Stats Tweet

Cuscinetto.

Piccolo cuscino, in genere. ║ In particolare, minuscolo cuscino utilizzato come puntaspilli, o nelle imbottiture, oppure per i timbri (imbevuto di uno speciale inchiostro). ║ Rigonfiamento di consistenza soffice (ad esempio, c. di grasso, ecc.). ║ In diverse tecnologie, strato più sottile inserito tra due altri di materiali diversi. ║ Per estens. - Nel linguaggio politico e giuridico, detto di zona, Stato o formazione politica che, situato tra due più grandi, assume a livello più o meno ufficiale la funzione di evitarne il contatto, attutendone i possibili urti. ● Cuc. - Preparato gastronomico di varia natura, costituito in genere da un doppio strato di pasta o pasta sfoglia, imbottito di prosciutto, formaggio, ecc. Solitamente viene dorato e fritto. ● Anat. e Med. - Riferito a strutture anatomiche e a formazioni patologiche sporgenti e circoscritte. ║ Sacchetti imbottiti, di forme e dimensioni variabili, usati per attutire la compressione esercitata da alcuni apparecchi di protesi. ● Arch. - Faccia laterale del classico capitello ionico. ║ Pietra estrema di un piliere o di un piedritto d'arco, la cui superficie inclinata può accogliere agevolmente l'imposta dell'arco. ║ Ultima pietra a faccia obliqua che riceve il primo concio di un piedritto. ● Econ. - Scorte c.: scorte di materia prima e altri prodotti vari che, durante periodi di eccedenza della produzione vengono accumulate, per essere poi rivendute nei periodi di scarsità dell'offerta; in tal modo si cerca di attenuare le fluttuazioni dei prezzi sul mercato. ● Elettr. - C. magnetico: particolare sistema di sospensione di un albero rotante che, al posto dei classici c. a sfere, utilizza dei campi magnetici allo scopo di evitare ogni tipo di contatto tra l'albero rotante e i supporti dello statore. ● Ferr. - C. della boccola: pezzo di bronzo o di ghisa, rivestito di metallo antifrizione, che ha lo scopo di trasmettere il peso del veicolo dalla boccola al fuso dell'asse del veicolo stesso. ║ Denominazione impropria per supporto. ● Geogr. fis. - Suolo a c.: terreno caratterizzato da ingobbature ricoperte dall'erba. ● Ind. estratt. - C. di grasso: c. portante costituito da una camera piena di grasso situata all'estremità di ciascun asse dei vagoncini da miniera. ● Mar. - In genere, nome attribuito alle difese di ogni tipo e forma (formate di corde, paglietti e tele imbottite), allo scopo di proteggere cavi e attrezzi dallo sfregamento. ║ C. di banco: ciascuno dei supporti metallici di una macchina motrice marina. ║ C. di spinta: supporto della linea d'asse di una nave situato tra l'albero motore e l'asse dell'elica, che trasmette la spinta dell'elica allo scafo e, quindi, alla nave stessa. ● Tecn. - In legatoria, nei lavori di oreficeria, oggetto in pelle di vitello, imbottito di pelo di capra e di forma rettangolare, sopra cui il legatore taglia i fili dorati nel corso della doratura dei libri. ● Zool. - C. plantari o palmari: nei mammiferi plantigradi e digitigradi, ispessimenti della pelle (in particolare, dello strato corneo e del derma) posti sulla pianta del piede, sul palmo della mano e alle estremità delle dita. ║ C. oculare: caratteristico tessuto adiposo che, aderendovi, protegge la parte posteriore dell'occhio; è interposto tra i muscoli oculari e viene ricoperto dalla guaina fibrosa dell'occhio. ● Mecc. - Organo presente in vari tipi di macchine che insieme con un perno cilindrico forma un accoppiamento rotoidale. Esso appartiene, dunque, all'organo di accoppiamento che permette di accoppiare una parte fissa con una parte in moto rotatorio o, comunque, due parti fra di loro in moto relativo rotatorio. Lo scopo del c. è, in generale, quello di ridurre al minimo l'attrito di un simile accoppiamento: per questo motivo esso costituisce un importantissimo organo nelle macchine che lo utilizzano. Ciò ha favorito la ricerca e la costruzione di c. assai sofisticati, sia dal punto di vista della costruzione sia da quello dei materiali impiegati. Un notevole passo avanti è stato compiuto con la sostituzione dell'attrito radente con attrito volvente che, a parità di altre condizioni, comporta sempre una minor perdita di lavoro. Il tipo più semplice di c. si ottiene praticando un foro in un blocco di materiale o in una lamiera abbastanza spessa; in esso si infila il perno che deve avere un diametro leggermente inferiore a quello del foro. Questo c. è stato usato dall'uomo fin dall'invenzione della ruota e ha subito scarsi miglioramenti durante molti secoli (alcuni casi innovatori rimasero senza seguito). Il ritrovamento a Madrid, nel 1967, del Codice Madrileno I di Leonardo da Vinci (scritto quasi sicuramente fra il 1493 ed il 1497) prova senza possibilità di dubbio che già a quei tempi era in uso in Germania un sistema per ridurre l'attrito dei perni, sostituendo l'attrito radente con attrito volvente: questo sistema fu perfezionato da Leonardo e divenne di uso quasi universale come supporto per campane. In più lo scienziato italiano lasciò parecchi disegni di c. a sfere e a rulli, perfettamente uguali, come principio, a quelli che vennero poi introdotti all'inizio del XX sec. Per diminuire l'usura e la quantità di lubrificante necessaria alla riduzione dell'attrito, egli ideò inoltre l'uso dei metalli antifrizione (introdotti almeno due secoli dopo); uno di questi poteva essere preparato, ad esempio, mescolando tre parti di rame e sette parti di stagno e fondendo il tutto. ║ Classificazione: i c. possono essere classificati in vari tipi, secondo diversi fattori. Vengono qui riportate le principali suddivisioni. Secondo il tipo di attrito prevalente, si distinguono in: c. a strisciamento e c. a rotolamento. Nei primi è prevalente l'attrito radente, mentre nei secondi è prevalente l'attrito volvente. Secondo il carico, si possono distinguere: a) c. portanti o semplicemente c.; b) c. spingenti o spalleggiamenti o reggispinta. I c. portanti sono destinati a sopportare un carico normale all'asse del perno, cioè normale al loro asse di simmetria radiale. I c. spingenti sono adatti a sopportare un carico diretto secondo l'asse del perno, cioè secondo il loro asse di simmetria radiale. Non è escluso che un c. sia costruito per sopportare carichi di entrambi i generi (cioè, sia portante sia spingente). Secondo la disposizione, si distinguono ancora in: a) c. rigidi; b) c. oscillanti. I c. rigidi non ammettono deviazioni, se non minime, dell'asse del perno dalla sua posizione teorica; i c. oscillanti permettono all'asse del perno deviazioni anche rilevanti dalla sua posizione teorica. Secondo la lubrificazione, si distinguono: a) c. lubrificati; b) c. a secco o autolubrificanti. I primi richiedono la presenza di un opportuno agente lubrificante, per un corretto funzionamento; gli altri non lo richiedono, in quanto sono costruiti con materiali impregnati all'origine di lubrificanti o dotati essi stessi di proprietà lubrificanti. Ognuno di questi tipi può, poi, essere ulteriormente suddiviso. Inoltre, uno stesso c. può essere oggetto di tutte queste classificazioni, dato che sono tracciate in base a fattori diversi. ║ C. a strisciamento: sono costituiti da un blocco di materiale in cui si ricava una sede cilindrica nella quale passa il perno. Fra il diametro interno del c. e il diametro del perno deve esistere un'opportuna relazione: naturalmente il primo deve essere un po' maggiore del secondo, ma se questa differenza è eccessiva si ha un cattivo funzionamento. Il c., nella maggior parte dei casi, è costituito da due pezzi, tenuti insieme da viti o bulloni, per facilitarne il montaggio. Il perno oppure il c. sono rivestiti, nella parte su cui avviene il contatto strisciante, da una lega opportuna, detta metallo antifrizione o metallo bianco (in generale si tratta di leghe complesse di stagno, piombo, antimonio, rame, ecc.). È buona norma rivestire con metallo antifrizione la superficie che resta fissa rispetto al carico trasmesso; questa può appartenere sia al c. (caso più comune) sia al perno. I c. con metallo riportato prendono anche il nome improprio di bronzine. In generale, se una superficie di strisciamento è rivestita con metallo antifrizione, la superficie coniugata (cioè l'altra superficie su cui avviene lo strisciamento) è molto dura (ad esempio, di acciaio temprato o cementato). In ogni caso la superficie dura deve essere finita quanto meglio possibile, per evitare forti attriti ed altrettanto forti usure. Sovente nel c. sono ricavate delle cave, molto piccole, in direzione parallela all'asse di simmetria radiale, aventi la funzione di distribuire meglio il lubrificante. ║ Lubrificazione: in questo tipo di c. la lubrificazione gioca un ruolo importantissimo nella riduzione sia dell'attrito sia dell'usura del c. Il principio su cui essa si basa è la sostituzione di un attrito diretto fra perno e c. con un attrito mediato fra perno e lubrificante, e fra lubrificante e c. I lubrificanti possono essere quanto mai vari: tradizionalmente si usano grassi e oli minerali, grassi e oli vegetali o comunque organici, miscele di questi ultimi, grafite, solfuro di molibdeno (per le alte temperature), ecc. Modernamente sono stati introdotti anche polimeri sintetici e, per dispositivi altamente sofisticati, aria o elio gassosi. La lubrificazione a gas è usata solo in casi molto particolari. In generale, la lubrificazione dei c. è stata oggetto di molti studi ed è oggi abbastanza conosciuta. In condizioni di regime, cioè con perno in moto relativo rispetto al c. a velocità abbastanza alta, il perno si dispone nel c. in modo leggermente eccentrico; l'eccentricità è in funzione del rapporto velocità/carico trasmesso fra perno e c. Tuttavia, anche in queste condizioni esiste un sottile velo di olio fra il perno e il c. Ai fini del calcolo della pressione specifica del perno sul c., è ovvio che se il carico è normale all'asse del perno solo metà c. sarà sollecitato a compressione. In realtà la distribuzione del carico è tutt'altro che uniforme: in certi punti può giungere a 4 o 5 volte la pressione media. La bontà della scelta dell'accoppiamento di materiali striscianti e del lubrificante può essere giudicata mediante la misurazione del coefficiente di attrito del c., detto f e definito dalla formula:



dove M è il movimento resistente che si deve applicare per mantenere in moto relativo il perno nel c. Si definisce meato la luce fra le superfici striscianti, mediata sulla ruvidità delle superfici stesse. In condizioni di buon funzionamento il meato nella zona di contatto perno-c. è pieno di lubrificante. È evidente, però, che questo lubrificante, sottoposto a un'elevata pressione, tenderà a migrare per fuoriuscire dal c. Sotto questo punto di vista converrebbe costruire dei c. con dei rapporti l/d molto elevati, questo però contrasta con la necessità di evitare il più possibile le inflessioni del perno nel c. Conseguentemente, se il lubrificante tende a sfuggire dal meato, bisogna trovare qualche mezzo per riportarvelo. I sistemi adoperati sono quanto mai vari; in alcuni casi si usa portare continuamente olio o grasso nel c., mediante ingrassatore o mediante gocciolamento con uno stoppino; in altri casi il c. è parzialmente immerso nel lubrificante, oppure alcuni organi in rotazione provocano uno sbattimento dell'olio (lubrificazione a sbattimento), che bagna quindi tutto il cinematismo e anche il c. Una o più cave ricavate sulla superficie del c. servono, poi, per distribuire bene il lubrificante. Il miglior sistema di lubrificazione è la lubrificazione forzata: l'olio viene messo in pressione da piccole pompe a stantuffi o a ingranaggi o di altro genere ed inviato in sottili canali che, passando nel corpo del perno o del c., lo portano proprio nella zona in cui avviene lo strisciamento. L'olio che sfugge dal c. viene raccolto in una coppa e rimesso in ciclo. Una simile lubrificazione è usata, per esempio, per i c. dell'albero a gomiti dei motori a scoppio. Quanto detto vale per un accoppiamento in regime stazionario. Allorché non si ha moto relativo, il perno si adagia sul c. sempre in una posizione fissa; da questa superficie di contatto il lubrificante migra, in quanto non vi è più un moto rotatorio che tenda a ripristinarlo in rotazione. Ne consegue che in queste condizioni si realizza non più un attrito mediato, ma un attrito diretto, che è molto elevato. In condizioni di avviamento del cinematismo dopo un certo periodo di inattività, si aggiunge al fatto che si ha un attrito diretto anche il fatto che si ha, nel contempo, un attrito di distacco, pur elevato. Ne deriva che, per vincere l'attrito della coppia perno-c., all'avviamento occorre un momento motore (uguale al momento resistente della coppia) superiore anche di 20-50 volte a quello di regime. Per ovviare a questo fatto alcune macchine molto grandi sono dotate di un sistema supplementare di lubrificazione a circolazione d'olio, usato solo all'avviamento. Prima di mettere in moto la coppia perno-c., con un motore supplementare viene compresso dell'olio che è poi inviato attraverso i soliti canali all'interno del c. Esso fuoriesce da questo e cade in una coppa, dalla quale viene di nuovo aspirato per essere mantenuto in ciclo. Dopo un breve periodo di tempo questa circolazione ha realizzato un certo riempimento del meato, per cui l'attrito alla partenza è molto più basso. Questo sistema può essere usato non solo all'avviamento ma anche durante il funzionamento normale dell'accoppiamento cinematico, qualora esso debba sopportare carichi elevati con basse velocità di rotazione, perché in questo caso la normale lubrificazione non basterebbe a mantenere pieno il meato. Si noti che mentre, ad esempio, fra un perno d'acciaio e un c. di bronzo si ha, in assenza di lubrificante, un coefficiente di attrito f = 0,25÷0,30, con una buona lubrificazione si raggiungono nello stesso caso condizioni per cui: f = 0,05÷0,1. ║ Dimensionamento: in base ai carichi che deve sopportare, al materiale di cui è costituito, ecc., viene fissato un certo diametro d del perno. Da questo si ottiene la lunghezza l del c. (il diametro di questo è circa uguale a d e legato ad esso dalle dimensioni ottimali del meato), assumendo un rapporto l/d adatto al tipo di applicazione del c. Questo rapporto è stabilito in base ad esperienze condotte su costruzioni analoghe e può variare da 1÷2 (caso di trasmissioni) a 0,5÷0,6 (caso dei c. di banco e delle bielle dei motori a scoppio). Sempre in base all'applicazione e all'esperienza, viene scelto il metallo antifrizione che immaginiamo riportato sul c. Il diametro di questo è, quindi, fissato dallo spessore di metallo bianco che verrà poi riportato per dargli il diametro interno fissato. La tendenza moderna è, in effetti, quella di costruire c. con materiale robusto, duro e poco pregiato (tipicamente, acciaio o ghisa) e di rivestirlo poi internamente con metallo antifrizione. Lo spessore s di quest'ultimo, espresso in mm, può essere calcolato sulla base delle seguenti formule empiriche:

Curcul08.png

Curcul09.png
la prima delle quali vale per c. in ghisa, mentre la seconda vale per c. in acciaio. A questo punto occorre verificare se il dimensionamento è corretto sotto tutti i punti di vista. Se anche ad una sola di queste il c. non risulta accettabile, il dimensionamento viene ripreso dall'inizio, variando qualcuna delle ipotesi iniziali. Le verifiche sono le seguenti: 1) Verifica alla pressione specifica; si calcola la pressione specifica (o nominale) media con la formula sopra riportata; il valore della Pm così trovato deve essere inferiore a un valore limite che è fissato caso per caso per le più comuni applicazioni in base all'esperienza. Questo valore dipende anche dal rapporto l/d, scelto in quanto deve assicurare che la lubrificazione possa avvenire in modo regolare; per lo stesso motivo esso dipende dalla velocità di rotazione, dalle variazioni di direzione del carico e così via. I valori della Pm limite sono molto diversi da un caso all'altro e possono variare da 0,04 a 1,2; normalmente, però, si aggirano su 0,2÷0,4 (esprimendo il carico in kg peso e le dimensioni in mm). Si noti che nel calcolo deve essere assunto come R il carico massimo previsto per il c. 2) Verifica al riscaldamento: dato che all'interno del c. si ha sempre attrito, vi si genera calore; questo viene disperso attraverso il corpo del c., il corpo del perno e, in parte, anche dal ricambio di lubrificante. Se, però, a causa di un cattivo dimensionamento o dell'accoppiamento o della sua lubrificazione si genera nel c. un eccessivo calore, non rapidamente smaltito, l'innalzamento della temperatura riduce la viscosità del lubrificante, che sfugge rapidamente e perde in parte la sua azione. In breve tempo si giunge, quindi, a un attrito non più mediato, ma diretto e quindi alla generazione di altro calore e a un ulteriore innalzamento della temperatura. In questo modo il fenomeno tende ad autoesaltarsi, fintanto che si giunge alla fusione del metallo antifrizione e al grippaggio dell'accoppiamento. Questa verifica va, quindi, compiuta calcolando il calore generato nelle condizioni di maggior impegno del c. e confrontandolo con la quantità di calore che il c. stesso può smaltire, senza portarsi a una temperatura eccessiva per il suo buon funzionamento. Naturalmente la dissipazione del c. dipende anche dalla temperatura dell'ambiente in cui è immesso, per cui anche questa va tenuta in conto. 3) Verifica a resistenza: si deve verificare che il corpo del c. e i relativi fissaggi alla macchina siano in grado di sopportare i carichi che ad esso vengono trasmessi. Particolare importanza va data al fatto che, se il c. è in due o più pezzi, le giunzioni fra questi non devono trovarsi nella zona di contatto fra perno e c., allorché è applicato il carico. Se la direzione nel carico varia su un ampio arco di circonferenza, sono preferibili c. in un pezzo solo, detti ad occhio. Se la direzione del carico è costante, si possono usare c. in due o più pezzi, a patto di dar loro una forma opportuna. Se l'albero (di cui il perno è parte) non ha un'asse in posizione rigidamente fissa, ma può subire spostamenti o inflessioni di una certa entità, si devono impiegare c. oscillanti. Questi sono costruiti in due parti, collegate fra loro con un accoppiamento sferico, cioè con due tratti di superfici sferiche combacianti, eventualmente lubrificate. Naturalmente questo tipo di c. va disposto in modo che il perno ruoti entro il c. attorno al centro ideale di queste superfici sferiche. Infine ricordiamo che i c. a strisciamento, in generale, danno prestazioni nettamente migliori dopo un certo periodo di lavoro, rispetto a quelle che hanno da nuovi: questo rodaggio permette, infatti, un adattamento reciproco delle superfici perno-c. con riduzione dell'attrito. ║ Reggispinta: i c. spingenti servono in generale per sopportare un carico assiale trasmesso da un albero. In questo caso, il c. è sostituito semplicemente da una superficie piana sulla quale si appoggia un perno il cui asse è normale alla superficie del piano; in questo caso si parla di c. di estremità e di perno di spinta di estremità. In un altro tipo di costruzione, il c. spingente è realizzato da una corona circolare che appoggia sulla superficie piana di un risalto anulare dell'albero: si parla in questo caso di c. di spinta intermedia. Anche in questo caso vale quanto è stato detto a proposito dei c. portanti; tuttavia, dal punto di vista della lubrificazione le condizioni sono completamente diverse. Essendo le superfici di strisciamento piane, esse devono essere a contatto su tutto il loro sviluppo. L'unico modo per lubrificare questi c. è, quindi, l'azione di una lubrificazione forzata, che inietti lubrificante fra le due superfici di strisciamento. Una variante molto importante di questi tipi di c. è il cosiddetto c. Michell, la cui superficie non è piana ma costituita da settori fissi a superficie inclinata, divisi da cave, oppure è ricoperta con settori oscillanti, montati su perni o su molle che consentono loro di orientarsi secondo la direzione del carico. La forma dei profili di questi settori può essere studiata in modo che si abbia ancora un meato a sezione variabile, come è necessario per poter effettuare una lubrificazione naturale, cioè non forzata. I c. Michell sono ormai entrati nell'uso corrente per tutte le applicazioni più importanti. Anche nel caso di c. spingenti si fa dapprima un dimensionamento di massima e si procede, poi, alla verifica in base alla pressione specifica, alla dissipazione termica e alla resistenza. ║ Materiali: mentre il corpo del c. può essere costruito di materiale quanto mai vario, per avere basso attrito la sua superficie deve essere di lega opportuna, adatta alla lega di cui è costituito il perno. Sono state studiate diverse leghe antifrizione e, contemporaneamente, le tecniche per riportarle sul corpo del c. (termicamente, per elettrolisi, per deposizione sotto vuoto, ecc.). Il perché si usino riporti è facilmente intuibile, pensando che in generale i metalli antifrizione sono molto costosi e dotati di scadenti caratteristiche meccaniche. La tendenza moderna è l'uso di strati molto sottili, eventualmente rigenerabili dopo un certo tempo, sia di lega sia di materiali vari. Sovente agli strati di metallo antifrizione vero e proprio, sottilissimo, sottosta uno strato relativamente spesso di un altro metallo antifrizione, più duro, il quale a sua volta poggia sul corpo del c. In certi casi lo strato di metallo riportato non è uniforme: esso è presente solo in tratti che formano strisce o anelli. Citiamo di seguito alcuni fra i metalli e gli altri materiali impiegati come antifrizione: a) Ghisa. Si adotta generalmente ghisa grigia a struttura perlitica (durezza circa 150 Brinell) con grafite finemente suddivisa. Di solito i c. in ghisa sono omogenei, cioè senza riporto, dato che la ghisa grigia è già di per sé uno dei materiali meno costosi. Pure soddisfacente, in molti casi, è l'impiego di ghisa malleabile o di ghisa nodulare. Sono usate anche ghise carburate o temprate. Sovente la ghisa del c. viene sottoposta, a fine lavorazione, a un trattamento di fosfatazione che la rende più attiva nel trattenere l'olio nel c. Il fatto che questi materiali siano adatti a questa applicazione è legato alla struttura della ghisa, discontinua e porosa per la presenza di grafite. b) Sinterizzati. Ferro, rame, stagno, zinco, piombo e loro leghe allo stato di sinterizzati sono adatti alla fabbricazione di c., soprattutto per le basse velocità (velocità di strisciamento relativo minore di 0,5 m/sec). La struttura porosa di questi materiali permette loro di assorbire quantità anche molto forti (fino ai 35% in volume) di olio lubrificante. Sovente questi materiali lubrificanti sono impregnati di olio lubrificante alla fabbricazione e vengono impiegati per c. autolubrificanti, che non richiedono lubrificazione per tutta la loro esistenza. Questa applicazione è molto comune nel campo automobilistico; fra le leghe più usate per questo scopo ricordiamo la 65% Cu-35% Sn, la 76% Cu-24% Pb, la 88% Cu-10% Sn-2% Fe e la miscela fra la 85% Cu-15% Ni e la 92,5% Pb-4% Sn-3,5% Sb. c) Leghe di stagno. Moltissime leghe a base di stagno sono impiegate come antifrizione. Come elementi di allegazione sono in generale presenti antimonio e rame, mentre la presenza di altri elementi quali zinco, alluminio, bismuto, arsenico, ecc., deve essere contenuta. Queste leghe, come molte altre leghe antifrizione, devono il loro buon comportamento al fatto che sono costituite da una matrice molto duttile (lo stagno) in cui sono immerse particelle alquanto dure (i composti intermetallici). d) Leghe di piombo. Anche numerose leghe a base di piombo sono usate come metalli bianchi. Le leghe ricche di piombo si distinguono in due importanti classi: la prima contiene (oltre al piombo) stagno, antimonio ed equivalente arsenico. La seconda contiene invece, oltre al piombo, stagno, calcio o altri metalli alcalino-terrosi. Le prime leghe contengono dal 63 al 90% di piombo, dal 9 al 15% di antimonio e dal 5 al 20% di stagno. Normalmente è presente anche una piccola quantità di rame (0,1÷1,5%). Esse sono tra le più antiche leghe antifrizione conosciute, mentre quelle del secondo tipo sono state messe a punto qualche decennio fa soprattutto per le esigenze del materiale rotabile delle ferrovie. Queste leghe al calcio contengono lo 0,5÷0,7% di questo elemento, l'1÷1,5% di stagno e percentuali minori di altri elementi. e) Leghe rame-piombo. Sono di uso molto comune nell'industria automobilistica. Contengono dal 60 all'80% di rame, dal 20 al 40% di piombo e fino all'1,5% di argento. Quanto più è alto il tenore di piombo che contengono, tanto migliori sono le proprietà antifrizione, mentre diminuisce la resistenza a fatica. Dato che le proprietà di queste leghe sono influenzate negativamente da segregazione di piombo durante il raffreddamento, spesso si addizionano piccole percentuali di stagno, nichel, manganese o altri elementi per evitare questo fenomeno. Sovente ci si riferisce a questi materiali con il nome improprio di bronzi al piombo; essi hanno una durezza limitata (circa 70 Brinell) ma presentano basso attrito all'avviamento e ottima resistenza agli urti: di qui la loro diffusione nella fabbricazione di motori a scoppio. Con una buona lubrificazione formata (pressione dell'olio 3÷5 atmosfere) possono ammettere pressioni specifiche pm fino a 3 kg/m3. f) Bronzi. L'uso di vari bronzi come materiali antifrizione è praticata da molto tempo; il nome di bronzina con cui, a volte, si designa un c. deriva proprio dal fatto che prima che fosse in auge la tecnica del riporto, il rivestimento della parte strisciante del c. veniva spesso fatto con bronzo, infilando nel corpo di questo una boccola di bronzo, a interferenza. Si distinguono i bronzi allo stagno o bronzi fosforosi dai bronzi allo zinco; in tutti i casi il metallo base di queste leghe è il rame. I bronzi allo stagno contengono dal 5 al 20% di questo elemento e del fosforo (quanto ne resta dopo la preparazione del metallo se si parte da una lega rame-fosforo al 10÷15% di questo elemento). Eventualmente possono essere aggiunte quantità limitate di altri elementi, per migliorare particolari caratteristiche: ad esempio, il piombo è aggiunto per aumentare la lavorabilità dell'utensile, il nichel per affinare la grana. I bronzi allo zinco hanno composizione simile, anche se non contengono fosforo ma zinco in quanto la presenza contemporanea di fosforo e zinco porta a leghe scadenti. I bronzi allo zinco sono adatti a funzionamenti gravosi, ad esempio ad alta temperatura, in ambienti corrosivi, in presenza di urti, ecc.; i perni con cui vanno accoppiati devono possedere durezza molto elevata, pena un rapido logorio. g) Argento. Una delle migliori composizioni antifrizione fa ricorso a diversi strati, di cui uno d'argento. Il c. è costituito da un corpo di acciaio sul quale viene dapprima elettrodepositato uno strato abbastanza spesso di argento, che viene poi lavorato all'utensile con tolleranze molto strette. Su questa superficie viene elettrodepositato uno strato strettamente controllato di piombo; su questo viene, poi, riportato uno strato accuratamente controllato di piombo; su questo viene riportato, a sua volta, uno strato ancora accuratamente controllato di stagno-piombo o di indio. Prima dell'impiego, il c. viene sottoposto a un trattamento termico, sempre in condizioni rigorosamente controllate, per favorire la diffusione dello stagno (o dell'indio) nel piombo. Questo tipo di c. è attualmente ritenuto come la più sofisticata versione del tipo a strisciamento: esso presenta caratteristiche superiori a tutti gli altri, soprattutto dal punto di vista della dissipazione termica (cosa che consente l'adozione di c. piccoli e, quindi, leggeri anche per le alte velocità). Come conseguenza dell'impiego dell'argento e delle difficoltà di fabbricazione, esso è però impiegato solo in campi specializzati, nei quali il costo non è un fattore dominante di scelta, tipicamente cioè in campo aeronautico e missilistico. h) Leghe di alluminio. Leghe a base di alluminio, con presenza di stagno (6÷7%), di rame (0,7÷1,3) ed eventualmente di silicio (1÷4,5%) e di magnesio (0,7÷1,25%), sono utilizzate come antifrizione soprattutto per c. destinati a sopportare forti carichi (per alberi di accoppiamento, alberi di grandi riduttori, ecc.) i) Materiali non metallici. Un grande numero di materiali non metallici è usato per ridurre l'attrito dei c. Si tratta in generale di applicazioni particolari, ma non per questo meno importanti. Ci limitiamo qui a citare i principali: il legno è in uso da secoli; si utilizza di solito un legno duro (quercia, frassino, faggio selvaggio e legno santo, particolarmente duro). Il legno è adatto a lavorare sott'acqua anche di mare, dove la maggior parte dei metalli antifrizione si corrode subito. Inoltre la sua struttura cellulare, con parti dure alternate a parti molli, è particolarmente indicata per questa applicazione. Per la sua porosità può essere facilmente impregnato con olio e resta lubrificato a lungo. È stato usato per moltissimi anni come materiale per i c. sommersi degli alberi delle navi. Inoltre, è adatto per c. sottoposti a frequenti urti, come quelli di frantoi, mulini, ecc. Attualmente al posto del legno si usano spesso anche impasti stratificati di legno duro con materie plastiche, quali nylon o teflon per c. lubrificanti ad acqua oppure legno compresso e impastato con olio per c. autolubrificanti. La grafite è dotata di buone proprietà autolubrificanti (talvolta usata essa stessa come lubrificante); è adatta a funzionare a temperatura anche relativamente elevata (circa 350 °C) e presenta buone proprietà meccaniche. Si può usare con soddisfazione per c. sommersi in acqua o in numerosi altri liquidi; per contro, presenta una certa fragilità. Viene usata in strumenti e anche in applicazioni pesanti, ma soprattutto con la funzione primaria di guarnizione (anelli di tenuta per pompe, compressori e con funzioni anche di c.). Il nylon presenta un basso coefficiente di attrito a contatto con l'acciaio; il suo basso punto di fusione ne permette l'uso solo a temperatura bassa (non sopra i 150 °C). Sovente per questo scopo si usano dei tipi di nylon appositamente fabbricati, caricati con sostanze dotate di proprietà lubrificanti quali la grafite e il solfuro di molibdeno. Il teflon, polimero del tetrafluoroetilene realizzato da una grande azienda chimica americana, è una resina termoplastica che risolve molti problemi di attrito. Esso presenta un coefficiente di attrito molto basso (circa 0,05), se accoppiato con molti metalli comuni anche a basse velocità di rotazione. È chimicamente inerte in quasi tutti gli ambienti, può lavorare in acqua dolce o salata e può essere facilmente lavorato. Per contro presenta una temperatura di rammollimento abbastanza bassa, anche se superiore a quella del nylon e scarsa resistenza al creep; per questo motivo i c. di teflon sono usati solo per carichi modesti, ingranaggi autolubrificanti di apparecchiature, anelli di tenuta, ecc. Stanno, invece, prendendo piede altre applicazioni di questo polimero per rivestimenti o impregnazione di c. costruiti con altri materiali. La tecnologia dei metalli sinterizzati impregnati con teflon, come pure quella del teflon caricato con metalli, è in pieno sviluppo e appare molto promettente. Il vetro e le pietre preziose sono pure usati, talvolta, per la fabbricazione di c. di strumenti di precisione (ad esempio, orologi) e di apparecchiature chimiche ║ C. a rotolamento: i c. a rotolamento furono introdotti nelle costruzioni di macchine nei primi anni del XX sec. e non tardarono a diffondersi. La prima applicazione degna di nota fu come c. per le ruote di biciclette. L'idea della loro costruzione risale addirittura a Leonardo da Vinci, come sopra ricordato. Il principio su cui si basano questi c. è la sostituzione di un attrito radente con un attrito volvente, che ha sempre un'entità molto minore a parità di carico. Inoltre il rapporto fra attrito di distacco e attrito dinamico è sempre molto inferiore per l'attrito volvente che per il radente. I c. a rotolamento vengono classificati in diversi modi: il più comune si rifa alla natura dell'organo che rotola. Distingueremo, quindi: a) c. a sfere; b) c. a rulli: c. semplici, conici, a botte; c) c. ad aghi o rullini. Consideriamo dapprima i c. a sfere: un c. di questo tipo è costituito da due anelli concentrici, fra i quali esiste una certa intercapedine. Le superfici che si affacciano a questa intercapedine (cioè, superficie esterna dell'anello più piccolo e superficie interna di quello più grande) sono lavorate accuratamente per ricavare in esse due gole aventi forma di un settore anulare di toro. In questa intercapedine sono poste, inoltre, delle sfere di materiale molto duro, pure lavorate accuratamente, che alloggiano perfettamente in essa con una piccolissima luce. Si può pensare che ognuna di queste sfere abbia due punti di contatto, una su una gola e una sull'altra. Il numero di sfere dipende dalle dimensioni del c. e delle sfere stesse; in tutti i casi, esse sono disposte in modo da occupare uniformemente tutto l'arco dell'intercapedine, lasciando un certo spazio fra l'una e l'altra. Affinché le sfere non si tocchino (cosa che danneggerebbe più rapidamente il c.), sovente le sfere sono mantenute in posizione relativamente fissa da un sottile lamierino di bronzo o di acciaio opportunamente sagomato. Allorché si ha un moto rotatorio (attorno all'asse comune) dei due anelli, le sfere rotolano praticamente senza strisciare sui due anelli nelle apposite cave: il moto può dunque avvenire con poco attrito, dato che esso non presenta altro strisciamento se non quello delle sfere sul dispositivo (detto gabbia) che le mantiene in posizione reciproca costante. Una ragione per costruire non solo le sfere ma anche gli anelli con materiali molto duri e accuratamente lavorati, oltre ai motivi di riduzione dell'usura, sta nel fatto che l'attrito volvente fra due corpi, uno dei quali rotola sull'altro, è tanto minore quanto più dure e lisce sono le due superfici a contatto durante il rotolamento. Il montaggio di un c. di questo tipo può avvenire sia bloccando l'anello interno alla parte fissa, sia in modo esattamente opposto. Questo ha poco peso sul comportamento del c., mentre importa invece il movimento relativo rispetto al carico trasmesso dal c. stesso. In generale si preferisce un montaggio tale per cui l'anello interno ruota rispetto al carico, mentre quello esterno è fisso; in caso di necessità è però usato anche il montaggio diametralmente opposto. In alcuni casi (ad esempio, il c. che supporta un albero non ben equilibrato in moto veloce) la direzione del carico può essere indeterminata. Il materiale più comune per la costruzione dei c. a rotolamento (escluse le gabbie) è un acciaio al cromo (0,4÷1,8%) a forte tenore di carbonio (0,9÷1,2%), con presenza di manganese. Sono anche usati numerosi altri acciai speciali, soprattutto al tungsteno. In generale questi materiali vengono trattati termicamente per portarli al massimo grado di durezza. I c. a rulli sono analoghi per funzionamento a quelli a sfere; anche essi sono costituiti da due anelli, fra i quali esiste una intercapedine le cui pareti sono accuratamente levigate. In tale intercapedine, però, si trovano in questo caso non delle sfere ma dei rulli, i quali appoggiano sull'asse interno e su quello esterno lungo una loro generatrice, in quanto il loro asse di simmetria è parallelo all'asse degli anelli. Il fatto che il contatto in questi c. avviene su una linea e non su un punto (teoricamente) come per quelli a sfere, li rende molto più adatti a sopportare carichi elevati. Anche i rulli sono di solito mantenuti in posizione reciprocamente fissa per mezzo di una gabbia, di solito di lamierino d'acciaio. I materiali usati sono gli stessi impiegati per i c. a sfere. Nei c. conici i due anelli hanno la forma di tronchi di cono. In molti casi al posto di avere solo una corona di sfere o solo una corona di rulli, come sopra descritto, i c. hanno due corone di sfere o due corone di rulli: le cave sulle superfici affacciate degli anelli saranno non più una ma due, e in ognuna di queste troverà posto un giro di sfere o rulli. Il funzionamento di questi c. a due corone è pensabile come quello dei due c. normali, affiancati dal punto di vista dei carichi radiali (rispetto all'asse del c.). La cosa può essere diversa per i carichi assiali (diretti come l'asse del c.). I c. a rotolamento vengono distinti, a seconda del carico che devono sopportare, in: a) c. portanti; b) c. spingenti, c. semplici, c. doppi; c) c. spingenti-portanti. I c. portanti sono adatti a sopportare esclusivamente carichi radiali (sempre con riferimento all'asse del c.). Quelli a sfere sono anche in grado di sopportare limitati carichi assiali (in quanto le sfere appoggiano anche, se è il caso, sui fianchi laterali delle gole in cui scorrono). I c. a due corone di sfere possono anche sopportare carichi assiali di una certa entità, onde possono venire classificati fra gli spingenti-portanti. Lo stesso si può dire per i c. a due corone di rulli, del tipo oscillante; i c. a una sola corona di rulli non possono sopportare nessun carico assiale, in quanto i due anelli che li costituiscono si sfilerebbero uno dall'altro con estrema facilità. Finora si è fatto tacitamente riferimento, nella descrizione, a c. portanti. I c. a sfere spingenti sono sempre costituiti da due anelli stavolta non più concentrici ma paralleli, affacciati con due superfici lavorate su cui sono ricavate quelle cave; in queste ultime vengono poste le sfere, trattenute dalla sola gabbia. Costruttivamente questi c. stanno a quelli portanti come i reggispinta a strisciamento stanno ai c. portanti a strisciamento. I c. a sfere spingenti possono, inoltre, essere accoppiati fra loro solo sovrapponendoli. I c. spingenti doppi a sfere sono derivati appunto dall'accoppiamento di due c. a sfere spingenti semplici, uno dei quali sopporta i carichi assiali diretti in un senso, mentre l'altro sopporta quelli diretti nell'altro senso. I c. spingenti semplici a sfere possono invece sopportare carichi assiali, ma solo in un senso. I c. (a rulli) conici sono di solito spingenti-portanti, ma solo in un senso; essi vengono montati su alberi conici e sono meno diffusi degli altri tipi. Per un corretto funzionamento richiedono che il carico sia approssimativamente normale alla superficie conica su cui stanno i rulli; ciò porta ad avere sia una componente assiale (diretta sempre nel senso che va dalla base maggiore a quella minore del tronco di cono cui si può assimilare il c.), sia una componente radiale, ma fra queste due esiste un rapporto fisso legato all'angolo al vertice del cono ideale di cui gli anelli costituiscono un tronco. ║ C. oscillanti: i c. oscillanti possono essere sia a rulli che a sfere. Essi sono caratterizzati dal fatto che, a differenza degli altri tipi, ammettono che l'albero su cui sono montati abbia delle inflessioni sensibili, cioè non abbia un asse esattamente coincidente con l'asse del c. I c. a sfere oscillanti sono sempre a doppia corona di sfere; quelli a rulli possono essere oscillanti se, al posto di impiegare dei rulli cilindrici, si fa ricorso a rulli aventi forma di botte: sono i cosiddetti c. a botte. I c. oscillanti vengono usati per supportare alberi molto lunghi, sui quali possono generarsi delle inflessioni notevoli nell'albero stesso, oppure in quei casi in cui le deformazioni possono presentarsi nel supporto dei c. stessi; più di rado, allorché è difficile montare il c. con un buon allineamento rispetto all'asse dell'albero. ║ Dimensionamento: i c. a rotolamento non vengono dimensionati dall'utilizzatore, dato che sono prodotti solo da pochi fabbricanti altamente specializzati. Il calcolo di un c. di questo tipo si limita, quindi, alla scelta del giusto tipo fra quelli offerti dalle case costruttrici e alla verifica che nelle condizioni di impiego la sua vita sia sufficientemente lunga. Ricordiamo, infine, che l'unica caratteristica di un c abbastanza standardizzata è la dimensione dell'anello interno ed esterno; d'altra parte, questi parametri bastano a definire il montaggio del c., eventualmente specificando anche l'interferenza consigliata con l'albero. La scelta del c. è compiuta sulla base del carico che esso deve sopportare. Se si tratta di un carico esclusivamente radiale e limitato, si sceglierà un c. a sfere, a corona semplice. Se invece il carico è sempre radiale ma rilevante, si sceglierà il tipo a una corona di rulli o a due corone di sfere. Se il carico è radiale ed elevato e, per di più, si hanno problemi di ingombro, si useranno c. a rullini o aghi, di limitatissime dimensioni. Per sopportare spinte esclusivamente assiali, si useranno c. spingenti a sfere. Se i carichi sono molto rilevanti, si potrà considerare il caso di impiegare c. conici a rulli. Se il carico è sia assiale sia radiale, ma prevalente in questo senso, si useranno dei c. oscillanti (a due corone di sfere o rulli a botte) o, eventualmente, c. conici a rulli. Se la componente assiale è importante, sarà meglio usare due c., uno portante e uno spingente. Particolare attenzione va prestata al comportamento dell'albero non solo dal punto di vista dinamico ma anche statico, per non creare delle iperstaticità che potrebbero generare grandi sforzi, anche a causa di dilatazioni termiche. Sotto questo profilo, un c. va considerato come un appoggio dell'albero. Pertanto occorre evitare di usare per uno stesso albero più di due c. portanti, oppure curare molto bene il loro posizionamento. Anche se un albero non deve sopportare carichi assiali e presenta inflessioni limitate, è bene usare un c. oscillante e uno a rulli, piuttosto che due a rulli (cilindrici) che, come si è detto, non sopportano nemmeno il minimo carico assiale. Va evitato l'uso di due c. spingenti in senso contrapposto posti lontani fra loro, ad esempio alle due estremità di un albero. L'allungamento di quest'ultimo deve sempre essere permesso allo scopo di non generare sforzi per dilatazioni termiche. Se l'inflessione dell'albero a livello del c. è sensibile (ad esempio, maggiore di qualche millesimo di radiante), possono essere usati solo c. oscillanti. Se la distanza fra due c. anche portanti è sensibile e vi è un certo periodo di dilatazione termica dell'asse, come avviene quasi sempre, si deve montare rigidamente un solo c., mentre l'altro va fissato ma lasciato libero di compiere una piccola escursione rispetto al supporto; ciò serve per evitare inutili carichi assiali generati per dilatazione termica. Operata la scelta del tipo di c. adatto al singolo caso, si deve procedere alla scelta delle dimensioni nella gamma prodotta per ogni tipo. Consideriamo il caso di un c. portante, dato che gli altri casi sono perfettamente analoghi. Esaminando un grande numero di c. di tale tipo, sottoponendoli a un carico rotante rispetto all'anello interno e facendoli lavorare per un tempo definito ad un certo numero di giri/minuto costante (e quindi sottoponendoli ad un certo numero di giri g in condizioni definite), come pure provando successivamente con diversi carichi crescenti (su diversi lotti di c.), il 90% dei c. del tipo in esame supera la prova con carico C senza essere danneggiato. Per passare dalle condizioni standard di prova a quelle di applicazione, si devono operare alcune correzioni. Si calcola, quindi, un carico C* che il c. dovrà sopportare nell'applicazione in esame mediante la seguente formula:

C* = (kR + mA) ·fu ·fg ·ft ·fp

e deve essere verificata la condizione

C*≤ C

I simboli usati hanno il seguente valore: R = carico radiale applicato al c.; A = carico assiale applicato al c.; k = coefficiente di carico (che vale 1, se il carico è rotante rispetto all'anello interno; vale 1÷1,35 nel caso opposto); m = coefficiente che dipende dal tipo di c. (vale 1,2÷1,5 per c. rigidi a sfere, 3÷4,5 per altri tipi, esclusi quelli che non possono sopportare carichi assiali, per i quali vale infinito); fu = coefficiente di urto (va da 1 a 4, a seconda che il c. non debba o debba sopportare urti); fg = coefficiente di ripetizione di carico (vale fgCurcul10.pngessendo G il numero di giri che il c. dovrà sopportare nella sua vita); ft = coefficiente di temperatura (vale circa 1 fino a 60÷80 °C, poi scende gradatamente con la temperatura: ad esempio, a 180 °C è pari circa a 2); fp = fattore di polverosità (in generale vale 1, ma in ambienti particolarmente polverosi può essere molto maggiore). Come si vede, l'introduzione di tutti questi fattori limita il carico ammissibile a valori inferiori a quelli di targa in funzione di sollecitazioni diverse del c. (urti, temperatura, ecc.). In base a questi calcoli si determina C*, indi si sceglie un c. avente una C maggiore di C* fra quelli del tipo scelto per l'impiego. In caso negativo occorre cambiare tipo, usando ad esempio un c. a rulli anziché uno a sfere. ║ Lubrificazione: i c. a rotolamento, rispetto a quelli a strisciamento, richiedono minore lubrificazione; per contro, questa va maggiormente curata. Per c. in moto lento si può usare olio spruzzato, portato a contatto delle sfere per sbattimento, capillarità o altri mezzi, oppure del grasso a contatto con le sfere. Per c. ad alta velocità la lubrificazione può essere un problema critico; sovente è necessario applicare solo l'esatta quantità di lubrificante richiesta, in forma di spruzzo o nebulizzato. ║ Confronto fra c. a strisciamento e c. a rotolamento: entrambi i tipi di c. hanno pregi e difetti; i vantaggi dei c. a strisciamento sono i seguenti: sono in grado di sopportare carichi maggiori, anche applicati rapidamente (urti), sono meno rumorosi, sono facili da montare (esistono in due o più pezzi), possono essere costruiti con limitato ingombro soprattutto radiale e sono meno costosi. Per contro presentano i seguenti svantaggi: richiedono una lubrificazione abbondante, in certi casi anche prima di mettere in moto l'accoppiamento, presentano un elevato attrito, soprattutto al distacco, necessitano di un periodo di assestamento (rodaggio) prima di funzionare bene, richiedono un perno poco curato dimensionalmente ma duro e lavorato finemente in superficie. I vantaggi dei c. a rotolamento sono i seguenti: basso coefficiente d'attrito, sia al distacco sia in funzionamento, attitudine a funzionare in modo discontinuo, facilità di lubrificazione, non necessitano rodaggio, generano meno calore, sono standardizzati, almeno dimensionalmente, richiedono limitato ingombro in senso assiale e possono essere sostituiti immediatamente allorché usurati. Per contro presentano i seguenti svantaggi: scarsa attitudine a funzionare con carichi gravosi e agli altissimi numeri di giri per minuto, maggior peso, maggior ingombro, maggior rumorosità, maggior costo, non tollerano urti (non si possono fare in più pezzi) e, in certi casi (ad esempio, nell'albero a gomiti per motori a scoppio), non si possono montare affatto. Per questo motivo i c. a rotolamento, per quanto abbiano avuto una diffusione enorme soprattutto in certe industrie, come quella automobilistica, non saranno mai sostituiti da quelli a strisciamento in tutti i campi. Appannaggio di questi ultimi restano, infatti, tutte le applicazioni più pesanti (alternatori di grandi dimensioni, turbine a vapore, idrauliche o a gas, grandi riduttori, ecc.) o quelle in presenza di urti o vibrazioni. Per contro, i c. a rotolamento dominano il campo delle costruzioni leggere o non molto pesanti, il campo degli accoppiamenti soggetti a frequenti avviamenti o arresti, ove sia importante contenere l'attrito e il riscaldamento, nei dispositivi a frequenti inversioni di marcia, ecc. Inoltre i c. a rotolamento sono di uso alquanto generale come reggispinta (c. portanti), allorché non è possibile pensare a uso di c. Michell, come, ad esempio, in dispositivi con frequenti avviamenti o inversioni di marcia, oppure con carichi limitati.