Atto del creare, del far nascere dal nulla. ║
Insieme delle cose create, il mondo. ║ Per estens. - Invenzione,
istituzione di un nuovo ente, impeto creativo; l'opera creata. ● St. delle
rel. - Definizione di un tipo di cosmogonia con cui si indica l'atto per mezzo
del quale Dio fa esistere il cosmo traendolo dal nulla o, meno propriamente, con
il quale trasforma la materia preesistente: in questo caso l'azione può
essere propria di più esseri divini che assumono coralmente la funzione
demiurgica. Le modalità con cui i vari creatori o demiurghi agiscono, nei
diversi sistemi mitologici, sono differenti ma anche ricorrenti. La
c.
dell'uomo attraverso il gesto fittile del vasaio che modella l'argilla ritorna
in ambito mesopotamico (Enki e le altre divinità plasmano l'uomo
dall'argilla), come nell'antico Egitto (il dio Khnum che modella l'uomo con la
ruota da vasaio) e in ambito semitico (Dio crea l'uomo impastando il fango).
Un'altra tipologia di azione creatrice è quella che si attua mediante il
sacrificio di un essere primordiale - detto
dema - dalle cui membra
deriva l'intero cosmo (si veda il
purusha vedico o il sacrificio della
tradizione antico-iranica, ma anche l'interpretazione cristiana della morte in
croce di Gesù come momento della Nuova
C.) o mediante il pensiero
(come nel mito cosmogonico dell'antico Egitto avente Ptah come protagonista) o
ancora mediante la danza (motivo presente in taluni miti degli indiani d'America
o nel racconto della danza creatrice di Shiva nella tradizione induista) o
infine mediante la potenza della parola (come nel
Genesi ebraico o nel
poema babilonese
Enuma elish). In diversi sistemi mitologici la
c.
non è attribuita all'Essere supremo, ma ad un Demiurgo da lui distinto e
talvolta suo antagonista. Il dualismo iranico (V.
MAZDEISMO), che riferisce una
c.
buona operata da Ahura Mazdāh e una
c. cattiva compiuta da Angra Mainyu,
esemplifica efficacemente questa tipologia ed è unanimemente riconosciuto
come significativo precedente di tutte le dottrine gnostiche e manichee che
opposero il mondo fisico (opera di un essere malvagio) a quello spirituale
(parte delle perfezione divina originaria). Il pensiero occidentale deve la sua
nozione di
c. al racconto del
Genesi. Nel racconto biblico,
strutturato da un redattore probabilmente intorno al VI-V sec. a.C., coesistono
due tradizioni originariamente distinte: quella sacerdotale (
Genesi 1,
1-2 e 4a) e quella yahvista (
Genesi 2, 4-25). Nel primo racconto, la
c. si compie in sei giorni e si conclude con il riposo del settimo e non
sembrerebbe concepita
ex nihilo, in quanto la terra, la tenebra, le acque
cosmiche preesistono al
fiat creatore. L'uomo rappresenta il culmine
della
c. e, in questa versione, è concepito unitamente alla donna
("maschio e femmina li creò") con la sola forza del Logos creatore, senza
alcun gesto concorrente. La tradizione yahvista, pur volendo ugualmente
sottolineare la posizione dell'uomo all'apice della
c., pone invece la
c. dell'uomo come primo atto di Dio, che lo plasma dalla terra e gli
dà vita soffiando nelle sue narici. Poi prepara per lui il giardino
dell'Eden e per lui lo riempie di piante e di animali e per sua compagnia e
sostegno crea la donna simile a lui. In questo racconto l'interesse è
puntato sugli esseri viventi e sulla loro subordinazione all'uomo stesso, per il
quale Dio li ha creati in una concezione decisamente antropocentrica del creato.
Ciò che accomuna le due versioni è la medesima concezione
dell'atto creatore come libero da costrizioni o necessità, totalmente
libero, suscitante integralmente tutte le cose, senza emanazione, senza
intermediari di alcun tipo. Dio trascende le sue creature, ma nel medesimo tempo
ne è l'unico fondamento. Il Nuovo Testamento conferma la versione
ebraica, sottolineando da una parte la sua origine
ex nihilo, che
nell'Antico Testamento era stata affermata solo a partire dal secondo libro dei
Maccabei (II sec. a.C.), dall'altra il suo carattere di conservazione,
cioè di
c. continua. Il mondo, dunque, non solo deriva ma anche
dipende costantemente da Dio che, parimente, è sempre creatore in atto.
Il secondo elemento di novità introdotto dal Nuovo Testamento consiste
nella compartecipazione all'attività creatrice di Dio del Figlio,
attraverso il quale tutto è stato fatto, in quanto Verbo del Padre; si
veda in proposito il prologo del Vangelo di Giovanni: "In principio era il Verbo
e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio" (
Giovanni 1, 1-4). ●
Filos. - La forma della causalità produttiva dell'universo. Tra i
filosofi antichi, Platone intendeva la
c. come un atto di bontà
del Demiurgo che, però, non agiva in modo totalmente libero, in quanto
limitato dalle Idee; queste, in quanto eterne, erano considerate preesistenti
all'atto creativo stesso e con funzione di modello per la sua opera, consistente
nel dare forma ed ordine ad una materia anch'essa preesistente alla
c.
Per Aristotele il mondo era eterno come Dio stesso; la divinità infatti
veniva da lui concepita come primo motore immoto, fonte del movimento e, dunque,
dell'ordine dell'universo, di cui pertanto Dio non era il creatore ma solo
l'ordinatore. I neoplatonici e Plotino, invece, introdussero una concezione
assai diversa di
c., non più come atto ordinatore e volontario
della divinità, ma come derivazione del cosmo da Dio per emanazione,
cioè come necessario sortire da sé della potenza dell'Essere.
L'impostazione emanatista dei neoplatonici si contrapponeva con particolare
evidenza alla concezione ebraico-cristiana di
c. ex nihilo, e fu proprio
la patristica ad affermare nei primi secoli del cristianesimo, quando la nuova
religione era ancora in concorrenza con i miti pagani, tale modello di
cosmogonia, pur tentando di rapportarlo e conciliarlo con le dottrine di Platone
da una parte o di Aristotele dall'altra. La tradizione della scolastica ha
tramandato anche le dispute intrattenute dai filosofi medioevali riguardo la
temporalità o l'eternità della
c.: se la scuola francescana
di Bonaventura riteneva il mondo creato nel tempo, quella averroista di Sigieri
di Bramante ne affermava la derivazione
ab aeterno. Tommaso d'Aquino si
pose in funzione di mediatore, affermando che tale questione non era da dirimere
secondo un punto di vista filosofico, mentre per fede risultava evidente la non
eternità dell'universo. Le teorie emanatiste furono riproposte nei secoli
più volte, per esempio da Spinoza, o da Hegel, dall'idealismo romantico
in genere e dalla filosofia di Schelling in particolare, per il quale il mondo
era una estrinsecazione necessaria della divinità e perciò divino
nella sua natura. Con il XIX sec. Creazionismo ed Emanatismo furono sostituiti
dall'ipotesi positivista dell'evoluzionismo, secondo la quale il mondo era il
prodotto di un processo progressivo e naturale. Da un punto di vista
epistemologico, la vera conquista della filosofia moderna risiede comunque nella
distinzione posta fra problema cosmologico, studiato dalla scienza, e aspetto
teleologico, che indaga con gli occhi della fede il disegno salvifico e
provvidenziale di Dio che starebbe all'origine del mondo. ● Fis. -
Processo per il quale un fotone dotato di grande energia, attraversando la
materia, trasforma tutta o parte di essa in massa, formando una coppia
particella-antiparticella del tipo elettrone-positrone o protone-antiprotone.