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Crìtica.

(dal greco kritiké: arte del giudicare). Facoltà di giudicare gli uomini nel loro operato. Il complesso di operazioni e di indagini di carattere conoscitivo e valutativo che si rivolge ad un preciso oggetto di conoscenza. ║ Per estens. - Esame valutativo di opere artistiche. ║ L'insieme degli autori critici e delle loro opere. ║ Riprovazione, biasimo, giudizio malevolo. ● Filos. - Interpretazione e valutazione di un oggetto di conoscenza secondo criteri esterni e indipendenti dall'oggetto stesso. ║ Nell'accezione introdotta da Kant nelle sue tre opere fondamentali (V. CRITICA DELLA RAGION PRATICA, CRITICA DELLA RAGION PURA, CRITICA DEL GIUDIZIO, CRITICISMO), non tanto l'indagine valutativa di un oggetto del conoscere, quanto della stessa facoltà del conoscere, vale a dire della ragione. Col termine c. Kant indicava il processo mediante il quale la ragione attua la conoscenza di sé per individuare i limiti e le condizioni delle proprie capacità. ● Lett. - C. letteraria: insieme delle indagini concernenti la natura, i principi, le teorie, le forme, la qualità, la finalità e la destinazione della letteratura e le analisi, valutazioni e giudizi concernenti, invece, le singole opere letterarie o parti di esse. Pur contando fra gli scopi della propria indagine l'individuazione del valore artistico, non può essere identificata con l'estetica che, infatti, è scienza teorica mentre la c., avendo come oggetto il prodotto letterario, è esperienza diretta poiché declina il processo speculativo con l'indagine concreta. Dall'antichità fino al Settecento, l'opera letteraria fu considerata come distinta in forma e contenuto e il suo valore fu direttamente legato alla particolare resa della prima e alla funzione sociale e culturale del secondo. Tale scissione fece sì che, almeno fino al XVIII sec., la c. considerasse la letteratura in quanto forma (come oggetto assoluto e generale, non tipico e individuale) e che la sua azione avesse dunque carattere puramente sistematico e normativo. In questi secoli si lavorò essenzialmente a una definizione e catalogazione del linguaggio poetico e retorico che, però, ancor oggi ha grande utilità strumentale nel processo di indagine critica. Solo a partire dall'Ottocento, cadendo la dicotomia concettuale di forma-contenuto, l'opera letteraria si configurò come "creazione", e non più come "istituto", cioè espressione individuale e tipica della persona in quanto forza creativa. A poco a poco fu disconosciuta qualsiasi funzione sociale o pratica dell'opera d'arte mentre si affermò la sua autonomia, in quanto struttura completa e avente in sé medesima il proprio valore e giustificazione. Grazie all'elaborazione della poetica romantica e alla sua distinzione fra "lingua" e "parola", si poté arrivare a definire il fatto letterario come individuale strutturazione in parole, nel quadro di una generale norma linguistica, dei processi emotivi e di pensiero. Posta questa definizione dell'opera letteraria come momento espressivo autonomo, fiorirono scuole critiche con diversi indirizzi. L'aggettivo con cui di volta in volta si definiscono i vari indirizzi critici indica la metodologia che vi prevale o la dimensione teorica e storica da cui si traggono i criteri di riferimento, di modo che si può parlare di c. romantica, o positivista, o idealista, come anche di c. linguistica, o semiologica, o fenomenologica. Particolarmente fecondi di studi sono stati l'Ottocento e il Novecento che hanno visto nascere la c. di impianto storicista di De Sanctis (in cui confluirono le idee romantiche e i presentimenti vichiani), che per primo mostrò il principio della inscindibilità di forma e contenuto nell'unica espressione del mondo interiore dell'artista; seguì la c. neoidealista di Croce, che tanto impulso diede agli studi letterari, ma da cui nacque la fuorviante dicotomia poesia-non poesia. Ricordiamo alcune delle scuole che nel XX sec. aprirono nuove prospettive alla comprensione dei fatti letterari: la scuola formalista, poi continuata da quella strutturalista (Jacobson, Sklovskij, De Saussure), basata sull'affermazione del primato dell'analisi immanente della forma e della struttura del testo, evitando il ricorso a dati extratestuali; il New criticism americano (Brooks, Ramson), che affermava il principio secondo cui l'opera rimanda a se stessa, senza legami a referenti esterni; la c. stilistica (Spitzer, Auerbach, Devoto); la c. sociologica e marxista (Lukàcs, Gramsci, Fischer); la c. semiologica (De Robertis, Contini, Segre, Corti). ║ C. filologica o testuale: disciplina scientifica che si occupa della ricostruzione della fisionomia originale di un testo (il più vicina possibile cioè a quella stabilita dall'autore) quando essa sia stata alterata dalle successive trascrizioni o riproduzioni a stampa. Limitata per lungo tempo ad azione di normalizzazione grammaticale, la c. filologica conobbe un grande impulso a partire dal XIX sec. Una della metodiche fondamentali consiste nella collazione e nello studio delle varianti di un testo, per stabilire le relazioni fra manoscritti (di dipendenza o ascendenza, di derivazione parallela da una fonte comune, ecc.). In seguito a queste valutazioni si arriva alla stesura dello stemma, una sorta di mappa che rappresenta la genealogia dei manoscritti in esame, in base alla quale si svolge la recensio, cioè la scelta fra le varianti delle singole lezioni, facendo fede il codice che contiene la lezione più antica. Talvolta, non potendosi raggiungere una lezione corretta, si ricorre all'emendatio di un passo, si fa cioè una congettura ragionevole che però non può essere suffragata da alcuna prova certa, se non con la comparsa successiva di un nuovo manoscritto. ║ Edizione c.: edizione di un testo che riporti in apparato le varianti di diversi codici o edizioni, che permettano o la semplice conoscenza delle medesime o, attraverso la loro visione, del processo di formazione del testo finale stabilito dall'autore. ● Arte - C. d'arte: studio e interpretazione dei prodotti artistici mirante al raggiungimento di un giudizio di valore sugli stessi. Pur non conoscendosi fino al Settecento un genere letterario specifico per l'espressione di giudizi critici di opere d'arte, scritti sull'arte e gli artisti sono già presenti nell'antichità classica: ne sono testimonianza, ad esempio, l'opera di Pausania o il trattato di Vitruvio. La categoria del mondo classico dell'arte come mimesi della natura fu dimenticata nel Medioevo, che apprezzò l'arte come mezzo allusivo e psicagogico che, attraverso la bellezza del visibile, doveva condurre l'anima a gustare l'invisibile e il trascendente. La centralità dell'espressione individuale dell'artista, dapprima riferita anche alla sua storia biografica, poi man mano limitata alla sola peculiarità stilistica, si affermò con il Rinascimento: si pensi alla Vite di Vasari. La c. e la storia dell'arte nacquero però come discipline autonome e non più sussidiarie, solo nel Settecento, con J.J. Winckelmann (V.) e con i resoconti dei salons parigini, dopo che analoga autonomia in campo filosofico ebbe raggiunto l'estetica con A.G. Baumgarten (V.). Oggetto dell'indagine non era più né l'autore né il soggetto dell'opera, ma la forma della stessa. Tuttavia da una parte la filosofia idealista ottocentesca, che vide nella storia artistica la storia dello spirito, e dall'altra la riduzione storicistica romantica, resero difficoltoso uno sviluppo coerente dei presupposti settecenteschi. Ancora oggi si sconta, perciò, nel campo dell'arte la scissione fra l'operare dello storico - che si occupa dell'arte antica - e quello del critico - che si occupa di arte contemporanea, ponendosi come intermediario fra artista e pubblico. Le basi metodologiche, cui anche attualmente risale la formazione delle maggiori tendenze della c. d'arte, sono la teoria della "pura visibilità" di K. Fiedler (V.) e il sistema organico elaborato da Croce nella sua Estetica (1902).