Porzione di materia cristallina, chimicamente e
fisicamente omogenea, in cui gli atomi che la costituiscono sono ordinati
secondo un motivo geometricamente costante, ripetuto un certo numero di volte
(generalmente molto grande). ║ Nel linguaggio scientifico e tecnico, si
definiscono
a c. alcuni dispositivi che sfruttano determinate
proprietà del
c. ● Chim. e Fis. - I solidi si possono
distinguere in
amorfi e
cristallini. I primi sono caratterizzati
dal fatto che al loro interno gli atomi non sono distribuiti secondo uno schema
geometricamente semplice, ripetuto più volte, onde è praticamente
impossibile dare una descrizione geometrica della posizione relativa dei vari
atomi all'interno della massa solida, benché non si possa escludere che
localmente gli atomi siano impaccati con un certo ordine. Per contro, un
c. è composto da un certo numero di atomi fra loro tutti uguali o
da alcuni tipi (a seconda che si tratti di un elemento o di un composto) oppure
da gruppi di atomi impaccati nello spazio; essi hanno posizioni reciproche
sempre costanti e, quindi, individuabili e descrivibili in termini geometrici.
È possibile, in una struttura di questo tipo, enucleare un gruppo di
atomi con una struttura tale che tutto il
c. si può pensare
composto da tanti di questi elementi (detti
cella elementare o
motivo
fondamentale), impaccati ancora in posizioni relative fisse e costanti. Il
caso più semplice di cella è quella cosiddetta
cubica
semplice: essa si può pensare come un cubo ai cui otto vertici si
trovano otto atomi (uno ogni vertice). Il lato di questa cella (supponendo che
gli atomi abbiano forma sferica e si trovino a contatto nel punto medio degli
spigoli del cubo) corrisponde a due volte il raggio di un atomo, cioè al
diametro atomico. Dato che il cubo così considerato (ideale) porta 8
atomi i quali hanno per centri i vertici del cubo, la cella elementare comprende
un atomo solo e non otto. In effetti, considerando un vertice del cubo,
nell'impaccamento delle varie celle questo vertice è comune con altri 7
vertici di altri 7 cubi (formati dai tre piani ortogonali comprendenti le tre
facce del cubo che formano il vertice considerato); ne consegue che anche
l'atomo piazzato su quel vertice deve essere considerato comune a 8 celle
(quindi, ne appartiene 1/8 ad ogni cella). Pertanto, dato che la stessa
considerazione vale per tutti i vertici della cella elementare, si può
dire che ad essa appartiene 8:(1/8) = 1 atomo. ║
Monocristalli e
policristalli: la maggior parte dei solidi esistenti in natura sono
cristallini. In genere, però, un solido qualsiasi cristallino non
è composto da un solo
c., ma da un certo numero (in generale
grande) di
c. che hanno al loro interno una struttura ordinata, ma
possiedono una forma esterna solitamente molto irregolare; essi sono, poi,
cementati fra loro da alcuni strati di atomi pressoché disordinati. I
materiali di questo tipo si dicono
policristallini, in quanto in una loro
massa anche abbastanza piccola esistono molti
c. Per contro si possono
trovare anche in natura, o produrre artificialmente, dei pezzi di solido pure di
dimensioni considerevoli (con un peso fino a qualche chilogrammo), costituiti da
un solo
c.: un tale materiale è detto
monocristallino o,
più semplicemente,
monoc. Questa distinzione ha una grande
importanza pratica, in quanto il comportamento di uno stesso materiale cambia
sensibilmente a seconda che esso si trovi nello stato monocristallino o in
quello policristallino; in quest'ultimo caso, esso dipende anche dalle
dimensioni medie dei grani che lo compongono. Un materiale policristallino
è costituito da
c. disposti a caso, orientati ognuno secondo una
direzione diversa da quella dei
c. con cui confina. Si possono anche
avere, però, degli
orientamenti preferenziali, cioè la
situazione in cui una certa aliquota dei
c. (ad esempio, il 50%, il 70%,
il 90%, ecc.) è orientata tutta nello stesso senso, secondo un asse o un
piano cristallografico. Questa situazione si può avere, ad esempio, per
deformazione plastica a freddo o per particolari condizioni di accrescimento dei
c. e riveste un'importanza pratica a volte notevole. Le caratteristiche
di un filo trafilato a freddo, ad esempio, sono diverse nel senso di trafilatura
rispetto al senso trasversale; le proprietà meccaniche di una lamiera
laminata a freddo sono nettamente diverse, a seconda che si misurino nel senso
di laminazione (lunghezza della lamiera), nel senso perpendicolare (larghezza
della lamiera) o lungo un terzo asse (spessore della lamiera). In questi casi la
deformazione a freddo ha causato un orientamento preferenziale dei
c. e
il materiale, che prima era
isotropo (cioè, presentava le stesse
proprietà meccaniche in tutte le direzioni), perché i
c.
erano orientati casualmente in tutte le direzioni, è diventato
anisotropo (cioè, con proprietà meccaniche dipendenti dalla
direzione in cui sono misurate), perché l'orientamento dei singoli
c. non è più statico. Infatti un
c. (come un
monoc.) è sempre anisotropo, in quanto i vari piani con cui se ne
può fare una sezione non sono fra loro equivalenti (come numero di atomi
intersecati, posizione relativa e distanza fra i vari atomi). ║
Bordo
del grano: i
c. che costituiscono un materiale policristallino sono
anche detti
grani e la loro parte esterna è, quindi, detta
bordo del grano. Le proprietà del bordo del grano sono
sensibilmente diverse da quelle del grano, in quanto gli atomi che lo
costituiscono hanno una disposizione diversa. Il bordo del grano è stato
oggetto di molte teorie; attualmente la maggior parte degli studiosi concorda
nell'attribuirgli uno spessore dell'ordine di alcune dimensioni atomiche ed una
struttura a scarso ordine. Se due
c. contigui sono disorientati solo di
un piccolo angolo (10° al massimo), il bordo del grano si può
configurare come una zona avente una concentrazione particolarmente elevata di
dislocazioni a spigolo. Se il disorientamento è maggiore, la zona che
costituisce il bordo del grano deve per forza avere una struttura irregolare,
simile in un certo senso a quella di un liquido, benché gli atomi
mostrino una certa tendenza ad assumere una configurazione dotata di un certo
ordine, che si avvicina a quella dei due
c. confinanti ed è, in un
certo senso, intermedia fra le due. Ciò non toglie che il reticolo
cristallino (ammesso che se ne possa individuare uno) è in questa zona
estremamente distorto e tensionato, in quanto l'impaccamento è
irregolare. Le proprietà esterne (macroscopiche) di un materiale
policristallino (ad esempio, un pezzo di metallo) dipendono più dal bordo
del grano che dai
c. in sé. Infatti, anche la deformazione
plastica dei
c. avviene solo perché sono presenti in essi dei
difetti, in particolare delle dislocazioni. Lo scorrimento di queste è,
però, in generale bloccato dal contorno dei grani, e quindi si ha un
irrigidimento del materiale stesso rispetto alle deformazioni meccaniche.
Così, in generale, un materiale policristallino a grana fine
(cioè, con dimensioni medie dei
c. relativamente piccole) presenta
una maggiore rigidità dello stesso materiale, allorché abbia una
grana più grossa (cioè, maggiori dimensioni medie dei grani).
È, peraltro, noto come negli acciai, passando dalla perlite (a grana
grossa) alla sorbite e alla bainite (a grana molto fine), si abbia un grande
aumento di resistenza alla trazione e di durezza. Nello stesso tempo è
noto anche che una ricottura (tranne in alcuni materiali che induriscono per
precipitazione) causa uno scadimento della resistenza alla trazione e della
durezza dei metalli, in quanto ne ingrossa i grani; per contro si verifica un
aumento dell'allungamento, cioè il materiale è più
deformabile plasticamente. Tutti questi fenomeni hanno una grandissima
importanza pratica nelle costruzioni meccaniche. Qualsiasi fenomeno che
modifichi il contorno del grano (localizzazione di impurezze, precipitazioni
locali di carburi, ecc.) finisce per modificare anche, più o meno
profondamente, il comportamento generale del metallo. Anche chimicamente questa
zona è diversa dai
c. Così i fenomeni di diffusione sono
molto più rapidi al bordo che non all'interno dei
c.; certi
elementi si localizzano preferenzialmente al bordo dei grani, causando un
comportamento chimico differente e la possibilità dell'insorgere di pile
locali di
corrosione fra bordo e grano. Sono ben noti alcuni fenomeni
dovuti a questo comportamento: citiamo solo la corrosione intercristallina degli
acciai inossidabili austenitici, la fragilità caustica, la
stress
corrosion e la corrosione stagionale (
season cracking) degli ottoni.
Da quanto detto si comprende come nelle applicazioni pratiche importi conoscere
non solo la struttura cristallina dei solidi, ma anche le dimensioni dei
c. e il modo in cui questi
c. sono
cementati l'uno
all'altro dal materiale che costituisce il bordo dei grani. Naturalmente il
discorso fatto per le proprietà meccaniche vale anche, seppure di solito
in modo meno vistoso, per le altre proprietà (elettriche, termiche,
magnetiche, ecc.). ║
Difetti nei c.: ipotizzare che un
c.
sia costituito da un grande numero di atomi impaccati secondo un assoluto ordine
geometrico, senza alcun difetto, porta a risultati che sono nettamente in
contrasto con l'esperienza. Ad esempio, il calcolo teorico mostra che la
resistenza alla trazione di un
c. (o meglio di un
monoc.) dovrebbe
essere da 100 a 10.000 volte superiore a quella riscontrata in pratica. Inoltre
è dimostrato che è possibile avere una
conduzione ionica in
c., cioè che degli ioni (atomi carichi positivamente o
negativamente) possono muoversi all'interno di un reticolo cristallino quasi
come farebbero in un liquido (anche se il processo è più lento e
più difficile). Allo stesso modo, atomi estranei a un reticolo
cristallino possono diffondersi al suo interno (per il fenomeno di diffusione
allo stato solido) con le stesse leggi che regolano la diffusione nei liquidi
(anche qui il processo è più difficile, ma può essere
veloce a temperatura abbastanza alta). Lo studio di questi e di altri fenomeni
ha fatto cadere l'ipotesi di un
c. idealmente perfetto, che era stata
avanza in passato, a favore di altre ipotesi, secondo le quali in ogni
c.
esistono dei
difetti di vario tipo; questi difetti sono stati, poi,
osservati direttamente (almeno la maggior parte) e confermati dai calcoli
teorici. Il primo a fare un'ipotesi del genere fu C.G. Darwin che, per spiegare
alcuni aspetti degli spettri di diffrazione dei raggi X, formulò
l'ipotesi che ogni
c. fosse costituito da zone perfette (dette, poi,
cristalliti) collegate fra loro da zone che possiedono difetti (1914); un
simile modello di
c. idealmente imperfetto venne in seguito detto
c. a
mosaico. Uno studio più approfondito inziò con i lavori
indipendenti di L. Prandtl e di U. Dehlinger, i quali (nel biennio 1928-29)
supposero, per spiegare le proprietà meccaniche dei metalli, l'esistenza
di difetti lineari. Questo lavoro fu ripreso e completato, in maniera
indipendente, da altri tre studiosi: G.I. Taylor, M. Polanyi e E. Orowan che nel
1934 enuclearono meglio l'influenza delle imperfezioni lineari (oggi chiamate
dislocazioni) sulle proprietà meccaniche dei solidi.
Successivamente, J.M. Burges quantizzò l'esistenza e il comportamento
delle dislocazioni. Pressoché nello stesso tempo A. Smetal pose in
rilievo il fatto che i fenomeni di diffusione e conducibilità ionica
richiedevano l'introduzione di difetti di tipo diverso. Altri studiosi di fisica
dello stato solido e di metallurgia raffinarono e quantizzarono questi concetti;
ricordiamo solo i nomi di Frenkel, Schottky e A.H. Cottrel. ║
Classificazione dei difetti: allo stato attuale della conoscenza, si
può proporre tale divisione:
a) difetti puntiformi;
b)
difetti lineari;
c) difetti di piano;
d) difetti di superficie;
e) difetti di volume;
f) difetti elettronici. Ciò è
valido per un materiale monocristallino o per un singolo
c.; per un
policristallino si hanno tutti i difetti dovuti al bordo del grano, dei quali si
è già detto. Vediamo separatamente questi sei tipi di difetti
elencati:
a)
Difetti puntiformi. Come dice il loro nome questi
difetti interessano lo spazio relativo a un solo atomo; il loro influsso,
quindi, si fa sentire sensibilmente solo in una regione che contiene
relativamente pochi atomi. Ne esistono di tre tipi principali:
difetti
interstiziali, cioè un atomo che anziché occupare una
posizione reticolare si trova in posizione interstiziale (nell'interstizio che
si ha fra altri atomi che sono in posizione normale; essendo gli atomi
assimilabili a sfere, è ovvio che anche se sono densamente impaccati
esistono fra loro dei vuoti);
difetti di Schottky, cioè assenza di
un atomo (o ione) dalla posizione corretta (è frequente nei
c.
ionici; ovviamente, per ogni catione assente si deve avere, da qualche parte, un
anione assente, se hanno uguale valenza);
difetti di Frenkel, cioè
un atomo che anziché trovarsi nella voluta posizione si trova in
posizione interstiziale. I difetti interstiziali sono comuni nelle leghe:
infatti, atomi di piccole dimensioni (carbonio, boro, azoto, ecc.) possono
facilmente restare inclusi nel reticolo cristallino, distorcendolo in misura
abbastanza limitata in un interstizio fra gli altri atomi. I difetti di Schottky
si originano quando un atomo (o ione) abbandona la sua posizione per migrare
alla superficie del
c., lasciandosi dietro un vuoto, cioè una
vacanza. I difetti di Frenkel si hanno allorché un atomo (o ione)
viene sbalzato dalla sua esatta posizione reticolare e va ad occupare una
posizione interstiziale, lasciandosi dietro anch'esso una vacanza. È un
caso abbastanza frequente negli alogenuri di certi metalli (che sono
c.
ionici, cioè costituiti da un impaccamento di anioni alternati a
cationi), in quanto in essi gli anioni hanno dimensioni molto maggiori dei
cationi, i quali possono facilmente localizzarsi negli interstizi. Tutti questi
difetti possono generarsi sia durante l'accrescimento del
c., sia per
cause susseguenti (bombardamenti con ioni o particelle radioattive, diffusione
allo stato solido, elettrolisi allo stato solido, ecc.). In generale, i difetti
di Frenkel e di Schottky sono presenti contemporaneamente, in proporzioni
diverse secondo i composti. La teoria mostra (confortata dall'esperienza) che,
ad esempio negli alogenuri alcalini, predominano i difetti di Schottky, mentre
negli alogenuri di argento predominano i difetti di Frenkel, almeno sotto i 700
°C.
b)
Difetti lineari. Sono essenzialmente le dislocazioni,
qui trattate a parte per la loro complessività e il grande interesse che
presentano.
c)
Difetti di piano o
di superficie. A
differenza di quelli del precedente tipo che si estendono lungo una linea,
questi si estendono su una superficie (piana). Anche un
c. (o
monocristalli) è composto da cristalliti, leggermente disorientati
fra di loro; le superfici di contatto di tali zone sono, quindi, dei piani non
perfetti, i cui atomi non si trovano nell'esatta posizione che vorrebbe il
reticolo, rispetto agli atomi circostanti. Questi difetti sono detti
confini
a piccolo angolo (in inglese:
small angle boundaries) e non vanno
confusi con i bordi dei grani, che sono generalmente a grande angolo (tendono ad
essere di 120°) e sono detti in inglese
large angle boundaries.
Altri difetti di piano sono i cosiddetti
difetti di impaccamento o
staking faults; in questo caso, si ha tutta una parte di
c. che
presenta un impaccamento non corretto rispetto al resto. Si consideri, ad
esempio, un
c. nell'esagonale compatto; i vari atomi sono disposti
secondo esagoni su ogni piano, e i vari piani occupano alternativamente tre
posizioni nello spazio (rispetto ad un riferimento) che indicheremo con A, B e
C. Considerando che il
c. si accresca secondo questo piano, dopo un piano
nella posizione A si formerà il piano sovrastante nella posizione B ed il
seguente nella C, per poi riprendere con A, e così via. La normale
sequenza dei piani sarà quindi del
tipo:
...A B C A B C A B
C...
Si supponga che, ad un certo punto, al
posto di un piano di tipo A se ne formi uno di tipo C, e poi continui la normale
alternanza. La sequenza diventa allora:
...
ABCABCABC/BCABCABCA...
Come si vede, si
è verificato un errore fra i due piani C e B (indicato con una barra).
Questo tipo di errore può aversi nella formazione del
c. se esso
cresce molto in fretta, oppure può prodursi per deformazione meccanica
(slittamento relativo di due piani). Un altro errore di questo tipo può
aversi anche in un impaccamento a strati alternati del
tipo:
...A B A B A B A
B...
Si può verificare il caso che,
ad un certo punto, anziché iniziare la crescita di un piano del tipo A
inizi quella di un piano di un tipo diverso (che diremo C), energeticamente non
molto meno favorito di A. Allora la sequenza di impaccamento
diventa:
...A B A B A B C B C B C
B...
In entrambi questi casi si parla di
geminazione e il piano difettoso viene detto
piano di geminazione;
esso separa due parti di un
c. che prese singolarmente sono perfette, ma
non sono fra loro congruenti.
d)
Difetti di superficie: possono
essere di molti tipi ed hanno in generale importanza solo in dispositivi
estremamente raffinati, quali quelli che si costruiscono già oggi in
microelettronica. Difetti di superficie possono essere considerati anche i
contorni (bordi) dei grani. Si deve ricordare che il contorno di un
c. o
monoc. (anche se non è legato ad altri
c.) è sempre
un difetto, in quanto gli atomi che si trovano sulla superficie non sono
contornati dallo stesso numero di atomi da cui sono contornati quelli che si
trovano all'interno. La risultante delle forze interatomiche non è,
quindi, nulla come per gli atomi interni, ma ha una componente non nulla diretta
verso l'interno del
c. (normale alla superficie nel punto considerato).
e)
Difetti di volume: interessano un certo volume del
c.,
in generale nell'ordine di qualche cella atomica o più. Possono essere,
ad esempio, vacanze prodottesi dalla coesione di più vacanze (dovute a
difetti di Frenkel o di Schottky) a formare una lacuna più grande, oppure
prodottesi per deformazione meccanica. Altri difetti del tipo in questione sono
dovuti alla presenza, a volte, di impurezze o di composti che formano zone
aventi struttura cristallina (e, di solito, anche combinazione chimica) diversa
dalla matrice; queste zone hanno di solito una certa coerenza strutturale con il
reticolo (ad esempio, zone di Guinier-Preston). Altri difetti di volume sono
costituite dai cosiddetti
spikes, zone disordinate a contorno irregolare
che vengono prodotte in un
c. ordinato dall'impatto di una particella
atomica o nucleare ad alto contenuto energetico.
f)
Difetti
elettronici: sono difetti alla scala subatomica, spesso legati a difetti
alla scala atomica. È necessario postularne la presenza per spiegare
diversi fenomeni, soprattutto di carattere elettrico. Ad esempio, nel drogaggio
dei semiconduttori si introducono degli atomi estranei al reticolato con lo
scopo di creare elettroni liberi o vacanze elettroniche, che possono essere
considerate a tutti gli effetti come difetti del
c. ║
Termodinamica dei difetti: l'esistenza e la concentrazione di difetti
possono essere messe in evidenza con metodi sperimentali, ma anche previsti
sulla base delle funzioni termodinamiche, con l'ausilio della quantomeccanica,
accordando loro una distribuzione statistica. Anche le reazioni fra i difetti
per creare altri difetti, come pure la loro creazione ed il loro annichilimento
possono essere considerati come reazioni chimiche. Senza addentrarci nei
calcoli, che sono alquanto complessi, osserviamo subito in modo intuitivo come
si possa giustificare, su una base termodinamica, l'esistenza dei difetti e come
se ne possa prevedere la concentrazione all'equilibrio. Considerato, quindi, un
c., che sarà il nostro sistema termodinamico, definiamo per esso
le seguenti grandezze:
E = energia interna
del sistema
S = entropia del
sistema
T = temperatura assoluta del
sistema
F = E-TS = energia libera del
sistema.
Pensando di partire da un
c. perfetto, l'introduzione di difetti ne aumenta l'energia interna E in
quanto introduce deformazioni nel reticolato cristallino, quindi sforzi interni.
La E aumenta, quindi, in modo direttamente proporzionale alla concentrazione di
difetti, almeno in prima approssimazione. L'entropia S è pure una
funzione crescente della concentrazione di difetti, in quanto essa è
proporzionale al logaritmo naturale del numero delle possibili configurazioni, e
queste rappresentano a loro volta una funzione che cresce molto rapidamente con
la concentrazione di difetti. E' noto che un sistema tende sempre all'equilibrio
e che questo è caratterizzato da un minimo della funzione F = E-TS. Dato
che F risulta dalla somma di due funzioni, l'una (E) crescente con il numero di
difetti e l'altra (-TS) decrescente, è possibile vedere che il minimo di
F si ha per un certo valore della concentrazione di imperfezioni che dipende da
T e non è mai nullo se non alla temperatura di 0 °C. ║
Quantomeccanica dei difetti: secondo la teoria quantomeccanica, in un
qualsiasi
c. che si trovi a una temperatura superiore allo zero assoluto
(0 °C) gli atomi (o ioni) non sono fissi nelle loro posizioni reticolari,
ma oscillano attorno ad esse. Questa oscillazione può essere naturalmente
scomposta lungo tre assi cartesiani in tre vibrazioni rettilinee, per cui ogni
atomo si può pensare come un oscillatore tridimensionale, richiamato
nella sua posizione di riposo da forze tipo quelle di Hooke. Le energie di tali
oscillatori, secondo la quantomeccanica, sono quantizzate; i valori discreti che
esse possono assumere (che caratterizzano altrettanti stati) sono dati dalla
formula:

ove
E
n è l'energia dello stato caratterizzato dal numero quantico
n (che può essere un qualsiasi numero intero positivo, zero
incluso),
h è la costante di Planck e
υ è la frequenza della vibrazione. Le
transizioni possono avvenire solo tra stati quantici contigui, i cui due numeri
quantici, cioè, differiscono di un'unità. Così in una
transizione dallo stato avente numero quantico
n1 ad uno
avente numero quantico
n2 (con n
2-n
1 =
1) si ha una variazione di energia (emissione o assorbimento) data
da:

La
quantità di energia
ΔE =
hυ è assorbita se la transizione avviene
da uno stato a più bassa energia ad uno a più alta energia; viene
emessa nel caso opposto. Si è, quindi, in presenza di un assorbimento
discreto di quantità di calore (dato che le vibrazioni atomiche sono
dovute alla temperatura, per effetto di agitazione termica) in
quanti di
energia
ΔE =
hυ. Si sa, però, che anche l'assorbimento
di
fotoni, cioè di quanti di energia elettromagnetica, avviene per
livelli discreti e che un fotone ha proprio energia
hψ. Si
è quindi proposto per questi quanti di energia termica il nome di
fononi (in inglese
phonon), in analogia con i fotoni. Le
transizioni di un atomo da uno stato all'altro, come pure la creazione e la
scomparsa di difetti, possono essere descritti in termini di salti di energia,
che avvengono con assorbimento o emissioni di fononi. Si hanno, pertanto,
interazioni fononi-fononi, fononi-atomi e fononi-vacanze, con leggi diverse.
Questa descrizione è alquanto artificiosa (non esiste alcuna prova
dell'esistenza dei fononi), ma ha il grande vantaggio di permettere l'impiego
dei risultati previamente ottenuti nello studio dell'interazione fra onde
elettromagnetiche e solidi allo studio dei
c. e delle loro imperfezioni.
È indubbio che questo vantaggio giustifica pienamente la formulazione di
una tale ipotesi di lavoro. ║
C. liquido: tipo di stato
particolare, caratteristico di alcuni materiali organici, che presenta
proprietà intermedie fra quelle dello stato solido e quelle dello stato
liquido. Un
c. liquido si comporta apparentemente come un liquido (ad
esempio, assume la forma del recipiente in cui viene versato). Esso,
però, non presenta il caratteristico disordine molecolare proprio dei
liquidi, ma piuttosto una struttura in cui le molecole sono ordinate
regolarmente, secondo configurazioni di impaccamento che si ripetono
periodicamente nel
c., come avviene per i solidi cristallini. Si
dovrebbe, quindi, parlare dello
stato di c. liquido come di uno stato
nuovo, da aggiungere ai quattro stati tradizionalmente considerati (gas,
liquido, solido e plasma). Questo stato in cui si può trovare la materia
si colloca fra il solido ed il liquido anche nella sperimentazione fisica. Ad
esempio, l'APAPA (abbreviazione per indicare l'anisilidenparaamminofenilacetato)
si presenta come un solido untuoso sotto gli 82 °C, come
c. liquido
dagli 82 ai 105 °C e come liquido vero e proprio sopra quest'ultima
temperatura. Lo stato di
c. liquido esiste, quindi, in un ben definito
campo di temperatura, a parità di altre condizioni fisiche come
pressione, esistenza di campi elettrici e magnetici, esistenza di irradiazioni
di qualsiasi tipo, ecc. I
c. liquidi non sono di recente scoperta, dato
che sono noti fin dal 1890; solo negli ultimi anni hanno, però, cessato
di essere considerati alla stregua di una mera curiosità scientifica per
entrare nei più avanzati laboratori di ricerca, sia di industrie private
sia di enti pubblici (come la NASA negli USA). Sono oggi allo studio numerosi
dispositivi basati su
c. liquidi e si prevede, per questi materiali, una
grandissima serie di applicazioni in vari campi. Si prevede, ad esempio, la
possibilità di creare dei cinescopi per televisori aventi minime
dimensioni di ingombro in profondità, tanto da poter essere appesi ad una
parete come un quadro, oppure dei vetri che diventano più o meno
trasparenti con la sola regolazione di una manopola. Anche se per questi usi il
costo è ancora proibitivo, in altri casi i dispositivi a
c.
liquido sono già competitivi con quelli attualmente in uso. In effetti,
si può considerare un
c. liquido un dispositivo quale il
convertitore di immagine, in grado di reagire a stimoli diversi sia
elettrici che meccanici, magnetici, acustici e così via. Con i
c.
liquidi è possibile controllare, ad esempio con un'eccitazione elettrica,
la trasmissione o la riflessione della luce da parte di un certo materiale (il
c. liquido); questo non è possibile con alcun altro mezzo
semplice. Da un punto di vista teorico, è necessario limitarsi a una
trattazione forzatamente qualitativa, dato che su molti punti gli studiosi non
sono ancora concordi e che certi punti del comportamento dei
c. liquidi
sono ancora poco chiari. Anzitutto occorre dividere i
c. liquidi in tre
tipi caratteristici, diversi per struttura e comportamento:
a)
c.
nematici;
b)
c. smectici;
c)
c. colesterici.
Corrispondentemente, si parlerà di liquidi nematici, liquidi smectici o
liquidi colesterici. Le proprietà di queste sostanze dipendono
essenzialmente da come sono disposte le molecole nel
c. liquido. In un
liquido nematico le molecole hanno forma alquanto allungata; si possono
immaginare come dei cilindretti aventi le basi circolari ma a spigoli smussati,
ad esempio a forma di emisfera (in una raffigurazione molto grossolana potremmo
pensarle come tanti fiammiferi da cucina). È evidente che queste
molecole, fra le quali esistono delle forze di attrazione (forze di Van der
Waals), tenderanno a disporsi in modo ordinato, cioè con gli assi
principali tra di loro paralleli. Esse possiedono tuttavia una certa
libertà di movimento, nel senso che possono spostarsi leggermente secondo
la direzione dell'asse principale e anche lateralmente; inoltre, possono ruotare
attorno all'asse principale. Non possono invece ruotare attorno agli assi
perpendicolari a quello principale, in quanto sono impedite dalle altre
molecole. In certe condizioni, questo ordine può venire distrutto e,
quindi, il comportamento del liquido nematico può essere variato con
un'opportuna eccitazione, ad esempio un campo elettrico esterno. Fra i liquidi
nematici più noti, oltre al già citato APAPA, ricordiamo anche il
PEBAB (ovvero paraetossibenziliden-para-amminobenzonitrile), che si trova allo
stato di
c. liquido fra i 107 e i 126 °C. I
liquidi smectici
posseggono delle molecole aventi una forma press'a poco uguale a quelle dei
liquidi nematici; differiscono, però, da questi per la disposizione delle
molecole stesse. Mentre nei liquidi nematici le molecole erano poste con l'asse
principale parallelo, ma su piani diversi, nei liquidi smectici le molecole sono
ordinate in modo simile, ma su piani tra loro paralleli. La mobilità
delle molecole è un po' minore che nel caso precedente, in quanto
è più limitato il moto nella direzione dell'asse principale; in
compenso, i vari piani possono muoversi relativamente, slittando uno sull'altro.
Le molecole costituenti un certo piano possono essere disposte all'interno di
questo in modo ordinato (per le file regolari) o in modo casuale. I liquidi
smectici sono chiamati così dalla voce usata in greco per significare
sapone; i composti di questo tipo sono, infatti, dei saponi. Uno dei più
usati è il PAE o para-ossibenzoato di etile che presenta proprietà
di
c. liquido in un intervallo di alcuni gradi centigradi al di sotto dei
120 °C. I
liquidi colesterici sono anch'essi composti generalmente
da molecole di forma allungata, ma la disposizione di queste nel reticolo
quasi-cristallino che li compone è ancora diversa dai due precedenti. Le
molecole sono ancora disposte a piani, come nei liquidi smectici ma, a
differenza di quello che accade in questi, la direzione principale delle
molecole non è più normale, bensì parallela al piano che le
contiene. Tali piani sono impaccati l'uno sull'altro a formare tanti strati, ma
l'ordine non è casuale; fra l'orientamento degli assi principali delle
molecole dei diversi strati molecolari esiste una relazione. Ogni strato
può essere, infatti, considerato uguale al sottostante, ma ruotato di un
certo angolo che è costante al passaggio da uno strato al successivo. Ne
consegue che, considerato un asse normale agli strati come luogo delle origini e
facendo uscire da questo asse, per ogni piano, un vettore di una certa
lunghezza, orientato secondo l'asse principale delle molecole, questo vettore
descrive, passando da un piano agli altri, una certa rotazione per cui,
considerando un numero di strati abbastanza elevato, esso descrive un'elica la
quale sarà caratterizzata da un certo
passo. I
c.
colesterici sono molto sensibili alla temperatura; questa agisce sul passo
dell'elica di cui si è detto, avvolgendola o svolgendola. In questo modo,
i liquidi colesterici possono essere utilizzati come indicatori locali di
temperatura. Si possono avere dei liquidi che cambiano colore completamente
(passando, ad esempio, dal rosso al blu) nel solo spazio di 0,1 °C; il
cloruro di colesterile addirittura esiste come liquido colesterico per un
intervallo di temperatura di un solo °C. Il meccanismo con cui il calore
agisce proprio sulla spirale dell'elica è alquanto complesso e non ancora
ben noto. Tuttavia, si può fare il seguente esperimento: si cosparga di
liquido colesterico una superficie illuminata di luce bianca. Ad una certa
temperatura il liquido è colorato in rosso; se si aumenta la temperatura,
l'elica si restringe (si accorcia il passo) ed il colore della luce riflessa si
sposta verso il blu. Quando la temperatura diminuisce, il passo dell'elica si
allunga e il colore della luce riflessa tende al giallo. Differenze anche minime
di temperatura, come pure gradienti termici anche su zone molto piccole, possono
essere convertite con tale metodo, con estrema semplicità, in mappe
termiche colorate. Fra i più comuni composti colesterici, oltre al
già citato cloruro di colesterolo, ricordiamo anche il benzoato di
colestirile, che ha un ampio campo di esistenza (da 144 a 177 °C circa) ed
il nanoato di colesterile. Questi composti sono detti colesterici, in quanto
sono per lo più composti di colesterile. ║
Proprietà
peculiari: alcune di queste sono già state enunciate prima; ve ne
sono però molte altre e probabilmente ancora molte sono da scoprire. A
proposito dei liquidi nematici si è citato il caso della opacizzazione
per effetto di un campo elettrico, secondo un certo meccanismo. Ne esiste
però anche un altro. Si immagini di avere delle molecole di liquido
nematico che hanno sì un momento dipolare, ma questo dipolo non è
configurabile con due cariche poste alle estremità più lontane
della molecola, bensì con una carica ad un capo della molecola e l'altra
posta su una catena laterale che si trova a circa metà della lunghezza
della molecola stessa, come è il caso dell'APAPA già citato. In
questo caso in assenza di un campo elettrico le molecole sono orientate in un
certo modo (si pensi ancora al sandwich-condensatore per il vetro opacizzabile)
e si ha, ad esempio, trasparenza. Se si applica una tensione alle due armature,
le molecole si orientano in un altro senso e si ha opacizzazione (o meglio,
riflessione con diffusione della luce incidente) perché l'asse del dipolo
non coincide con quello principale della molecola. Per mantenere le molecole
orientate in un modo o nell'altro e quindi controllare opacizzazione o
trasparenza, sono necessarie delle potenze bassissime, dell'ordine dei microwatt
(un microwatt è un milionesimo di Watt, cioè circa un
centimilionesimo della potenza assorbita da una comune lampadina) per centimetro
quadrato. Infatti le forze in gioco nei fenomeni di orientazione hanno
intensità molto deboli. La miscela di un liquido nematico che presenti il
comportamento sopra citato (detto in termini tecnici
diffusione dinamica)
con un liquido colesterico in opportuno rapporto può presentare
particolari proprietà. La miscela appena preparata è trasparente
ma basta l'applicazione di un campo continuo o a bassa frequenza di
intensità abbastanza elevata per renderlo lattiginoso. Se viene rimosso
il campo, il liquido ritorna limpido solo con grande lentezza, impiegando un
tempo che può essere da qualche secondo a qualche settimana, in funzione
della quantità di liquido colesterico nella miscela. Si può quindi
ottenere in questo modo la memorizzazione di un'immagine per un certo tempo,
senza spesa di energia. Se si vuole far ritornare istantaneamente limpido il
liquido basta applicare ad esso un campo elettrico avente un certo valore e con
una frequenza abbastanza elevata (4.000 Hertz o più). Una miscela di un
liquido nematico con un opportuno colorante dicroico, ad es. il blu di
indofenolo, si presenta blu se illuminata con luce polarizzata per trasparenza.
Se però viene immersa in un campo elettrico avente una direzione
opportuna, l'orientamento delle molecole di liquido nematico costringe anche le
molecole di colorante ad allinearsi, e la luce trasmessa appare bianca. ║
Applicazioni dei c. liquidi: allo stadio attuale, le applicazioni
industriali dei
c. liquidi sono ancora estremamente limitate, trattandosi
di un campo in cui si stanno compiendo graduali progressi. Le previsioni,
però, sono quanto mai ottimistiche: si considerano una scoperta che
avrà un'importanza pratica pari a quella dei dispositivi elettronici allo
stato solido. I
c. liquidi più impiegati sono quelli colesterici,
usati per determinare differenze anche minime di colore su dispositivi molto
piccoli, come potrebbero essere gli elementi attivi di circuiti integrati.
Un'altra applicazione simile si prevede in medicina, per trovare punti di
diversa intensità termica. L'analisi termica per scoprire il cancro della
mammella, oggi fatta con dispositivi molto costosi, è stata effettuata in
via sperimentale con altrettanta precisione e costo enormemente inferiore per
mezzo di liquidi colesterici. Per i
c. nematici e per le miscele di
questi con quelli colesterici si prevedono, invece, numerose applicazioni nel
campo dei
display, cioè di quei dispositivi che convertono
un'immagine codificata in impulsi elettrici in forma visibile all'occhio umano.
Il più comune
display è lo schermo del televisore
domestico; su questo l'immagine è formata per eccitazione di uno strato
di materiale opportuno (a base di composti di fosforo), compiuta da un pennello
di elettroni che scandisce tutto lo schermo in sequenza prefissata. Con i
c. liquidi lo schermo del televisore potrebbe essere costruito, come si
è detto sopra, per il vetro opacizzabile: basta suddividere lo schermo in
tanti piccoli condensatori come quello descritto e, poi, eccitarli o meno per
avere zone che riflettono la luce, alternate a zone opache. Il tutto potrebbe
essere contenuto in uno spessore di alcuni millimetri. Questo
display
avrebbe anche il vantaggio di poter essere visto anche in piena luce, anzi,
quanto maggiore fosse l'illuminazione nell'ambiente tanto migliore sarebbe il
contrasto dell'immagine. Sullo stesso principio si possono costruire dei
display più semplici, ad esempio per rappresentare dei numeri.
Display di questo genere possono essere impiegati su piccoli calcolatori,
strumenti, cartelli stradali, ecc.; essi possono presentarsi sia nella versione
a riflessione (in cui, cioè, il
c. liquido riflette selettivamente
la luce in certe zone e non in altre) o a trasmissione (dove il
c.
assorbe selettivamente la luce in certe zone e la trasmette nelle altre). Il
principio di funzionamento è sempre quello descritto: nel sistema a
riflessione una superficie dei vetri del
sandwich è riflettente;
nell'altro caso sono tutte trasparenti ed è necessario avere dietro il
sandwich una sorgente di luce più intensa di quella che si trova dal lato
dell'osservatore del
display. Il sistema a riflessione, più
semplice e funzionante con qualsiasi illuminazione ambientale, purché
sufficientemente intensa per leggere una scritta, è il più
impiegato. Si sono costruiti in questo modo dei
display sperimentali,
adatti alla strumentazione di bordo per aerei e satelliti artificiali. Anche nel
campo della riprografia (cioè della tecnica di riproduzione dei documenti
a mezzo di
fotocopie) vi è un notevole interesse per i
c.
liquidi che possono sostituire il sistema tradizionale a effetto corona o a
carica elettrostatica. La tecnologia dei
c. liquidi appare quanto mai
promettente e ricca di applicazioni, offrendo un prodotto di costo assai
inferiore e di migliori prestazioni rispetto alle tecniche tradizionalmente in
uso. Tuttavia, si tratta di un campo ancora in gran parte da esplorare e molti
problemi pratici vanno tuttora risolti. Il primo problema riguarda la breve vita
dei dispositivi a
c. liquido; la sua esistenza, infatti, è
limitata dal fatto che il campo elettrico applicato al
c. liquido ne
causa pian piano la ionizzazione, e quindi la distruzione. La soluzione che
è stata proposta per questo inconveniente è la creazione di ioni,
ad esempio di elettroni da parte di un elettrodo, per dotare il
c.
liquido di una conducibilità ionica sufficiente senza che si decomponga.
In questo modo, si sono realizzati dei
display aventi una vita media di
5.000 e più ore. Un altro problema è rappresentato dalla
sensibilità dei
c. liquidi alla temperatura; se questo in alcuni
casi è un pregio, in altri è un difetto in quanto richiede una
termostatazione del dispositivo. Una quantità sensibile di sforzi
è dedicata al ritrovamento di sostanze, sempre organiche, dotate delle
proprietà del
c. liquido in un ampio campo di temperatura. Si
stanno, inoltre, studiando nuovi dispositivi che sfruttino la sensibilità
dei
c. liquidi anche agli altri stimoli di natura non elettrica, come
campi magnetici, sforzi meccanici, radiazioni luminose, energia meccanica in
forma di onde acustiche, presenza o assenza di certi gas, ecc.