Insieme delle confessioni religiose aventi come
elemento essenziale e discriminante l'adesione e la professione di fede in
Gesù Cristo come Figlio di Dio incarnato, morto e risorto e fonte della
salvezza personale. Il termine
C. è attestato a partire dal II
sec., in quanto derivato dalla definizione di
cristiani che, sin dal I
sec., era stata utilizzata per i seguaci di Gesù. La caratteristica
peculiare del
C. risiede nella sua origine non solo rivelata (come
già era per l'Ebraismo) e fondata (come sarebbe stato in seguito per
l'Islam) ma anche storica, cioè radicata nella persona storicamente
vissuta di Cristo, che aveva proposto come oggetto e contenuto della fede non
esclusivamente la sua predicazione (la "Buona Novella") ma la sua stessa
persona, in quanto Figlio di Dio e rivelazione del Padre. Proprio il dato della
rivelazione, comunque, segna il punto di raccordo con l'Ebraismo, ponendosi
Gesù come conclusione dell'itinerario storico e spirituale iniziato con
la chiamata di Abramo e come adempimento della profezia messianica. In forza di
questa origine condivisa con il popolo eletto, Israele, il
C. considera
l'Antico Testamento come proprio testo sacro ma, a differenza dell'Ebraismo,
allarga il proprio canone biblico al Nuovo Testamento, pur operandosi rispetto a
quest'ultimo differenti inclusioni o esclusioni da parte delle singole
confessioni cristiane. Attualmente le maggiori Chiese Cristiane sono la
Cattolica Apostolica Romana, la
Ortodossa e le diverse Chiese
Protestanti. ● St. -
Età antica: in un primo periodo
la predicazione degli apostoli si rivolse esclusivamente all'ambito ebraico che,
però, sentì la nuova dottrina come un corpo estraneo e la
combatté come eretica. Paolo di Tarso per primo allargò in modo
cosciente e sistematico l'annuncio della Buona Novella al mondo pagano, ai
gentili, e con la sua predicazione permise il salto di qualità che fece
del
C. una religione universale. Nelle sue
Epistole Paolo
attuò il primo momento di riflessione ed elaborazione teologica
dell'annuncio di Cristo, chiarendo come il credente fosse "giustificato per la
fede" e non "per la legge", come, cioè, essendo Gesù stesso fonte
della salvezza, la legge mosaica dovesse perdere la sua centralità e
propedeuticità per accostarsi alla vera fede. Tale autonomia fu sancita
nel 49 a Gerusalemme, dove Paolo era tornato appositamente per discuterne con
Pietro e gli Apostoli, quando si decise che la circoncisione non doveva
più essere imposta ai convertiti pagani. Durante il I sec. a Gerusalemme,
sotto la guida di Pietro prima e di Giacomo poi, si costituirono comunità
di Ebrei convertiti alla fede in Gesù, che man mano si diffusero in altri
centri della Palestina, dell'Asia Minore, dell'Africa Settentrionale, della
Grecia e, in generale, lungo le direttrici della diaspora ebraica, ben presto
rinforzate dalle prime adesioni di gentili. Nel medesimo periodo si cominciarono
a comporre e a fissare i testi dei Vangeli, degli
Atti degli Apostoli,
delle
Epistole di Paolo, Pietro, Giovanni e Giuda e, in ultimo,
dell'Apocalisse, che nell'insieme compongono il Nuovo Testamento, a
completamento e conclusione dell'Antico. Poche date emergono con certezza da
queste opere: la morte degli apostoli Pietro e Paolo durante la prima
persecuzione di Nerone (64-67); la morte di Giacomo prima della rivolta
antiromana, soffocata da Tito nel 70; la morte assai tarda di Giovanni, che
sembra aver visto la fine del secolo. Le prime comunità cristiane furono
caratterizzate da un atteggiamento escatologico, di attesa cioè della
seconda venuta di Cristo che era immaginata come imminente; tale atteggiamento
è testimoniato in particolare dall'ultimo capitolo della
didaché (V.). Tuttavia, a misura del
passare del tempo, si comprese che le prime generazioni di discepoli non
avrebbero goduto da vivi della realizzazione del Regno e, dunque, l'attesa
escatologica fu ridimensionata, a vantaggio di un maggior coinvolgimento col
mondo esterno alle comunità, del proselitismo e di una maggior
valorizzazione della fedeltà nel tempo. Tale trasformazione si
attuò secondo alcuni studiosi assai presto, cioè nel I sec. alla
morte degli Apostoli, secondo altri fu più graduale e si completò
solo alla fine del III sec. Cominciando a dialogare con le culture e le
civiltà in cui vivevano, non più solo con quella ebraica, ma con
quella greco-romana e quella orientale, i cristiani avvertirono in modo sempre
più pressante la necessità di chiarire ed esplicitare le basi ed i
termini della propria fede. Si sviluppò così, proprio negli anni
difficili delle persecuzioni che l'Impero romano scatenava contro quella che
considerava una religione
illicita, un processo speculativo di grande
valore anche culturale. Da tale momento emersero le figure degli apologeti
(V. APOLOGETICA) che esercitarono le loro
qualità nella polemica contro il pensiero pagano. Tuttavia anche su un
piano dottrinale interno si determinò la necessità di correggere
posizioni teologiche errate e, quando necessario, di combatterle come eretiche.
A partire dalle comunità maggiormente a contatto con le religioni
orientali, si diffuse una contaminazione con le dottrine gnostiche
(V. GNOSTICISMO), che snaturava radicalmente il
C. e che fu avversata con particolare calore dal vescovo Ireneo, come dal
didascaleion di Alessandria, a quel tempo uno dei maggiori centri di
discussione e definizione teologica. Fra il III e il IV sec. le Chiese cristiane
furono attraversate da numerose correnti ereticali: il Montanismo, il
Manicheismo, il Donatismo, l'Arianesimo. Pur operandosi divisioni drammatiche
fra le comunità, il sorgere dei pensieri eretici determinò una
grande vivacità speculativa che, in certo modo, costrinse anche
l'ortodossia a un maggior sforzo di definizione dottrinale e teologica.
Tertulliano per primo rivendicò alla Chiesa, in quanto comunità
nella continuità dell'insegnamento apostolico, il diritto di stabilire
l'ortodossia sulla base della Sacra Scrittura. Da questa necessità
nacquero i Concili, che si svolsero dopo l'editto di Milano del 313 in cui
Costantino riconobbe la libertà di culto ai cristiani. Tema centrale di
questi primi concili ecumenici fu la definizione delle fondamentali
verità della fede: il dogma trinitario, riguardante cioè la
relazione tra Padre, Figlio e Spirito Santo in quanto unica divinità
distinta in tre persone, e il dogma cristologico, riguardante cioè la
natura insieme umana e divina di Cristo. Tra il Concilio di Nicea (325) e quello
di Costantinopoli (381) si arrivò a definire il
simbolo
niceno-costantinopolitano, ancora oggi condiviso dalle maggiori Chiese
cristiane. Il lavoro di riflessione teologica che precedette e seguì i
momenti conciliari vide emergere nella Chiesa alcune figure di vescovi di grande
levatura non solo pastorale, ma anche filosofica e teologica: i cosiddetti
"Padri postniceni", tra cui ricordiamo in Oriente Basilio di Cesarea, Gregorio
di Nissa e Gregorio Nazianzieno, in Occidente Ambrogio, Girolamo e Agostino.
Mentre la problematica trinitaria trovò soluzione entro la fine del IV
sec., il problema cristologico continuò a essere dibattuto, anche
attraverso diversi concili ecumenici, almeno fino al 681, anno del Terzo
Concilio di Costantinopoli che definì la questione. In questo lasso di
tempo avevano preso corpo dottrine ed eresie le quali o negavano la duplice
natura, umana e divina, di Gesù (V.
DOCETISMO), o affermavano l'esistenza nel Redentore di due persone, una
umana e una divina, distinte (V. NESTORIANESIMO),
o ritenevano che la natura umana vi si fosse dissolta in quella divina
(V. MONOFISISMO) o che la sola natura divina
potesse esprimere atti volontari annullando la volizione della natura umana
(V. MONOTELISMO). Questi secoli furono importanti
per il
C. non solo da un punto di vista dottrinale, ma anche da quello
della sua espansione, organizzazione e gerarchizzazione. L'editto di Costantino,
innanzi tutto, modificò il carattere del culto che assunse forme
pubbliche fino a che, con l'editto
De fide catholica emesso da Teodosio
nel 380, il
C. diventò religione di Stato. Da questa data in poi
il
C. cominciò ad espandersi nel mondo conosciuto almeno fino al
VII sec., quando l'Islamismo iniziò a ostacolarne l'avanzata. Tuttavia i
contrasti dottrinali portarono alle prime divisioni nell'ancora unica Chiesa
cristiana, ad esempio con i nestoriani di Siria e con i monofisiti
d'Alessandria, la cui continuazione è oggi riconoscibile nella Chiesa
copta d'Etiopia. In questi secoli si mise in evidenza anche la rivalità
fra il patriarcato di Costantinopoli, città politicamente in ascesa, e il
vescovo di Roma, la cui superiorità era legata al ruolo di successore di
Pietro, ma la cui sede era a quell'epoca storicamente in declino. ║
Medioevo: se nei primi secoli il
C. fu soprattutto un fenomeno a
radicamento urbano, a partire dal VI sec. si diffuse in Occidente il
monachesimo, che aveva nel cenobitismo e nell'eremitismo orientali i suoi
antecedenti. È fondamentale per la storia dell'Alto Medioevo la figura di
Benedetto da Norcia, che fondò il primo monastero in Occidente e
formulò la
Regola benedettina che permise lo sviluppo di
moltissime comunità grazie a cui il
C. penetrò assai
più profondamente nelle campagne di Europa. L'altro personaggio cui il
C. d'Occidente deve la fisionomia e lo sviluppo nei secoli delle
invasioni barbariche - mentre in Oriente la cristianità viveva la
relativa protezione dello Stato bizantino - è papa Gregorio Magno, la cui
azione pontificale si espresse in ambito teologico, liturgico, organizzativo
(con lui iniziò la clericalizzazione della Chiesa) e di evangelizzazione
delle popolazioni barbariche di ceppo anglosassone. La crisi causata dall'eresia
iconoclasta dell'VIII sec. (V. ICONOCLASTIA),
approfondì il solco già notevole fra le Chiese d'Oriente e
Occidente, e portò a un'alleanza, per la prima volta politica, fra il
Papato e i Franchi. L'incoronazione di Carlo Magno da parte del pontefice
aprì un nuovo capitolo nell'elaborazione teologica dei rapporti fra Stato
e Chiesa. Tale problema animò le vicende della cristianità nei
secc. VIII e IX, soprattutto in rapporto alla Chiesa d'Oriente che aveva vissuto
l'evoluzione occidentale come un tradimento e che rinfacciava ai confratelli
numerosi atti contro la comunione delle Chiese: teologici (quale la variazione
nel simbolo niceno-costantinopolitano riguardante la posizione dello Spirito
Santo nella Trinità), liturgici (fermentazione del pane eucaristico),
accentratori (affermazione del primato della Chiesa romana sulle altre chiese).
A questo si aggiunsero la lotta politica per le investiture dei vescovi (che il
papato rivendicava a sé), la conquista normanna e la conseguente
latinizzazione della Magna Grecia (territori che Costantinopoli riteneva di sua
influenza), la disputa teologica sulla presenza del Cristo nelle specie
eucaristiche (se reale o solo spirituale); si determinò nel 1054 lo
scisma d'Oriente, il più grande e mai sanato nella Chiesa cristiana.
Durante il X sec. i problemi legati alla nascita del feudalesimo di età
carolingia e la compromissione con le vicende temporali ed economiche del clero
portarono in Europa alla cosiddetta
riforma gregoriana, culminante nel
papato di Gregorio VII (1073-1085). Elementi fondamentali di tale momento
spirituale e organizzativo della Chiesa furono il monachesimo cluniacense, la
lotta alla simonia e alle degenerazioni dei costumi del clero e, dopo la
consumazione dello scisma, un sempre più accentuato centralismo di Roma,
da cui il Papa e i cardinali guidavano la Chiesa universale attraverso le chiese
locali (diocesi e parrocchie), nonché una gerarchizzazione clericale
delle comunità. Da un punto di vista dottrinale si precisò,
invece, la dottrina dei sacramenti e in particolare quella riguardante lo
speciale carisma sacerdotale. La religiosità del XII sec., inserita in un
contesto esistenziale totalmente e per tutti scandito da riferimenti cristiani,
reagì all'automatismo dell'adesione al
C. (la cui dottrina per
altro risultava spesso incomprensibile alla stragrande maggioranza dei fedeli,
illetterata e ignorante) nelle forme dei movimenti ereticali da un lato
(valdismo, catarismo, patarismo, ecc.), in quelle degli ordini monastici
"itineranti" dall'altro. Differenziandosi dagli ordini conventuali, assai
diffusi ma corrotti e comunque lontani dalla vita della gente comune, i
Francescani e i Domenicani apportarono nuova energia alla vita ecclesiale. Non
essendo inseriti nelle strutture delle diocesi locali, i due ordini, approvati e
legittimati da papa Onorio III, furono esentati dalla soggezione ai vescovi,
riferendo direttamente a Roma e diventando così cinghia di trasmissione
degli orientamenti centrali in tutta la Chiesa. A questo periodo risale anche la
nascita della filosofia "scolastica", che si affiancò all'esegesi
biblica, ma che si valse in particolare del metodo filosofico razionale di
Aristotele. L'affermarsi di tale teologia, che ebbe in Tommaso d'Aquino il suo
campione, mise fine al pluralismo teologico che era stato fin lì segno
anche di un pluralismo ecclesiale. L'opera di sistemazione teologica e
disciplinare diede impulso e rilevanza al potere papale che, col primo Giubileo
nell'anno 1300, celebrò se stesso. Ma la diretta partecipazione del
Papato al gioco politico delle potenze europee (la Francia di Filippo il Bello,
la Germania di Ludovico il Bavaro) finì col privarlo della sua propria
autonomia, come testimonia il lungo e doloroso periodo della
cattività
avignonense (1308-77). Quando il Papato riportò la sua sede a Roma,
la Chiesa subì il nuovo trauma dello scisma d'Occidente, fronteggiandosi
contemporaneamente due e poi tre papi che si scomunicavano l'un l'altro.
Passarono decenni di drammatica confusione prima che il Concilio di Costanza
(1414-18) riuscisse a destituire tutti i contendenti e ad eleggere come unico
pontefice Martino V Colonna, valendosi per questo dell'autorità
conciliare cui il papa stesso doveva adeguarsi. A Costanza, e in seguito nel
Concilio di Ferrara, si tentò anche una conciliazione con la Chiesa
ortodossa. Nel XV sec. il nepotismo sfrenato dei papi e il lusso della curia
romana fornirono i presupposti all'evento della Riforma. ║
Età
moderna: gli interessi economici e culturali di un clero decaduto e le
istanze conservatrici di certa teologia impedirono per tutto il XV e parte del
XVI sec. una riforma della Chiesa. Tentativi di reazione a questo stato di cose
furono compiuti, in diversi modi ma con scarsi risultati, da personaggi come
Girolamo Savonarola, Erasmo da Rotterdam, o Paolo Giustiniani; senza esito
soddisfacente fu anche il Concilio Lateranense del 1512. Proprio in seguito a
tale evento cominciò la predicazione di Lutero che, partendo
dall'opposizione alla dottrina delle indulgenze, si allargò alla denuncia
della decadenza morale e teologica della Chiesa di Roma. Nata come tentativo ed
esigenza di riforma dall'interno della Chiesa, in cui Lutero desiderava
continuare a vivere, per l'opposizione della gerarchia romana e del Papato in
particolare a qualsiasi momento di confronto (si rifiutò la convocazione
di un concilio), la predicazione luterana approdò ad una frattura
incolmabile. In quegli stessi anni Enrico VIII sottrasse la Chiesa d'Inghilterra
all'autorità di Roma, dando vita all'Anglicanesimo, e Calvino
allargò il fronte della Riforma. La Chiesa romana, lungi dall'accogliere
e mediare questi fermenti, guardò alle nuove teologie esclusivamente con
gli occhi del tribunale dell'Inquisizione e solo quando l'adesione massiccia del
popolo tedesco, inglese, svizzero alle chiese riformate sembrò poter
travolgere l'esistenza stessa della Chiesa tradizionale, si giunse alla
convocazione del Concilio di Trento (1545-63). Una sistematizzazione della
dottrina e la riforma del clero furono le questioni centrali dibattute, fino a
consentire un reale rinnovamento della Chiesa, che ispirò il termine di
Controriforma, che esplicitasse l'intensità di questo momento nella vita
della Chiesa cattolica che era pari a quella del fenomeno religioso che le si
opponeva. Da quel momento la storia del
C. si scisse in quella delle
diverse chiese cristiane: riformate, anglicana, cattolica. ● Teol. - Dalla
predicazione di Gesù Cristo discende una concezione monoteista, pur
declinata nel mistero trinitario della tre persone divine. In quanto Figlio e
Rivelazione del Padre, Cristo è anche fonte e mediatore unico della
salvezza, che si realizza mediante la Resurrezione. Essendo il peccato la radice
del male nel mondo, il cammino di salvezza doveva infatti cominciare dalla
vittoria sul male assoluto, cioè la morte, e dalla lotta contro il
peccato, che mina innanzi tutto il rapporto con Dio Padre e con gli altri
uomini. Solo alla fine dei tempi il male sarà bandito totalmente,
tuttavia ogni credente ha il dovere di non desistere mai da tale lotta,
impegnandosi in un atto di fede totale. I riti e il culto del
C. sono
riferiti alla persona di Cristo, fondatore e insieme oggetto della fede, e hanno
la loro massima espressione nei Sacramenti, gesti in cui si rinnova l'incontro
dell'uomo con Dio. Ogni confessione cristiana, infatti, ritiene che mediante i
Sacramenti la presenza del Signore si riattualizzi nella comunità; tutte
le chiese riconoscono il Battesimo (che segna l'ingresso nella comunità
dei credenti mediante la Grazia) e l'Eucarestia (che rinnova il gesto
dell'offerta sacrificale che il Cristo fece di sé alla vigilia della
morte). La Nuova Alleanza che Dio ha stretto con l'uomo mediante la morte e
resurrezione del Figlio richiede una condotta di vita etica, che non coincide in
un codice di comportamento di tipo legalitario, ma in una conversione interiore
ed esteriore che sola può dare senso all'osservanza formale. L'unico
comandamento irrinunciabile è quello dell'amore verso Dio e verso il
prossimo, la cui osservanza è possibile nell'imitazione di Cristo stesso,
in un continuo sforzo di conversione. Tale conversione, però, non si basa
solo sulla capacità morale dell'uomo, ma soprattutto sull'azione dello
Spirito in lui (Grazia).
Cartina: la diffusione del Cristianesimo