn-2% Fe e la miscela fra la 85% Cu-15% Ni e la 92,5%
Pb-4% Sn-3,5% Sb. c)
Leghe di stagno. Moltissime leghe a base di stagno
sono impiegate come antifrizione. Come elementi di allegazione sono in generale
presenti antimonio e rame, mentre la presenza di altri elementi quali zinco,
alluminio, bismuto, arsenico, ecc., deve essere contenuta. Queste leghe, come
molte altre leghe antifrizione, devono il loro buon comportamento al fatto che
sono costituite da una matrice molto duttile (lo stagno) in cui sono immerse
particelle alquanto dure (i composti intermetallici). d)
Leghe di piombo.
Anche numerose leghe a base di piombo sono usate come metalli bianchi. Le leghe
ricche di piombo si distinguono in due importanti classi: la prima contiene
(oltre al piombo) stagno, antimonio ed equivalente arsenico. La seconda contiene
invece, oltre al piombo, stagno, calcio o altri metalli alcalino-terrosi. Le
prime leghe contengono dal 63 al 90% di piombo, dal 9 al 15% di antimonio e dal
5 al 20% di stagno. Normalmente è presente anche una piccola
quantità di rame (0,1÷1,5%). Esse sono tra le più antiche
leghe antifrizione conosciute, mentre quelle del secondo tipo sono state messe a
punto qualche decennio fa soprattutto per le esigenze del materiale rotabile
delle ferrovie. Queste leghe al calcio contengono lo 0,5÷0,7% di questo
elemento, l'1÷1,5% di stagno e percentuali minori di altri elementi. e)
Leghe rame-piombo. Sono di uso molto comune nell'industria
automobilistica. Contengono dal 60 all'80% di rame, dal 20 al 40% di piombo e
fino all'1,5% di argento. Quanto più è alto il tenore di piombo
che contengono, tanto migliori sono le proprietà antifrizione, mentre
diminuisce la resistenza a fatica. Dato che le proprietà di queste leghe
sono influenzate negativamente da segregazione di piombo durante il
raffreddamento, spesso si addizionano piccole percentuali di stagno, nichel,
manganese o altri elementi per evitare questo fenomeno. Sovente ci si riferisce
a questi materiali con il nome improprio di
bronzi al piombo; essi hanno
una durezza limitata (circa 70 Brinell) ma presentano basso attrito
all'avviamento e ottima resistenza agli urti: di qui la loro diffusione nella
fabbricazione di motori a scoppio. Con una buona lubrificazione formata
(pressione dell'olio 3÷5 atmosfere) possono ammettere pressioni specifiche
p
m fino a 3 kg/m
3. f)
Bronzi. L'uso di vari bronzi
come materiali antifrizione è praticata da molto tempo; il nome di
bronzina con cui, a volte, si designa un
c. deriva proprio dal
fatto che prima che fosse in auge la tecnica del riporto, il rivestimento della
parte strisciante del
c. veniva spesso fatto con bronzo, infilando nel
corpo di questo una boccola di bronzo, a interferenza. Si distinguono i
bronzi allo stagno o
bronzi fosforosi dai
bronzi allo
zinco; in tutti i casi il metallo base di queste leghe è il rame. I
bronzi allo stagno contengono dal 5 al 20% di questo elemento e del fosforo
(quanto ne resta dopo la preparazione del metallo se si parte da una lega
rame-fosforo al 10÷15% di questo elemento). Eventualmente possono essere
aggiunte quantità limitate di altri elementi, per migliorare particolari
caratteristiche: ad esempio, il piombo è aggiunto per aumentare la
lavorabilità dell'utensile, il nichel per affinare la grana. I bronzi
allo zinco hanno composizione simile, anche se non contengono fosforo ma zinco
in quanto la presenza contemporanea di fosforo e zinco porta a leghe scadenti. I
bronzi allo zinco sono adatti a funzionamenti gravosi, ad esempio ad alta
temperatura, in ambienti corrosivi, in presenza di urti, ecc.; i perni con cui
vanno accoppiati devono possedere durezza molto elevata, pena un rapido logorio.
g)
Argento. Una delle migliori composizioni antifrizione fa ricorso a
diversi strati, di cui uno d'argento. Il
c. è costituito da un
corpo di acciaio sul quale viene dapprima elettrodepositato uno strato
abbastanza spesso di argento, che viene poi lavorato all'utensile con tolleranze
molto strette. Su questa superficie viene elettrodepositato uno strato
strettamente controllato di piombo; su questo viene, poi, riportato uno strato
accuratamente controllato di piombo; su questo viene riportato, a sua volta, uno
strato ancora accuratamente controllato di stagno-piombo o di indio. Prima
dell'impiego, il
c. viene sottoposto a un trattamento termico, sempre in
condizioni rigorosamente controllate, per favorire la diffusione dello stagno (o
dell'indio) nel piombo. Questo tipo di
c. è attualmente ritenuto
come la più sofisticata versione del tipo a strisciamento: esso presenta
caratteristiche superiori a tutti gli altri, soprattutto dal punto di vista
della dissipazione termica (cosa che consente l'adozione di
c. piccoli e,
quindi, leggeri anche per le alte velocità). Come conseguenza
dell'impiego dell'argento e delle difficoltà di fabbricazione, esso
è però impiegato solo in campi specializzati, nei quali il costo
non è un fattore dominante di scelta, tipicamente cioè in campo
aeronautico e missilistico. h)
Leghe di alluminio. Leghe a base di
alluminio, con presenza di stagno (6÷7%), di rame (0,7÷1,3) ed
eventualmente di silicio (1÷4,5%) e di magnesio (0,7÷1,25%), sono
utilizzate come antifrizione soprattutto per
c. destinati a sopportare
forti carichi (per alberi di accoppiamento, alberi di grandi riduttori, ecc.) i)
Materiali non metallici. Un grande numero di materiali non metallici
è usato per ridurre l'attrito dei
c. Si tratta in generale di
applicazioni particolari, ma non per questo meno importanti. Ci limitiamo qui a
citare i principali: il
legno è in uso da secoli; si utilizza di
solito un legno duro (quercia, frassino, faggio selvaggio e
legno santo,
particolarmente duro). Il legno è adatto a lavorare sott'acqua anche di
mare, dove la maggior parte dei metalli antifrizione si corrode subito. Inoltre
la sua struttura cellulare, con parti dure alternate a parti molli, è
particolarmente indicata per questa applicazione. Per la sua porosità
può essere facilmente impregnato con olio e resta lubrificato a lungo.
È stato usato per moltissimi anni come materiale per i
c. sommersi
degli alberi delle navi. Inoltre, è adatto per
c. sottoposti a
frequenti urti, come quelli di frantoi, mulini, ecc. Attualmente al posto del
legno si usano spesso anche impasti stratificati di legno duro con materie
plastiche, quali nylon o teflon per
c. lubrificanti ad acqua oppure legno
compresso e impastato con olio per
c. autolubrificanti. La
grafite
è dotata di buone proprietà autolubrificanti (talvolta usata essa
stessa come lubrificante); è adatta a funzionare a temperatura anche
relativamente elevata (circa 350 °C) e presenta buone proprietà
meccaniche. Si può usare con soddisfazione per
c. sommersi in
acqua o in numerosi altri liquidi; per contro, presenta una certa
fragilità. Viene usata in strumenti e anche in applicazioni pesanti, ma
soprattutto con la funzione primaria di guarnizione (anelli di tenuta per pompe,
compressori e con funzioni anche di
c.). Il
nylon presenta un
basso coefficiente di attrito a contatto con l'acciaio; il suo basso punto di
fusione ne permette l'uso solo a temperatura bassa (non sopra i 150 °C).
Sovente per questo scopo si usano dei tipi di nylon appositamente fabbricati,
caricati con sostanze dotate di proprietà lubrificanti quali la grafite e
il solfuro di molibdeno. Il
teflon, polimero del tetrafluoroetilene
realizzato da una grande azienda chimica americana, è una resina
termoplastica che risolve molti problemi di attrito. Esso presenta un
coefficiente di attrito molto basso (circa 0,05), se accoppiato con molti
metalli comuni anche a basse velocità di rotazione. È chimicamente
inerte in quasi tutti gli ambienti, può lavorare in acqua dolce o salata
e può essere facilmente lavorato. Per contro presenta una temperatura di
rammollimento abbastanza bassa, anche se superiore a quella del nylon e scarsa
resistenza al
creep; per questo motivo i
c. di teflon sono usati
solo per carichi modesti, ingranaggi autolubrificanti di apparecchiature, anelli
di tenuta, ecc. Stanno, invece, prendendo piede altre applicazioni di questo
polimero per rivestimenti o impregnazione di
c. costruiti con altri
materiali. La tecnologia dei metalli sinterizzati impregnati con teflon, come
pure quella del teflon caricato con metalli, è in pieno sviluppo e appare
molto promettente. Il
vetro e le
pietre preziose sono pure usati,
talvolta, per la fabbricazione di
c. di strumenti di precisione (ad
esempio, orologi) e di apparecchiature chimiche ║
C. a rotolamento:
i
c. a rotolamento furono introdotti nelle costruzioni di macchine nei
primi anni del XX sec. e non tardarono a diffondersi. La prima applicazione
degna di nota fu come
c. per le ruote di biciclette. L'idea della loro
costruzione risale addirittura a Leonardo da Vinci, come sopra ricordato. Il
principio su cui si basano questi
c. è la sostituzione di un
attrito radente con un attrito volvente, che ha sempre un'entità molto
minore a parità di carico. Inoltre il rapporto fra attrito di distacco e
attrito dinamico è sempre molto inferiore per l'attrito volvente che per
il radente. I
c. a rotolamento vengono classificati in diversi modi: il
più comune si rifa alla natura dell'organo che rotola. Distingueremo,
quindi: a)
c. a sfere; b)
c. a rulli:
c. semplici, conici,
a botte; c)
c. ad aghi o rullini. Consideriamo dapprima i
c. a
sfere: un
c. di questo tipo è costituito da due anelli
concentrici, fra i quali esiste una certa intercapedine. Le superfici che si
affacciano a questa intercapedine (cioè, superficie esterna dell'anello
più piccolo e superficie interna di quello più grande) sono
lavorate accuratamente per ricavare in esse due gole aventi forma di un settore
anulare di toro. In questa intercapedine sono poste, inoltre, delle sfere di
materiale molto duro, pure lavorate accuratamente, che alloggiano perfettamente
in essa con una piccolissima luce. Si può pensare che ognuna di queste
sfere abbia due punti di contatto, una su una gola e una sull'altra. Il numero
di sfere dipende dalle dimensioni del
c. e delle sfere stesse; in tutti i
casi, esse sono disposte in modo da occupare uniformemente tutto l'arco
dell'intercapedine, lasciando un certo spazio fra l'una e l'altra.
Affinché le sfere non si tocchino (cosa che danneggerebbe più
rapidamente il
c.), sovente le sfere sono mantenute in posizione
relativamente fissa da un sottile lamierino di bronzo o di acciaio
opportunamente sagomato. Allorché si ha un moto rotatorio (attorno
all'asse comune) dei due anelli, le sfere rotolano praticamente senza strisciare
sui due anelli nelle apposite cave: il moto può dunque avvenire con poco
attrito, dato che esso non presenta altro strisciamento se non quello delle
sfere sul dispositivo (detto
gabbia) che le mantiene in posizione
reciproca costante. Una ragione per costruire non solo le sfere ma anche gli
anelli con materiali molto duri e accuratamente lavorati, oltre ai motivi di
riduzione dell'usura, sta nel fatto che l'attrito volvente fra due corpi, uno
dei quali rotola sull'altro, è tanto minore quanto più dure e
lisce sono le due superfici a contatto durante il rotolamento. Il montaggio di
un
c. di questo tipo può avvenire sia bloccando l'anello interno
alla parte fissa, sia in modo esattamente opposto. Questo ha poco peso sul
comportamento del
c., mentre importa invece il movimento relativo
rispetto al carico trasmesso dal
c. stesso. In generale si preferisce un
montaggio tale per cui l'anello interno ruota rispetto al carico, mentre quello
esterno è fisso; in caso di necessità è però usato
anche il montaggio diametralmente opposto. In alcuni casi (ad esempio, il
c. che supporta un albero non ben equilibrato in moto veloce) la
direzione del carico può essere indeterminata. Il materiale più
comune per la costruzione dei
c. a rotolamento (escluse le gabbie)
è un acciaio al cromo (0,4÷1,8%) a forte tenore di carbonio
(0,9÷1,2%), con presenza di manganese. Sono anche usati numerosi altri
acciai speciali, soprattutto al tungsteno. In generale questi materiali vengono
trattati termicamente per portarli al massimo grado di durezza. I
c. a
rulli sono analoghi per funzionamento a quelli a sfere; anche essi sono
costituiti da due anelli, fra i quali esiste una intercapedine le cui pareti
sono accuratamente levigate. In tale intercapedine, però, si trovano in
questo caso non delle sfere ma dei rulli, i quali appoggiano sull'asse interno e
su quello esterno lungo una loro generatrice, in quanto il loro asse di
simmetria è parallelo all'asse degli anelli. Il fatto che il contatto in
questi
c. avviene su una linea e non su un punto (teoricamente) come per
quelli a sfere, li rende molto più adatti a sopportare carichi elevati.
Anche i rulli sono di solito mantenuti in posizione reciprocamente fissa per
mezzo di una gabbia, di solito di lamierino d'acciaio. I materiali usati sono
gli stessi impiegati per i
c. a sfere. Nei
c. conici i due anelli
hanno la forma di tronchi di cono. In molti casi al posto di avere solo una
corona di sfere o solo una corona di rulli, come sopra descritto, i
c.
hanno due corone di sfere o due corone di rulli: le cave sulle superfici
affacciate degli anelli saranno non più una ma due, e in ognuna di queste
troverà posto un giro di sfere o rulli. Il funzionamento di questi
c. a due corone è pensabile come quello dei due
c. normali,
affiancati dal punto di vista dei carichi radiali (rispetto all'asse del
c.). La cosa può essere diversa per i carichi assiali (diretti
come l'asse del
c.). I
c. a rotolamento vengono distinti, a
seconda del carico che devono sopportare, in: a)
c. portanti; b)
c. spingenti,
c. semplici,
c. doppi; c)
c.
spingenti-portanti. I
c. portanti sono adatti a sopportare esclusivamente
carichi radiali (sempre con riferimento all'asse del
c.). Quelli a sfere
sono anche in grado di sopportare limitati carichi assiali (in quanto le sfere
appoggiano anche, se è il caso, sui fianchi laterali delle gole in cui
scorrono). I
c. a due corone di sfere possono anche sopportare carichi
assiali di una certa entità, onde possono venire classificati fra gli
spingenti-portanti. Lo stesso si può dire per i
c. a due corone di
rulli, del tipo
oscillante; i
c. a una sola corona di rulli non
possono sopportare nessun carico assiale, in quanto i due anelli che li
costituiscono si sfilerebbero uno dall'altro con estrema facilità. Finora
si è fatto tacitamente riferimento, nella descrizione, a
c.
portanti. I
c. a sfere spingenti sono sempre costituiti da due anelli
stavolta non più concentrici ma paralleli, affacciati con due superfici
lavorate su cui sono ricavate quelle cave; in queste ultime vengono poste le
sfere, trattenute dalla sola gabbia. Costruttivamente questi
c. stanno a
quelli portanti come i reggispinta a strisciamento stanno ai
c. portanti
a strisciamento. I
c. a sfere spingenti possono, inoltre, essere
accoppiati fra loro solo sovrapponendoli. I
c. spingenti doppi a sfere
sono derivati appunto dall'accoppiamento di due
c. a sfere spingenti
semplici, uno dei quali sopporta i carichi assiali diretti in un senso, mentre
l'altro sopporta quelli diretti nell'altro senso. I
c. spingenti semplici
a sfere possono invece sopportare carichi assiali, ma solo in un senso. I
c. (a rulli) conici sono di solito spingenti-portanti, ma solo in un
senso; essi vengono montati su alberi conici e sono meno diffusi degli altri
tipi. Per un corretto funzionamento richiedono che il carico sia
approssimativamente normale alla superficie conica su cui stanno i rulli;
ciò porta ad avere sia una componente assiale (diretta sempre nel senso
che va dalla base maggiore a quella minore del tronco di cono cui si può
assimilare il
c.), sia una componente radiale, ma fra queste due esiste
un rapporto fisso legato all'angolo al vertice del cono ideale di cui gli anelli
costituiscono un tronco. ║
C. oscillanti: i
c. oscillanti
possono essere sia a rulli che a sfere. Essi sono caratterizzati dal fatto che,
a differenza degli altri tipi, ammettono che l'albero su cui sono montati abbia
delle inflessioni sensibili, cioè non abbia un asse esattamente
coincidente con l'asse del
c. I
c. a sfere oscillanti sono sempre
a doppia corona di sfere; quelli a rulli possono essere oscillanti se, al posto
di impiegare dei rulli cilindrici, si fa ricorso a rulli aventi forma di botte:
sono i cosiddetti
c. a botte. I
c. oscillanti vengono usati per
supportare alberi molto lunghi, sui quali possono generarsi delle inflessioni
notevoli nell'albero stesso, oppure in quei casi in cui le deformazioni possono
presentarsi nel supporto dei
c. stessi; più di rado,
allorché è difficile montare il
c. con un buon allineamento
rispetto all'asse dell'albero. ║
Dimensionamento: i
c. a
rotolamento non vengono dimensionati dall'utilizzatore, dato che sono prodotti
solo da pochi fabbricanti altamente specializzati. Il calcolo di un
c. di
questo tipo si limita, quindi, alla scelta del giusto tipo fra quelli offerti
dalle case costruttrici e alla verifica che nelle condizioni di impiego la sua
vita sia sufficientemente lunga. Ricordiamo, infine, che l'unica caratteristica
di un
c abbastanza standardizzata è la dimensione dell'anello
interno ed esterno; d'altra parte, questi parametri bastano a definire il
montaggio del
c., eventualmente specificando anche l'interferenza
consigliata con l'albero. La scelta del
c. è compiuta sulla base
del carico che esso deve sopportare. Se si tratta di un carico esclusivamente
radiale e limitato, si sceglierà un
c. a sfere, a corona semplice.
Se invece il carico è sempre radiale ma rilevante, si sceglierà il
tipo a una corona di rulli o a due corone di sfere. Se il carico è
radiale ed elevato e, per di più, si hanno problemi di ingombro, si
useranno
c. a rullini o aghi, di limitatissime dimensioni. Per sopportare
spinte esclusivamente assiali, si useranno
c. spingenti a sfere. Se i
carichi sono molto rilevanti, si potrà considerare il caso di impiegare
c. conici a rulli. Se il carico è sia assiale sia radiale, ma
prevalente in questo senso, si useranno dei
c. oscillanti (a due corone
di sfere o rulli a botte) o, eventualmente,
c. conici a rulli. Se la
componente assiale è importante, sarà meglio usare due
c.,
uno portante e uno spingente. Particolare attenzione va prestata al
comportamento dell'albero non solo dal punto di vista dinamico ma anche statico,
per non creare delle iperstaticità che potrebbero generare grandi sforzi,
anche a causa di dilatazioni termiche. Sotto questo profilo, un
c. va
considerato come un appoggio dell'albero. Pertanto occorre evitare di usare per
uno stesso albero più di due
c. portanti, oppure curare molto bene
il loro posizionamento. Anche se un albero non deve sopportare carichi assiali e
presenta inflessioni limitate, è bene usare un
c. oscillante e uno
a rulli, piuttosto che due a rulli (cilindrici) che, come si è detto, non
sopportano nemmeno il minimo carico assiale. Va evitato l'uso di due
c.
spingenti in senso contrapposto posti lontani fra loro, ad esempio alle due
estremità di un albero. L'allungamento di quest'ultimo deve sempre essere
permesso allo scopo di non generare sforzi per dilatazioni termiche. Se
l'inflessione dell'albero a livello del
c. è sensibile (ad
esempio, maggiore di qualche millesimo di radiante), possono essere usati solo
c. oscillanti. Se la distanza fra due
c. anche portanti è
sensibile e vi è un certo periodo di dilatazione termica dell'asse, come
avviene quasi sempre, si deve montare rigidamente un solo
c., mentre
l'altro va fissato ma lasciato libero di compiere una piccola escursione
rispetto al supporto; ciò serve per evitare inutili carichi assiali
generati per dilatazione termica. Operata la scelta del tipo di
c. adatto
al singolo caso, si deve procedere alla scelta delle dimensioni nella gamma
prodotta per ogni tipo. Consideriamo il caso di un
c. portante, dato che
gli altri casi sono perfettamente analoghi. Esaminando un grande numero di
c. di tale tipo, sottoponendoli a un carico rotante rispetto all'anello
interno e facendoli lavorare per un tempo definito ad un certo numero di
giri/minuto costante (e quindi sottoponendoli ad un certo numero di giri g in
condizioni definite), come pure provando successivamente con diversi carichi
crescenti (su diversi lotti di
c.), il 90% dei
c. del tipo in
esame supera la prova con carico
C senza essere danneggiato. Per passare
dalle condizioni standard di prova a quelle di applicazione, si devono operare
alcune correzioni. Si calcola, quindi, un carico
C* che il
c.
dovrà sopportare nell'applicazione in esame mediante la seguente
formula:
C* = (kR + mA) ·f
u
·f
g ·f
t
·f
pe deve essere
verificata la
condizione
C*≤
C
I simboli usati hanno il seguente valore:
R = carico radiale applicato al
c.;
A = carico assiale
applicato al
c.;
k = coefficiente di carico (che vale 1, se il
carico è rotante rispetto all'anello interno; vale 1÷1,35 nel caso
opposto);
m = coefficiente che dipende dal tipo di
c. (vale
1,2÷1,5 per
c. rigidi a sfere, 3÷4,5 per altri tipi, esclusi
quelli che non possono sopportare carichi assiali, per i quali vale infinito);
f
u = coefficiente di urto (va da 1 a 4, a seconda che il
c.
non debba o debba sopportare urti); f
g = coefficiente di ripetizione
di carico (vale f
g
essendo
G il numero di giri che il
c.
dovrà sopportare nella sua vita);
ft = coefficiente di
temperatura (vale circa 1 fino a 60÷80 °C, poi scende gradatamente con
la temperatura: ad esempio, a 180 °C è pari circa a 2);
f
p = fattore di polverosità (in generale vale 1, ma in
ambienti particolarmente polverosi può essere molto maggiore). Come si
vede, l'introduzione di tutti questi fattori limita il carico ammissibile a
valori inferiori a quelli di targa in funzione di sollecitazioni diverse del
c. (urti, temperatura, ecc.). In base a questi calcoli si determina
C*, indi si sceglie un
c. avente una
C maggiore di
C* fra quelli del tipo scelto per l'impiego. In caso negativo occorre
cambiare tipo, usando ad esempio un
c. a rulli anziché uno a
sfere. ║
Lubrificazione: i
c. a rotolamento, rispetto a
quelli a strisciamento, richiedono minore lubrificazione; per contro, questa va
maggiormente curata. Per
c. in moto lento si può usare olio
spruzzato, portato a contatto delle sfere per sbattimento, capillarità o
altri mezzi, oppure del grasso a contatto con le sfere. Per
c. ad alta
velocità la lubrificazione può essere un problema critico; sovente
è necessario applicare solo l'esatta quantità di lubrificante
richiesta, in forma di spruzzo o nebulizzato. ║
Confronto fra c. a
strisciamento e
c. a rotolamento: entrambi i tipi di
c. hanno
pregi e difetti; i vantaggi dei
c. a strisciamento sono i seguenti: sono
in grado di sopportare carichi maggiori, anche applicati rapidamente (urti),
sono meno rumorosi, sono facili da montare (esistono in due o più pezzi),
possono essere costruiti con limitato ingombro soprattutto radiale e sono meno
costosi. Per contro presentano i seguenti svantaggi: richiedono una
lubrificazione abbondante, in certi casi anche prima di mettere in moto
l'accoppiamento, presentano un elevato attrito, soprattutto al distacco,
necessitano di un periodo di assestamento (rodaggio) prima di funzionare bene,
richiedono un perno poco curato dimensionalmente ma duro e lavorato finemente in
superficie. I vantaggi dei
c. a rotolamento sono i seguenti: basso
coefficiente d'attrito, sia al distacco sia in funzionamento, attitudine a
funzionare in modo discontinuo, facilità di lubrificazione, non
necessitano rodaggio, generano meno calore, sono standardizzati, almeno
dimensionalmente, richiedono limitato ingombro in senso assiale e possono essere
sostituiti immediatamente allorché usurati. Per contro presentano i
seguenti svantaggi: scarsa attitudine a funzionare con carichi gravosi e agli
altissimi numeri di giri per minuto, maggior peso, maggior ingombro, maggior
rumorosità, maggior costo, non tollerano urti (non si possono fare in
più pezzi) e, in certi casi (ad esempio, nell'albero a gomiti per motori
a scoppio), non si possono montare affatto. Per questo motivo i
c. a
rotolamento, per quanto abbiano avuto una diffusione enorme soprattutto in certe
industrie, come quella automobilistica, non saranno mai sostituiti da quelli a
strisciamento in tutti i campi. Appannaggio di questi ultimi restano, infatti,
tutte le applicazioni più pesanti (alternatori di grandi dimensioni,
turbine a vapore, idrauliche o a gas, grandi riduttori, ecc.) o quelle in
presenza di urti o vibrazioni. Per contro, i
c. a rotolamento dominano il
campo delle costruzioni leggere o non molto pesanti, il campo degli
accoppiamenti soggetti a frequenti avviamenti o arresti, ove sia importante
contenere l'attrito e il riscaldamento, nei dispositivi a frequenti inversioni
di marcia, ecc. Inoltre i
c. a rotolamento sono di uso alquanto generale
come reggispinta (
c. portanti), allorché non è possibile
pensare a uso di
c. Michell, come, ad esempio, in dispositivi con
frequenti avviamenti o inversioni di marcia, oppure con carichi
limitati.